Enrico II di Ventimiglia: differenze tra le versioni

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{{Bio
|Nome = Enrico II di Ventimiglia
|Cognome =
|Sesso = M
|LuogoNascita =
|GiornoMeseNascita =
|AnnoNascita = [[1230]] circa
|LuogoMorte =
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|AnnoMorte = 1308
|AttivitàEpoca = 1200
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|FineIncipit = fu Vicario generale nella [[Marca anconitana]] e [[Ducato di Spoleto]], per conto di [[Manfredi di Svevia]], e uno dei principali organizzatori del [[Vespro siciliano]]
|Immagine =
}}
[[File:Blasone Ventimiglia di Geraci.jpg|thumbnailthumb|Lo scudo araldico dei Ventimiglia - di rosso al capo d'oro - con l'apposizione delle armi degli Altavilla re di Sicilia, per il matrimonio di Enrico II con Isabella contessa di Geraci.]]
 
Enrico era figlio del conte [[Filippo di Ventimiglia]] e di Aldisia da Manzano, signora di [[Carrù]],<ref>Giuseppe Maria Pira, ''Storia della città e Principato di Oneglia'', Genova 1847, 1., p. 260- 267.</ref> e fu [[Conte di [[Ventimiglia]], del [[Borgomaro|Maro]], [[GeraciContea Siculodi Geraci|Geraci]] e di [[Isola d'Ischia|Ischia]], Signore di [[Collesano]], [[Gangi]] e delle [[Petralia Sottana|Petralie]], Signore di [[Gratteri]], [[Isnello]], [[Castel di Lucio]], [[Castelbuono|Ipsigro]], Fisauli, Belici, [[Montemaggiore Belsito|Montemaggiore]] e [[Caronia]]. Enrico fu inoltre il fondatore della terra di [[Castelbuono]] e ne iniziò a erigere il castello. Espropriato dai feudi sia in Sicilia sia in Liguria da [[Carlo I d'Angiò]], ne ottenne il riconoscimento e la restituzione con l'appoggio di [[Federico III di Aragona]] e della Repubblica di Genova. Fu ambasciatore degli Aragonesi di Sicilia a Genova nel [[1300]].
{{vedi anche|Ventimiglia del Maro|Lascaris di Ventimiglia|Ventimiglia (famiglia)|Contea di Geraci}}
 
 
== Insediamento in Sicilia ==
Intorno al [[1255]] Enrico II, insieme ai cugini Otto V, Umberto e Manfredi passa al servizio del re Manfredi di Svevia, nelle lande siciliane. Le vicende dell'insediamento di Enrico in Sicilia e nella contea di Geraci sono tuttora avvolte nel mistero. Di certo sappiamo che, il 26 giugno [[1258]], Manfredi di Svevia, principe di Taranto e balio di Corrado II di Svevia, re di Gerusalemme e Sicilia, ordina al secreto Andrea di Riccardo e al giustiziere Scornavacca di Castagna, funzionari della Provincia Citra-Salso, di assegnare al suo consanguineo e familiare Enrico di Ventimiglia le terre, redditi e uomini delle due Petralie ([[PetraliePetralia Soprana]] e [[Petralia Sottana]]). Ovvero due popolosi borghi fortificati nelle Madonie, già membri della contea di [[Collesano]], e sede essi stessi di comitato.<ref>''Il Tabulario Belmonte'', p. 16-18.</ref>. Ma soltanto tre anni appresso si ha notizia di Enrichetto con il titolo 'siciliano' di conte d'Ischia come si legge in due istrumenti notarili rogati a Tolentino, nelle Marche, e conservati nella curia vescovile di Albenga.
[[File:Sepolcro del conte Enrico II di Ventimiglia.jpg|thumbnailthumb|left|Il sepolcro duecentesco - secondo la tradizione - di Enrico II di Ventimiglia. Si notano gli scudi araldici (rosso al capo d'oro) e il simbolo dell'Agnus Dei. Nel testamento del pronipote Francesco II di Ventimiglia, è ricordato che il nonno Aldoino I, figlio di Enrico, fu anch'esso sepolto nella cattedrale di Cefalù.]]
Enrichetto fa fortuna in Sicilia tanto da prestare trecento lire anche al padre Filippo I, che in cambio – a Foggia il 21 novembre [[1261]] - gli cede in pegno il castello e le rendite della castellania e giurisdizione di [[Conio (Borgomaro)|Conio]], sino alla copertura del mutuo. Due anni appresso Enrichetto è di ritorno a casa, in Albenga, dove registriamo&nbsp;– 6 settembre [[1263]] - la ratifica della cessione di Maro e Prelà da parte del terzo cugino Manfredi. Intorno al [[1260]], Otto V di Ventimiglia "del Bosco", figlio di Raimondo cugino di Enrico II, sposa l'ereditiera Giovanna Abate, e si insedia in [[Trapani]], dove darà vita a altro ramo della famiglia - quello dei del Bosco - conti di [[Alcamo]] nel XIV secolo, e poi Principi di [[Cattolica Eraclea|Cattolica]], Duchi di [[Misilmeri]] ecc.
 
Sempre nel [[1263]] Enrichetto è in grado di finanziare i restauri della cattedrale normanna di Cefalù, dove si trova il suo sepolcro. Enrico, oltre al soffitto policromo del duomo, secondo recenti studi, fece completare la parte superiore della facciata dello splendido edificio, in pretto stile ligure. Al 18 dicembre del 1270, il re Carlo d'Angiò ingiunge al suo maestro razionale Giovanni de Mesnil un'inchiesta sull'imposizione fiscale disposta nell’annonell'anno indizionale 1263-64 dal conte Enrichetto di Ventimiglia. Il documento denota, a quella data, la piena potestà amministrativa dei Ventimiglia nella contea di Geraci, dove sembra svolgessero, in quanto vassalli titolari della contea, una funzione, quella di raccogliere la colletta, propria del giustiziere provinciale.<ref>Fodale, De Mesnil, in [http://www.treccani.it/enciclopedia/giovanni-de-mesnil_(Dizionario_BiograficoDizionario-Biografico)/ Giovanni De Mesnil in Dizionario Biografico – Treccani]</ref> In documento del 4 maggio [[1278]], Enrico II di Ventimiglia, conte d'Ischia, è definito da Carlo d'Angiò - per la prima volta nella documentazione conosciuta - ''"comitis Giracii olim tempore"''; lo stesso documento ci informa dell'esistenza in Geraci di un ''palacium'' comitale - forse la cosiddetta Torre di Engelmaro - distinto dal castello, che passato al demanio angioino doveva essere mantenuto e restaurato a spese delle comunità del contado: San Mauro, Ipsigro, Petralia Inferiore e Superiore.<ref>''Dokumente zur Geschichte der Kastellbauten'', p. 234, 238.</ref>
 
Il Ventimiglia nel giugno [[1266]], politicamente indebolito dalla sconfitta del cugino Manfredi di Svevia nel febbraio [[1266]], addiviene a un accordo con il vescovo di Cefalù, risarcendolo da presunte usurpazioni di terre, trasferendogli una mandria di 2.550 capi, tra vacche, buoi da lavoro, porci e pecore.
 
== Le prime nozze ==
[[File:OsterioMagno.jpg|thumbnailthumb|left|Scorcio dell'[[Osterio Magno]], il palazzo signorile fondato a Cefalù da Enrico II di Ventimiglia. L'edificio importa in Sicilia glimostra stilemi gotici europei.]]
Nel [[1267]], dopo una lunga trattativa, la contessa Isabella di Geraci restituiva al vescovo di [[Patti]] i beni di Monte Monaco (contrade Milicia, Mercatogliastro e Misericordia occupate dalla contessa sino a marzo [[1267]]), i censi e tenimenti delle chiese di S. Pietro d'Ypsigro, S. Elia di [[Gratteri]] e S. Venera di [[Tusa]] (occupate sino a maggio [[1266]]).<ref>Cancila, p.25-28.</ref> Da altro documento di Pietro da TorinoTours, vescovo di Cefalù dal [[1269]], apprendiamo che una casa con vigne nella medesima città erano state cedute al vescovo per la ribellione anti-angioina della contessa Isabella di Geraci. Infatti, come osserveremo tra breve, il conte Enrico sino alla fine del [[1270]] – sotto la pressione armata degli Angioini – riesce a mantenere il controllo militare di Cefalù e delle Madonie.
 
Dall'insieme di questi atti risulta evidente che la contea di Geraci fu in possesso di Isabella e dal suo matrimonio con Enrico probabilmente derivò il dominio dei Ventimiglia sulla provincia di Cefalù. Isabella di Geraci porta il nome di altra Isabella - di Parisio - moglie di Ruggero conte d'Ischia (già defunto nel [[1222]]) e madre del conte Aldoino d'Ischia (defunto già nel [[1239]] e probabilmente padre di Isabella moglie di Enrico). Il primogenito di Enrico e Isabella, Aldoino I di Ventimiglia, conte d'Ischia, eredita dunque nome e titolatura della famiglia da tempo insediata in Cefalù e nella contea di Geraci.
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Aldoino conte d'Ischia e signore di Geraci risulta figlio di Ruggero II conte d'Ischia, già defunto nel [[1222]]<ref>Scandone, p. 43-44: Isabella di Parisio, vedova del conte Ruggero II d'Ischia e madre di Aldoino, intenta causa ai cavalieri templari di Messina per il possesso di una vigna, intorno all'anno [[1222]].</ref> e della contessa Isabella di Parisio, come si deduce pur dall'atto di fondazione della chiesa della SS. Trinità di Geraci nel 1228.<ref>Bresc-Bautier, p. 631-647, 637-638, 640. Altro documento riguardante Aldoino conte d'Ischia, ignorato dagli storiografi che si occuparono della contea di Geraci, è una missiva a lui indirizzata dall'imperatore Federico II, del [[1229]], in cui si richiede l'invio di alcune navi all'assedio della ribelle città di Gaeta.</ref>
 
Nondimeno, dal ''Catalogus baronum'' d'epoca normanna, le baronie di Candida e Lapio risultano ritornate al demanio – dopo il possesso che nel [[XII secolo]] n'ebbe Aldoino di Candida – e successivamente furono concesse alla famiglia dei [[Capece (famiglia)|famiglia dei Capece]], vassalla – per Candida e Lapio - dei conti d'[[Altavilla]]/Hauteville di [[Gesualdo (Italia)|Gesualdo]]. Inoltre, risulta documentato il matrimonio di Elia d'Altavilla-di Gesualdo (già defunto nel maggio [[1206]]) con tale Guerrera, che potrebbe identificarsi con l'omonima contessa di Geraci citata nel [[1195]]. In questo caso Ruggero d'Ischia e Geraci – ribelle intorno al [[1209]]-[[1211]] al re Federico II di Svevia come risulta in una missiva delldi Federico all'abate di Montecassino – potrebbe corrispondere allo stesso figliastro di Guerrera, figlio del conte Elia. Infatti, anche il figlio e erede di Elia d'Altavilla si chiama Ruggero, è nominato conte dall'imperatore [[Enrico VI di Svevia]], anch'esso è ribelle e esiliato, nel [[1212]], pare in Provenza (e a Ventimiglia?).<ref>Prignano, f. 18 r.; Cuozzo, ''Catalogus baronum'', p. 94, 195, 199, 508-509</ref>
 
Questa ipotesi – altrettanto plausibile e maggiormente documentata – spiegherebbe la costante e secolare tradizione che presenta i discendenti di Enrico II di Ventimiglia come eredi della famiglia reale degli Altavilla. I documenti che definiscono Enrico come consanguineo del re Manfredi di Svevia, figlio di Federico II e nipote di Costanza d'Altavilla, possono trovare spiegazione nella comune origine con la madre di Enrico, dei signori di [[Carrù]] e Manzano, imparentati con i marchesi di [[Busca]], da cui discende Bianca Lancia madre di Manfredi. O più semplicemente dalla accertata comune ascedenzaascendenza dei Busca e dei Ventimiglia dai marchesi [[Aleramici]]: sia Enrico di Ventimiglia sia Manfredi di Svevia discendono dal marchese Guglielmo di Aleramo – vissuto nel [[X secolo]] -. Infatti, il trisavolo di Enrico è figlio di Donella di Oberto II dei marchesi di Sezzadio, a sua volta nipote di Guglielmo, come Manfredi di Svevia discende dai marchesi [[Del Vasto]], sia da parte del padre sia per la madre, entrambe provenienti da Anselmo III, nipote anch'esso del marchese Guglielmo di [[Aleramo]].
 
== Vicario generale nella Marca d'Ancona e Ducato di Spoleto ==
La presenza di Enrico nella Marca d'Ancona, in qualità di vicario generale del re di Sicilia, è attestata per la prima volta al 17 marzo 1260, quando il conte d’Ischiad'Ischia precetta diversi debitori che devono corrispondere i dovuti balzelli alla curia imperiale marchigiana – occupata da Manfredi di Svevia, re di Sicilia e riconosciuto leader dei [[Ghibellini]] italiani -<ref>Archivio di Stato di Roma, Fiastra (3), Cistercensi in S. Maria di Chiaravalle, b.150, perg. 1224, in http://www.cflr.beniculturali.it/Pergamene/scheda.php?r=1112 {{Webarchive|url=https://web.archive.org/web/20150923202042/http://www.cflr.beniculturali.it/Pergamene/scheda.php?r=1112 |date=23 settembre 2015 }}.</ref>
La politica del vicario delle Marche e Ducato di Spoleto, in costante attrito con i poteri pontifici e guelfi, doveva risultare necessariamente aggressiva per poter garantire la sicurezza dei confini del Regno di Sicilia. Gli obiettivi politici di Enrico erano rivolti soprattutto a consolidare il confine settentrionale dei territori d'influenza ghibellina - confine che passava all’incircaall'incirca da Recanati a Matelica - rafforzando la lega con i partigiani svevi nella nobiltà e nei comuni, nonché garantire le linee di collegamento con gli alleati toscani e lombardi. Molto rilevante, a tal fine, fu mantenere e rafforzare la lega ghibellina tra i comuni di San Severino Marche, Monte Milone (Pollenza), Tolentino e Matelica, conclusa per la prima volta nel [[1259]], all’epocaall'epoca del predecessore nell’ufficionell'ufficio di vicario; il noto poeta e uomo d’armed'arme [[Percivalle Doria]]. Si susseguono una serie di atti che scandiscono l'impegno di Enrico nelle sue funzioni di vicario generale a capo del locale partito ghibellino:
 
il 29 aprile [[1260]], il vicario Enrico di Ventimiglia, in Monte S. Maria in Giorgio, riceve la sottomissione del comune ribelle di [[San Ginesio]], dopo aver sedato militarmente la rivolta, rimettendolo in possesso dei suoi beni, salvo conferma di re Manfredi;
 
il 20 maggio Enrico acconsente che il castello di Belforte, donato al comune di [[Tolentino]] dopo la cessione dei nobili da Mogliano, possa essere distrutto e trasferiti gli abitanti: atto ''per manus notarii Iacobi de Guasto nobiscum in Marchia pro regiis servitiis commorantis…Aimonis'';
 
il 12 giugno Enrico concede al comune di [[Matelica]] il castello di S. Maria de’de' Galli, con facoltà di distruggerlo e trasferire gli abitanti, per i servigi resi a lui e a re Manfredi, con atto del notaio Giovanni da [[Gangi]];
 
il 25 giugno Enrico di Ventimiglia, vicario di re Manfredi nella Marca, ordina al comune di [[Morrovalle]] di eseguire la sentenza contro di esso a favore dell'[[Abbazia di Chiaravalle di Fiastra]] sul possesso di Campo Favale. Altra lettera di Enrico al comune di Morrovalle del 30 giugno;<ref>Archivio di Stato di Roma, ''Fiastra'' (3), b. 150, perg. 1232, 1234, in [http://www.cflr.beniculturali.it/Pergamene/scheda.php?r=1112. Archivio di Stato di Roma - Progetto Imago II]</ref>
 
il 10 luglio Fildesmido da Monteverde si dichiara soddisfatto di una rata di 86 lire delle 1300 lire a lui dovute dal Comune di Matelica, per la vendita del castello di S. Maria de’Gallide'Galli, vendita effettuata per ordine del vicario generale Enrico di Ventimiglia e del suo consigliere, ''dominus Gentile da Furno'';
 
nel luglio del 1260 re Manfredi conferma la donazione di Enrico di Ventimiglia a Rainaldo di Brunforte del castello di Montalto nella contea di [[Camerino]];
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il 7 agosto re Manfredi scrive a Enrico di Ventimiglia affinché i suoi ufficiali non aggravino eccessivamente il monastero di Fiastra con dazi e collette;<ref>Archivio di Stato di Roma, ''Fiastra'' (3), b. 150, perg. 1237, in [http://www.cflr.beniculturali.it/Pergamene/scheda.php?r=1112. Archivio di Stato di Roma - Progetto Imago II]</ref>
 
il 21 aprile 1261 il comune di Fermo prende sotto la propria protezione il comune di [[Santa Vittoria in Matenano]], contro le possibili azioni e costituzioni di re Manfredi e del suo "''totali vicario''" Enrico di Ventimiglia, o dei vicari, giudici e nunzi del conte Enrico, in particolare contro il podestà Falerone di Falerone, nominato dal conte Enrico. L'azione di nomina di un podestà da parte del conte d'Ischia contrastava la politica guelfa e papale. Con privilegio del 23 febbraio 1261, papa Urbano IV dava vita, in Santa Vittoria, al Presidato Farfense, con l’istituzionel'istituzione di un preside (giudice) avente l’incaricol'incarico di amministrare la giustizia nell'enorme territorio in precedenza sotto il controllo dell'[[Abbazia di Farfa]];<ref>''Cronache della città di Fermo'', pp. 423-424, in .</ref>
 
il 13 maggio del [[1261]], Enrico di Ventimiglia, conte d’Ischiad'Ischia e regio vicario generale, scrive da [[San Severino Marche]], ingiungendo al comune di [[Matelica]] di obbedire ai suoi messi, il giudice Taddeo da [[Teramo]] e il notaio Guglielmo da [[Gangi]], dovendosi a questi corrispondere 25 libbre “''pro affictu''”;
 
sempre nel 1261 Enrico ingiunge al comune di [[Osimo]] di non interferire nel possesso del ''castrum'' di Cerlongo;
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il 4 luglio Manfredi scrive a Enrico di Ventimiglia chiedendo un resoconto sulle operazioni nel Ducato di Spoleto;<ref>Brantl, p. 390.</ref>
 
il 15 agosto Enrico investe Rainaldo di Brunforte – già podestà di Perugia nel 1259 - di tutti i beni della curia regia nel comitato di Fermo e dei castelli di Montefiore e Castelfidardo:   in ''Castris Montis Florum et castro Ficcardi et totum terrarum affictum Comitatus Firmani''. Rainaldo morirà nell’agostonell'agosto 1281 come podestà di Pisa.
 
== La sconfitta sveva ==
Nel [[1265]] Enrico guida la squadra navale siciliana di trenta galere a guardia del Tirreno, in vista dell'incoronazione in Roma di Carlo d'Angiò. La flotta di Manfredi di Svevia, re di Sicilia, tenta di bloccare le navi provenzali alla foce del Tevere, a Ostia, ma l’operazionel'operazione fallisce a causa delle avverse condizioni atmosferiche, così a Carlo è possibile approdare liberamente, mentre le truppe sveve si ritirano. Carlo è investito del Regno di Sicilia il 28 giugno [[1265]] a S. Giovanni in Laterano e solennemente incoronato e unto dal papa il 6 giugno [[1266]], quando, nel frattempo, a Roma è giunto pur l'esercito provenzale, transitato dal passo di Tenda nell'ottobre precedente. Nello stesso luglio [[1265]], Enrico è in Aragona alla corte di [[Costanza di Hohenstaufen]], figlia di Manfredi e sposa dell'infante Pietro d'Aragona, insieme al cugino Bonifacio – non è chiaro se l'omonimo conte di Ventimiglia o il poeta ligure-occitanico [[Bonifacio Calvo]], da tempo in Spagna, e che avrebbe sposato una contessa di Ventimiglia -. La sua presenza è registrata nel ''Libro dei conti'' della infanta Costanza, figlia di Manfredi di Svevia, come ospite a pranzo. Dopo il viaggio iberico del Ventimiglia, Costanza assume nella titolatura ufficiale il titolo di regina. Da questo si potrebbe dedurre che Enrico fu latore di lettere di Manfredi che, nel periglio dell'invasione angioina, associò la figlia al trono siciliano, assicurando l'alleanza e l'appoggio dei re d'Aragona.<ref>Tramontana, p. 191.</ref>
 
Nel [[1266]], al tempo della battaglia di Benevento che vede trionfare Carlo e morire Manfredi, secondo il cronista fiorentino [[Giovanni Villani]], il conte Enrico è rientrato in Sicilia, come capitano delle locali truppe sveve. Il cronista sottolinea che la sconfitta di Benevento fu dovuta all'impazienza del re svevo nel dare battaglia all'Angiò – senza attendere i rinforzi calabri di Federico Lancia, conte di [[Squillace]], e quelli siculi del conte d'Ischia -. Altre versioni danno Enrico presente a Benevento – Manfredi sarebbe morto tra le braccia del cugino Ventimiglia -. Ma, forse, si tratta di equivoci dovuti alla presenza in battaglia dei Ventimiglia di Tenda e di Thorame-Glandevés, dalla parte di Carlo d'Angiò (per quanto malvolentieri). Guglielmo Pietro di Ventimiglia da alcuni storici è dato in partenza da Aix, con la flotta angioina, nel [[1265]], insieme ai cugini Guglielmo Ventimiglia di Saint-Auban, signore di Puget-Théniers, Emanuele Ventimiglia di Muy e Pietro Balbo I conte di Ventimiglia. Mentre Simone di Ventimiglia comanda una delle quattro galere fornite alla spedizione angioina dal Comune di Nizza. La stessa galea di Simone pare sia stata messa a disposizione del 'nemico' cugino Enrico II, quando questi nel [[1270]] abbandona la Sicilia in mano angioina.<ref>de Villeneuve-Trans-Bargemont, 3., p. 290-291; Rossi, ''Storia della città di Ventimiglia'', p. 93</ref><ref>Gioffredo col. 584</ref> Non si può tuttavia escludere, stando alle fonti letterarie e cronachistiche, una presenza in extremis dello stesso Enrico in Benevento, giunto al termine del certame.
Riga 81:
Secondo il cronista trecentesco Giacomo d'Acquiturale<ref>Giacomo d'Acqui, col. 1595.</ref>:
 
{{citazione|Quid factum est de anima regis Manfredi.
Post hec fuit in Apulia quidam obsessus a Dyabolo et loquebatur de diversis. Quem quidam interrogavit dicens: - ''Dic mihi si salvus est rex Manfredus''. - Cui respondit Dyabolus: - ''Quinque verba salvarunt eum, sicut tibi dicet comes Henricus de illis quinque verbis''. - Qui respondit dicens: - ''Quando rex Manfredus cecidit in morte, ultima verba sua fuerunt ista: ' Deus propitius esto mihi peccatori''' -.}}
 
Riga 88:
Le vicende del 'ritardo' di Enrico Ventimiglia e della 'fretta' dello Svevo alla Battaglia di Benevento - ad esempio - son così sintetizzate in Giuseppe Di Cesare<ref>Di Cesare, p. 232 - 233.</ref>, :
 
{{citazione|Manfredi vedendosi raggiunto dal nemico divisò di escir tosto da Benevento col suo esercito per combatterlo. E coloro che dall'evento sono avvezzi a giudicar sempre le cose, scorger vollero nelle risoluzioni di quel un accecamento cagionato da celeste castigo, per ciò che s'egli avesse indugiato alcuni altri giorni, avrebbe sicuramente trionfato de' Francesi, tra perché costoro mancavano affatto di vettovaglie, e perché il suo esercito sarebbesi ingrossato colle genti di Corrado d'Antiochia, che venivan dalli Abruzzi, e con quelle di Federigo Lancia, e del conte di Ventimiglia che venivan da Calabria e da Sicilia. Infatti se fidar eie i poteva nei baroni, e negli abitanti del Regno, il partito d'indugiare sarebbe stato il più saggio per tutte le ragioni anzidette, ed avrebbe infallibilmente menato il suo trionfo e la ruina di Carlo. Ma perché ogni dì egli vedeva semprepiù vacillar la fedeltà de' suoi, e reputava inoltre il nemico molto affaticato dal rapido cammino per luoghi aspri e montuosi, con ragione avvisò che se il combatteva subito e senza dargli alcun riposo, poteva vincerlo facilmente, e così raffermare gli ondeggianti animi de' regnicoli. Del resto in un cuor giovine fervido e valoroso, qual era il suo, tra due partiti che presentavan pericoli a vicenda, il più ardito prevaler dovea, e questo prevalse.}}
 
== La resistenza anti-angioina ==
Al 19 luglio [[1268]] dovrebbe risalire la partenza da Porto Pisano di circa seimila marinai e armigeri imbarcati su alcune saettìesaettie, 28 galere pisane e 7 galere dei magnati ghibellini 'siciliani', ovvero Enrico II di Ventimiglia, conte d'Ischia, Federico Lancia, Riccardo Filangeri – cugino della moglie del Ventimiglia, essendo nipote di Giordano, cognato di Aldoino d'Ischia - e Marino Capace. Siamo a cinque giorni prima dell'ingresso di [[Corradino di Svevia]] in Roma.<ref>Pier Fausto Palumbo, ''Corrado Capece e la resistenza antiangioina in Sicilia'', p. 182.</ref> La flotta filo-sveva si andò a ancorare alla foce del Tevere in attesa che Corradino uscisse da Roma, per poi proseguire il raid contro Gaeta e Ischia – saccheggiata duramente – devastando poi Castellammare, Amalfi e Sorrento. “In Ischia vennero le galee dei Pisani, nelle quali stavano i ribelli al domino Re, ovvero: il conte Enrichetto, il conte Federico Lancia, il domino Riccardo Filangeri, Marino Capece, e molti altri vennero a Ischia nel mese di agosto dell'undecima indizione...”.<ref>Minieri Riccio, ''Alcuni studiistudi storici'', p. 32 che cita un ms. dell'ArrchivioArchivio della Zecca, fasc. 65, f. 41</ref>
[[File:Enna20-Castello di Lombardia, Torre Pisana bis.jpg|thumbnailthumb|left|La Torre Pisana nel [[Castello di Lombardia]] a [[Enna]], dove nel marzo-aprile del [[1262]] il conte Enrico II di Ventimiglia catturò l'impostore Giovanni da Cocleria, spacciatosi per il defunto imperatore Federico II di Svevia.<ref>Brantl, p. 396-397.</ref>]]
 
Il passaggio delle navi pisane fa insorgere la contea di [[Caserta]] e le terre calabresi fedeli ai Lancia. In Sicilia è conquistata Milazzo, quivi sbarcano gli armigeri di Enrico Ventimiglia e Federico Lancia, mentre le navi proseguono contro la squadra angioina, sconfitta in battaglia di fronte al [[porto di Messina]]. [[Palermo]] era contemporaneamente assediata dalle truppe da sbarco, Catania occupata dai ghibellini. Ma, all'annuncio della sconfitta e morte di Corradino di Svevia in Tagliacozzo, le navi pisane rientrano in patria abbandonando gli alleati. Enrico si trincera nella sua contea di Geraci e nella possente fortezza di Cefalù (nella “terra del conte Enrichetto di Ventimiglia... la città di lui” ci informano gli ''Annales Ianuenses'') dove è investito dall'esercito angioino inviato al comando del ferocissimo – secondo il cronista Saba Malaspina – Guglielmo Estendart de Beynes, siniscalco di Provenza e vicario di Lombardia e Sicilia.<ref>Amari, p. 90</ref>.
Ma il conte del Maro sembra esser un osso troppo duro per i Francesi, che – sempre secondo gli ''Annales Ianuenses'' – dopo mesi di assedio devono mollare la presa e ritirarsi in preda a una epidemia. I ghibellini compiono grandi imprese, sconfiggono i Francesi nella [[battaglia di Castronovo]], subiscono un lungo assedio nell'imprendibile fortezza di [[Augusta (Italia)|Augusta]], conquistata dagli Angioini per tradimento: gli abitanti, uomini e donne, sono tutti sgozzati o decapitati - secondo il testimone oculare Saba Malaspina - e le ultime resistenze anti-angioine sono spente con la conquista di Caltanissetta, intorno al gennaio del [[1271]].<ref>Saba Malaspina, 4.25., p. 219-221</ref> I capi della congiura catturati dagli Angioini sono accecati e impiccati senza processo: Enrico – contumace, condannato a morte da Carlo d'Angiò - riesce a fuggire dai suoi stati veleggiando verso la Liguria, probabilmente subito dopo il 22 novembre [[1270]], quando Carlo d'Angiò sbarca a Trapani.
 
Il re Carlo si affretta a insignorire della contea di Geraci i suoi cugini Simone e Giovanni di Montfort-Leicester al 23 gennaio [[1271]]. A Giovanni di Monfort-Leicester, vanno assegnati i castelli di Gangi, Castelluccio e Geraci ''cum terrae et comitatu''. Il vassallaggio dei Montfort comprende inizialmente i castra di Geraci, San Mauro, Ypsigro, Fisauli, Belici, Montemaggiore, e le terre di Gangi e Castel di Lucio, ma nel luglio del medesimo [[1271]] i Montfort recedono la contea di Geraci in cambio della contea calabrese di Squillace. Simone di Monfort-Leicester, inizialmente riceve San Mauro, Ypsigro e Fisauli, poi vi rinuncia per la contea di Avellino ma gli sono consegnate Gangi, Castelluccio e Geraci già del fratello Giovanni. Il castello di Gratteri è invece assegnato il 12 gennaio [[1278]] a Guglielmo di Moustier, con privilegio in cui Carlo d'Angiò cita il 'traditore' Enrico Ventimiglia<ref>''Documenti relativi all'epoca del Vespro'', p. 80-84, 162-163.</ref> Le ampie baronie delle Petralie e di Caronia sono cedute a altri vassalli francesi.Pietro Ballasio/Bullas riceve la signoria di Cefalù nel [[1272]], e impone subito alla città un tributo, Giovanni Berlay, padre e figlio, fra il [[1270]] e il [[1271]] ottengono la terra e il castello di Collesano che successivamente passerà ai Ventimiglia.<ref>Pollastri, ''Le Liber Donationum'', p. 557-727; Pollastri, ''Gli insediamenti di cavalieri francesi'', p. 196-230.</ref>
=== La contea d'Ischia ===
[[File:Ischia Ponte - Aragonsky Hrad.png|thumb|Il castello aragonese di Girone, isolotto adiacente a Ischia Maggiore. La contea di [[Isola d'Ischia|Ischia]] fu ereditata da Enrico II di Ventimiglia nella seconda metà del XIII secolo per il matrimonio con Isabella contessa di Geraci e Ischia.]]
Nel 1270 è occupata dagli Angioini anche l'isola d'Ischia, con le fortezze di Ischia Maggiore e Girone, e i casali di Foro, Mezzavia, Moropano, Eramo, Fontana e Campagnola. Soltanto al 9 luglio [[1287]] la contea d'Ischia ritornava in mano degli Aragonesi, alleati di Enrico II di Ventimiglia, che vi nominavano il castellano Galcerando de Monteolyo con la guarnigione di 39 balestrieri e 26 lancieri. L'isola d'Ischia era poi restituita formalmente da re [[Giacomo II d'Aragona]] a [[Carlo II d'Angiò]] alla fine del [[1293]], ma l'isola rimase in potere di [[Federico II d'Aragona]] e di Enrico II di Ventimiglia sino al settembre del [[1299]]. A quel tempo, Enrico di Ventimiglia espresse il proposito di tornare fedele alla Casa d’Angiòd'Angiò, e quindi il conte di Ischia e Geraci richiese all'Angioino la conferma dei propri vassallaggi. Il 28 luglio [[1300]] il re angioino gli confermò tutti i beni posseduti in Sicilia, la contea di Geraci, le due Petralie, Caronia e Gratteri, ma non la contea d’Ischiad'Ischia. Intendeva infatti rispettare l’impegnol'impegno assunto con gli Ischitani di mantenere l'isola nel demanio regio. Promise in cambio al Ventimiglia di compensarlo con altre terre per la perdita d’Ischiad'Ischia, se entro Natale gli fosse tornato fedele, ma il conte non acconsentì.<ref>Salvatore Fodale,''L’appartenenzaL'appartenenza d’Ischiad'Ischia alla Sicilia durante la Guerra del Vespro (1287-1299)'', "La rassegna d'Ischia", 24(2003), n. 2, pp. 22-26.</ref>
 
Il titolo di conte d'Ischia, che vediamo assunto da Enrico almeno dall'anno [[1260]], fu molto prestigioso e antico, essendo un titolo di origine bizantina, risalente al VII secolo, tenuto dalla famiglia magnatizia napoletana dei Milluso, tra X e inizio XII secolo, prima di passare ai normanni signori di Geraci. <ref>''Regii Neapolitani archivi monumenta'', pp. 338-344.</ref>
Nondimeno, l'interesse del Ventimigia per l'isola d'Ischia, oltre che per l'importante ruolo strategico militare, e per la ricca marineria commerciale che ospitava, era dovuto alle miniere di allume che vi si trovavano, e che fornivano un reddito netto di 300 onze d'oro annue, materia prima l'allume indispensabile per la concia delle pelli e alla raffinazione dei panni nell'industria laniera e esportato sino nelle Fiandre:
 
{{citazione|Le prime testimonianze certe sulla presenza di un’industria dell’allume all’isola d’Ischia risalgono al Duecento, ma non mancano riferimenti a tempi precedenti, come si ricava dagli atti processuali del 1271, riguardanti la rivendicazione fiscale delle miniere di allume e di zolfo sfruttate abusivamente da Guido de Burgundio de Castronovo, castellano di Ischia. Secondo tutti i testimoni, le miniere erano demaniali, o della curia imperiale, sin dal tempo del conte Enrico (II di Ventimiglia, III di Geraci); l’anziano Stefano Calillo, in particolare, dichiara che le miniere erano imperiali dal tempo degli imperatori prima, del conte Enrico poi, come lui stesso aveva veduto circa 80 anni prima. Per cui Cestari le considera attive intorno al 1191, ai tempi di Guglielmo III, di Tancredi e di Arrigo VI.<ref>Pipino, p. 24.</ref>}}
 
== La politica mediterranea ==
Enrico, rientrato in Liguria, diventa il più stretto collaboratore di [[Guglielmo VII del Monferrato]], vicario di Alfonso re di Castiglia nelle terre lombarde e capo dei Ghibellini che appoggiano l'elezione del castigliano all'Impero. Infatti, Alfonso si presenta quale erede dell'ideologia del tradizionale partito svevo. Enrico, tra l'altro, è presente come primo testimone in diversi atti notarili e pergamene del marchese di Monferrato, risalenti al [[1272]], evidenziando le sue funzioni di principale collaboratore del monferrino.<ref>''Cartario della Abazia di Casanova'', p. 364, in Clavasio, 1º aprile 1272; ''Documenti inediti e sparsi'', p. 292-293, in Castel Ciriaco, 24-7-1272.</ref>
 
Enrico Ventimiglia visita nel [[1273]] Alfonso X a Requeňa, a capo di una delegazione di nobili lombardi, consegnando a Alfonso le missive dei suoi sostenitori e elettori alla candidatura imperiale. Il conte di Ventimiglia, nell'occasione, chiede l'invio di 500 'lance' a supporto di “coloro che lo hanno eletto imperatore”, contro Carlo d'Angiò. A seguito di questa richiesta le ''Cortes'' a Burgos finanziano l'impresa richiesta dal Ventimiglia, e a Genova, nel [[1274]] in due riprese, sbarcano circa 1100 cavalieri e armigeri castigliani che volgeranno a favore dei ghibellini liguro-piemontesi la guerra contro gli Angiò.<ref>''Chronicle of Alfonso X'', p. 188-189, 193; Martìnez, p. 183, , 246.</ref>
 
[[File:Caronia castello.JPG|thumbnailthumb|left|La rocca di [[Caronia]], dominata dal palazzo signorile, esempio di architettura arabo-normanna del [[XII secolo]]. Il feudo di Caronia fu riconosciuto ad Enrico II e nel [[1296]] fu riconfermato l'annesso territorio della Foresta di Caronia (circa 12.000 ettari)]].
 
Alfonso a Toledo - nel [[1275]] di fronte all'assemblea dei ''ricos hombres'' - recita un'allocuzione densa di espressioni di gratitudine per il continuo ausilio politico e il sostegno morale dei ''proceres'' che in tutta Europa sostengono la sua candidatura all'Impero. Tra i maggiori leader europei della parte ghibellina il re di Castiglia pone Enrico II conte di Ventimiglia:
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== Note ==
{{<references|2}}/>
 
== Bibliografia ==
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* ''Chronicle of Alfonso X'', a cura di Shelby Thacker, José Escobar, Lexington: University Press of Kentucky, 2002.
* ''Cronache della città di Fermo'', a cura di Gaetano de Minicis, Marco Tabarrini, Firenze: M. Cellini, 1870.
* Errico Cuozzo, ''Catalogus baronum. Commentario'', Roma: IstituroIstituto storico italiano per il Medioevo, 1983.
* ''Documenti inediti e sparsi sulla storia di Torin''o, a cura di Francesco Cognasso, Pinerolo: Tip. Baravalle e Falconieri, 1914.
* ''Documenti relativi all'epoca del Vespro tratti dai manoscritti di Domenico Schiavo della Biblioteca comunale di Palermo'', a cura di I. Mirazita, Palermo: Edizione Città di Palermo, 1983.
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* H. Salvador Martìnez, ''Alfonso X, the Learned: a biography'', Leida: Brill, 2010.
* Camillo Minieri Riccio, ''Alcuni studii storici intorno a Manfredi e Corradino della imperiale Casa di Hohenstauffen'', Napoli 1850.
* ''Liber iurium Reipuplicae Genuensis'', in ''[[Historiae Patriae monumentaMonumenta]]'', Torino: Officina regia, 1857.
* Romeo Pavoni, ''La frammentazione politica del Comitato di Ventimiglia'', in ''Le Comté de Vintimille et la famille comtale'', 'Colloque des 11 et 12 octobre 1997', Menton, a cura di A. Venturini, Mentone 1998.
* Romeo Pavoni, ''Liguria medievale'', Genova: ECIG, 1992.
* Romeo Pavoni, ''Ventimiglia dall’etàdall'età bizantino-longobarda al Comune'', "Rivista ingauna e intemelia", 24-25 (1969-1970, 1995), p. &nbsp;111-123.
* Giuseppe Pipino, ''Oro e Allume nella storia dell'isola d'Ischia'', "La rassegna d'Ischia", 30 (2009), pp. 18-35&nbsp;18–35.
* Carlo F. Polizzi, ''Amministrazione della contea dei Ventimiglia nella Sicilia aragonese'', Padova: Edizioni dell'Accademia agrigentina, 1979.
* ''Regii Neapolitani archivi monumenta'', a cura di Giacinto Libertini, Frattamaggiore: Istituto di studi atellani, 2011, 4. ''Anni 1001-1048''.
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* [[Ventimiglia (famiglia)]]
* [[Ventimiglia del Maro]]
 
 
== Collegamenti esterni ==
*{{cita web|url=https://sites.google.com/a/centrostudiventimigliani.com/www-centrostudiventimigliani-com/|titolo=Centro studi ventimigliani|accesso=28 novembre 2018|dataarchivio=25 ottobre 2020|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20201025190333/https://sites.google.com/a/centrostudiventimigliani.com/www-centrostudiventimigliani-com/|urlmorto=sì}}
* {{cita web|url=http://www.centrostudiventimigliani.it/|titolo=Centro Studi Ventimigliani|consultato il 24 giugno 2011}}
 
{{Portale|biografie|storia}}
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