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{{Museo
|NomeMuseo= Museo civico di Bevagna
|Stato = ITA
|Indirizzo= Corso Matteotti, 70, Bevagna (Pg)
|Tipologia= [[Arte]]
|Immagine=
|Immagine= [[File:Ingresso museo di Bevagna.jpg|thumb|Ingresso museo di Bevagna]]
|Didascalia=
|Larghezza=
|Telefono= 0742360031
|Fax=
|e-mail=
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===Storia delle collezioni===
 
[[File:Una sala del Museo di Bevagna.JPG|thumb|left350px|Una sala del Museo civico di Bevagna]]
Il Museo di Bevagna è costituito da una pinacoteca e da una raccolta archeologica.
 
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La raccolta archeologica nel [[1838]] fu sistemata lungo la scalinata di [[Palazzo Lepri]], allora sede del Municipio. Essa comprende la collezione raccolta dal [[1787]] dall’[[Abate Fabio Alberti]], studioso mevanate, della quale sono da segnalare alcuni frammenti di sculture colossali (braccia, gamba, piede,forse pertinenti ad una stessa statua).
 
 
 
== Percorso espositivo ==
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===San Giuseppe e Sant’Antonio da Padova===
[[File:S.Giuseppe.tif|left|100px|thumb|San Giuseppe]]
[[File:S.Antonio da Padova.tif|right|100px|thumb|S.Sant'Antonio da Padova]]
Le due tavole dipinte ad olio da [[Andrea Camassei]], provengono dalla Chiesa Bevanate di [[San Domenico]] e Giacomo <ref>Pinacoteca Comunale di Bevagna, Catalogo regionale dei beni culturali dell'Umbria, a cura di F.F.Mancini, Electa Editori Umbri Associati, Città di Castello,1999 p.37</ref>. Facevano forse parte di un trittico di cui sono rimasti solo i due comparti con Sant' Antonio e San Giuseppe.
La modesta qualità pittorica e le rigide ed acerbe fattezze dei due santi, evidenziano l'appartenenza alla primissima fase di attività artistica del Camassei, prima del 1625 quando affrescò la cappella Spetia e prima della partenza per [[Roma]]<ref>Pinacoteca Comunale di Bevagna, Catalogo regionale dei beni culturali dell'Umbria, a cura di F.F.Mancini, Electa Editori Umbri Associati, Città di Castello,1999 p.37</ref>. Il primo soggiorno romano documentato al [[1626]], metterà l’artista a diretto contatto con la cultura classicista e lo porterà all’incontro decisivo con il [[Domenichino]], il cui influsso sarà poi dominante.
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E' un'opera realizzata ad [[olio su tela]] di dimensioni 152 x 113 cm. Ritenuto in passato di [[scuola veneta]], il dipinto fu poi attribuito a [[Corrado Giaquinto]]<ref>Pinacoteca Comunale di Bevagna, Catalogo regionale dei beni culturali dell'Umbria, a cura di F.F.Mancini, Electa Editori Umbri Associati, Città di Castello,1999 p.55</ref>. Appartiene quasi certamente alla maturità del maestro, che forse lo realizzò intorno al [[1750]], alla vigilia della partenza per la [[Spagna]]<ref>Pinacoteca Comunale di Bevagna, Catalogo regionale dei beni culturali dell'Umbria, a cura di F.F.Mancini, Electa Editori Umbri Associati, Città di Castello,1999 p.55</ref>.
Si ignora la provenienza della tela, probabilmente realizzata per qualche nobiluomo o prelato di Bevagna (e non per una chiesa o per il Palazzo Comunale).Bruno Toscano sostiene che l'opera fu commissionata in ambito locale successivamente alla realizzazione di una grande pala raffigurante San Francesco in estasi e l'Immacolata Concezione per l'altare maggiore della chiesa dei Cappuccini a Foligno, che suscitò molto interesse nel territorio<ref>Pinacoteca Comunale di Bevagna, Catalogo regionale dei beni culturali dell'Umbria, a cura di F.F.Mancini, Electa Editori Umbri Associati, Città di Castello,1999 p.56</ref>.
Prima del restauro del 1970, il quadro era in pessime condizioni di lettura: era sporco e appannato e dubbia era la sua attribuzione. Il restauro ha restituito all’opera la luminosità originaria e ha tolto ogni dubbio sull’artista che l’ha eseguita: Corrado Giaquinto, considerato tra i più grandi pittori del [[Rococò]] internazionale dopo [[Tiepolo]] (tra i due artisti non corse mai buon sangue).
L’attribuzione non è stata semplice: il dipinto era fortemente malridotto e si pensò a lungo che si trattasse di una copia (tanto più che esiste un’altra versione pressoché identica a questa di [[Bevagna[[]], a [[Norfolk]] in [[Virginia]]. Il soggetto raffigurato piacque talmente tanto al pubblico che Giaquinto lo replicò più volte).
Non si hanno notizie del dipinto prima che esso entrasse a far parte della collezione civica. Sembrerebbe quasi senza storia: si ignora la sua provenienza (collezione privata bevanate o piccola cappella gentilizia?). Le dimensioni della tela, comunque, la vorrebbero più proveniente dall’altare di una piccola cappella.
Tutti i personaggi che vi figurano, dalla [[Madonna]] col Bambino ai tre [[Magi]] a [[San Giuseppe]] al guerriero, corrispondono ai tipi cari all’artista.
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Giaquinto è infatti un pittore di grandi pale d’altare e di grandi decorazioni. Si afferma soprattutto come grande decoratore internazionale.
 
===FugaSacrificio deldi toro dall'altareVitellio===
[[File:ScrificioSacrificio di Vitellio di Francesco Providoni1.JPG|thumbjpg|left|400px350px|sacrificiothumb|Sacrificio di Vitellio di Francesco Providoni]]Il dipinto realizzatoeseguito ad [[olio su tela]], fu realizzato da [[Francesco Providoni]] nella seconda metà del [[XVII secolo]]. Si tratta dell'unica opera profana nota di questo pittore<ref>Pinacoteca Comunale di Bevagna, Catalogo regionale dei beni culturali dell'Umbria, a cura di F.F.Mancini, Electa Editori Umbri Associati, Città di Castello,1999 p.52</ref>.
 
Il quadro è inserito in una antica cornice in legno e verniciata in marrone e decorata con motivi vegetali dorati.
 
Il soggetto del dipinto è tratto dal racconto di Tacito nel terzo libro delle ''Historiae'', riassunto sul plinto in basso a destra.
 
Il quadro è inserito in una antica cornice indi legno e, verniciata in marrone e decorata con motivi vegetali dorati.
i nefasti presagi che colpirono l’imperatore Vitellio: mentre parlava alle truppe il sole fu oscurato da uno stormo di uccelli neri e poco dopo un toro pronto per il sacrificio fuggi dall’altare e dovette essere ucciso con rito diverso dall’usuale, dopo aver creato scompiglio trai presenti.
 
Il soggetto del dipinto è tratto dal racconto di [[Tacito]] presente nel terzo libro delle ''Historiae'', e riassunto sul plinto in basso a destra.
questa e’ l’iscrizione sul plinto, che e’ il riassunto di quanto racconta tacito nel terzo libro delle historiae: contionanti—prodigiosum dictu—tantum foedarum volocrum supervolitavit ut nube atra diem obtenderent. accessit dirum omen, profugus altalibus taurus disiecto sacrificii apparatu, longe, nec ut feriri hostias mos est, confossus. sed praecipuum ipse vitellis ostentum erat, ignarus militiae, improvidus consili, quis ordo agminis, quae cura explorandi, quantes urgendo trahendove bello modus, alios rogitans et ad omnis nuntios vuhu quoque et incessu tepidus, dein temulentus. postremo taedio castroum et audita defectione misenensis classis roman revertit, recentissimum quodque vuhus pavens, summi discriminis incuriosus. nam cum transgredi appenninum integro execercitus sui robore et flessos heime atque inopia hostis adgredi in aperto foret, dum dispergit viris, acerrirum militem et usque in extrema obstinatum trucidandum capiendumque tradidit, peritissimis centurionum dissentientibus et, si consulerentur, vera dicturis. arcuere eos intimi amicorum vitellii, ita formatis principis auribus ut aspera quae utilia, nec quidquam nisi incundum et laesurum acciperet. vitellius ut iume somno excitus iulium priscumm et alfenum varum cum quattuordecim praetoriis cohortibus et omnibus equitum alis obsidere appenninum iubet; secuta e classicis legio. tot mila armatorum, lecta equis virisque, sidux alius foret, inferendo quoque bello satis pollebant. ceterae coortes ad tuendam urbem l. vitellio fratri datee: ipse nihil e solito luxu remittens et diffidentia properus festinare comitia quibus consules in multos annos destinabat; fodera sociis, latium extemis dilagiri; his tributa dimittere, alios immunitatibus iuare iuvare; denique nulla in posterum cura lacerare iperium. sed vurgus ad magnitudinem beneficiorum hiabat, stultissimus quisque pecuniis mercabatur, apud sapientis cassa habebantur quae neque dari neque accipi salva re publica poterant. tandem flagitante exercitu, qui mevaniam insederat, magno senaatorum agmine, quorum multos ambitione, pluris formidine trahebat, in castra venit, incertus animi et infidis consiliis obnoxius.
 
Vengono raffigurati i presagi negativi che colpirono l’imperatore [[Vitellio]] mentre parlava alle truppe, accampate presso Mevania (Bevagna),durante la guerra con [[Vespasiano]]:
"Infine, dopo insistenti pressioni dell’esercito stanziato a Mevania, con gran seguito di senatori, trascinati molti dall’ambizione, i più dalla paura, si recò all’accampamento pieno di incertezze e facile preda di malfidi consigli.
Mentre parlava all’esercito, si spiegò sopra di lui, raccapricciante prodigio, un volo di uccelli di malaugurio così fitto da oscurare in una nera nube la luce del sole. S’aggiunse un altro funesto presagio: un toro, scompigliando i preparativi del sacrificio fuggì dall’altare e fu sgozzato lontano, un modo per le vittime, non rituale. <ref> Historiae- III libro, Tacito (55-56)</ref>
 
L'episodio è ambientato entro una scenografia prospettica costituita da architetture classiche che evidenziano l'interesse dell'artista per soggetti architettonici e vedute.
Questa la traduzione in italiano: "Mentre parlava all’esercito, si spiegò sopra di lui, raccapricciante prodigio, un volo di uccelli di malaugurio così fitto da oscurare in una nera nube la luce del sole. S’aggiunse un altro funesto presagio: un toro, scompigliando i preparativi del sacrificio fuggì dall’altare e fu sgozzato lontano, un modo per le vittime, non rituale. Ma il più clamoroso portento era Vitello in persona: incompetente di guerra, incapace d’una decisione, ridotto a chiedere ad altri continuamente consigli sull’ordine di marcia, sui servizi di ricognizione, sui modi di affrettare o ritardare la guerra, lasciava trasparire, a ogni notizia, il panico anche dal volto e dall’andatura, e poi si rifugiava nella botte del vino. Da ultimo, disgustato del campo e conosciuta la defezione della flotta del miseno, ritornò a Roma, raggelato dalla paura a ogni nuovo colpo, ma incapace di pensare al pericolo definitivo. infatti, mentre gli si offriva la facile occasione di valicare l’Appennino con tutto il peso del suo esercito fresco e piombare sui nemici stremati dall’inverno e dalla fame, sparpaglia le sue forze ed espone al massacro o alla cattura soldati combattivi e risoluti a lottare fino alla morte, e cio’ fra il dissenso dei centurioni di piu’ solida esperienza militare, disposti ad aprirgli gli occhi, se li avesse consultati.
Li tennero lontani gli amici intimi di Vitellio, le cui orecchie rifiutavano come sgradevoli i consigli utili, pronte invece ad accettare solo quelli piacevoli, anche se rovinosi. A questo punto Vitellio, come risvegliatosi dal sonno dà ordine a Giulio Prisco e ad Alfeno Varo di bloccare l’Appennino con quattordici coorti pretorie e con tutta la cavalleria. Vi seguì una legione di soldati di marina. Tante migliaia di armati, tanti reparti scelti di fanti e cavalieri potevano bastare anche per riprendere l’offensiva, ma ci voleva un altro a comandarli. lLe altre coorti le affidò, per la difesa di Roma, al fratello Liucio Vitellio. quanto al principe, senza rinunciare alle solite crapule e reso sollecito della differenza, teneva i comizi in anticipo onde designare i consoli per una serie di anni; elargiva concessioni agli alleati e il diritto latino agli stranieri; agli uni condonava tributi, gli altri aiutava con esenzioni: incurante dall’avvenire, compravano con denaro sonante ma le persone assennate consideravano prive di valore quei favori che si potevano dare e ricevere solo a patto di colpire a morte lo stato. Infine, dopo insistenti pressioni dell’esercito stanziato a Mevania, con gran seguito di senatori, trascinati molti dall’ambizione, i piu della paura, si recò all’accampamento pieno di incertezze e facile preda di malfidi consigli.
 
== Note ==