Comunicazione letteraria nell'antica Roma: differenze tra le versioni
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==Il pubblico letterario==
[[File:Favourite Poet.jpg|thumb|upright=1.4|Matrone romane intente a leggere alcuni componimenti poetici, da un dipinto di [[Lawrence Alma-Tadema]].]]▼
{{Vedi anche|Letteratura latina|Storia della letteratura latina}}
▲[[File:Favourite Poet.jpg|thumb|upright=1.4|Matrone romane intente a leggere alcuni componimenti poetici, da un dipinto di [[Lawrence Alma-Tadema]].]]
La questione filologica della comunicazione letteraria nell'antica Roma è resa di difficile comprensione dalla necessità di identificare quanti fossero i cittadini romani in grado di leggere e scrivere e quindi ricevere, capire e apprezzare il messaggio letterario.<ref>''Ibidem''</ref>
Vari autori si sono impegnati nel calcolare la percentuale di alfabetizzati nella Roma antica<ref>W. V. Harris, ''Ancient Literacy'', Cambridge Mass.-London 1989 (ed. ital. ''Lettura e istruzione nel mondo antico'', Roma-Bari 1991, pp. 291-299) calcola che nell'Italia della fine della [[Repubblica romana|Repubblica]] e dell'inizio dell'[[Impero romano|Impero]] la popolazione in grado di leggere e scrivere fosse di una misura inferiore al 15% e che nell'ambito di tutto il territorio imperiale questa percentuale scendesse al 10%. I risultati di Harris sono stati messi in discussione da altri autori come J. H. Humphrey (a cura di), ''Literacy in the Roman World'', Ann Arbor 1991, e G. Cavallo, (''Gli usi della cultura scritta nel mondo romano'', in AA. VV., Princeps urbium. ''Cultura e vita sociale dell'Italia romana'', Milano 1991, p. 200 s.) che ritengono poco significanti e incerti i dati quantitativi riportati da Harris.</ref> ma è chiaro come, in assenza di riscontri oggettivi, queste indicazioni siano piuttosto opinabili. Recenti studi hanno accertato l'estrema limitatezza del pubblico letterario per quanto riguarda la totalità, compresi [[plebeo|plebei]] e servi, della popolazione, mentre il grado di [[alfabetizzazione]] fosse evidentemente più elevato nella classe colta, naturale destinataria delle opere letterarie. W. H. Harris (op.cit.) calcola che alla fine del [[IV secolo a.C.]] i [[senato romano|senatori]] e, alla fine del [[II secolo]], i membri delle famiglie più agiate e in genere chiunque, all'inizio dell'impero, esplicasse un ruolo nella politica, ed anche quasi tutti i [[legionario romano|legionari]] (ma non gli [[ausiliari]]), fossero in grado di leggere e scrivere. Questo, evidentemente non vuol dire che l'estensione del pubblico letterario interessato alla produzione letteraria coincidesse con quella degli alfabetizzati, ma che, anzi, è naturale pensare che coloro che apprezzassero il messaggio letterario costituissero un
Per quegli autori particolarmente attenti ad una forma raffinata e a contenuti specialistici, il pubblico letterario doveva essere molto limitato ed anzi, alcuni critici della [[letteratura latina]] antica sono portati a pensare che fosse nella stessa volontà degli autori un'idea assolutamente elitaria della letteratura tale che farebbe escludere quella che noi oggi chiamiamo la [[pubblicazione]] delle opere, che è diretta invece ad un pubblico variamente composito.
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Si diffuse così la moda delle letture pubbliche anche presso i personaggi più importanti a cominciare da Augusto che ascoltava pazientemente «coloro che gli venivano a leggere non solo versi e storia, ma anche arringhe e dialoghi». Lo stesso [[Claudio]], che aveva ambizioni di storico, leggeva in pubblico le sue opere e benché fosse impedito dalla [[balbuzie]] e dalla timidezza, la sala si riempiva di pubblico plaudente; ma accadde che uno spettatore [[obesità|obeso]] durante la lettura, facesse crollare con fragore sotto il suo peso un banco suscitando le risate di tutti.<ref>SVETONIO, ''Cl.'', 41</ref> Claudio ci rimase male ma non rinunciò a far leggere i suoi scritti da un [[liberto]] dalla voce aggraziata. Lo stesso [[Domiziano]], che affettava grande amore per la poesia, leggeva i suoi versi in pubblico.
L'imperatore [[Publio Elio Traiano Adriano|Adriano]] fece costruire a sue spese un edificio apposito per le letture: l{{'
==L{{'}}''auditorium''==
Nella stanza destinata alla lettura vi era un palco dove l'autore, agghindato per l'occasione in modo accurato, per sedurre gli ascoltatori non solo con la bellezza del suo scritto, ma anche con quella del proprio aspetto, leggeva la sua opera; dietro di lui una tenda nascondeva gli invitati che non volevano comparire.<ref>PLINIO IL GIOVANE, ''Ep.'', IV, 19, 3</ref> L'uditorio stava seduto su sedie con spalliere nei primi posti, gli altri su sgabelli meno comodi. Tutti erano stati invitati con bigliettini appositi (''codicilli'') e ognuno aveva il programma della seduta (''libelli'').<ref>GIOVENALE, VII, 39 e sgg.</ref>
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==La ''recitatio''==
[[File:Fedor Bronnikov 014.jpg|thumb|upright=1.
Di solito le [[recitazione|recitazioni]] riguardavano poesie lette dallo stesso autore a cui assisteva un pubblico che si presume variamente interessato; [[Orazio]]<ref>ORAZIO, ''Sat.'' I 4, 23 e 73 ss.</ref> e [[Marziale]]<ref>MARZIALE, ''Epist.'' I 19, 37 ss</ref> ci testimoniano altresì che questo spettacolo di letture nelle strade ad ogni ora del giorno e in qualunque stagione o in appositi locali causava alcune volte la reazione del pubblico che dava segni di noia dedicandosi a discorrere con il vicino dei fatti propri o d'insofferenza, lasciando di nascosto la ''recitatio'' o abbandonandosi a un sonno ristoratore. Racconta Plinio il Giovane che una volta tra il pubblico era presente un famoso giurista, Javoleno Prisco a cui, essendo il personaggio più importante presente, l'autore prima di iniziare la lettura, secondo l'[[Galateo (costume)|etichetta]] stabilita, si era rivolto con la frase di rito: «Prisce, iubes?» («Prisco, comandi che inizi?»); al che l'interpellato, probabilmente colto di sorpresa mentre pensava a tutt'altro, rispose: «Ego vero non iubeo» («Ma no, non comando niente») suscitando le risa del pubblico mentre l'autore rimaneva interdetto con il suo volumen tra le mani.<ref>PLINIO IL GIOVANE, VI, 25</ref>
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Questo dimostra come il più delle volte gli invitati alle recitazioni fossero presenti per un rapporto di amicizia con l'autore o per assolvere con un atto di cortesia a obblighi sociali. È pur vero che questa per molti era l'occasione di conoscere opere che non avrebbero mai letto, le quali dal momento della lettura-spettacolo potevano considerarsi come pubblicate, così che chi aveva provato interesse poteva acquistarle e leggerle per suo conto.
La ''recitatio in vero'' può essere considerata, quando avveniva nell{{'}}''auditorium'' o durante un banchetto, un vero e proprio spettacolo poiché l'autore incaricava per la lettura dei testi uno schiavo specializzato (''anaghnóstes''), che rendesse migliore l'effetto scenico. Alcune volte, per non annoiare con una lunga ''recitatio'' sullo stesso argomento, si alternavano letture di varia natura: poesie, arringhe di celebri avvocati, discorsi di politici, orazioni funebri già pronunciate e testi teatrali. Quanto ciò stimolasse l'interesse dell'uditorio è facile immaginare.
Tra i difetti delle letture pubbliche va poi annoverato soprattutto quello di allontanare il testo dalla sua viva realtà di riferimento: un conto è sentire pronunciare l'arringa di un avvocato in tribunale un conto è ascoltarla dalla ipnotica melodiosa voce di un liberto.
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==Note==
==Bibliografia==
*M. Vegetti ''Alfabetismo e circolazione del libro, Introduzione alle culture antiche, I Oralità scrittura spettacolo'', Torino 1983
*''Libro e cultura scritta'', in AA. VV., Storia di Roma, IV Caratteri e morfologie (a cura di E. Gabba e A. Schiavone), Torino 1989
*M. Corbier, ''L'écriture dans l'espace public romain'', in L'urbs. Espace urbain et histoire (Ier siècle av. J.-C.-IIIe siècle ap. J.-C.), Acte du colloque intern. org. par le CNRS et l'École française de Rome (Rome 8-12 mai 1985), Roma 1987
*[[Mario Citroni]], ''Poesia e lettori in Roma antica'' , Laterza – 1995
*M. Citroni, ''Le raccomandazioni del poeta: apostrofe al libro e contatto col destinatario'', «Maia», 38, 1986
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*J. J. Phillips, ''The Publication of Books at Rome in the Classical Period'', Diss. Yale Univ. 1981
*R. Feger, ''RE'', Suppl. VIII (1956), cc. 517 ss.
*A. Buonopane, ''Soldati e pratica scrittoria: i graffiti parietali'', in ''Le métier de soldat dans le monde romain'', Actes du cinquième congrès de Lyon, Lyon 2012, pp. 9–23.
{{Vita quotidiana nell'Antica Roma}}
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