Dio: differenze tra le versioni
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[[File:Europe a Prophecy, copy D, object 1 (Bentley 1, Erdman i, Keynes i) British Museum.jpg|min|''[[The Ancient of Days]]'', incisione del pittore [[Inghilterra|inglese]] [[William Blake]] (1794).]]
Un '''dio''' (o '''divinità''') è un essere supremo oggetto di [[venerazione]] da parte degli uomini<ref>{{Treccani|dio}}</ref><ref>{{Treccani|dio2|v=x}}</ref>, che credono sia dotato di poteri straordinari; nelle diverse culture [[religione|religiose]] viene variamente [[Teonimo|denominato]] e significato.<ref>Cfr. ad es. [[Mario Bendiscioli]]. ''Dio'' in ''Enciclopedia di filosofia''. Milano, Garzanti, 2007, pag.266</ref> Lo studio delle sue differenti rappresentazioni e del loro procedere storico è oggetto della [[scienza delle religioni]] e della [[fenomenologia della religione]] mentre l'esistenza, la natura e l'esperienza del divino sono oggetto di riflessione delle [[teologia|teologie]] e di alcuni ambiti [[filosofia|filosofici]] come la [[metafisica]], ma si riscontra anche in altri ambiti culturali, come la [[letteratura]] o l'[[arte]], non necessariamente collegati con la pratica religiosa.
A seconda del fatto che il credo sia [[Monoteismo|monoteista]] o [[Politeismo|politeista]], il dio oggetto di venerazione può essere uno oppure gli dèi venerati possono essere plurimi.
== I nomi della divinità: i loro significati e le loro origini ==
[[File:Cuneiform sumer dingir.svg|min|Ideogramma sumero per esprimere il sostantivo ''dingir'', termine che indica una divinità e per questo veniva utilizzato come classificatore grafico, anteponendolo al nome della divinità]]
[[File:Tetragrammaton scripts.svg|min|Evoluzione del [[tetragramma biblico]] ''YHWH'', nome personale del dio della [[Bibbia]], dall'[[alfabeto fenicio]] all'attuale [[Alfabeto ebraico|ebraico]]]]
[[File:Allah11.svg|min|Il nome di Dio scritto nella [[calligrafia araba]]. Nell'[[Islam]] è considerato peccato [[Antropomorfismo|antropomorfizzare]] Dio]]
I nomi utilizzati per indicare questa entità sono numerosi quanto numerose sono le lingue e le culture.
* Nelle lingue di origine latina come l'italiano (''Dio''), il francese (''Dieu'') e lo spagnolo (''Dios''), il termine deriva dal [[lingua latina|latino]] ''Deus'' (a sua volta collegato ai termini, sempre latini, di ''Divus'', "splendente", e ''Dies'', "giorno") proveniente dal termine [[Lingue indoeuropee|indoeuropeo]] ricostruito ''*Deiwos''. Il termine "Dio" è connesso quindi con la radice indoeuropea: *div/*dev/*diu/*dei, che ha il valore di "luminoso, splendente, brillante, accecante", collegata ad analogo significato con il [[sanscrito]] ''Dyáuh''. Allo stesso modo si confronti il [[lingua greca|greco]] Δῖος e il [[genitivo]] di Ζεύς [Zèus] è Διός [Diòs], il [[lingua sanscrita|sanscrito]] ''deva'', l'aggettivo latino ''divus'', l'[[lingua ittita|ittita]] ''šiu''.
* Nelle lingue di origine germanica come l'inglese (''god''), il tedesco (''Gott''), il danese (''gud''), il norvegese (''gud''), lo svedese (''gud''), sono relazionati all'antico frisone, all'antico sassone e all'olandese medievale ''got''; all'antico e al medievale alto germanico ''got''; al gotico ''gut''; all'antico norvegese ''guth'' e ''goth'' nel probabile significato di "invocato". [[Maurice O'Connell Walshe]]<ref>Maurice O'Connell Walshe, ''A Concise German Etymological Dictionary''. London, Broadway House, 1952.</ref> lo relaziona al sanscrito ''-hūta'' quindi ''*ghūta'' (invocato). Quindi forse da relazionare al gaelico e all'antico irlandese ''guth'' (voce) e all'antico celtico ''*gutus'' (radice ''*gut'').<ref>[[Eric Partridge]]. ''God'' in ''Origins''. Londra e NY, Routledge, 2007</ref>
* Nella lingua greca, antica e moderna, il termine è ''theós'' (θεός; pl. θεοί ''theòi''). L'origine è incerta.<ref>Dopo una disamina sulle possibili connessioni, [[Pierre Chantraine]] nel suo ''Dictionnaire étymologique de la langue grecque'' tomo II, Parigi, Klincksieck, 1968 pag. 430, così conclude {{q|Finalement l'ensemble reste incertain}}</ref> [[Émile Benveniste]], tuttavia, nel suo ''Le Vocabulaire des institutions indo-européennes''<ref>2 voll., [[1969]], Paris, Minuit. Ed. italiana (a cura di Mariantonia Liborio) ''Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee'', Torino, Einaudi, 1981</ref> collega ''theós'' a ''thes-'' (relazionato sempre al divino)<ref>Quindi ''thésphatos'' (stabilito da una decisione divina), ''thespéios'' ('meraviglioso' inerente al canto delle [[sirene (mitologia)|sirene]], "enunciato di origine divina"), ''théskelos'' (più incerto, "prodigioso o divino")</ref> e questo a ''*dhēs'' che si ritrova nel plurale armeno ''dik<sup>c</sup>'' (gli "dèi", ''-k<sup>c</sup>'' è il segno plurale). Quindi per [[Émile Benveniste]]: «è del tutto possibile - ipotesi già avanzata da tempo - che si debba mettere in questa serie ''Theós'' 'Dio' il cui prototipo più verosimile sarebbe proprio ''*thesos''. L'esistenza dell'armeno ''dik<sup>c</sup>'' 'dèi' permetterebbe allora di formare una coppia lessicale greco armena<ref>Crf. Volume II, pag. 385.</ref>».
* In ambito [[lingua semitica|semitico]] il termine più antico è ''ʾ[[El (divinità)|El]]'' (in [[lingua ebraica|ebraico]] אל), corrispondente all'[[lingua accadica|accadico]] ''Ilu(m)'' (cuneiforme accadico {{simbolo|B010ellst.png}}) e al cananaico ''ʾEl'' o ''ʾIl'' ([[lingua fenicia|fenicio]] {{simbolo|El phoenician.jpg}}), la cui etimologia è oscura anche se sembrerebbe collegata alla nozione di "potenza".<ref>{{q|The oldest Semitic term for God is ʾel (corresponding to Akkadian ilu(m), Canaanite ʾel or ʾil, and Arabic ʾel as an element in personal names). The etymology of the word is obscure. It is commonly thought that the term derived from a root ʾyl or ʾwl, meaning “to be powerful” (cf. yesh le-el yadi, “It is in the power of my hand,” Gen. 31:29; cf. Deut. 28:32; Micah 2:1). But the converse may be true; since power is an essential element in the concept of deity, the term for deity may have been used in the transferred sense of “power.”|[[Marvin Fox]]. ''Encyclopaedia Judaica'', vol.7. NY, Gale, 2007 pag.672}}</ref>
* Nell'ambito della letteratura religiosa ebraica i nomi con cui viene indicato Dio sono: il già citato ''ʾEl''; ''ʾEl ʿElyon'' (''ʿelyon'' nel significato di "alto" "più alto"); ''ʾEl ʿOlam'' ("Dio Eterno"); ''ʾEl Shaddai'' (significato oscuro, forse "Dio Onnipotente"); ''ʾEl Roʾi'' (significato oscuro, forse "Dio che mi vede"); ''ʾEl Berit'' ("Dio dell'Alleanza"); ''ʾEloah'', (plurale: ''ʾElohim '', meglio ''ha-ʾElohim'' il "Vero Dio" anche al plurale quindi; ''ha'' per distinguerlo dalle divinità delle altre religioni o anche ''ʾElohim ḥayyim'', con il significato di "Dio vivente"); ''ʾAdonai'' (reso come "Signore"). Il nome che appare più spesso nella Bibbia ebraica è quello composto dalle lettere ebraiche י (''yod'') ה (''heh'') ו (''vav'') ה (''heh'') o [[tetragramma biblico]] (la scrittura ebraica è da destra a sinistra): traslitterato quindi come ''YHWH'', il nome proprio del Dio di Israele.<ref>Per le diverse ipotesi sul suo significato cfr. [[tetragramma biblico]].</ref> Gli ebrei si rifiutano di pronunciare il nome di Dio presente nella Bibbia, cioè ''י*ה*ו*ה'' ([[tetragramma biblico]]) per tradizioni successive al periodo post-esilico e quindi alla stesura della ''[[Torah]]''. L'Ebraismo insegna che questo nome di Dio, pur esistendo in forma scritta, è troppo sacro per essere pronunciato. Tutte le moderne forme di Ebraismo proibiscono il completamento del nome divino, la cui pronuncia era riservata al sommo sacerdote, nel [[Tempio di Gerusalemme]]. Poiché il Tempio è in rovina, il nome non è attualmente mai pronunciato durante riti ebraici contemporanei. Invece di pronunciare il tetragramma durante le preghiere, gli ebrei dicono ''Adonai'', cioè "Signore". Nelle conversazioni quotidiane dicono ''HaShem'' (in ebraico "il nome", come appare nel libro del Levitico XXIV,11) quando si riferiscono a Dio. Per tale ragione un ebreo osservante scriverà il nome in modo modificato, ad esempio come D-o. Gli ebrei oggi durante la lettura del ''[[Tanakh]]'' (Bibbia ebraica) quando trovano il tetragramma (presente circa 6000 volte) non lo pronunciano.
* Nell'ambito della letteratura religiosa arabo musulmana il nome di Dio è ''Allāh'' (الله) riservando il nome generico di ''ilāh'' (إله; nel caso del Dio unico allora ''al-Ilāh'' il-Dio) per le divinità delle altre religioni. Il termine arabo ''Allāh'' viene probabilmente dall'aramaico ''Alāhā''<ref>[[Louis Gardet]]. ''Allah'' in ''Encyclopaedia of Islam'' vol.1. Leiden, Brill, 1986, pag.406</ref>). Nel [[Corano]], il libro, sacro dell'[[Islam]], l'Essere supremo rivela che i suoi nomi sono [[Allah|Allāh]] e [[Rahman (nome)|Rahmān]] (il "Misericordioso"). La cultura islamica parla di 99 "Bei Nomi di Dio" (''[[Nomi di Dio nel Corano|al-asmā‘ al-husnà]]''), che formano i cosiddetti nomi teofori, abbondantemente in uso in aree islamiche del mondo: 'Abd al-Rahmān, 'Abd al-Rahīm, 'Abd al-Jabbār, o lo stesso 'Abd Allāh, formati dal termine "'Abd" ("schiavo di"), seguito da uno dei 99 nomi divini.
*Nella [[lingua sumera]] il grafema distintivo della divinità è {{simbolo|Cuneiform sumer dingir.svg}} (''dingir''), probabilmente inteso come "centro" da cui la divinità si irradia.<ref>{{q|il grafema rappresenta un punto da cui si irradiano delle linee in otto direzioni dello spazio (ovvero: le bisettrici dei quattro punti angoli del mondo): esso è quindi da riferire al concetto studiato da Eliade e indicato con l'espressione "ombelico del mondo", ovvero il concetto di un centro di irradiazione da cui scaturisce una realtà, così come il feto si forma attorno all'ombelico [...]. I significati "spiga", "grappolo" per il grafema AN corroborano questa interpretazione: infatti le spighe e il grappolo di datteri si dipartono rispettivamente dallo stelo e dal picciolo in maniera analoga al feto dell'ombelico (ovvero come appare il neonato rispetto al cordone ombelicale). [...] An era concepito come realtà divina celeste che costituiva la fonte, il principio delle divinità.|[[Pietro Mander]]. ''La religione dell'antica Mesopotamia'', Roma, Carocci, pag. 70 }}</ref>
* Nella cultura religiosa sanscrita, fonte del [[vedismo]], del [[brahmanesimo]] e dell'[[induismo]], il nome generico di un dio è ''[[deva]]'' (देवता) riservando, a partire dall'induismo, il nome di ''[[Īśvara]]'' (ईश्वर, "Signore", "Potente", dalla radice [[lingua sanscrita|sanscrita]] ''īś'' "avere potere") alla divinità principale.<ref>H.P. Sullivan. ''Īśvara'' in ''Enciclopedia delle Religioni'', vol.9. Milano, Jaca Book, 2006, pag.185</ref> Il termine ''deva'' è correlato, come ad esempio il termine latino ''deus'', alla radice indoeuropea già citata richiamante lo "splendore", la "luminosità". In tale alveo la divinità femminile si indica con il nome di ''devī'', termine che indicherà con la ''Mahādevī'' (Grande Dea) un principio femminile primordiale e cosmico di cui le singole divinità femminili non sono che manifestazioni.<ref>Cfr. ad es. [[David Kinsley]] in ''Enciclopedia delle religioni'', vol.9. Milano, Jaca Book, 2006 (1988) pag.86 e [[Rachel Fell Mcdermott]]. ''Encyclopedia of Religion'' vol.6. NY, Macmillan, 2006, pag. 3608</ref>
* Nella cultura religiosa iranica preislamica il termine utilizzato è l'[[avestico]] ''[[Ahura (zoroastrismo)|Ahura]]'' ("Signore") che corrisponde al [[sanscrito]] ''[[Asura]]'';<ref>[[Jacques Duchesne-Guillemin]]. in ''Dictionnaire des Religions'' (a cura di [[Paul Poupard]]). Parigi, Presses universitaires de France, 1984. In italiano: ''Dizionario delle religioni''. Milano, Mondadori, 2007, pag.31. [[Gherardo Gnoli]]. ''Ahuras'' in ''Encyclopedia of Religion'' vol.1. NY, Macmillan, 2004, pag.205</ref> acquisendo il nome di [[Ahura Mazdā]] ("Signore Saggio" [[lingua persiana|persiano]] اهورا مزدا) l'unico dio del monoteismo [[Zoroastrismo|zoroastriano]].<ref>Nei versi 7 e 8 dello "''Yašt'' ad Ahura Mazdā", contenuto nella ''[[Khordah Avestā]]'', Ahura Mazdā elenca i nomi con cui egli può essere indicato:
{{q|Così rispose Ahura Mazdā: "Il mio nome è Ahmi (Io sono). Io sono l'Interrogabile, colui che può essere interrogato, o santo Zarathuštra. Il mio secondo nome è Vanthvyō (il Pastore), il Datore e protettore del gregge. Il mio terzo nome è Ava-tainyō, il Forte che tutto pervade. Il mio quarto nome è Aša Vahišta, la perfetta santità, l'ordine e la rettitudine, la verità assoluta. Il mio quinto nome è Vispa Vohu Mazdadhātā, tutte le cose buone create da Mazdā, che discendono da Aša Cithra (Santo Principio). Il mio sesto nome è Xratuš, intelletto e divina saggezza. Il mio settimo nome è Xratumāo, colui che ha comprensione, che è posseduto dalla divina saggezza diffusa su tutto il creato. Il mio ottavo nome è Cištiš, conoscenza, divina intelligenza ricolma di conoscenza. Il mio nono nome è Cistivāo, possessore della divina intelligenza. Il mio decimo nome è Spānō, prosperità e progresso. Il mio undecimo nome è Spananghauhao, colui che produce prosperità. Il mio dodicesimo nome è Ahura, il Signore creatore della vita. Il mio tredicesimo nome è Sevišto, il più benefico. Il mio quattordicesimo nome è Vīdhvaēštvō, colui in cui non c'è danno. Il mio quindicesimo nome è Avanemna, l'inconquistabile. Il mio sedicesimo nome è Hāta Marēniš, colui che conta le azioni dei mortali. Il mio diciassettesimo nome è Vispa Hišas, l'onniveggente. Il mio diciottesimo nome è Baēšazayā, colui che risana o dona buona salute. Il mio diciannovesimo nome è Dātō, il creatore. Il mio ventesimo nome è Mazdā, l'onnisciente, colui che crea con il pensiero.|''Yašt'', I,7-8. Traduzione di [[Arnaldo Alberti (filologo)|Arnaldo Alberti]] in ''[[Avestā]]''. Torino, UTET, 2008, pag.283|âat mraot ahurô mazdå, fraxshtya nãma ahmi ashâum zarathushtra bityô vãthwyô thrityô ava-tanuyô tûirya asha vahishta puxdha vîspa vohu mazdadhâta ashacithra xshtvô ýat ahmi xratush haptathô xratumå ashtemô ýat ahmi cistish nâumô cistivå, dasemô ýat ahmi spânô aêvañdasô spananguhå dvadasô ahurô thridasô sevishtô cathrudasô imat vîdvaêshtvô pañcadasa avanemna xshvash-dasa hâta-marenish haptadasa vîspa-hishas ashtadasa baêshazya navadasa ýat ahmi dâtô vîsãstemô ahmi ýat ahmi mazdå nãma|lingua=ave}}
</ref>
* Nell'ambito della fede [[Bahá'í|bahá’í]], nel ''[[Kitáb-i-Íqán]]'', la principale opera teologica [[Bahá'í|baha’í]], Dio viene descritto come “Colui Che è l’Orbe centrale dell’universo, sua Essenza e suo Fine ultimo”. [[Bahá'u'lláh|Bahá’u’lláh]] insegna che Dio non è mai stato e mai sarà direttamente conoscibile ai comuni mortali, ma che i suoi attributi le sue qualità e i suoi insegnamenti si possono apprendere, e si sono gradualmente evoluti nella nostra comprensione, imparandoli dalle sue manifestazioni divine (che nella teologia [[Bahá'í|bahá’í]] sono ravvisabili lontanamente anche negli avatar induisti o nei profeti antecedenti Abramo). Le più recenti e tuttora onorate e amate manifestazioni sono i grandi profeti ed insegnanti delle principali tradizioni religiose e includono Krishna, Buddha, Zoroastro, Maometto, Bahá’u’lláh... La fede bahá’í è in sé prettamente monoteistica, predica dunque l’unità di tutte le religioni e insegna che queste antichissime, antiche e molteplici rivelazioni sono state necessarie per soddisfare i bisogni dell'uomo e dell’umanitá, furono adatte ai diversi tempi storici dello sviluppo umano e alle sue varie culture, e tutte loro fanno parte di un unico piano divino di [[Rivelazione progressiva bahai|rivelazione progressiva]] per l’educazione dell’umanitá.
* Il carattere [[lingua cinese|cinese]] per "dio" è 神 (''shén''). Esso si compone al lato sinistro di 示 ( ''shì'' "altare" oggi nel significato di "mostrare") a sua volta composto da 丁 (altare primitivo) con ai lati 丶 (gocce di sangue o di libagioni). E a destra 申 (''shēn'', giapp. ''shin'' o ''mōsu'') sta per "dire" "esporre" qui meglio come "illuminare", "portare alla luce". Quindi ciò che dall'altare conduce alla chiarezza, alla luce, dio. Rende il sanscrito ''deva'' e da questo deriva sia il lemma [[lingua giapponese|giapponese]] di carattere identico ma pronunciato come ''shin'' sia quello [[lingua coreana|coreano]] 신 (sin) e il termine [[lingua vietnamita|vietnamita]] ''thân''. Anche il [[lingua tibetana|tibetano]] ''lha''. Quindi 天神 (''tiānshén'', giapp. ''tenjin'', ''tennin'', coreano 천신 ''ch'ŏnsin'' vietnamita ''thiên thần'': dio del cielo) dove al già descritto carattere 神 si aggiunge 天 (''tiān'', giapp. ''ten'') col significato di "cielo", "celeste", dove si mostra ciò che è in "alto" è "grande" (大 persona con larghe braccia e grandi gambe ad indicare ciò che è "largo", "grande").
== Fenomenologia della religione ==
Il termine "dio" si applica ad ambiti storicamente e culturalmente diversi e non è quindi facilmente definibile. Nella [[fenomenologia della religione]] viene individuato un'origine condivisa di tali significati, {{Senza fonte|collocabile nella comune esperienza del sacro e della straordinarietà della sua potenza}}. La complessità della definizione, così come la tensione dell'esperienza religiosa verso qualcosa di "[[Totalmente Altro|totalmente altro]]" rispetto a ciò che è ordinariamente percepito, è efficacemente descritta dallo [[fenomenologia della religione|studioso delle religioni]] olandese [[Gerardus van der Leeuw]]<ref>Su van der Leeuw cfr. anche Roberto Cipriani, ''Manuale di Sociologia della Religione'', Borla, 1997, pagg. 140-142.</ref>:
{{q|Quando diciamo che ''Dio'' è l'oggetto dell'esperienza religiosa vissuta, dobbiamo tener presente che ''Dio'' è spesso una nozione assai poco precisa; molte volte questa nozione non si identifica affatto con quel che abitualmente intendiamo per Dio. L'esperienza religiosa vissuta si riferisce a qualche cosa: in molti casi è impossibile dire più di questo, e perché l'uomo possa a attribuire a questo ''qualche'' cosa un qualsiasi predicato, è necessario che venga costretto a rappresentarselo come qualche cosa di ''diverso''. Sull'oggetto della religione quindi si potrà dire anzitutto questo: è qualche cosa di ''diverso'', ''che sorprende''. Con [[Nathan Söderblom|Söderblom]], è il caso di trovare la meraviglia all'inizio non solo della filosofia, ma anche della religione. Finora non si parla affatto di soprannaturale o di trascendente, anzi si può parlare di ''Dio'' soltanto in modo improprio; abbiamo soltanto un'esperienza vissuta, collegata al diverso che stupisce. Lungi dal prospettare la minima teoria e neppure la più elementare generalizzazione, ci contentiamo della constatazione empirica: quest'oggetto esce dall'ordinario. E ciò risulta dalla ''potenza'' che l'oggetto sprigiona. |[[Gerardus van der Leeuw]]. ''
{{q|Infine, la relazione degli uomini con questa potenza è caratterizzata dallo stupore, dal timore, in casi estremi dallo spavento ([[Robert Ranulph Marett|Marett]] usa qui la bella parola inglese ''awe''). Questo perché la potenza è considerata non soprannaturale ma straordinaria, ''diversa''. Gli oggetti e le persone investiti di potenza hanno una natura specifica, quella che noi chiamiamo [[sacro|sacra]].|[[Gerardus van der Leeuw]]. ''Op.cit.'' pagg.11-2}}
Sempre in ambito fenomenologico-religioso si è ritenuto di individuare delle costanti nei significati e nelle rappresentazioni attribuite al "
{{q|Quel che non ammette alcun dubbio è la quasi-universalità della credenza in un Essere divino celeste, creatore dell'Universo e garante della fecondità della terra (grazie alle piogge che versa). Questi Esseri sono dotati di prescienza e sapienza infinite, hanno instaurato le leggi morali, spesso anche rituali del clan, durante la loro breve dimora sulla terra; sovrintendono all'osservanza delle leggi, e fulminano con la folgore chi le viola.|[[Mircea Eliade]]. ''Traité di historie des religions'' (1948). In italiano:''Trattato di storia delle religioni''. Torino, Boringhieri, 1984,
{{q|Una delle maggiori conquiste dell'attuale ricerca storico-religiosa va senz'altro considerata la dimostrazione che quasi tutti i popoli, quelli senza scrittura e quelli civilizzati, hanno una fede in Dio. La fede in Dio rappresenta dunque il punto centrale della religione. Questa fede presenta, com'è ovvio, i caratteri più disparati da una religione all'altra; ma si possono osservare delle tipiche varianti che ricorrono con sorprendente regolarità nel corso della storia delle religioni. Grosso modo avviene questo: le specie principali di fede in Dio a noi note si distribuiscono attraverso l'intero spettro delle varie religioni storiche, cosicché non è in base a una diversa forma di fede nella divinità che l'una religione si distingue dall'altra. È dato invece di rilevare che spesso in una stessa religione coesistono diverse immagini e concezioni della stessa divinità.|[[Geo Widengren]]. ''Religionsphänomenologie'' (1969). In italiano: ''Fenomenologia della religione''. Brescia. EDB, 1984, pag.121}}
== Analisi filosofica ==
{{vedi anche|Teologia|Teodicea|Filosofia della religione}}
=== Filosofia greca ===
[[File:Jupiter Smyrna Louvre Ma13.jpg|min|''Zeus di [[Smirne]]'' 250 d.C., [[Museo del Louvre]], [[Parigi]]. Nella religione greca Zeus è considerato il Re degli dèi]]
{{Vedi anche|Teologie della civiltà classica}}
I [[Greci]] si posero anche il problema dell'[[esistenza di Dio]]. Numerosi filosofi si occuparono, più o meno indirettamente, della questione. Nei [[presocratici]] ad esempio la [[naturalismo (filosofia)|filosofia naturalistica]], che dominava sulle altre, spesso condusse alla ricerca di un principio primo o ''[[archè]]'', sia nei filosofi di [[Mileto (Asia Minore)|Mileto]] che in [[Eraclito]], oppure ad un [[Essere]] come negli [[Scuola eleatica|eleati]] ([[Parmenide]] su tutti). [[Anassagora]] riteneva l'universo mosso da un'intelligenza suprema (''[[Nous]]''), mentre [[Democrito]] sembrava non contemplare l'idea di un disegno divino nel cosmo.
[[Socrate]], come riporta [[Senofonte]] nei ''[[Memorabili]]'', fu particolarmente votato all'indagine sul ''divino'': svincolandolo da ogni interpretazione precedente, lo volle caratterizzare come "bene", "intelligenza" e "provvidenza" per l'uomo.<ref>Senofonte. ''Memorabili'' I, 4.</ref> Egli affermava di credere in una particolare divinità, figlia degli dèi tradizionali, che indicava come ''[[demone|dáimōn]]'': uno spirito-guida senza il quale ogni presunzione di sapere è vana. In Socrate infatti ricorre spesso il tema della sapienza divina più volte contrapposta all'ignoranza umana.<ref>«Ma la verità è diversa, o cittadini: unicamente sapiente è il dio; e questo egli volle significare nel suo [[oracolo di Delfi|oracolo]], che poco vale o nulla la sapienza dell'uomo» (Platone, ''Apologia di Socrate'', 23 a).</ref> Concetto ribadito anche a conclusione della sua ''Apologia'': {{citazione|Ma ecco è l'ora di andare, per me di andare a morire, e per voi di continuare a vivere; chi di noi vada verso un migliore destino è oscuro a tutti, fuori che a Dio.|Platone, ''Apologia di Socrate'', 42 a}}
[[Platone]] parla del divino in molti dei suoi ''[[Dialoghi platonici|Dialoghi]]''. Nella ''[[La Repubblica (dialogo)|Repubblica]]'', per esempio, fa una critica alle visioni del tempo, secondo le quali il Dio (o gli dèi) era presentato con molti vizi umani. Nel libro X delle ''Leggi'' tenta di articolare una prova dell'esistenza del divino partendo dal movimento e dall'anima, e difende in modo preciso l'idea di una provvidenza divina rispetto al mondo umano. [[Aristotele]] giungerà a dimostrare la necessità filosofica di
* [[fisica]], in quanto studio della natura;
* [[matematica]], o studio dei numeri e delle quantità;
* e [[teologia]], da lui giudicata la più eccelsa delle scienze,<ref>Aristotele, ''Metafisica'', VI, 1, 1026 a, 18-22.</ref> dato che il suo argomento,
Secondo [[Aristotele]] solo il divino è ''[[verità|vero]]'' essendo «fisso e immutabile»; l{{'}}''[[essere]]'' vero, come già in [[Parmenide]] e [[Platone]], è ciò che è «necessario», perfetto, quindi stabile, non soggetto a mutamenti di nessun genere. Il ''[[divenire]]'' invece è una forma inferiore di realtà che si può anche studiare, ma non conduce ad alcun sapere universale.
{{
La [[filosofia]] nel senso più alto era quindi da lui intesa solo come "scienza del divino", ovvero «scienza dell'essere in quanto essere»,<ref>''Ivi'', 2-21.</ref>
{{
=== Deismo ===
La visione [[Deismo|deista]]
Il concetto alla base del deismo, quello di una divinità eminentemente creatrice, ma anche ordinatrice e razionalizzatrice, è immediatamente utilizzabile, nell'ambito della classificazione tra teoetotomie e religioni ed in ottica etnologica, per identificare questi secondi modelli rispetto alle prime. In una religione rivelata infatti la divinità non esplica solo una funzione creatrice ma anche quella di censore/supervisore etico dell'uomo. Questa modalità di intendere il profilo della divinità è una modalità contingente che si può ritrovare solo su sistemi di culto connessi con modelli sociali di tipo classistico. Il passaggio da modelli deistici a modelli teoetotomistici, corroborato da varie evidenze antropologiche, è stato invocato per spiegare il mito del [[peccato originale]].
La conoscenza del bene e male, vere e proprie categorie teologiche, è infatti possibile solo in un contesto dove la divinità emani norme e leggi o principi etici a cui l'individuo si deve attenere, pena l'incorrere in sanzioni/condanne. La concezione deistica, nata in un'epoca fortemente segnata dalle guerre di religione, intende così, mediante il solo uso della ragione, porre fine ai contrasti fra le varie religioni rivelate in nome di quell'univocità della ragione, sentita, in particolare nell'ottica dell'[[illuminismo]], come l'unico elemento in grado di accomunare tutti gli esseri umani.
==
=== Letteratura ===
La figura di Dio è il tema centrale di molte opere della letteratura mondiale.
* [[Dante Alighieri]], poeta fiorentino del [[XIII secolo]] e padre della [[lingua italiana]], nel [[Paradiso - Canto trentatreesimo|XXXIII]] canto del [[Paradiso (Divina Commedia)|Paradiso]] della ''[[Divina Commedia]]'' nel verso 145, si riferisce a Dio con queste parole: «L'Amor che move il sole e l'altre stelle».
* [[Kabīr]], poeta e mistico ''[[Induismo|hindu]]'' del [[XV secolo]], nella sua raccolta denominata ''Sākhī''<ref>II, 31; in ''Mistici indiani medievali'' (a cura di [[Laxman Prasad Mishra]]). Torino, Utet, 1971, pag.236</ref> (Testimonianza) così si esprime: «Canta la gloria di Dio, e la tua bocca si colmerà di dolcezza, mentre la Sua benevolenza ti scalderà l'anima. Il nome che pronunci legherà il tuo spirito al Parmātmā<ref>Da intendere come "Anima Suprema", Dio.</ref>».
* [[Søren Kierkegaard]], filosofo cristiano [[Luteranesimo|luterano]] [[Danimarca|danese]], nella sua opera ''[[Postilla conclusiva non scientifica alle briciole di filosofia]]'' parlando delle qualità di Dio e della sua [[esistenza di Dio|esistenza]], dà questa originale definizione: «Dio non pensa, Egli crea. Dio non esiste, Egli è eterno. L'uomo pensa ed esiste e l'esistenza separa pensiero ed essere, li distanzia l'uno dall'altro nella successione».<ref>''[[Postilla conclusiva non scientifica alle briciole di filosofia]]'', 1846 (tr. it. in S. Kierkegaard, ''Le grandi opere filosofiche e teologiche'', Milano, Bompiani, 2013, p. 1211.)</ref>
== Note ==
<references
== Bibliografia ==
*
*[[Hans
* Lindsay Jones (a cura di), ''Encyclopedia of Religion. Second Edition'', Detroit, Thomson Gale, 2005, vol. 5, voce: ''God'', pp. 3537-3579.
* Lindsay Jones (a cura di), ''Encyclopedia of Religion. Second Edition'', Detroit, Thomson Gale, 2005, vol. 6, voce: ''gods and goddesses'', pp. 3616-3624.
* [[Mary Lefkowitz]], ''Dèi greci, vite umane. Quel che possiamo imparare dai miti'', a cura di G. Arrigoni, A. Giampaglia, C. Consonni, UTET Università, 2008.
*[[Gerardus van der Leeuw]], ''Phanomenologie der Religion'' (1933). (''Fenomenologia della religione'', Boringhieri, Torino, 2002.)
* [[Alan Watts|Alan W. Watts]], ''Il Dio visibile. Cristianesimo e misticismo'', trad. di A. Gregorio, Bompiani, Milano, 2003.
== Voci correlate ==
=== La nozione di divinità nella storia e nelle culture religiose ===
* [[Sumeri]] - [[Dio (Sumeri)]]
* [[Egizi]] - [[Divinità egizia]]
* [[Babilonesi]] - [[Mitologia babilonese]]
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