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|predecessore2= [[Giacomo Durando]]
|successore2= [[Alfonso La Marmora]]
|carica3= Intendente generale per la [[provincia di Genova]]<ref> L'intendenza generale, oltre alla provincia di Genova, in quel periodo aveva alle proprie dipendenze le province di [[Novi Ligure|Novi]], di [[Chiavari]] e del Levante (Spezia), in {{cita|L. Piccardo|p. 481, nota 30.}}</ref>
|mandatoinizio3= [[30 dicembre]] [[1852]]
|mandatofine3= [[17 dicembre]] [[1854]]
|predecessore3= [[Antonio Piola]]
|successore3= [[Diodato Pallieri]]
|firma =Domenico Buffa autografo.jpg
}}
{{Membro delle istituzioni italiane
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}}
 
Deputato al [[Parlamento Subalpino]], Ministro nel [[Governo Gioberti]] e Commissario straordinario della città di [[Genova]], è ricordato soprattutto per il ruolo svolto nella preparazione e realizzazione dell'accordo politico fra [[Camillo Benso, conte di Cavour|Cavour]] e [[Urbano Rattazzi|Rattazzi]], passato alla storia con il nome di "''[[Connubioconnubio]]"''.
 
==Biografia==
===La giovinezza tra letteratura, poesia e studi storici===
[[File:Domenico Buffa giovinezza.jpg|thumb|left|200px|Il giovane Buffa studente a [[Carcare]] in divisa da convittore.]]Nato da Stefano e Francesca Pesci, un'agiata famiglia [[Ovada|ovadese]] di estrazione borghese di elevata cultura e saldi principi religiosi, la sua educazione giovanile è affidata allo zio Francesco (1777-1829), un medico seguace di [[Edward Jenner]] e, successivamente, al collegio degli [[Chierici Regolari Poveri della Madre di Dio delle Scuole Pie|Scolopi]] di [[Carcare]].
 
Nel [[1834]] si trasferisce a [[Genova]] per studiare aritmetica e l'anno successivo si iscrive alla facoltà di [[Giurisprudenza]] dell'[[Università degli Studi di Genova|Ateneo cittadino]]. Stefano Buffa viene però a conoscenza che il figlio a Genova frequenti, secondo lui, ambienti pericolosi, visti i suoi incontri e le sue amicizie con esponenti [[Sansimonismo|sansimonisti]] e [[Mazzinianesimo|mazziniani]]<ref>{{cita|L. Piccardo|p. 477.}}</ref>. Su pressione del padre quindi, il giovane Buffa si trasferisce a [[Torino]] dove si laurea nel [[1840]] e, da apprendista, pratica per qualche tempo nello studio dell'avvocato [[Giuseppe Cornero]]. È probabilmente in questo ambiente che conosce ed entra in contatto con molti giovani già affermati nel campo della cultura come [[Lorenzo Valerio]], [[Domenico Carutti]] e [[Massimo Cordero di Montezemolo]]. Nel frattempo ha già dato alle stampe gli ''Inni'', una raccolta poetica di ispirazione [[Alessandro Manzoni|manzoniana]]. Nel [[1838]] inizia anche uno studio storiografico e filologico delle tradizioni popolari nel [[Regno di Sardegna (1720-1861)|Regno]], ''Saggio di Sapienza Popolare''. La sua ricerca, ''Raccolta di canzoni popolari'', che interessò anche il [[Niccolò Tommaseo|Tommaseo]]<ref>Cfr. Emilio Costa, ''Tommaseo, Nigra e la "Raccolta di canzoni popolari" del Piemonte di Domenico Buffa'', in "Archivio storico del Monferrato", I (1960), 1-2, pp. 107-129.</ref>, è inserita anni dopo (nel [[1888]]) nei celebri ''Canti popolari del Piemonte'' di [[Costantino Nigra]]<ref>Cfr. biografia del Buffa in {{cita web|url=http://www.treccani.it/enciclopedia/domenico-buffa_(Dizionario-Biografico)/|titolo=Treccani.it|accesso=22 aprile 2012}}</ref>. L'interesse comune su questi temi porteranno il Buffa a frequenti scambi epistolari con il già citato Tommaseo, con gli intellettuali di [[Granducato di Toscana|Toscana]] [[Gino Capponi]], [[Giovan Pietro Vieusseux]] e [[Giuseppe Giusti]].
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Dal febbraio all'agosto del [[1846]] il Buffa soggiorna a [[Firenze]]. Grazie alle amicizie epistolari già citate frequenta il [[Gabinetto Vieusseux]] e conosce, tra i tanti intellettuali, [[Massimo D'Azeglio]], [[Giovanni Battista Niccolini]] e [[Giacinto Provana di Collegno|Giacinto Collegno]]. L'amicizia con il Vieusseux<ref>Il Vieusseux scriveva il 18 agosto 1846 a Domenico: «Mio caro Buffa. Volete voi farmi il piacere di mangiare la zuppa dimani da me con un distinto romano, il [[Diomede Pantaleoni|D. Pantaleoni]], cultore delle scienze storiche e sociali, alle ore 5 ?», in {{cita|E. Costa, (1968) 2008|p. 206, nota 71.}}</ref> lo porta a collaborare anche all'''Archivio Storico Italiano''.
 
Tornato nel [[Regno di Sardegna (1720-1861)|Regno sabaudo]], a settembre è a [[Genova]] dove partecipa all'VIII Congresso degli scienziati, un'ottima occasione di incontro politico e culturale<ref>{{cita|E. Costa, (1968) 2008|p. 205. La sua presenza è documentata nell'elenco dei membri della riunione, in ''Atti dell'ottava riunione degli scienziati italiani tenuta in Genova'', Ferrando, Genova 1847, pag. 26 (membro n. 169) {{cita web|url=http://books.google.it/books?id=BXE_AAAAcAAJ&pg=PA26&dq=%22Buffa+Domenico+di+Ovada,+Ovada%22&hl=it&sa=X&ei=NMPDT63VLs-SswbBoaC5Cg&ved=0CDUQ6AEwAA#v=onepage&q=%22Buffa%20Domenico%20di%20Ovada%2C%20Ovada%22&f=false|titolo=GoogleLibri|accesso=28 maggio 2012}}.}}</ref>. Frequenta soprattutto la casa di [[Giorgio Doria (senatore)|Giorgio Doria]] ed entra a far parte del Comitato dell'Ordine. Il Doria, che nel [[1830]] fu sospettato di essere iscritto alla [[Carboneria]] e nel [[1831]] un rapporto del governatore di Genova lo definiva «persona avversa al governo», pare ora attestato su posizioni liberalmoderate e filomonarchiche ed è in contatto con [[Filiberto Avogadro di Collobiano]] e [[Cesare Trabucco]], segretario privato di [[Carlo Alberto di Savoia|Carlo Alberto]], che raccomandano prudenza e moderazione<ref name=Doria>Dalla biografia del Doria in {{cita web|url=http://www.treccani.it/enciclopedia/giorgio-doria_(Dizionario-Biografico)/|titolo=Treccani.it|accesso=2 maggio 2012}}</ref> nell'organizzare iniziative per ottenere le riforme liberali nel Regno di Sardegna. Sotto la presidenza del Doria viene così costituito, nel settembre del [[1847]] quando la tensione patriottica ha raggiunto a Genova punte rilevanti, un comitato dell'ordine che comprende sì liberali, democratici e [[mazziniani]], ma che mira ad assicurare ai primi il controllo dei movimenti popolari<ref name=Doria/>. Del comitato fanno parte anche [[Goffredo Mameli]] e [[Nino Bixio]], «decisi a pungolare da vicino la linea moderata per spingerla verso lo sbocco cui tenevano di più, ossia la guerra all'Austria<ref>Dalla biografia del Mameli in {{cita web|url=http://www.treccani.it/enciclopedia/goffredo-mameli_(Dizionario-Biografico)/|titolo=Treccani.it|accesso=2 maggio 2012}}</ref>».
 
In quel periodo Buffa abbandonava la letteratura e gli studi storici ed etnografici per dedicarsi al giornalismo politico<ref>{{cita|L. Piccardo|p. 479.}}</ref>.
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{{quote|Domenico Buffa aveva per la schiettezza dei modi e la lealtà dell'animo anche la stima degli avversari<ref>Vincenzo Gioberti, ''Del rinnovamento civile d'Italia'', vol. I, Giuseppe Bocca, Parigi e Torino 1851, p. 375 {{cita web|url=http://books.google.it/books?id=yhE5AAAAcAAJ&pg=PA375&dq=%22Domenico+Buffa+aveva+per+la+schiettezza%22&hl=it&sa=X&ei=iFKUT-2MFonVsga8weCCBA&ved=0CDYQ6AEwAQ#v=onepage&q=%22Domenico%20Buffa%20aveva%20per%20la%20schiettezza%22&f=false|titolo=GoogleLibri|accesso=22 aprile 2012}}</ref>|[[Vincenzo Gioberti]]}}
 
Nel novembre del [[1847]] il giornale [[pisa]]no ''L'Italia'' di [[Giuseppe Montanelli]] e [[Silvestro Centofanti]] pubblicava alcune lettere anonime sulle condizioni della vita politica subalpina, che lo stesso Montanelli nel [[1853]] ricorda così:
Nel novembre del [[1847]]
{{quote|Fra i piemontesi scrittori che misero bocca in consulta di cosa pubblica, fu differenza d'opinione intorno al modo di governarsi rispetto alle magagne domestiche : alcuni occultarle, altri volevano rispettosamente sì, ma francamente farle conoscere. [[Cesare Balbo|Balbo]] e i fratelli [[Massimo d'Azeglio|Massimo]] e [[Roberto Taparelli d'Azeglio|Roberto d'Azeglio]] , compari dello pseudo-italianismo [[Carlo Alberto di Savoia|albertino]], tiravano giù dell'[[Impero austriaco|Austria]], sdottoravano degli altri governi italiani, non fiatavano del loro, il che avrebbe fatto credere che veramente fosse un governo modello, mentre era peggio assai che lo austriaco. A quattr'occhi costoro convenivano che [[Carlo Alberto di Savoia|Carlo Alberto]] reggeva malissimo, e il Balbo a più di uno disse che tremava a pensare pigliata da costui la impresa della indipendenza italiana, sicuro che l'avrebbe sciupata. E nulladimeno andavano in bestia se alcuno osava dir forte quel che dicevano essi pure sottovoce, e Balbo mi fece gridare perché nell'autunno del '47 prima che Carlo Alberto piegasse a riforma, presi a pubblicare nel giornale ''L'Italia'', alcune lettere d'un anonimo sul [[Regno di Sardegna (1720-1861)|Piemonte]] le quali alzavano il velo alla Iside misteriosa. Lo anonimo autore di quelle lettere era Domenico Buffa ligure già noto per affettuose liriche, e filosofici scritti. Egli sdegnò la congiura dello ingannatore silenzio, e senza passione spiattellava le cose com'erano , e se avvi ancora chi creda doversi le presenti larghezze piemontesi a spontaneità progressivamente educatrice del monarcato, rilegga quelle lettere del Buffa, le quali gli diranno come si stava in Piemonte alla vigilia dello statuto<ref>Giuseppe Montanelli, ''Memorie sull' Italia e specialmente sulla Toscana dal 1814 al 1850'', vol. 2°, Società Italiana, Torino 1853, p. 138 {{cita web|url=http://books.google.it/books?id=ptXQAAAAMAAJ&pg=PA138&dq=Fra+i+piemontesi+scrittori+che+misero+bocca+in+consulta&hl=it&sa=X&ei=boehT9OnH7Dc4QSF6fz6CA&ved=0CDIQ6AEwAA#v=onepage&q=Fra%20i%20piemontesi%20scrittori%20che%20misero%20bocca%20in%20consulta&f=false|titolo= GoogleLibri|accesso=2 maggio 2012}}</ref>}}
 
{{Approfondimento
|allineamento =destra
|larghezza =40%
|titolo =18 dicembre 1848. Proclama di Genova
|dim-testo =80%
|contenuto =
VIVA LA COSTITUENTE ITALIANA !<br/>
Genovesi !<br/>
I nuovi ministri appena giunti al potere udirono che Genova da più giorni tumultuava. Ma perché tumultuava ?<br/>
Perché volevasi seguitare una politica contraria alla dignità, agli interessi, all’indipendenza della nazione. Ecco perché Genova tumultuava. La città generosa, iniziatrice di libertà ed indipendenza, non poteva rassegnarsi a siffatta vergogna.<br/>
Ma ora uomini nuovi, cose nuove.<br/>
Il presente ministero, del quale io pure fo parte, vuole l’assoluta indipendenza d’Italia a costo di qualunque sacrificio; vuole la Costituente italiana e già l’ha proclamata, e già fin dal primo giorno che entrò al potere scelse persona che andasse in Toscana e a Roma a concertare con quei Governi il modo di prontamente effettuarla. Vuole in una parola la monarchia democratica.<br/>
Un ministero di tal fatta avrà sempre Genova amica ed aiutatrice. Non può averla nimica che ad un patto solo, cioè ch’esso tradisca la sua missione.<br/>
Genovesi,<br/>
Io, investito dal Re di tutte le facoltà civili e militari spettanti al potere esecutivo, sono venuto a dare una mentita solenne a coloro che dicono la vostra città amica delle turbolenze. Io farò vedere loro che quando il Governo segue una politica veramente nazionale, non è mestieri d’alcun apparato di forza per tener Genova tranquilla. La forza vale con gl’imbelli non già coi generosi.<br/>
Pertanto ho ordinato che le truppe partano dalla città. Fin d’oggi spedisco una staffetta a far loro preparare gli alloggi nei luoghi ove debbono recarsi. Fra due giorni spero farle partire. Quanto ai forti della città, sarà interrogata la guardia nazionale se voglia o possa presidiarli, e le saranno consegnati o tutti o in parte a sua scelta.<br/>
A mantenere l’ordine pubblico in una città veramente libera basta la guardia nazionale.<br/>
Così, tolto ogni apparato di forza, noi faremo vedere a tutta l’Italia che quando un Governo batte veramente la via della libertà, della nazionalità, Genova è tranquilla.<br/>
Viva l’indipendenza assoluta !<br/>
Viva la Costituente Italiana !<br/>
Genova, lì 18 dicembre 1848.<br/>
Domenico Buffa<br/>
''Ministro di Agricoltura e Commercio investito di tutti i poteri esecutivi della città di Genova''
}}
 
Il Castelli, nel dedicare qualche pagina al ''connubio'' nei suoi ''Ricordi'', essendo trascorsi alcuni lustri, scrisse a Rattazzi per avere una autorevole testimonianza:
{{quote|Vi ricorderete [gli scrisse questi da [[Firenze]] il [[1º maggio]] [[1870]]] che le basi del ''connubio'' [...] furono intese in modo definitivo nel dicembre del 1851 o gennaio 1852, in casa vostra, in una riunione alla quale presero parte oltre di voi, il compianto Cavour, allora ministro di agricoltura e commercio nel gabinetto d’Azeglio, il povero Buffa e lo scrivente [...]. Se quella riunione [...] ha potuto aver luogo e se poté perciò formarsi quel partito, che [...] parmi poter dire abbia reso in appresso grandi servigi alla libertà e all’Italia, il merito è dovuto in gran parte a voi ed al povero Buffa [...]. Io non aveva in quel tempo col conte Cavour strette relazioni personali, e confesserò [...] che rimaneva [...] una qualche diffidenza intorno ai di lui sentimenti liberali e italiani [...]. Voi invece che eravate intimamente legato a Cavour [...] avete potuto togliere dall’animo mio ogni incertezza ed indurmi ad un riavvicinamento che l’interesse del paese consigliava<ref>Michelangelo Castelli, Luigi Chiala (a cura di), ''Ricordi'', L. Roux e C., Torino-Napoli 1888, pp. 72-73.</ref>}}.
Il Buffa scrive a Garibaldi:
{{quote|Ill.mo Signor Generale, [...] Ella non avrebbe difficoltà di una qualche dichiarazione che impedisse a taluni di abusare più oltre del suo nome e dentro e fuori del nostro paese. [...] Il Governo poiché ricevette la sua parola d'onore, non ha per sé bisogno d'altre assicurazioni [...]. In tale affare, adunque, io me ne rimetto intieramente al buon giudizio della S.V. Ella vedrà se sia giusto ed opportuno troncare con una sua parola le arti di coloro che si valgono del suo nome per agitare gli animi nell'interno dello Stato [...]<ref>Emilio Costa e Erio Bertorello, ''Garibaldi e Domenico Buffa'', URBS Silva et Flumen, XX, 3, sett. 2007, p. 195 {{cita web|url=http://www.accademiaurbense.it/pdf/illustri/Domenico%20Buffa%20da%20URBS_09-07.pdf|titolo=(in pdf)|accesso=11 maggio 2012}}</ref>}}
Alcune considerazioni del Buffa le troviamo anche in una lettera inviata al sindaco di Genova:
{{quote|[...] Venuto il discorso sull'abuso che taluni fanno del suo nome [di Garibaldi] per agitare gli animi nell'interno del paese e spargere speranze illusorie al di fuori, disse che [...] se il governo credesse utile una sua dichiarazione pubblica, egli non avrebbe difficoltà a farla. }}
 
Scriveva Cavour : «Ho ricevuto la lettera colla quale mi annunziate la morte del povero Buffa. È una perdita grave che fa il partito liberale o per dir meglio il paese, giacché Buffa era pure un uomo di partito, ma un buon cittadino, un abile oratore, un carattere distinto. Sarebbe stato all'occorrenza un buon ministro. Sono certo che tutti e La Marmora in ispecie lamenteranno quest'immatura perdita<ref>Lettera di Cavour del 22 luglio 1858 da Strasburgo a Teodoro De Rossi di Santa Rosa, in Luigi Chiala (a cura di), ''Lettere edite ed inedite di Camillo Cavour'', vol. 2, La Roux, Torino-Napoli 1884, p. 323.</ref>».
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== Bibliografia ==
* Emilio Costa, ''La giovinezza di Domenico Buffa (1818-1847)'', in ''Figure e gruppi della classe dirigente piemontese nel Risorgimento'', Comitato dell'[[Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano]], Roma 1968, pp. 49-103&nbsp;49–103. Ripreso in ''URBS Silva et flumen'', XXI, 1, marzo 2008, pp. 7-15&nbsp;7–15 ([http://www.accademiaurbense.it/pdf/illustri/Domenico%20Buffa%20da%20URBS_03-08.pdf parte I]), e ''URBS Silva et flumen'', XXI, 3, settembre 2008, pp. 200-206&nbsp;200–206 ([http://www.accademiaurbense.it/pdf/illustri/Domenico%20Buffa%20da%20URBS_09-08.pdf parte II]).
* Emilio Costa (a cura di), ''Il Regno di Sardegna nel 1848-1849 nei carteggi di Domenico Buffa'', Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano, Roma 1966-1970, 3 voll.
* Emilio Costa, ''Le carte di Domenico Buffa'', in ''Rassegna Storica del Risorgimento'', LI, fasc. IV, ottobre-dicembre 1964, pp.551-566&nbsp;551–566.
* Emilio Costa, ''Domenico Buffa, Ministro del Regno di Sardegna, Commissario con pieni poteri a Genova (dicembre 1848)'', ''Atti del convegno "Studi di Storia Ovadese" 7-8 dicembre 2002'', a cura di Alessandro Laguzzi e Edilio Riccardini, Accademia Urbense, Ovada 2005, pp. 371-455&nbsp;371–455.
* Lara Piccardo, ''Lettere di Domenico Buffa a [[Luigi Carlo Farini]]'', ''Atti del convegno "Studi di Storia Ovadese" 7-8 dicembre 2002'', a cura di Alessandro Laguzzi e Edilio Riccardini, Accademia Urbense, Ovada 2005, pp. 476-495&nbsp;476–495.
 
== Collegamenti esterni ==
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