Yoga: differenze tra le versioni
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{{Nota disambigua||Yogi (disambigua)|Yogi}}
[[File:Lahiri Mahasaya.jpg|thumb|upright=1.4|[[Lahiri Mahasaya]] (1828-1895) maestro di ''yoga'' del [[XIX secolo]]. Da notare lo ''[[yajñopavītam]]'', il cordoncino composto da tre fili di cotone bianco uniti indossati sopra la spalla sinistra<ref>''[[Manusmṛti]]'', III.44.</ref>, i quali lo indicano come un [[brahmano]].]]
Con il sostantivo maschile [[sanscrito]] '''
Tale termine sanscrito, con significato analogo, viene utilizzato anche in ambito [[Buddhismo|buddhista]] e [[Giainismo|giainista]]. Come termine collegato alle ''[[darśana]]'', ''yoga-darśana'' (dottrina dello ''yoga'') rappresenta una delle sei ''[[darśana]]'', ovvero uno dei "sistemi ortodossi della filosofia religiosa" [[Induismo|
I praticanti di tale disciplina prendono il nome di ''yogi''.<ref>{{cita web|url=https://dizionario.internazionale.it/parola/yogi|titolo=yogi|accesso=27 novembre 2024}}</ref>
== Origine e significato del termine ==
Molti studiosi, tra i quali il rumeno [[Mircea Eliade]] (1907 – 1986), storico delle religioni
Il termine ''yugà'' si riscontra già nel più antico dei ''[[Veda]]'', il [[Ṛgveda]], con il significato di "giogo".<ref>''[[Ṛgveda Saṃhitā]]'', II.39.4; II.53.17; I.115.2; VIII.80.7; X.60.8; X.101.3. Vedi Dasgupta 2005, ''cit.'', p. 42.</ref> [[Ananda Coomaraswamy]] (1877 – 1947), storico dell'arte singalese, ricorda in tal senso il brano del [[Ṛgveda]] dove viene indicato che l'uomo deve:
{{q|aggiogare
In tale accezione, il termine è chiaramente adoperato anche nello ''[[Śatapatha Brāhmaṇa]]'' ([[X secolo]] ca. a.e.v.)<ref>Dasgupta 2005, p. 42.</ref>
Da qui il significato, posteriore, di ''yoga'' come insieme di tecniche anche meditative aventi come scopo l'"unione" con la Realtà ultima e tesa ad "aggiogare", "controllare", "governare" i "[[Organi di senso|sensi]]" (''indriya'') e i vissuti da parte della coscienza.<ref>Dasgupta 2005, p. 44.</ref> L'evoluzione appare evidente in questo passo della successiva ''[[Kaṭha Upaniṣad]]'':
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Nella sua accezione religiosa e filosofico religiosa, il termine [[sanscrito]] ''yoga'' è così reso nelle altre lingue asiatiche:
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=== Uso contemporaneo ===
Nel linguaggio corrente, con "yoga" si intende il più delle volte un variegato insieme di attività che spesso poco hanno a che fare con lo Yoga tradizionale, attività che comprendono [[ginnastica|ginnastiche]] del corpo e della [[Respirazione (fisiologia umana)|respirazione]], discipline psicofisiche finalizzate alla meditazione o al rilassamento,<ref>Vedi ''[http://www.treccani.it/vocabolario/yoga/ Yoga]'', ''treccani.it''.</ref> tecniche miste che unirebbero lo Yoga con tradizioni lontane, eccetera. Si è dunque assistito a tutto un proliferare di pseudo branche dello Yoga e di maestri proclamatisi tali senza l'appartenenza a un lignaggio:
{{citazione|Ciò che contraddistingue lo Yoga non è solamente il suo aspetto ''pratico'', ma anche la sua natura ''iniziatica''. Non si può imparare lo Yoga da soli; è indispensabile la direzione di un maestro (''guru'').|Mircea Eliade, in Eliade 2010, p. 21}}
In senso ampio, lo Yoga è una via di realizzazione spirituale che si fonda su una sua propria filosofia, un percorso che diviene via via sempre più totalizzante, non un qualcosa al quale ci si può riferire con espressioni come "fare un po' di yoga":
{{citazione|Senza dubbio la pratica disciplinata costituisce una delle caratteristiche peculiari dello Yoga in quanto sistema, ma, come sarà più oltre chiaro, lo Yoga possiede una sua visione su molti altri argomenti come la psicologia, l'etica e la teologia.<ref>«''The
== La dottrina dello Yoga nelle
Se dunque nei ''[[Veda]]'', segnatamente nella ''[[Ṛgveda Saṃhitā]]'', termini correlati al termine ''yoga'' hanno il compito di suggerire agli uomini di "imbrigliare" i propri sensi, pensieri e vissuti per dedicarli con talento alle attività religiose e spirituali<ref>Cfr. anche, ad esempio, {{q|Imbriglia i santi pensieri, imbriglia lo spirito dei tuoi sacerdoti con la maestria degli inni o Alto sacerdote. Egli solo conosce le opere assegnando i compiti ai sacerdoti. Sia alta la lode al deva Savitṛ.|''[[Ṛgveda Saṃhitā]]'', V.81.1|yuñjate mana uta yuñjate dhiyo viprā viprasya bṛhato vipaścitaḥ vi hotrā dadhe vayunāvid eka in mahī devasya savituḥ pariṣṭutiḥ|lingua=sa}}</ref>, nelle successive ''[[Upaniṣad]]''
È nella ''[[Kaṭha Upaniṣad]]'', collegata al [[Yajurveda#Suddivisione|Kṛṣṇa Yajurveda]], che il termine ''yoga'' compare per la prima volta.<ref>Flood 2006, p. 128.</ref> Questa ''Upaniṣad'' del periodo medio, databile intorno al V sec. a.e.v., discostandosi dal clima dei grandiosi miti cosmogonici delle ''Upaniṣad'' antiche, si apre a speculazioni più specificamente filosofiche e psicologiche, preannunciando elementi che poi saranno sviluppati a fondo nelle successive ''[[darśana]]'', le scuole interpretative dell'[[induismo]].
{{q|Il saggio, in seguito alla realizzazione dello ''yoga'' individuale (''adhyātma yoga''), avendo contemplato [in sé] il Dio che è difficile da vedere, che è sprofondato nel mistero, che giace nel cuore, che è riposto nella cavità, che è l'antico, abbandona il piacere e il dolore.|''[[Kaṭha Upaniṣad]]'', I.2.12, traduzione di [[Pio Filippani Ronconi]], in ''Upaniṣad antiche e medie'', Torino, Boringhieri, 2007, p. 347}}Ovviamente, "Adhyātma" non significa "individuale". L'Adhyātmayoga è la contemplazione dell'Ātman.
Composta fra il IV e il II secolo a.e.v<ref>Flood 2006, p. 117.</ref>, questa ''Upaniṣad'' riveste un posto particolare, in quanto contempla temi che saranno propri del successivo [[induismo]]: l'aspetto [[teismo|teistico]]; la fede come devozione, la [[bhakti]]
▲=== ''[[Śvetāśvatara Upaniṣad]]'' ===
▲Composta fra il IV e il II secolo a.e.v<ref>Flood 2006, p. 117.</ref>, questa ''Upaniṣad'' riveste un posto particolare, in quanto contempla temi che saranno propri del successivo [[induismo]]: l'aspetto [[teismo|teistico]]; la fede come devozione, la [[bhakti]] cioè; il concetto di energia divina, la ''[[śakti]]'', ossia la potenza creatrice del Dio, il suo aspetto immanente; lo Yoga.
Inizialmente lo Yoga è descritto come disciplina meditativa capace di realizzare la ''[[shakti|śakti]]'', la potenza stessa divina (''deva-ātma-śakti'').<ref>''Śvetāśvatara Upaniṣad'', I.3.</ref> Nel secondo canto troviamo descrizioni sia di carattere tecnico sia riguardanti i segni che contraddistinguono il percorso dello yogin.
{{citazione|A questo punto, avendo controllato i suoi soffi vitali e trattenuto il moto del respiro, allorché il ''[[Prana|prāṇa]]'' è raffrenato, espiri dal naso; come colui che conduce un veicolo trascinato da cavalli cattivi, così pure il saggio trattenga la sua potenza mentale senza distrarsi.|''[[Śvetāśvatara Upaniṣad]]'', II.9, traduzione di [[Pio Filippani Ronconi]], in ''Upaniṣad antiche e medie'', Torino, Boringhieri, 2007, p. 323}}
Vi compaiono dunque precisi accenni al controllo della respirazione, respirazione collegata al ''prāṇa'', il principio vitale inteso come "soffio"; e al dominio dell'attenzione inteso come capacità di non essere distratto, quindi di concentrarsi: elementi questi che ritroveremo entrambi nella successiva sistematizzazione dello Yoga classico. Degna di nota è infine la relazione fra Yoga e immortalità, lo Yoga cioè come disciplina salvifica.<ref>''Śvetāśvatara Upaniṣad'', II.12.</ref>
L'ancora più tarda ''[[Maitrī Upaniṣad]]'' (o ''Maitrāyaṇīa Upaniṣad'', composta fra II sec. a.e.v. e il II sec. e.v.,<ref>Così Mircea Eliade.</ref> collegata al Kṛṣṇa Yajurveda<ref>Il
{{citazione|Si dice anche altrove<ref>''[[Muṇḍaka Upaniṣad]]'' III.2.9.</ref>: "Colui che ha i sensi assorti come in un sonno profondo, vede mediante il pensiero più puro (''śuddhitamayā dhiyā''), come in un sogno, nella caverna dei sensi, ma non soggetto al loro potere, [l'intimo movente,] chiamato ''[[oṃ]]'', che ha la luce come forma, che è libero da sonno, da vecchiaia, da morte, da dolore. Egli stesso, chiamato ''[[oṃ]]'', diventa lui pure l'intimo movente, libero da sonno, da vecchiaia, da morte, da dolore". Così dice [la ''śruti'']: "Per il fatto che egli unifica (''ekadhā yunakti'':congiungere) al ''[[Prana|prāṇa]]'' e all
In questa ''Upaniṣad'' troviamo la più antica suddivisione dello Yoga in ''aṅga'' (lett.: "braccia", "membra"): ''[[prāṇāyāma]]'' (controllo della respirazione); ''[[pratyāhāra]]'' (ritrazione dei sensi); ''[[dhyāna]]'' (meditazione); ''[[dhāraṇā]]'' ("connessione profonda"<ref>
{{citazione|<nowiki>Or ecco il modo di ottenere [l'unione con l'Assoluto]: controllo del resipro [</nowiki>''prāṇāyāma''<nowiki>], ritraimento [dai
Si tratta quindi di una suddivisione in sei membra, che rispetto a quella classica degli ''[[Yoga Sūtra]]'' manca delle norme di carattere generale e morale (le osservanze e le restrizioni: ''yama'' e ''niyama''), e dove il ragionamento prende il posto della posizione (''āsana''). ''Tarka'' è da intendersi come la riflessione ragionata sugli argomenti delle scritture, dei ''Veda''. Ciò testimonierebbe, secondo questa ''Upaniṣad'', che in questo stadio lo Yoga era principalmente una disciplina di carattere speculativo.<ref>Dasgupta 2005, pp. 65-67.</ref>
== Le vie dello Yoga nella ''
{{Vedi anche|Bhagavadgītā}}
{{citazione|È appunto questa disciplina antica che io ti ho insegnato oggi. Tu sei il mio fedele adoratore e mio amico; tale è il supremo segreto.|Kṛṣṇa: ''[[Bhagavadgītā]]'', ''op. cit'', IV.3}}
I 18 canti estratti dal ''Bhīṣma Parva'', sesto libro del vasto poema epico ''[[Mahābhārata]]'', noti come "Il canto del Divino", costituiscono un poemetto a parte per la decisiva importanza
Nella ''Gītā'' il termine ''yoga'' compare spesso, ma quasi sempre non inteso nel senso di tecnica psicofisica o visione filosofico-religiosa compiuta come in seguito sarà,<ref>Eliade 2010, p. 151.</ref> bensì come condotta di vita, via o percorso verso il divino e quindi verso la [[mokṣa|liberazione]]. La molteplicità di questi cammini che Kṛṣṇa presenta ad Arjuna costituisce l'insieme delle vie dello Yoga così come in quest'opera esposte. Fra queste rivestono maggior importanza:<ref name="Flood 2006, p. 171">Flood 2006, p. 171.</ref> il [[Karma Yoga]], la via dell'azione sacralizzata; il [[Jñāna Yoga]], la via della conoscenza spirituale; il [[Bhakti Yoga]], la via dell'abbandono devozionale a Dio; il [[Dhyāna Yoga]], la via della meditazione.<ref name=Bhag/> Al di là delle particolarità che contraddistinguono i singoli percorsi, lo Yoga esposto in quest'opera è chiaramente [[teismo|teistico]], e si presenta come il risultato di una vasto intento sintetico, nel quale ogni via di salvezza è considerata efficace se percorsa nel principio validante della fede.<ref>Eliade 2010, p. 150.</ref>
▲=== [[Karma Yoga]] ===
Il termine ''[[karma]]'' è generalmente tradotto con "azione",<ref>Vedi ''[http://spokensanskrit.de/index.php?tinput=kArma&script=&direction=SE&link=yes kArma]'', ''spokensanskrit.de''.</ref> e nelle tradizioni dell'induismo è connesso alla dottrina del ciclo delle rinascite, il ''[[saṃsāra]]'', tramite quella legge nota appunto come "legge del karma", in base alla quale ogni azione dell'individuo senziente può essere causa di conseguenze che vincolano il suo corpo trasmigrante a tornare in vita dopo la morte del corpo fisico. Si è qui di fronte a una teoria fondamentale in tutte le tradizioni religiose non solo dell'induismo, ma anche del [[buddhismo]], del [[giainismo]] e del [[sikhismo]]. La liberazione, il ''[[mokṣa]]'', da questo ciclo delle reincarnazioni è il fine ultimo di queste tradizioni, perché tornare in vita non è che ritornare nelle sofferenze della vita. Il problema che la ''Bhagavadgītā'' si trova a dover affrontare è in fondo il dilemma fondamentale di ogni essere umano: come conciliare il proprio agire quotidiano con la legge [[morale]]. E Arjuna si trova in una situazione limite, ben più ardua di quella dell'individuo comune: è a capo di un esercito e dall'altra parte egli vede schierati i suoi stessi consanguinei.
[[Kṛṣṇa]] espone ad Arjuna la dottrina del Karma Yoga, che a un primo livello di comprensione è letta come la via dell'[[Azione (filosofia)|azione]] disinteressata, il distaccamento cioè dai frutti dell'azione stessa<ref>''Bhagavadgītā'', ''op. cit'', II.47.</ref> e l'adesione al proprio dovere sociale (''sva[[dharma]]'') in quanto tale e non come strumento per raggiungere, o evitare, questo o quell'obiettivo, o ostacolo.<ref>''Bhagavadgītā'', ''op. cit'', II.50.</ref> Più in profondità il Karma Yoga pospone la via dell'[[ascetismo]] alla via dell'impegno sociale, reinterpretando quest'ultimo in un'ottica sacralizzata:
{{citazione|Ma colui che, padroneggiando i sensi mediante la mente, intraprende con distacco la pratica dello Yoga dell'azione, mettendo in opera le proprie facoltà attive, quegli eccelle [fra gli asceti]. Quanto a te, compi le
L'agire disinteressatamente, in accordo col proprio ruolo sociale diventa quindi atto sacrificale col quale l'uomo rende a Dio ciò che Dio ha creato:<ref>Flood 2006, p. 170.</ref>
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Il «trionfo» della ''Bhagavadgītā'', usando un'espressione di Mircea Eliade, è in questo suo dare la possibilità di rendere sacra ogni azione profana vivendola come atto rituale, gesto sacro offerto a Dio, foss'anche un atto "immorale" come quello di Arjuna. Dissolvendo così nel sacrificio<ref>''Bhagavadgītā'', ''op. cit'', IV.23.</ref> il frutto dell'azione, l'individuo non "genera nuovo karma", si svincola dal ciclo delle rinascite e può finalmente aspirare alla liberazione.<ref>Eliade 2010, pp. 153-154.</ref>
▲=== [[Bhakti Yoga]] ===
La ''[[bhakti]]'' è la [[devozione]] verso una divinità personale, il Signore (Bhagavān), o anche verso il proprio maestro spirituale, attualmente espressa in varie tradizioni religiose dell'induismo come adorazione, trasporto emotivo intenso e resa totale.<ref>[[Louis Renou]], ''L'induismo'', traduzione di Luciana Meazza, Xenia, 1993, pp. 59-60.</ref> La ''bhakti'' così intesa è propria dei cosiddetti "movimenti devozionali", affermatisi verso il VII secolo nell'[[India]] del Sud e poi estesisi altrove, ma già presenti nel periodo in cui la ''Gītā'' veniva composta.<ref>Anna Dallapiccola, ''Induismo. Dizionario di storia, cultura, religione'', traduzione di Maria Cristina Coldagelli, Bruno Mondadori, 2005, pp. 31-32.</ref> Nella ''Gītā'' compare inoltre per la prima volta la concezione che il Signore possa ricambiare l'affetto del devoto,<ref name="Flood 2006, p. 171"/> essergli amico e anche di più.<ref>''Bhagavadgītā'', ''op. cit'', XVIII.65: «E tu verrai a me: in verità te lo prometto, perché tu mi sei caro».</ref>
Il Bhakti Yoga è dunque la via della devozione, la via che scegliendo l'adorazione e l'abbandono nel Signore, conduce così alla liberazione. E, cosa notevole, la ''Gīta'' estende ora questa possibilità agli individui delle caste basse e alle donne, tradizionalmente esclusi dal mondo [[brahmanesimo|brahmanico]]:
{{citazione|Coloro che hanno preso in me il loro rifugio, figlio di Pṛthā, anche se avessero una cattiva nascita, se fossero donne, artigiani o anche servitori, raggiungono il fine supremo.|''Bhagavadgītā'', op. cit, IX.32}}
▲=== [[Jñāna Yoga]] ===
''[[Jñāna]]'' è la conoscenza metafisica,<ref>Eliade 2010, p. 422.</ref> la conoscenza dell'Assoluto, del [[Brahman]] cioè<ref>Flood 2066, p. 171.</ref>:
{{citazione|Mediante questa [conoscenza] tu vedrai tutti gli esseri, tutti, senza eccezione, nel Sé, cioè in me.|''Bhagavadgītā'', op. cit, IV.35}}
Nel quarto canto della ''Gītā'' la via della conoscenza è intesa come una forma di sacrificio (IV.32), quella più alta fra le altre forme di sacrificio (IV.33), identificata con la conoscenza dei ''[[Veda]]'' (IV.34).
▲=== [[Dhyāna Yoga]] ===
Il sostantivo neutro ''[[dhyāna]]'' è usualmente reso con "[[meditazione]]", "attenzione", "riflessione", "contemplazione".<ref>''[http://www.spokensanskrit.de/index.php?script=HK&beginning=0+&tinput=dhyana+&trans=Translate&direction=AU dhyAna]'', ''spokensanskrit.de''.</ref> Il sesto canto della ''Gītā'' si occupa, tra altro, dell'aspetto contemplativo dello Yoga, e più che fare riferimento al settimo stadio della suddivisione degli ''[[Yoga Sūtra]]'', detto appunto "''Dhyāna''", in realtà verte sull'insieme delle ultime tre suddivisioni, il ''saṃyama'' ("dominio dello spirito").<ref>Così [[Anne-Marie Esnoul]], in ''Bhagavadgītā'' 2011, pp. 83-84.</ref> I versetti dal 10 al 14 descrivono tecnicamente come il praticante deve operare, e troviamo qui abbozzati ma precisi elementi che faranno parte dello Yoga classico: osservanza della castità; una posizione stabile in cui meditare; concentrazione su un unico punto (''ekāgra''); animo pacificato; mente disciplinata. Questa pratica conduce all'unione fra l'essenza individuale e quella universale, donando una felicità che non è dei sensi:
{{citazione|Là dove il pensiero [<small>''[[citta]]''</small>], sospeso mediante la pratica assidua dello yoga, cessa di funzionare, e là dove, percependo il Sé [<small>''[[ātman]]''</small>] nel Sé [e] mediante il Sé, si trova la [propria] soddisfazione, là dove si trova quella beatitudine infinita che percepisce l'intelletto [<small>''[[buddhi]]''</small>] ma non i sensi.|''Bhagavadgītā'', ''op. cit.'', VI.20-21}}
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La prima grande opera indiana che descrive e sistema le tecniche dello Yoga è lo ''[[Yoga Sūtra]]'' ("''Aforismi sullo Yoga''"), redatto da [[Patañjali (filosofo)|Patañjali]], vissuto fra il II sec. a.e.v. e il V sec. e.v.<ref name=Flood>Flood 2006, pp. 131-132.</ref><ref>È da dire che la tradizione indiana identifica l'autore con l'[[Patañjali (grammatico)|omonimo grammatico]] vissuto all'incirca nel I secolo a.e.v.</ref>, che raccoglie 196 ''[[sūtra]]''. A lui va il merito di aver interpretato lo Yoga quale dottrina [[soteriologia|soteriologica]] e soprattutto [[filosofia|filosofica]] da tradizione [[mistica]] che era.<ref>Eliade 2010, p. 23.</ref>
Lo ''Yogasūtra'' è suddiviso in quattro sezioni dette ''pāda'', che sono: ''Samādhi Pāda'' (la "congiunzione"); ''Sādhana Pāda'' (la "realizzazione"); ''Vibhūti Pāda'' (i "poteri"); ''Kaivalya Pāda'' (la "separazione"). Nel primo ''pāda'' viene introdotto e illustrato lo Yoga come mezzo per il raggiungimento del ''[[samādhi]]'', lo stato di beatitudine nel quale, sperimentando una differente [[consapevolezza]] delle cose, si consegue la liberazione (''[[mokṣa]]'') dal "ciclo delle rinascite" (il ''[[saṃsāra]]''). Nel secondo è esposto l'[[Aṣṭāṅga Yoga]] ("Le otto membra dello Yoga", noto anche come [[Raja Yoga]], lo "Yoga regale"). Nel terzo Patañjali prosegue descrivendo le ultime tre fasi del percorso yogico; vengono altresì esposti i "poteri sovraumani" (''[[vibhūti]]'') che è possibile conseguire con una pratica corretta dello yoga. Nell'ultimo ''pāda'' il filosofo dà una veste filosofica alla disciplina
{{vedi anche|Yoga Sūtra}}
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La confusione originata da tale ignoranza condanna il cosiddetto "io trasmigrante" a reincarnarsi dopo la morte del "corpo grossolano" che lo accoglieva: è il ''[[saṃsāra]]'': l'evoluzione della materia prosegue e così anche la vita intesa in senso lato. E tornare a vivere è ricadere nella sofferenza.<ref name=Eliade5764/>
La liberazione da questo ciclo è possibile, secondo il Sāṃkhya e lo Yoga di Patañjali, soltanto riconoscendo gli aspetti autentici del ''puruṣa'' e della ''prakṛti'' e quindi il loro stato di effettiva "separazione", il ''kaivalya''. Il soggetto che può operare tale distinzione non può certo essere il ''puruṣa'', ma la ''prakṛti'' stessa nella sua forma più complessa, la coscienza, il ''[[citta]]''. Il ''citta'', l'insieme delle funzioni mentali
{{citazione|Lo yoga è la soppressione dei movimenti della coscienza.|''[[Yoga Sūtra]]'', I.2; citato in Iyengar 2010, p. 65|yogaś citta vṛtti nirodhaḥ|lingua=sa}}
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#* ''Satya'': sincerità; genuinità;
#* ''Asteya'': non rubare; temperanza;
#* ''[[
#* ''Aparigraha'': non avidità; moderazione; rinuncia;
# ''[[Niyama]]'': osservanze; discipline. Queste sono:
#* ''Śauca'': pulizia; purezza;
#* ''Saṅtoṣa'': appagamento; contentezza; soddisfazione;
#* ''[[Tapas (induismo)|Tapas]]'': autodisciplina; fervore mistico; ardore; ascetismo; il significato etimologico del termine ''tapas'' è "calore", e in senso figurato sta a indicare l'austerità religiosa;<ref>Vedi ''[
#* ''Svādhyāya'': studio (delle scritture sacre, cioè la recitazione dei ''Veda'';<ref name=Iyengar/>); applicazione;
#* ''Īśvara praṇidhāna'': abbandono al Signore. Il Signore non è un Dio creatore né un Dio giudice o dispensatore di grazia, ma piuttosto un essere supremo, un modello cui lo yogin può ispirarsi;<ref>
{{citazione|Dio non è il creatore della natura naturante, ma un'anima eccelsa, che con la sua perfezione stimola l'uomo a sciogliersi dai legami della materia.|[[Giuseppe Tucci]], ''Storia della filosofia indiana'', Editori Laterza, 2005, p. 73}}<br />Mentre il Sāṃkhya è [[ateismo|ateista]], lo Yoga di Patañjali prevede dunque la figura di un Signore.</ref> sarà soltanto successivamente, con il diffondersi delle correnti devozionali, che la figura di Dio nello Yoga classico assumerà un ruolo più decisivo, all'insegna della devozione emotiva, la [[bhakti]];<ref name=EliadeII>Eliade 2008, p. 67 e segg.</ref> # ''[[Āsana]]'': posizione fisica; postura. Patañjali menziona il termine in un solo ''sūtra'', parlando genericamente di una qualsiasi posizione che risulti stabile e comoda;
# ''[[Prāṇāyāma]]'': controllo della respirazione e del flusso vitale. Il termine è composto da ''[[Prana|prāṇa]]'' e ''āyāma'', che sta per "allungamento", "espansione", mentre il primo è
# ''[[Pratyāhāra]]'': ritrazione dei sensi dagli oggetti; astrazione dal mondo; isolamento sensoriale. Si passa da uno stadio in cui le funzioni sensoriali sono dominate dai rispettivi oggetti dei sensi, a uno stadio in cui i sensi ne sono affrancati per permettere una conoscenza altra, quella che deriva dalla propria coscienza (''citta'');<ref>Eliade 2010, pp. 76-77.</ref>
# ''[[Dhāraṇā]]'': concentrazione. La "concentrazione" è definita come «fissare la coscienza (''citta'') su qualcosa»;<ref>Vedi ''Yoga Sūtra'', III.1.</ref>
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Raggiunto il ''nirbīja samādhi'' l'individuo ha finalmente liberato il suo ''puruṣa'' dall'influenza della materia rendendogli la propria condizione originale; il suo corpo trasmigrante si è del pari riconosciuto per quel che è reintegrandosi nella ''prakṛti'': è la condizione del "liberato in vita" (il ''jīvan[[mokṣa|mukta]]''), una situazione paradossale. Pur vivo, egli ha abbandonato il ciclo delle rinascite (il ''saṃsāra''); pur continuando a esistere nel tempo, egli è fuori dal tempo; pur possedendo un corpo, la propria coscienza (il ''citta'') è ora assimilabile al ''puruṣa'', il testimone delle evoluzioni del materiale e del mentale: egli "si vede". Soggetto e oggetto al contempo, il liberato in vita vive in uno stato di "sovracoscienza", uno stato di estrema, impassibile lucidità.<ref name=El2008/>
== Le
[[File:Brahma, Vishnu, and Shiva within an OM.jpg|thumb|Illustrazione tratta da un manoscritto del ''[[Mahābhārata]]'', 1795. Il disegno mostra le divinità principali dell'Induismo raffigurate all'interno del monosillabo [[OṂ]], l'invocazione sacra già menzionata nelle ''[[Upaniṣad]]'' vediche. Nella ben successiva ''Dhyānabindu Upaniṣad'' è esposta una pratica meditativa basata sulla contemplazione dell'OṂ.]]
Successivo alla ''Maitrī Upaniṣad'' e di poco anteriori agli ''[[Yogasūtra]]'' è un gruppo di ''Upaniṣad'' nelle quali troviamo riferimenti e descrizioni più o meno precisi che riguardano elementi caratteristici dello Yoga: sono le ''Upaniṣad Saṃnyāsa'', spesso scritte in prosa.<ref name=El126>Eliade 2010, pp. 126-127.</ref>
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Nel gruppo delle ''Upaniṣad Yoga'' meritano maggior attenzione la ''[[Yogatattva Upaniṣad]]'', la ''[[Dhyānabindu Upaniṣad]]'' e la ''[[Nādabindu Upaniṣad]]''. In queste compaiono molti dei termini e dei concetti che sono dello [[Haṭha Yoga]], pur risentendo degli influssi del Vedānta.<ref name=El134>Eliade 2010, pp. 128-134.</ref>
Nella ''Yogatattva Upaniṣad'' abbiamo una teoria del ''[[prāṇāyāma]]'', il controllo della [[Respirazione (fisiologia umana)|respirazione]] e del flusso vitale (il ''[[Prana|prāṇa]]''), con descrizioni tecniche sulla durata delle fasi respiratorie e sulla purificazione delle ''[[nāḍī]]''. Il ''[[pratyāhāra]]'', cioè la ritrazione dei sensi dagli oggetti, è associato alla fase di sospensione del ciclo respiratorio. Il ''[[samādhi]]'', lo stato di congiunzione finale del percorso yogico inteso come mezzo salvifico, è la realizzazione dell'unione fra ''jīvātman'' e ''Paramātman''.<ref name=El134/>
Un accento particolare in questa ''Upaniṣad'' è posto sulle ''[[siddhi]]'' (o ''vibhūti''), le "perfezioni", cioè i poteri extra-normali, quelle facoltà straordinarie che la pratica dello Yoga concederebbe: la [[chiaroveggenza]]; l'invisibilità del corpo; la capacità di trasformare metalli in oro; la capacità di volare; l'[[immortalità]]; eccetera.<ref name=El134/> Vi compare quindi descritta una fisiologia del corpo yogico che suddivide in cinque il corpo grossolano facendo corrispondere ogni parte a uno dei cinque elementi cosmici<ref>Questi sono: etere, ''ākāśa''; aria, ''vāyu''; fuoco, ''tejas''; acqua, ''ap''; terra, ''pṛthivī''.</ref>, a uno ''[[yantra]]''<ref>Gli ''yantra'' sono diagrammi simbolici in genere a struttura geometrica, "strumenti" adoperati nelle pratiche meditative o cultuali.</ref>, e a un ''bīja[[mantra]]''<ref>I ''bīja'' sono [[mantra]] monosillabici privi di significato semantico, ma simbolicamente rappresentanti [[śakti|potenze divine]] in forma fonica. Nell'ordine, dall'etere all'acqua, i ''bīja'' associati agli elementi cosmici sono: ''KA'', ''YA'', ''RA'', ''VA'', ''LA''.</ref>. Infine la ''Yogatattva Upaniṣad'' enumera una serie di ''[[āsana]]'', le posture da assumere durante la pratica.<ref name=El134/>
La ''[[Dhyānabindu Upaniṣad]]'' è caratterizzata da elementi tipicamente [[tantra|tantrici]], quali l'emancipazione dagli obblighi morali e sociali; il carattere pratico della conoscenza; una vena antidevozionale, dove le divinità sono simbolicamente rappresentate in varie forme. Il caso più evidente è la contemplazione del [[Brahman]] quale ''bījamantra'' [[OṂ]]. Il ''prāṇāyāma'', nei suoi tre momenti di inspirazione, sospensione ed espansione, simboleggia l'adorazione di [[
Di carattere simile è la ''[[Nādabindu Upaniṣad]]'', nella quale è interessante evidenziare l'attenzione che viene rivolta ai fenomeni auditivi che si producono durante la pratica, [[suono|suoni]] simbolici che costituiscono una misura del progresso nel percorso yogico.<ref name=El134/>
{{citazione|Lo yogin, postosi nella posizione del [[Siddhasana]] e praticando il Vaishnavi-mudra, dovrebbe sempre prestare ascolto al suono interiore col giusto orecchio.<ref>«''The Yogin being in the Siddhasana (posture) and practising the Vaishnavi-Mudra, should always hear the internal sound through the right ear.''»</ref>|Citato in ''[http://www.advaita.it/library/nadabindu.htm Nada-Bindu Upanishad]'', traduzione di K. Narayanasvami Aiyar.}}
''Nāda'' vuole infatti dire "suono", e la teoria si basa sulla convinzione che una delle manifestazioni dell'[[Brahman|Assoluto]] è quella in forma fonica. I suoni udibili sono distinti in tre livelli: nel primo si può udire il suono di un tuono, oppure di una cascata, oppure delle onde oceaniche; nel secondo il suono di un tamburo o di una campana; nel terzo di una piccola campana, oppure di un flauto o anche del ronzio di un'ape.<ref>Feuerstein 2011, p. 235.</ref> Lo yogin deve superare tali livelli usando quei suoni per fermare il divagare della propria coscienza (''[[citta]]''), a somiglianza di un serpente che viene immobilizzato dall'ascolto di musiche opportune. Quando egli non udirà più alcun suono, allora avrà raggiunto la liberazione (''[[mukti]]'').<ref>''[http://www.advaita.it/library/nadabindu.htm Nada-Bindu Upanishad] {{Webarchive|url=https://web.archive.org/web/20130901205454/http://www.advaita.it/library/nadabindu.htm |data=1 settembre 2013 }}'', traduzione di K. Narayanasvami Aiyar.</ref>
== Lo Yoga nelle tradizioni tantriche ==
[[File:Chakra Nepal.jpg|thumb|upright=0.7|Raffigurazione del corpo umano con raffigurati sette ''
Con l'espressione "Yoga tantrico" ci si vuol oggi generalmente riferire a una non ben precisata classe che comprende differenti forme di Yoga o presunte tali, sia tradizionali sia rivisitate in chiave moderna, che si allontanano dallo Yoga classico di Patañjali e dei suoi commentatori. In realtà non esiste uno "Yoga tantrico" come disciplina o pensiero a sé stante nelle tradizioni [[induismo|
Si ricorda infatti che il termine "[[tantrismo]]", come anche l'aggettivo "tantrico", oggi entrambi ben noti e diffusi, sono di uso relativamente recente: sconosciuti nel [[lingua sanscrita|sanscrito]], sono stati introdotti da studiosi occidentali nel XIX secolo con l'intento di riferirsi a certe pratiche e credenze religiose che apparivano estranee e distinte da ciò che allora si conosceva delle [[religione|religioni]] dell'[[India]]. Questo insieme di pratiche e credenze faceva spesso riferimento a testi definiti ''[[tantra (testi induisti)|Tantra]]'', testi sia in sanscrito che in lingue vernacolari: da qui i termini oggi adoperati.<ref>Padoux 2011, pp. 11-14.</ref>
▲{{vedi anche|Tantra}}
Ogni testo dei ''Tantra'' è suddiviso, o dovrebbe teoricamente essere suddiviso in quattro parti dette ''pāda''<ref>Il termine significa "piede".</ref>, che riguardano gli aspetti principali della vita del ''tāntrika'' (l'adepto di una tradizione): la dottrina (''jñāna''), il rituale (''kriyā''), il comportamento (''caryā'') e infine lo ''yoga,'' la pratica, ovvero i mezzi per ottenere la liberazione.<ref>Flood 2006, p. 218.</ref>
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{{vedi anche|Kuṇḍalinī}}
Gli organi principali del corpo sottile sono: i "canali", o "arterie" (''[[nāḍī]]''), fra i quali hanno maggior importanza la ''nāḍī'' centrale, la ''suṣumnā'', e le due laterali, ''iḍā'' e ''piṅgalā''; i "centri", o "ruote" (''[[
Sebbene il corpo yogico e il ruolo che la ''kuṇḍalinī'' vi svolge sono sempre presenti nell'interpretazione metafisica della pratica yogica, quest'ultima può anche contemplare vie che non chiamano direttamente in causa né gli elementi del corpo né la ''kuṇḍalinī'' stessa. È per esempio il caso dello ''[[śaktipāta]]'', la discesa della grazia divina che può egualmente condurre alla [[Mokṣa|liberazione]].<ref name="Padoux 2011, p. 98">Padoux 2011, p. 98.</ref>
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{{citazione|Diventa simile a Śiva|[[Vasugupta]], ''[[Śivasūtra]]'', III.25; in ''Gli aforismi di Śiva, con il commento di [[Kṣemarāja]]'', a cura e traduzione di [[Raffaele Torella]], Mimesis, 1999.|śivatulyo jāyate|lingua=sa}}
Nell'interpretazione filosofico-religiosa della liberazione lo Yoga tantrico si distingue quindi nettamente dallo Yoga classico, il quale si rifà alla
''Kuṇḍalinī-śakti'' che da arrotolota si drizza; risale lungo la ''suṣumnā''; attraversa e attiva i ''
Fra gli aspetti importanti dello Yoga tantrico non si può tralasciare di evidenziare il ruolo del maestro spirituale che segue l'adepto nel suo percorso di realizzazione: il ''[[guru]]''. È il ''guru'' che accetta il discepolo e lo inizia alla setta; è il ''guru'' che "personalizza" il percorso del discepolo (il ''[[sādhana]]'') e lo guida;<ref>Fra le altre cose è interessante qui menzionare come una delle attività del ''guru'' sia l'analisi dei [[sogno|sogni]]: {{citazione|Di buon mattino, dopo compiuto tutti i riti «perpetui» ed adorato Śiva, il Maestro deve esaminare quanto è stato visto in sogno da sé e dal discepolo commisurandone la forza.|[[Abhinavagupta]], ''[[Tantrāloka]]'', XV.483; in ''Luce delle scritture (Tantraloka)'', a cura di [[Raniero Gnoli]], UTET, edizione elettronica De Agostini, 2013.}}</ref> è il ''guru'' che può a sua discrezione anche liberare il discepolo intervenendo, per così dire, dall'esterno. La figura del ''guru'' è indispensabile in ogni forma di Yoga tradizionale, ma nelle tradizioni tantriche costui acquista un ruolo che assurge, per forza di cose,<ref>Un ''guru'' è sempre un liberato in vita, cioè un essere che ha realizzato in sé l'unione Śiva-Śakti, e in quanto tale è assimilabile a un Dio, tant'è che spesso lo si appella con ''guru[[deva]]''.</ref> al divino.<ref>Eliade 2010, p. 21.</ref><ref>Padoux, 2011, p. 182.</ref>
[[File:A style of nadi suddhi.JPG|thumb|upright=0.8|Pratica del ''nāḍīśodhana'', la purificazione dei canali energetici del corpo sottile mediante il controllo forzato della respirazione nasale.]]
''Haṭha'' è traducibile con "forza", "violenza", "ostinazione";<ref>Vedi ''[
Fondatore dello Haṭha Yoga è ritenuto essere [[Gorakhnāth]], vissuto intorno al XII secolo, esponente della setta ''[[shivaismo|śaiva]]'' dei [[Nātha]], o forse dell'ordine [[ascetismo|ascetico]] dei [[Kānphaṭa]] di cui è comunque ritenuto il fondatore, personaggio di cui sono note molte leggende ma quasi nulla di storicamente accertato.<ref name=El217/>
I testi principali dello Haṭha Yoga sono: la ''[[Haṭhayoga Pradīpikā]]'', del XV secolo; la ''[[Gheraṇḍa Saṃhitā]]'', che in parte si rifà al precedente; e la più tarda ''[[Śiva Saṃhitā]]'', con contenuti filosofici maggiormente elaborati e che risentono della scuola del [[Vedānta]].
▲{{vedi anche|Haṭha Yoga}}
L'attenzione principale di questi testi è rivolta a:<ref name=El217/>
* Purificazioni preliminari (le ''[[śodhana]]'', o anche ''dhauti''): riguardano sia il corpo grossolano sia quello sottile. Le prime non sono soltanto per la superficie esterna del corpo, ma soprattutto per quella degli organi interni: pulizia dello [[stomaco]], con inghiottimento di un pezzo di stoffa; dell'[[intestino crasso]], tramite lavaggio anale; delle cavità nasali; eccetera.
* Posture (gli ''[[āsana]]''): distinte in base agli effetti che producono, aspetti sia [[salute|fisici]] sia, per così dire, miracolosi, come la sparizione dei capelli
* Controllo della respirazione (il ''[[prāṇāyāma]]''): finalizzate anche al raggiungimento delle cosiddette "perfezioni", le [[siddhi]], ovvero i poteri magici, quali
* ''[[Mudrā]]'' (lett. "sigillo"): si tratta di gesture articolate che qui coinvolgono anche il corpo, come per esempio l'ostruzione della cavità orale durante il ''prāṇāyāma'' con l'azione della lingua rivolta all'indietro; oppure le pratiche per il risucchio del liquido seminale dopo il [[coito]].
Col tempo e con la costanza, assicurano i testi, oltre a fortificare il corpo e concedere poteri extra-ordinari, queste tecniche favoriscono l'ascesa di Kuṇḍalinī e dunque l'ottenimento del [[samādhi]].
;[[Kuṇḍalinī Yoga]]
[[File:Relief of a serpent deity, Gudilova, Andhra Pradesh, India - 20100118.jpg|thumb|Altorilievo presso Anandapuram, nel distretto di Visakhapatnam, sud-est dell'[[India]]. L'immagine testimonia la sopravvivenza dell'antichissimo culto dei serpenti, qui raffigurati in una coppia che corrisponde alla raffigurazione tradizionale delle due ''[[nāḍī]]'' laterali, ''iḍā'' e ''piṅgalā''; al centro si distingue un asse ideale con due fiori che rimandano ai ''
L'espressione "Kuṇḍalinī Yoga" è molto probabilmente di uso non tradizionale, e gli studiosi la associano a varie discipline o pratiche che riguardano, come il termine ''[[kuṇḍalinī]]'' suggerisce, la "manipolazione" di questa energia cosmico-divina che alcune tradizioni tantriche ritengono essere presente nel corpo umano normalmente in uno stato quiescente. In quanto tale, anche lo Haṭha Yoga è una forma di Kuṇḍalinī Yoga, sebbene la sua attenzione possa sembrare rivolta soltanto alla preparazione del corpo. L'accedemico francese [[André Padoux]] riferisce infatti come taluni preferiscano chiamare Kuṇḍalinī Yoga lo Haṭha Yoga:<ref>Padoux 2011, p. 96.</ref> L'indologo tedesco [[Georg Feuerstein]] fa notare come altri identifichino il rituale del Bhūtashuddhi<ref>Lett.: "purificazione degli elementi".</ref> con il Kuṇḍalinī Yoga. Si tratta di un rito visionario nel quale il praticante effettua la "dissoluzione" (''laya'') degli elementi ultimi della materia del proprio corpo (''mahābhūta'') l'uno nell'altro, fino a farli riassorbire nella Divinità Suprema.<ref>Feuerstein 2011, pp. 70-71.</ref> Essendo però questo un rito che contempla la dissoluzione degli elementi e non coinvolge direttamente la Kuṇḍalinī, esso è più correttamente inquadrato come appartenente allo "Yoga della dissoluzione", il "[[Laya Yoga]]", espressione, questa sì, di uso tradizionale. Vari testi infatti, tra i quali la tarda ''[[Yogaśikhā Upaniṣad]]'', classificano quattro forme di Yoga come principali:<ref>Feuerstein 2011, p. 216.</ref> il Raja Yoga, ovvero lo Yoga classico di Patañjali e dei suoi commentatori; lo Haṭha Yoga, lo Yoga della forza, di cui si è discusso in precedenza; il Laya Yoga, lo Yoga della dissoluzione; il [[Mantra Yoga]], lo Yoga che propone come via di realizzazione spirituale la recitazione dei [[mantra]].
Classificazioni e nomenclatura a parte, le pratiche del Kuṇḍalinī Yoga si distinguono dal ruolo determinante che vi svolge il corpo sottile, o corpo yogico, e dal fatto che la salvezza è intesa come il risultato dell'ascesa di Kuṇḍalinī in questo corpo sino al suo ricongiungimento con [[Śiva]].<ref>Padoux 2011, pp. 97-98.</ref><ref>Flood 2006, p. 135.</ref> Distinguendo dalle pratiche dello Haṭha Yoga, che storicamante sono appannaggio dell'ordine ''[[shivaismo|śaiva]]'' dei [[Kānphaṭa]], restano le tradizioni [[tantra|tantriche]] che fanno capo all'ordine dei [[Kāpālika]], evolutesi successivamente in quel variegato alveo di tradizioni e scuole che va sotto il nome di [[Kula (induismo)|Kula]].<ref>Flood 2006, p. 226.</ref> L'indologa francese [[Lilian Silburn]], che a lungo si è occupata di queste tradizioni, così commenta l'argomento:
{{citazione|Per provocare il risveglio della ''kuṇḍalinī'' nascosta in noi in forma attorcigliata, alcuni Kaula, adoratori dell'energia, non disdegnano il ricorso a pratiche concrete, le quali però non hanno niente in comune con le tecniche utilizzate dai sostenitori dello Haṭhayoga, poiché rifiutano lo sforzo continuo, la tensione della volontà, l'arresto brusco della respirazione o dell'emissione seminale.|[[Lilian Silburn]], in Silburn 1997, p. 69}}
L'indologa elenca i seguenti metodi: distruzione del pensiero dualizzante; interruzione del soffio; frullamento dei soffi; contemplazione delle estremità; espansione della via mediana. A questi vanno considerati aggiunti metodi di intervento "esterni", quali la cosiddetta "pratica del bastone" e l'iniziazione mediante penetrazione.<ref>Silburn 1977, cap. III.</ref>
;[[Laya Yoga]]
Il sostantivo maschile sanscrito ''laya'' sta per "dissoluzione"<ref>Per i significati del termine ''laya'', vedi ''[http://spokensanskrit.de/index.php?script=HK&beginning=0+&tinput=+laya&trans=Translate&direction=AU laya]'', ''spokensanskrit.de''.</ref>, e il riferimento è agli elementi costitutivi del cosmo. Il Laya Yoga è una pratica che mira al "riassorbimento" di questi elementi in uno stato prespaziale e pretemporale della materia,<ref name=GF>[[Georg Feuerstein]], ''Tantra. The path of ecstasy'', Shambala, 1998, pp. 178 e segg.</ref> là dove gli effetti del [[karma]] si annullano.
▲{{vedi anche|Laya Yoga}}
Secondo la visione del [[Sāṃkhya]], la scuola filosofica cui lo Yoga fa riferimento, la materia cosmica (la ''[[prakṛti]]'') dà luogo a tutto ciò che nell'universo esiste, sia materiale sia mentale, svolgendosi in una serie di elementi che sono alla base di ogni manifestazione. "Riassorbire" questi elementi, "dissolverli" nell'unità indifferenziata della ''prakṛti'', vuol dire, secondo il Laya Yoga, tornare in uno stadio originario al di là del ciclo delle rinascite (il ''[[saṃsāra]]''), ottenendo così la liberazione.
Il Laya Yoga fa uso di pratiche immaginative, inserite ovviamente in un preciso contesto religioso tradizionale. Secondo il ''[[Bhūtashuddhi Tantra]]'',
▲=== [[Mantra Yoga]] ===
Il Mantra Yoga è descritto in numerosi testi di epoca tarda, quali la ''[[Mantrayoga Saṃhitā]]'' (XVII-XVIII sec.), la ''[[Yogatattva Upaniṣad]]'' (successiva al XIV sec.), la ''Mantra Kaumudī'', ecc. La disciplina propone come via di realizzazione spirituale la recitazione dei [[mantra]].<ref>Feuerstein 2011, pp. 222-223.</ref>
Nelle tradizioni tantriche i mantra rivestono un'importanza primaria, essendo considerati la forma fonica di una divinità. Il loro uso è pressoché costante nella vita di un ''tāntrika'', sia nei vari culti e riti, sia nelle attività profane. Un mantra lo si riceve dal proprio ''guru'', non lo si può apprendere per ascolto o tramite lettura, e il loro uso è strettamente regolato dai testi sacri, pena la loro inefficacia.<ref>Padoux 2011, p. 137 e segg.</ref>
L'atto di enunciare un mantra è detto ''uccāra'' in [[lingua sanscrita]]; la sua ripetizione rituale va sotto il nome di ''japa'', ed è di solito praticata servendosi dell
È il caso, ad esempio del "Seme del Cuore", il ''bījamantra'' SAUḤ, dove: S è ''sat'' ("l'essere"), cioè l'Assoluto al di là della [[trascendenza]] e dell'[[immanenza]]; AU è l'insieme delle tre energie che dànno luogo alla manifestazione cosmica: volontà, conoscenza e azione; Ḥ è la capacità di emissione di Dio, in questo caso [[Śiva]] nella sua ipostasi [[Bhairava]]: स (SA) + औ (AU) + ''[[visarga]]'' = सौः (SAUḤ). Il mantra simboleggia quindi sia la manifestazione del cosmo presente in potenza in Dio, sia la sua immanenza nel mondo. SAUḤ è l'[[universo]] indifferenziato, unione di quiescenza ed emergenza, coscienza interiorizzata del divino, simbolo del cuore di Bhairava.<ref>Silburn 1997, p. 92 e segg.</ref><ref>SAUḤ è detto anche ''parābīja'' ("supremo ''bīja''), ''hṛdayabīja'' ("''bīja'' del cuore), o ''amṛtabīja'' ("nettare" dei ''bīja'').</ref> Nell'enunciazione di questi tre [[fonema|fonemi]], il praticante, con attenzione alla respirazione, visualizza l'ascesa di ''kuṇḍalinī'' nel proprio corpo, facendo così ritornare l'energia in Dio, nel suo "cuore".<ref>Padoux 2011, p. 145-146.</ref>
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== Origini dello Yoga ==
[[File:Carte Indus.jpg|thumb|I siti archeologici della civiltà vallinda indicati su carta geografica. Le antiche città erano distribuite lungo il fiume [[Sarasvati (fiume)|Sarasvati]], in seguito prosciugatosi.]]
Come si è visto, lo Yoga non appartiene alla [[civiltà vedica]] (2500 – 500 a.e.v.<ref>Flood 2006, p. 27.</ref>), anche se termini derivanti dalla medesima radice verbale del sostantivo (''yuj-'') risultano già attestati nelle ''[[Saṃhitā]]'' dei ''[[Veda]]''. Come concetto riconducibile al suo significato attuale, lo Yoga fa infatti la sua comparsa nelle successive ''[[Upaniṣad]]'' vediche del periodo medio, all'incirca fra il VI e il IV secolo a.e.v., per essere poi sistematizzato come disciplina e come filosofia in un periodo non ben individuato, fra il II sec. a.e.v. e il V secolo. Dunque, in base ai testi a nostra disposizione, si può concludere che lo Yoga si sia sviluppato o comunque imposto in un arco di tempo situato a cavallo degli inizi dell'era attuale. Ciò però non può confermare la supposizione che le origini siano anch'esse collocate in questo stesso periodo: l'ipotesi contraria è legittima almeno per due motivi. Innanzitutto ci troviamo in un periodo nel quale il mezzo principale di diffusione del sapere era ancora quello della [[tradizione orale]]<ref>Come fa opportunamente notare [[Jean Varenne]] (''Yoga and the Hindu tradition'', The University of Chicago Press, 1976, pp. 3-4), l'uso dell'oralità non è spiegabile soltanto in base a motivazioni di natura tecnica o storica: c'è qui la profonda convinzione che la [[Vāc|parola]] sia dotata di un potere che la scrittura non possiede.</ref>, mentre lo Yoga potrebbe essere sorto o sviluppatosi in fasce della popolazione non use alla scrittura o comunque lontane dal mondo [[brahmanesimo|
{{citazione|Lo Yoga ha contraddistinto, fin dalle origini, la reazione contro le speculazioni metafisiche e gli eccessi di un ritualismo fossilizzato.|Mircea Eliade, in Eliade 2010, p. 334}}
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[[File:Yogi. Mold of Seal, Indus valley civilization.jpg|thumb|Il sigillo in steatite ritrovato a [[Mohenjo-daro]] e raffigurante probabilmente una divinità in posizione yogica.]]
Di parere simile era già l'orientalista tedesco [[Robert Heinrich Zimmer]] (1890 – 1943), che osservava come lo Yoga sia strettamente connesso a teorie non rintracciabili nella ''[[Ṛgveda Saṃhitā]]'' e in generale nei ''Veda'', quali il ciclo delle rinascite (il ''[[saṃsāra]]'') con la relativa salvezza, e il concetto di anima individuale (il ''[[jīva]]''), aspetti invece già presenti nel primo periodo del pensiero [[giainismo|
Negli scavi archeologici che hanno portato alla scoperta della [[Civiltà della valle dell'Indo]], civiltà antecedente quella vedica e collocata fra il IV e il II millennio a.e.v., sono stati ritrovati alcuni [[sigillo (oggetto)|sigilli]] fra i quali uno che sembra raffigurare un individuo in una posizione che rimanda a quella yogica del ''[[siddhāsana]]'' o al ''[[sukhāsana]]''. Molti studiosi hanno identificato tale rappresentazione come quella di una [[Divinità cornute|divinità cornuta]] "prototipo" del dio vedico [[Paśupati]],<ref>Così anche l'archeologo [[John Hubert Marshall]] (1876 – 1958), responsabile degli scavi che nel 1921 portarono alla luce le città di [[Harappa]] e [[Mohenjo-daro]]. Cfr. anche [[David Lorenzen]], ''Encyclopedia of Religion'', vol. 12, Macmillan, 2004, p. 8039.</ref> il "Signore degli Animali". Erede di Paśupati è considerato essere [[Śiva]], una delle maggiori divinità dell'Induismo, fra i cui appellativi ritroviamo Mahāyogin, il "Grande Yogin", e anche Yogiśvara, il "Signore degli Yogin".<ref>Eliade 2010, p. 310.</ref> Anche se probabile, l'associazione è comunque una congettura, sottolinea l'accademico inglese [[Gavin Flood]], mentre altri studiosi dissentono, come l'[[indologia|indologo]] finnico [[Asko Parpola]], che ipotizza il sigillo raffigurare un toro seduto, similmente a quelli [[
La ricerca delle origini dello Yoga potrà forse essere «inutile» dal punto di vista dell'indagine [[filosofia|filosofica]], come sostiene l'orientalista italiano [[Giuseppe Tucci]]<ref>Giuseppe Tucci, ''Storia della filosofia indiana'', Editori Laterza, 2005, p. 69.</ref>, ma resta il fatto evidente che lo Yoga, provenendo da epoche remote, si è preservato fino ai nostri giorni adattandosi a ogni corrente filosofica del pensiero indiano,<ref>Eliade 2010, p. 333.</ref> e non solo: la sua diffusione prima in altri paesi dell'[[Asia]] e in epoca contemporanea anche in Occidente, seppur non secondo i canoni della tradizione, mostra come questa origine vada immaginata e ammessa nell'ideale antico quanto l'uomo che lo Yoga propone, quello di «vivere in un "eterno presente", al di fuori del Tempo»<ref>Così Mircea Eliade; in Eliade 2010, p. 336 e p. 337.</ref>.
== Note ==
== Bibliografia ==
* ''[[Bhagavadgītā]]'',
* ''Bhagavadgītā'', a cura di Anne-Marie Esnoul, traduzione di Bianca Candian, Adelphi, 2011.
* [[Surendranath Dasgupta]], ''Yoga Philosophy in Relation to Other Systems of Indian Thought'', Motilal Banarsidass, 2005.
* [[Shivananda|Swami Sivananda]], ''Lo yoga nella vita quotidiana'' (Yoga in daily life), traduzione di Giuliano Vecchiè. Roma, Casa editrice Astrolabio-Ubaldini, 1996.
* [[Mircea Eliade]], ''Lo Yoga. Immortalità e libertà'', a cura di Furio Jesi, traduzione di Giorgio Pagliaro, BUR, 2010.
* Mircea Eliade, ''Storia delle credenze e delle idee religiose'', Vol. II, traduzione di Maria Anna Massimello e Giulio Schiavoni, BUR, 2008.
* [[Swami Vivekananda]], ''Jnana-yoga. Lo yoga della conoscenza'' (The complete works, I), traduzione autorizzata di Lionello Stock. Roma, Casa editrice Astrolabio-Ubaldini, 1963.
* [[Swami Vivekananda]], ''Yoga pratici. Karma-yoga, Bhakti-yoga, Raja-yoga'' (The complete works, II), traduzioni autorizzate di Augusta Mattioli e Giulio Cogni. Roma, Casa editrice Astrolabio-Ubaldini, 1963.
* [[Georg Feuerstein]], ''The Encyclopedia of Yoga and Tantra'', Shambhala, 2011.
* [[Gavin Flood]], ''L'induismo'', traduzione di Mimma Congedo, Einaudi, 2006.
* [[Heinz Grill]], ''La dimensione dell'anima nello Yoga'', 3ª edizione ampliata, Casa Editrice per le Belle Arti, 2019.
*
* {{cita libro |autore =Gerald James Larson |titolo =The Encyclopedia of Indian Philosophies: Vol. 12 Yoga: India's philosophy of meditation |url=https://books.google.com/books?id=p6pURGdBBmIC |anno =2008 |città = New Delhi|editore =Motilal Banarsidass |isbn =978-81-208-3349-4 }}
* [[André Padoux]], ''Tantra'', a cura di Raffaele Torella, traduzione di Carmela Mastrangelo, Einaudi, 2011.
* André Padoux, ''Mantra tantrici'' (Tantric mantras), traduzione di Gianluca Pistilli. Roma, Casa editrice Astrolabio-Ubaldini, 2012.
* [[Lilian Silburn]], ''La Kuṇḍalinī o L'energia del profondo'', traduzione di Francesco Sferra, Adelphi, 1997.
* I. K. Taimni, ''La scienza dello yoga. Commento agli Yogasūtra di Patañjali'', traduzione di Renato Pedio. Roma, Casa editrice Astrolabio-Ubaldini, 1970.
== Voci correlate ==
* [[Templi Yogini]]
* [[Vāyu (yoga)]]
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▲{{Yoga}}
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