Filippiche (Cicerone): differenze tra le versioni
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{{Libro
|titolo = Filippiche
|titoloorig = Philippicae
|immagine = Manuscript of Cicero - BL Kings MS 21 f. 2.jpg
|didascalia =''Incipit'' dell'opera in un manoscritto del XV secolo
|annoorig = [[43 a.C.]]
|forza_cat_anno = no
|genere = orazione
|lingua = la
|editioprinceps = [[Roma]], 1470 ([[Ulrich Han]])
}}
Le '''Filippiche''' sono orazioni che [[Marco Tullio Cicerone]] pronunciò contro [[Marco Antonio]] dal 2 settembre del 44 a.C. al 21 aprile del 43 a.C., ad eccezione della II Filippica, immaginata come pronunciata in [[Senato romano|Senato]], in risposta agli sprezzanti attacchi di Antonio nei suoi riguardi durante l'assemblea del 19 settembre (a cui Cicerone non partecipò). Questa orazione di Cicerone, accuratamente preparata nella sua villa a [[Pozzuoli]], poi inviata all'amico [[Tito Pomponio Attico|Attico]], che ne apprezzò molto la ''vis'' retorica, e mai pronunciata, venne presumibilmente fatta circolare negli ambienti politici romani prima del 20 dicembre del 44 a.C., giorno in cui la III e la IV Filippica vennero presentate rispettivamente in Senato e davanti al popolo.
== Introduzione ==
[[File:M Antonius.jpg|thumb|left|[[Marco Antonio]]]]
La denominazione di "''Philippicae''" venne attribuita dallo stesso Cicerone alle sue orazioni, tra il serio e il faceto, in una lettera a [[Marco Giunio Bruto|Bruto]]<ref>Ad. Brut. 2,3,4.</ref> con lo scopo di omaggiare il grande oratore greco [[Demostene]], suo grande modello, non solo dal punto di vista oratorio, ma anche morale e patriottico. Difatti, come l'oratore greco si scagliò contro [[Filippo II di Macedonia]], facendosi promotore della difesa e della libertà dello Stato, Cicerone, schierandosi contro Antonio, si prefisse di raggiungere nelle Cesarine e nelle Filippiche l'eloquenza demostenica sotto il profilo retorico e oratorio.<ref name="ref_D">CICERO, Marcus Tullius,
''Le Orazioni'', a cura di G. Bellardi, ed. UTET, vol. IV, Torino, 1978, p.59.</ref> Questo perché Demostene rappresentava per Cicerone il modello ideale dell'oratore politico che si è formato attraverso lo studio dei testi filosofici.<ref name="ref_D" />
Inoltre
La tradizione storiografica<ref>SEN. ''Suas''
VI-VII; ''GELL''. I 22,17.</ref> attesta per
Ventidio era chiamato “mulattiere (''mulio'')
nelle Filippiche”: quasi certamente doveva trattarsi di una Filippica
posteriore alla XIV perché Cicerone dà a Ventidio lo stesso appellativo in una
lettera (''Fam.'' 10, 18, 3) che è del 18
maggio 43.</ref> Secondo altri autorevoli studiosi come [[Gian Biagio Conte]] e Bruno Mosca, in origine le Filippiche dovevano essere probabilmente 18, ma oggi ne sono giunte solo 14.<ref>AA. VV. ''Scriptorium'',
coordinata e diretta da G. B. Conte, Le Monnier, Firenze, 2000 vol. II, p. 857.</ref> Tra le orazioni andate smarrite, una molto conosciuta ai tempi, doveva essere quella pronunciata in
p. 62</ref> subito dopo
Le Filippiche costituiscono un importante documento dell'acceso contrasto tra Cicerone e Antonio, scoppiato durante gli ultimi mesi di vita della [[Repubblica
Dunque, queste sue ultime orazioni possono essere considerate come un vero e proprio testamento morale che Cicerone lasciò al popolo romano: le sue impetuose parole mantennero per mesi desta l'attenzione del popolo sulla lotta politica e sull'urgenza e il dovere di difendere l'integrità della patria.
Il contrasto tra Cicerone e Marco Antonio ebbe origine all'indomani dell'uccisione di Cesare: la plebe urbana acclamava ancora il defunto e si schierava apertamente contro i suoi uccisori (non giudicandoli affatto come dei
Così si giunse ben presto a un compromesso tra la fazione senatoria e i cesaricidi, che prevedeva l'amnistia per i congiurati (promossa anche da Cicerone) e la ratifica di tutti gli atti e le disposizioni di Cesare. Ma il compromesso ebbe breve durata. Mentre i congiurati, investiti di varie cariche in lontane province romane, abbandonavano la città, Antonio abilmente cercava di trarre a sé tutte le forze tradizionalmente favorevoli a [[Cesare]] (soprattutto i veterani di Cesare e alcuni settori del [[Senato romano|Senato]]), rafforzando così la propria posizione politica e militare e palesando l'intenzione di vendicarsi dei presunti "liberatori".
L'aggravarsi della situazione indusse Cicerone a tenersi alla larga dai vari giochi delle fazioni politiche, in attesa di tempi migliori (pensava probabilmente che una situazione più favorevole sarebbe giunta con l'entrata in carica dei consoli [[aulo Irzio|Irzio]] e [[Gaio Vibio Pansa|Pansa]], cesariani moderati), e a lasciare [[Roma]] per intraprendere un viaggio in [[Grecia]]. Ma fu costretto a interrompere il suo viaggio e a tornare subito a Roma, dove sempre più tesi si facevano i rapporti tra Antonio e il
Cicerone, così, giunto in
La parola e la politica''”. Editori''
Laterza, Roma – Bari, 2009, p.418.</ref> Ma la violenta invettiva scagliata da Antonio contro Cicerone il 19 settembre in assemblea segnò la totale rottura tra i due.
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Infatti nella sua seconda orazione i toni si fanno più accesi: vengono lungamente descritte la corrotta e dissipata giovinezza di Antonio e la sua successiva carriera politica, segnata da un'umiliante e continua ricerca di sostenitori.
Anche nelle altre Filippiche Cicerone metterà in evidenza i tratti più turpi di Antonio, gli stessi con cui Demostene dipingeva la figura del tiranno [[Filippo II di Macedonia|Filippo di Macedonia]].
Cicerone, ormai anziano, si lanciava con tutto il suo ardore in questa sua ultima battaglia, proprio per ritrovare quell'antica gloria di quando aveva salvato la patria
A partire dalla seconda, in tutte le 14 orazioni è evidente la fermezza dell'oratore che segue la linea dell'intransigenza nei confronti dell'azione antoniana, e abbandona definitivamente quella politica
Narducci, “''Cicerone. La parola e la''
politica''”. Editori Laterza, Roma – Bari, 2009, p.420.''</ref>
Con le sue serrate argomentazioni Cicerone mira principalmente a indebolire e separare il partito antoniano in
A tal fine Cicerone giustifica e glorifica l'illegale azione politico-militare di Ottaviano (illegale al pari di quella di Antonio) e di tutte le milizie che si sono schierate dalla sua parte. Inoltre egli non si astiene di certo da aspri giudizi nei confronti dell'assemblea senatoria, troppo debole e indugiante, al fine di indurla a condannare tutte quelle iniziative private che si andavano a sostituire alle sue deliberazioni.
Sebbene i suoi discorsi siano pieni di parole elogiative nei riguardi di Ottaviano, probabilmente nel pensiero politico ciceroniano questi non rappresenta nient'altro che il male minore, anche se l'unico davvero all'altezza di contrastare Antonio e di attirare i vecchi cesariani dalla parte della
Narducci, “Cicerone. La parola e la politica”. Editori Laterza, Roma – Bari,
2009, pp.420-421.</ref>
Ottaviano, dopo aver collaborato per qualche tempo con il
Pani, E. Todisco, ''Storia romana dalle''
origini alla tarda antichità'', Carocci, Roma, 2008, p. 187.''</ref> con lo scopo di ricostituire la Repubblica (''rei publicae Constituende''); esso consisteva in una magistratura ''cum'' ''imperio c''he consentiva ai triumviri di mantenere gli eserciti, convocare il
Uno dei primi provvedimenti presi dai
Fu [[Tito Livio]], che nel descrivere la morte di Cicerone, compose il panegirico più equo; ce lo trasmette [[Lucio Anneo Seneca|Seneca]]:
''«
6, 18–22.</ref>
=== Filippica I ===
All'indomani della morte di Cesare ad opera dei cosiddetti cesaricidi ([[Marco Giunio Bruto|Bruto]], [[Gaio Cassio Longino|Cassio]], [[Trebonio]], [[Lucio Tillio Cimbro|Cimbro]], etc.) Cicerone ripercorre la situazione politica precedente e conseguente alla morte del dittatore. Egli, fiducioso inizialmente dei buoni propositi del console [[Marco Antonio]] di risollevare le sorti della ''res publica'' scossa da questi eventi, il 2 settembre del 44 a.C. scriverà e pronuncerà in Senato (nel tempio della Concordia) la sua prima Filippica.
Cesare per ottenere il pieno controllo dell'assemblea senatoria, si era fatto circondare da uomini a lui devoti; dopo il suo assassinio erano, dunque, ancora molti i senatori che sia per opportunismo sia per convinzione erano rimasti di fede cesariana. Si arrivò ad una vera e propria "amnistia" tra il console Antonio e il Senato riguardo alla questione dell'approvazione degli atti o leggi di Cesare. Il 17 marzo del 44 a.C., Cicerone è convocato nella Curia da Antonio il quale si dimostra concorde e con una buona disposizione d'animo circa i provvedimenti e le leggi del defunto Cesare fatte approvare. Inoltre il console, in virtù di uno spirito di pacificazione generale, si riavvicinò anche al suo collega console [[Publio Cornelio Dolabella]] in precedenza allontanato per privata inimicizia e ostacolato nella sua nomina consolare durante i comizi (50-49 a.C.). Cicerone ha la sensazione di trovarsi di fronte a un nuovo paladino della repubblica e, infatti, di lì a poco M. Antonio sarà artefice di un importante e straordinario atto: la radicale e definitiva eliminazione della costituzione della dittatura.
''"Lascio da parte molti altri'' ''particolari provvedimenti di M.Antonio pur essi degni di nota, ma ho fretta di'' ''parlare di uno davvero straordinario: la radicale eliminazione della nostra'' ''costituzione della dittatura''.''»''<ref>CICERO, Marcus Tullius,
''Le Orazioni'', a cura di G. Bellardi,
ed. UTET, vol. IV, Torino, 1978,
Il Senato stesso era libero e svincolato da pressioni forti prima troppo evidenti; i cesaricidi non furono processati come nemici della patria o condannati a morte bensì venivano acclamati dal popolo come dei liberatori. Tuttavia, dopo quel giorno Antonio manifestò chiaramente la sua ambizione e la sua volontà di acquisire sempre più potere e controllo della situazione. Il 1º giugno del 44 a.C. Antonio convoca il Senato e ormai "''tutto era cambiato''",''<ref>CICERO, Marcus Tullius, Le Orazioni, a cura di G. Bellardi, ed. UTET, vol. IV, Torino, 1978, p.189.</ref>'' Cicerone testimonia come nell'aria si stava diffondendo una pericolosa e malsana inquietudine; la fazione senatoria era debole e facilmente manovrabile da alcune personalità (Antonio e Dolabella) e la stessa assemblea popolare era di fatto usata come strumento per far passare importanti decisioni politiche. Difatti il popolo, che vedeva in Antonio l'erede di [[Gaio Giulio Cesare|Cesare]], scosso dal suo discorso mise in piedi un incendio utilizzando le panche e le porte della Curia dove arse il corpo del defunto dittatore simbolo di sacrificio verso la divinità. Per quanto riguarda i cesaricidi, dapprima elogiati e glorificati, adesso venivano minacciati e allontanati dalla città di Roma; il console Antonio non si fermò qui. Infatti, egli valendosi degli atti di Cesare li falsificò per i suoi piani di prestigio e ricchezza personale. [[Roma]] era diventata schiava della volontà di Antonio e Cicerone, inorridito dall'agire di costui, decise di mantenersi lontano dall'Urbe (atteggiamento moderato e conservatore) impegnandosi in una missione onoraria legalmente riconosciuta (''legatio libera'') con la speranza di ritornare il 1º gennaio del 43 a.C. data di convocazione della nuova sessione del Senato (l'elezione dei consoli designati [[Aulo Irzio|Irzio]] e [[Gaio Vibio Pansa|Pansa]]). Spiegato, dunque, il motivo della sua partenza da Roma ora l'oratore espone all'assemblea riunita il perché del suo ritorno. Mentre si trovava nei pressi di Reggio a causa delle condizioni atmosferiche sfavorevoli, Cicerone fu informato di numerosi avvenimenti successi durante la sua assenza dalla città: ad esempio il discorso di Antonio tenuto davanti al popolo, l'Editto di [[Cassio]] e [[Marco Giunio Bruto|Bruto]] pieno di spirito di giustizia e il discorso tenuto in Senato dal console [[L. Pisone]].Tutto ciò motiva e sprona Cicerone a far rientro a Roma visti tali movimenti e situazioni alquanto favorevoli per la causa della ''libertas'' delle istituzioni repubblicane.
Il 1º settembre del 44 a.C. Antonio avrebbe convocato il Senato e si sarebbe dimostrato vicino alle posizioni dei molti, in un clima di assoluta comunione e rispetto per il raggiungimento di un bene comune, oltre che di riconoscere le gesta di Cesare in segno
Innanzitutto il senatore Cicerone ammette di fronte al Senato, nella sua prima Filippica, comunque la validità degli atti di Cesare dato che le leggi sono i ''remedia'' utili alla rifondazione dello Stato. I provvedimenti del defunto dittatore devono essere sempre validi e riconosciuti universalmente da tutti (in
Cicerone teme che sia Antonio che Dolabella si siano concentrati sul potere personale o sul
In questa prima Filippica domina
Cicerone, in conclusione
A questo punto, dopo il pesante attacco di Antonio, Cicerone decide di rispondere. Tra il settembre e il novembre (forse pubblicata il 12 novembre) del 44 a.C. Cicerone pubblica la sua seconda Filippica, anzi, la cosiddetta
Cicerone comincia con il paragonare
Ciò nonostante, le accuse e le battute tra i due uomini di Roma non si arrestano ma anzi diventano sempre più pungenti e diffamanti. Ormai la diplomazia utilizzata da Cicerone nella prima Filippica, cede il posto alla denuncia nei confronti di Antonio e dei suoi costumi privati dissoluti e viziosi. Cicerone, dialetticamente, risponde a ogni accusa del suo avversario riducendo il discorso di Antonio a un cumulo di falsità e millanteria: dalla presunta ingratitudine di Cicerone durante gli eventi di Brindisi alle gravi accuse di aver lui stesso provocato la discordia tra [[Gaio Giulio Cesare|Cesare]] e [[Gneo Pompeo Magno|Pompeo]] originando la [[Guerra civile romana (49-45 a.C.)|guerra civile]] e di aver preso parte alla [[cesaricidio|congiura dei cesaricidi]]. Infatti, Cicerone afferma di aver sì più volte consigliato a Pompeo di opporsi a Cesare, ma quando i due si allearono fu proprio Cicerone a sperare che tale alleanza durasse evitando perciò la guerra intestina.
«''Quanto poi all'altra accusa che hai osato muovermi affermando con abbondanza di parole che la rottura dell'amicizia tra Cesare e Pompeo fu opera mia e che la responsabilità della guerra civile che ne derivò ricade su di me, non ti sei davvero sbagliato del tutto, ma, ed è qui la cosa più grave, hai commesso un errore di cronologia… Dopo che, però, Pompeo si consegnò tutto nelle mani di Cesare, perché avrei dovuto cercare di staccarlo da lui? Sperarlo sarebbe stata stoltezza, esortarlo improntitudine''».<ref>CICERO, Marcus Tullius, ''Le Orazioni'', a cura di G. Bellardi, ed. UTET, vol. IV, Torino, 1978, pp. 236-239.</ref>
Quanto all'aver partecipato attivamente al piano dei cesaricidi che avrebbe portato all'uccisione del dittatore, come Antonio ha affermato, è per Cicerone un elogio più che un'accusa dato che la morte di Cesare è stata consensualmente voluta da tutti i cittadini onesti di Roma perché ha liberato la ''res publica'' dalla tirannia. Lo stesso Antonio, in precedenza in data 17 marzo 44 a.C., si era dimostrato benevolo nei confronti degli assassini di Cesare come Bruto e Cassio. Vi è contraddizione, dunque, nel discorso di Antonio: se il cesaricidio è stato un atto giusto, quale sarebbe la colpa di Cicerone se pure vi avesse partecipato? E ancora, se invece è stato un turpe assassino perché Antonio ha premiato i suoi principali artefici? Un console in carica qual è Antonio, secondo l'oratore, non può più avere dubbi o ripensamenti su questioni così importanti e cruciali.
Terminata l'autodifesa di Cicerone rispetto alla serie di accuse mosse da Antonio verso di lui, nella seconda parte dell'orazione egli parte all'attacco mostrando i vizi e gli inganni di Antonio che hanno caratterizzato tutta la sua vita sia politica sia sociale. Cicerone si dimostra implacabile nei confronti del suo antagonista ripercorrendo la sua libidinosa giovinezza, accolto nella famiglia di Curione; l'intimità con [[Publio Clodio Pulcro|Clodio]], che pure cercò di uccidere e i numerosi debiti che tentò di pagare grazie all'aiuto di Cesare nella sua elezione prima a [[questore (storia romana)|questore]] (52 a.C.) e poi a [[tribuno della plebe]] (50 a.C.). Proprio in quest'ultima veste Antonio utilizzò il potere di veto in Senato contro i provvedimenti di Cesare nel 49 a.C. (Cesare era disposto ad allearsi con Pompeo), la Curia dovette votare un intervento straordinario che annullava lo ''ius intercessionis'' dei tribuni.
La seconda Filippica, dallo stile vibrante ed energico, continua con taglienti denunce contro Antonio reo di aver proseguito nelle sue turpitudini danneggiando i più illustri cittadini (come [[Lucio Domizio Enobarbo (console 54 a.C.)|Lucio Domizio]] durante la [[battaglia di Farsalo]]) e macchiandosi di grande infamia in occasione dell'acquisizione illegittima dell'eredità di quel grand'uomo quale fu Pompeo. Ma ciò che più offende la morale di Cicerone è il pensiero di Antonio che abita nella casa di Pompeo.
Continuando nell'elenco degli "esempi di vita" di Antonio, l'Arpinate ricorda come tale uomo bestiale ostacolò persino l'elezione a console di [[Publio Cornelio Dolabella|Dolabella]]. Quest'ultimo durante gli scontri contro i figli di Pompeo, i quali rivendicavano i beni e i diritti da Antonio, rimase ferito al suo posto mentre lui si fermò a Narbona con la scusa delle difficoltà del viaggio. Con le solite lusinghe e piaggerie recuperò l'amicizia di Cesare e, non solo fu eletto console ma approfittò anche della sua carica di augere per falsificare i comizi impedendo a Dolabella di giungere al consolato.
Cicerone ricorda il discorso che Antonio pronunciò durante l'elogio funebre di Cesare (15 marzo del 44 a.C.), nel quale esortò i romani alla pacificazione e abolì la dittatura; ma, successivamente, egli prese a sfruttare il proprio potere personale per altri scopi. Infatti, si impadronì del tesoro (700 milioni di sesterzi)<ref>PARETI, Luigi, “''Storia di Roma e del mondo romano''”, Utet, Torino, 1955, vol. IV, p. 355.</ref> che Cesare aveva raccolto per la guerra contro i Parti al fine di estinguere i suoi ingenti debiti e quelli di Dolabella assicurandosi il sostegno delle province e delle colonie.
Ormai Antonio, commenta l'Arpinate, è oppresso dal potere e dal prestigio che annebbiano il proprio animo. Antonio difende gli atti o "leggi" di Cesare ma li modifica e li falsifica a suo piacimento e vantaggio; se non l'onestà almeno la ''prudentia'' dovrebbe esortarlo a rivedere il proprio operato che gli attira contro la condanna dei giusti e l'odio dei concittadini.
L'oratore ha finito e conclude la sua Filippica: non gli rimane che sperare che il famoso triumviro si riconcili con la repubblica e continui a difendere la libertà della patria anche a costo della vita.
=== Filippica III ===
Cicerone pronunciò questa sua Filippica durante la seduta del Senato del 20 dicembre 44, presso il [[Tempio della Concordia (Roma)|Tempio della Concordia]]. Dalla data in cui egli immagina di aver pronunciato la II Filippica sono trascorsi tre mesi densi di avvenimenti, in cui la figura di Antonio sembra sempre più accrescersi e configurarsi come una pericolosa minaccia per la repubblica, mentre nella scena politica dell'Urbe fa per la prima volta il suo ingresso un personaggio nuovo: il diciannovenne pronipote di Cesare, [[Augusto|Gaio Giulio Cesare Ottaviano]]. Il contrasto tra i due non tardò a manifestarsi.
I primi giorni di ottobre (44) Antonio diede l'incarico al fratello [[Gaio Antonio Ibrida|Gaio]] di trasportare per mare, fino alle coste dell'Apulia, le cinque legioni macedoniche che gli erano state assegnate nella seduta del Senato del 17 marzo (44). In questa circostanza Antonio, ordendo maneggi nei comizi, aveva fatto ratificare una legge che mutava l'assegnazione di quelle province che dovevano essere attribuite ai consoli alla fine del loro mandato: la [[Siria (provincia romana)|Siria]] venne tolta a [[Gaio Cassio Longino|Cassio]] e assegnata al collega di Antonio, il console Dolabella, e la [[Macedonia (provincia romana)|Macedonia]], invece, da [[Marco Giunio Bruto|Marco Bruto]] passò nelle mani del fratello di Antonio, [[Gaio Antonio Ibrida|Gaio]].
Il 9 ottobre Marco Antonio, insieme alla moglie [[Fulvia (moglie di Marco Antonio)|Fulvia]], partì per [[Brindisi]] per raggiungere le sue legioni, che nel frattempo erano passate dalla parte del giovane Ottaviano, figlio adottivo ed erede di Cesare, la cui azione politica era chiaramente tesa ad ostacolare le alte ambizioni di Antonio.
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di G. Bellardi, ed. UTET, vol. IV, Torino, 1978, pp.34-35.</ref>
Egli non mancò, inoltre, di dimostrare la sua ammirazione nei confronti di Cicerone, il quale, a sua volta, sperava di trarlo nella coalizione antiantoniana e di farne il suo principale strumento: proprio la situazione politica, che sembra volgere a favore di Antonio, gli fece accettare come azione necessaria il ''privatum
Nel frattempo Antonio, tornato a Roma, aveva convocato il
Nelle terre tra la [[Campania]] e il [[Lazio]], intanto, Ottaviano continuava ad accrescere il suo esercito, giungendo così alla fine a sottrargli la [[Legio Martia|legione Marzia]], colpita più delle altre dalla strage dei centurioni.
Proprio al principio della seduta del 28 novembre giunse ad Antonio la notizia che anche la Quarta legione era passata sotto il comando di Ottaviano; perciò egli, vedendo che la situazione nelle province stava ormai degenerando, decise di partire immediatamente per la [[Gallia Cisalpina]].
Cicerone sottolinea in questa orazione come Antonio, in sembianze di fuggiasco e senza fare i solenni sacrifici nel tempio di Giove Capitolino, partì per la lontana Gallia. Questi, inoltre, aveva ordinato al fratello Lucio di condurre per lui a [[Rimini]] le tre legioni sbarcate a [[Brindisi]], con il chiaro intento di costringere [[Decimo Giunio Bruto Albino|Decimo Bruto]] a cedergli la [[Gallia Cisalpina|Cisalpina]] il più presto possibile, prima che potesse ricevere aiuti da parte di Ottaviano. Ma la risposta di D. Bruto non si fece attendere: egli ordinò prontamente nuove leve per accrescere le sue milizie e con un editto dichiarò solennemente che avrebbe difeso con le armi la sua provincia, con il fine di conservarla nell'obbedienza del Senato e del popolo romano.
Di conseguenza, diventava necessaria la convocazione del
L'urgenza di tale convocazione era data dal fatto che il 1º gennaio (43) sarebbero entrati in carica i nuovi consoli [[aulo Irzio|Irzio]] e [[Gaio Vibio Pansa|Pansa]], mentre sarebbe decaduto dalla carica di console e di comandante supremo dell'esercito Antonio, la cui azione, non approvata dal
In seguito a questi avvenimenti e in assenza dei consoli e dei pretori, i nuovi tribuni della plebe (eletti ai primi di dicembre) convocarono il
Il veloce stravolgimento della situazione politica spinse Cicerone a partecipare alla seduta e a pronunciare questa sua orazione, in veste di difensore e salvatore della patria: si profilava all'orizzonte una nuova guerra civile, rappresentata dalla minacciosa marcia di Antonio contro D. Bruto.
Proprio per questo motivo Cicerone ribadiva con forza che il
Mentre Cicerone propone all'assemblea di elogiare e premiare tutti coloro che si erano consacrati al bene della repubblica, cioè i veterani arruolati da Ottaviano e le legioni Marzia e Quarta (anch'esse passate dalla parte antiantoniana), si scaglia invece con veemenza contro Antonio, rammentando tutte le nefandezze da lui commesse dopo la morte di Cesare:
Antonio, dopo la vergognosa offerta a Cesare del diadema reale, non dovrebbe più essere considerato un console, ma ritenuto più scellerato di [[Tarquinio il Superbo]], cacciato da Roma da [[Lucio Giunio Bruto|Lucio Bruto]], glorioso antenato di Decimo Bruto. Antonio era di
D. Bruto, degno del suo antenato, vi si è opposto fermamente, impedendogli l'entrata in Gallia e non riconoscendone più l'autorità di console, poiché la sua azione derivava da un ''privatum consilium''.
Cicerone propone di sanzionare con una delibera ufficiale del
Queste richieste Cicerone le raggruppa nella perorazione finale, che in seguito vennero accolte e approvate dal
Cicerone si sofferma a lungo sul comportamento da ''hostis'' di Antonio, volendo indurre il
«''Ecco dunque compresa in questa mia proposta che ha, lo sento, la vostra approvazione, la totalità dell'attuale situazione: agli eminenti generali confermiamo ufficialmente poteri legali, ai valorosi soldati facciamo balenare la speranza di ricompense e riconosciamo non già con un giudizio verbale ma con la concretezza dei fatti che Antonio, oltre a non essere più console, è pure nemico pubblico.''»<ref>CICERO, Marcus Tullius, “''Le Orazioni”'', a cura di G. Bellardi, ed. UTET, vol. IV, Torino, 1978, pp. 334-335.</ref>
L'oratore sottolinea come in questa seduta del 20 dicembre il
Infatti il ''privatum consilium'' di Ottaviano, non molto lontano da un colpo di
La IV Filippica venne pronunciata probabilmente nel pomeriggio del giorno stesso in cui avvenne la seduta del Senato del 20 dicembre, presso i [[Rostri]] del [[Foro Romano]], pubblica e famosa tribuna da cui si parlava al popolo.
Dopo la seduta, il tribuno della plebe Marco Servilio Casca convocò l'assemblea popolare (''[[Contiones|contio]]'') e presentò al pubblico Cicerone, il quale espose le deliberazioni votate in
Nella seduta si era decretato che fossero disposti dei mezzi atti a tutelare il libero svolgersi delle future adunanze del
Inoltre il
L'oratore era ben consapevole che tutto ciò dovesse essere opportunamente esposto e illustrato al popolo, affinché anch'esso partecipasse alla nuova politica di cui si andavano ponendo le basi.
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Cicerone, infatti, con grande enfasi e argomentazioni serrate, pone l'accento sulla necessità di considerare e dichiarare Antonio un ''hostis'', giudizio che l'uditorio sembrava confermare con il suo fervido e sincero plauso.
È proprio per mezzo della sua abilità oratoria che Cicerone tenta di esercitare sul
Anche gli dei esaudiranno presto le preghiere del popolo romano che ora reclama con forza la rovina di Antonio e della sua banda di criminali, il cui unico scopo è il bottino, ancora forse non paghi a sufficienza né della distribuzione dei beni e delle terre, né della vendita dei beni pompeiani, fatta proprio dal loro capo.
Cicerone abilmente fa leva sui sentimenti patriottici del suo uditorio, esaltando l'intesa tra il popolo e il
«''E così accadrà, ne ho
Cicerone, ponendo l'accento sulla ''virtus'' romana che animò un tempo i gloriosi avi durante le varie guerre e conquiste di regni e popoli, si dimostra convinto del fatto che ben presto verrà debellata quella pericolosa minaccia costituita da Antonio, un brigante al pari di [[Spartaco]], ma anche peggiore del terribile [[Lucio Sergio Catilina|Catilina]].
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Tutta la perorazione finale sembra volta a rinnovare la sua volontà di porsi quale salvatore della patria, proprio come lo è stato al tempo della congiura di Catilina.
La V Filippica è ufficialmente il discorso pronunciato da Cicerone il 1º gennaio 43, ma in essa, attraverso una successiva rielaborazione in vista della pubblicazione, sono inseriti anche riferimenti alle sedute dei giorni seguenti, fino alle deliberazioni del
La seduta del
Durante l'assemblea, per primo intervenne il consolare [[Quinto Fufio Caleno|Q. Fufio Caleno]], fervente sostenitore di Antonio e suocero di Pansa, che propose di inviare un'ambasceria ad Antonio al fine di giungere ad un pacifico accordo.
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Subito dopo prese la parola Cicerone, il quale, disapprovando energicamente la proposta di Caleno e riferendosi alla relazione dei consoli, promosse invece un intervento più incisivo: la dichiarazione dello stato di guerra. La seduta si prolungò, con vari interventi, fino a sera, per esser poi ripresa l'indomani.
La proposta di Cicerone sembrava aver convinto la maggior parte dei senatori, ma il tribuno Salvio, ponendo il veto, decise infine di far aggiornare la seduta il giorno dopo.
Nella seduta del 3 gennaio un altro senatore autorevole, [[Lucio Calpurnio Pisone Cesonino (console 58 a.C.)|L. Pisone]], non sostenne la posizione ciceroniana, in quanto riteneva fortemente ingiusto il fatto che non si ascoltasse Antonio prima di muovergli guerra, avvicinandosi così alla proposta di Caleno.
Nella seduta del 4 gennaio il
Tuttavia alla fazione antiantoniana venne concessa l'abrogazione della legge agraria di Antonio, caldeggiata da [[Lucio Giulio Cesare (console 64 a.C.)|Lucio Cesare]], zio dello stesso Antonio ma non suo sostenitore in
In questa orazione Cicerone rinnova le sue accuse contro Antonio, reo di aver compiuto alcuni atti incostituzionali: ha fatto approvare delle leggi senza il consenso popolare, mediante il ricorso alla violenza e a dispetto degli auspici (in particolare lo accusa di non aver rispettato l'iter legislativo previsto dalla ''[[lex Caecilia Didia]]''<ref>{{Cita|Rotondi|p. 335}}.</ref> e dalla ''[[lex Iunia Licinia]]''<ref>{{Cita|Rotondi|p. 383}}.</ref> e, inoltre, di aver presentato una sua legge sul governo delle province che contrastava apertamente quanto prescritto dalla ''lex Iulia de provinciis''<ref>{{Cita|Rotondi|p. 421}}.</ref>).
Cicerone ritrae Antonio come uno dei peggiori criminali, che si è impossessato del tesoro di Cesare (700 milioni di sesterzi, accumulati da quest'ultimo per la guerra contro i Parti nel Tempio di Ope) per farne donazioni e concessioni di benefici al fine di ottenere il favore di numerose città e province.
Inoltre Antonio, falsificando di sua mano le carte di Cesare, ha preso provvedimenti riguardo donazioni di regni, diritto di cittadinanza ed esenzioni fiscali proprio per procacciarsi quanti più sostenitori possibili.
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Un altro abuso commesso da Antonio è stato quello di essersi apertamente circondato di una guardia del corpo: un gesto emblematico, questo, che non era mai stato compiuto in tutta la storia di Roma né da re, né da coloro che aspiravano ad un potere dispotico.
Cicerone si sofferma a lungo nel dimostrare l'inutilità dell'invio di un'ambasceria ad Antonio, come proposto da Caleno, e a sottolineare il comportamento fortemente incoerente del
Secondo la sua opinione, l'ambasceria servirebbe solamente a paralizzare la condotta della guerra, una guerra che va sempre più configurandosi quale [[Guerra civile romana (44-31 a.C.)|guerra civile]]: è inammissibile inviare a un cittadino romano un'ambasceria affinché non attacchi un generale e una colonia romani; è necessario piuttosto proclamare immediatamente lo stato di emergenza (''tumultus'') e procedere all'arruolamento di massa (eccetto la Cisalpina, già devastata dalla guerra).
«''
Una volta proclamato lo stato di emergenza, Cicerone poi proponeva di conferire ai consoli pieni poteri e di concedere l'amnistia a tutti coloro i quali avrebbero disertato l'esercito di Antonio entro il 1º febbraio. Dopo aver rinnovato la proposta di un elogio ufficiale a Decimo Bruto e alla Gallia Cisalpina, Cicerone passa a esaltare le doti di Ottaviano, il quale ha il merito di aver sacrificato alla repubblica la sua inimicizia personale verso i cesaricidi.
L'oratore chiede infine al Senato di conferire ad Ottaviano l{{'}}''imperium'' con il titolo di propretore e l'autorizzazione a porre la candidatura alle cariche pubbliche (come se egli avesse tenuto la questura nel 44). L{{'}}''imperium'' costituiva il supremo potere esecutivo in campo civile e militare, di cui erano investiti i magistrati, e Ottaviano, avendo solo diciannove anni, non avrebbe potuto certamente esercitare alcuna carica.
Probabilmente queste proposte di Cicerone avevano come loro fine quello di alleviare le tante preoccupazioni che iniziavano a sorgere all'interno del partito conservatore, suscitate proprio dall'eccessivo potere che Ottaviano stava nel frattempo acquisendo.<ref>CICERO, Marcus Tullius, “''Le Orazioni”'', a cura di G. Bellardi, ed. UTET, vol. IV, Torino, 1978, p. 42.</ref>
=== Filippica VI ===
La sesta Filippica venne pronunciata da Cicerone il 4 gennaio del 43 al popolo.<ref name=filippiche>{{cita libro|autore=Marco Tullio Cicerone|titolo=Le Filippiche|curatore=B. Mosca|editore=Mondadori|città=Milano|anno= 1972|volume= vol. I| p=62|cid=Le Filippiche}}</ref>
Successivamente alle quattro giornate infuocate che riguardavano il legame di Antonio con la politica di Roma, la folla, che aveva assistito al dibattito, aveva più volte invocato il nome di Cicerone che al termine fu presentato al popolo dal tribuno Publio Apuleio ad esternare le decisioni prese.
All'inizio dell'orazione Cicerone rende chiare le sue posizioni al riguardo; per tre giorni sembravano essere condivise dall'intero Senato ma, al momento della decisione formale, furono ridotte all'invio di un'ambasceria.
«''Mi accorgo, Romani, che siete contrari a questa deliberazione, e non avete torto. A chi è destinata l'ambasceria? Non è forse destinata a uno il quale, sperperato il pubblico danaro, imposte allo Stato leggi con la violenza e contro gli auspici, dispersa l'assemblea popolazione, posto l'assedio al senato, ha fatto venire da Brindisi alcune legioni per abbattere la repubblica, e, abbandonato poi da quelle, ha fatto irruzione nella Gallia con la sua banda di briganti, ed ora investe Bruto e tiene Modena sotto assedio? Fra voi è questo gladiatore quale comunanza di patto, di giustizia, di ambasceria; vuol essere piuttosto una minaccia di guerra, se non obbedirà; questo è il vero significato del decreto: è come se si mandassero ambasciatori ad Annibale.''»<ref>{{cita|Le Filippiche|vol.
II, pp. 398-400.}}</ref>
L'intenzione di Cicerone era quella di infiammare gli animi del popolo e dei patrioti cosicché questo iniziasse a protestare contro una scelta così poco netta.
Principalmente nella VI Filippica, Cicerone tende a riprendere i temi trattati precedentemente nella quarta Filippica rendendoli più diplomatici e dunque a giudicare il modus operandi di Antonio e della sua cerchia più ristretta formata da personalità altrettanto audaci e scellerate. Tra questi personaggi diviene centrale la figura del fratello [[Lucio Antonio|Lucio]] che più volte viene tacciato di violenza ed insolenza sia come consigliere del fratello sia come personalità politica in quanto aveva avuto l'audacia di autoproclamarsi "patrono" del popolo romano rendendo palesi le sue azioni antidemocratiche.
L'oratore chiede, poi, al popolo romano risolutezza e compattezza contro la miopia politica che stava colpendo la società romana nei confronti di un nemico pubblico ed ancora pazienza nell'attendere il ritorno degli ambasciatori per poter riaffermare la libertà e la salvezza dello Stato.
L'elogio conclusivo misurato e tagliente, infine, esprime la superiorità del popolo romano che mai dovrà essere destinato a servire ma sempre destinato ad essere libero.
=== Filippica VII ===
La settima Filippica venne pronunciata da Cicerone nel [[Tempio della Concordia (Roma)|Tempio della Concordia]] tra la fine di gennaio<ref name=filippiche/> e l'inizio di febbraio.
Dopo essere passati un buon numero di giorni dalla partenza degli ambasciatori, Cicerone, che manteneva la posizione più tragica all'interno del Senato, rompe il silenzio durante una riunione e porta la discussione senatoria sulla situazione politica generale. L'oratore esprime la disapprovazione nei confronti dell'invio dell'ambasceria e della mancata presa di posizione dell'organo senatorio in una situazione pericolosa che aveva permesso ad Antonio di continuare a dare disposizioni vantaggiose per lui ma non per la libertà della repubblica romana.
Cicerone incalza, poi, una discussione contro la politica di conciliazione e di quanto sia fondamentale una dichiarazione di guerra a discapito della pace da lui sempre lodata e consigliata.
«''Ebbene, nessun momento, o senatori, fu mai più decisivo di quello attuale. Per questo, io che ho sempre consigliato la pace, quella pace specialmente fra cittadini che a tutti i buoni sta a cuore, ma a me in modo particolare (ché la mia carriera è tutto un seguito di fatiche sostenute nel foro e nel senato, per sottrarre i miei amici ai pericoli che li minacciavano; e ciò mi ha procurato i più grandi onori, una moderata agiatezza e una qualche autorità); io dunque che sono allievo, per così dire, della pace, perché quel poco che sono, senza nulla per sumere di me lo devo certamente allo stato di concordia fra i cittadini (so di parlare con mio rischio; e tremo a pensare come voi, senatori, potrete accogliere la mia dichiarazione, ma se è vero, senatori, che in me è stato sempre vivo il desiderio di salvare e di aumentare il vostro prestigio, vi prego e vi scongiuro anzitutto di accogliere senza offendervi quello che dirò, anche se sarà acerbo ad udirsi e vi sembrerà incredibile che sia proprio Marco Cicerone a dirvelo, vi prego poi di non re spingerlo prima ancora che io ve ne abbia spiegato l'intimo significato); ebbene, io che, ripeto ancora, ho sempre lodato e consigliato la pace, proprio io ora non voglio la pace con Marco Antonio.''»<ref>{{cita|Le Filippiche|vol. II, p. 428.}}</ref>
Implora, in seguito, il Senato a mantenere validità morale e politica dichiarando guerra ad Antonio ed avallando la sua posizione con una lunga spiegazione sulla coerenza, l'austerità e l'onore che il Senato deve conservare.
Le parole di Cicerone si basano anche su espressioni concrete dell'agire antoniano come l'assedio di una delle più fedeli colonie di Roma, [[Modena]].
La guerra contro Antonio è una battaglia della repubblica contro un nemico pubblico. Dacché contro di lui ci sono anche i cavalieri, i municipi, il popolo, Ottaviano, Decimo Bruto ed il Senato non può permettersi di restare cieco dinanzi ad una molteplicità tale né tantomeno perdere una pace duratura a favore di un accordo momentaneo.
Per l'oratore non esiste l'ipotesi di un compromesso che porti ad una democrazia falsa al posto di una democrazia basata su principi sani.
La pace tanto lodata da Cicerone in altre situazioni, si può, questa volta, riconquistare solo con una necessaria guerra contro un traditore della democrazia.
Dopo
Questa scelta, compiuta per eccesso di mitezza, voleva esulare
''«sed etiam verborum;
«''infatti
Dopo la spiegazione dei due termini e dei concetti ad essi collegati, fa più volte riferimento alle questioni politiche, civili e storiche, sia precedenti che contemporanee così da rendere palese
Una critica forte verrà mossa anche nei confronti di [[Lucio Calpurnio Pisone Cesonino (console 58 a.C.)|Lucio Pisone]] e [[Lucio Marcio Filippo (console 56 a.C.)|Lucio Filippo]] per la rassegnazione dinanzi alle controproposte di Antonio e
La Filippica si chiude con una proposta di Cicerone: decretare
Cicerone, vuole qui celebrare la persona di [[Servio Sulpicio Rufo|S. Sulpicio Rufo]], morto durante e in qualità di membro
Tra il 1º e il 4º gennaio, Cicerone nella Filippica V ci dà attestazione di ciò: [[Quinto Fufio Caleno|Q. Fufio Caleno]], acceso sostenitore di Antonio e suocero di Pansa, propose di inviare ad Antonio
È chiaro che Cicerone, fervido conservatore e antiantoniano, non fosse
Il 4 febbraio il console Pansa, presiedendo alla seduta, fu il primo a fare
Cicerone, poi, prese la parola e propose col suo intervento, oltre il ''funus,'' a spese dello Stato e un ''sepulcrum publicum,'' anche l'erezione della statua.<ref name="Bellardi 1978, p. 46"/> Nell'orazione, Cicerone fu molto chiaro: espose, dinanzi al Senato, con minuziosa gravità l'impegno morale e civile dell'ambasciatore, che nonostante fosse stato colpito da una grave e seria malattia, nonostante non avesse avuto le forze per affrontare il lungo viaggio, egli abbia voluto fino alla fine pensare alla salute della repubblica, piuttosto che alla sua. E Cicerone insistette nella seduta affinché i senatori, i quali loro stessi avevano disposto della partenza di [[Servio Sulpicio Rufo|S. Sulpicio Rufo]], nonostante le sue condizioni di salute, approvassero la sua proposta di innalzargli sui [[Rostri]] una statua, in modo che la sua persona continuasse a vivere e che gli si facessero tutti gli onori:
«''Rendetegli, dunque, o senatori, la vita
Cicerone fu convinto che oltre al
di Bellardi, ed. Utet, vol. IV, Torino, 1978, p. 47.</ref>
La decima Filippica fu proclamata da Cicerone tra il 5-6 febbraio e i primi di marzo.<ref name=filippiche/>
Il console [[Gaio Vibio Pansa|Pansa]] convocò il
M. Bruto comunicò che i territori della [[Macedonia (provincia romana)|Macedonia]],
p. 48.</ref> Tale proposta fu disapprovata da Fufio Caleno, fervido antoniano, che avanzò
Cicerone sottolineò ancora una volta che molti dei territori della repubblica romana erano ostili agli Antonii: tutta la Gallia,
''«Se la repubblica dovesse essa
Qui, Cicerone, espresse ciò che già aveva dichiarato nella Filippica III: in quella dimostrò la legalità e il patriottismo di Decimo Bruto, in questa di Marco Bruto. Tale proposta fu accolta dai senatori.
La Filippica X è pervasa dai toni
Nella seconda metà di febbraio giunse a Roma notizia che il cesaricida [[Gaio Trebonio]], proconsole
Marcus Tullius, “''Le Orazioni''”, a cura di G. Bellardi, ed. UTET, vol. IV, Torino, 1978, p. 49.</ref>
Cicerone fa una sorta di parallelismo tra
Dopo che si apprese la notizia, il
Il giorno successivo venne ripresa la seduta per decidere quali dovessero essere le misure da adottare contro Dolabella: Cicerone propose che si affidasse il comando a Gaio Cassio contro Dolabella, poiché aveva preso il possesso della Siria come diritto naturale derivante dalla legge divina,
«''Del resto sono già molte le circostanze ''nelle quali Bruto e Cassio sono stati, per così dire, il senato di se stessi!'' ''Perché, in così profondo capovolgimento di tutte le cose, la necessità esige ''che si dia ascolto più alla voce delle circostanze che alle vecchie consuetudini. Né d'altra parte è questa la prima volta che Bruto e Cassio hanno considerato la salvezza e la libertà della patria come la legge più sacra, come la più rispettabile delle consuetudini. Pertanto, anche se la guerra contro Dolabella non fosse stata portata in discussione qui in senato, io la questione la riterrei già discussa e decisa, nel senso che per quella guerra ci sono bell'e pronti due generali di prim'ordine, per valore, autorità e nobiltà: quale sia l'esercito dell'uno, abbiamo le prove; dell'esercito dell'altro, ci giunge la fama.»<ref>CICERO, Marcus Tullius, “Le ''Filippiche''”, a cura di B. Mosca, Mondadori, Milano, 1972, vol. II,
pp.
In realtà Cicerone intervenne a favore di Cassio, riconoscendolo come proconsole di Siria e attribuendogli un ''imperium
Non solo gli antoniani, ma anche i cesariani moderati furono contrari alla proposta di Cicerone: anche il console Pansa fu esplicitamente in disaccordo.<ref name="G. Bellardi 1978, p. 51">CICERO, Marcus Tullius, “''Le Orazioni''”, a cura di G. Bellardi, ed. UTET, vol. IV, Torino, 1978, p. 51.</ref>
Tuttavia
La XII filippica, forse pronunciata verso la metà di marzo<ref>CICERO, Marcus Tullius'', La quarta Filippica'', con introduzione, commento, appendici, a
cura di L. Dal Santo, La Nuova Italia, Firenze, 1940, p. 29.</ref>(o comunque intorno
Questo cambio di idea è dovuto al constatato fallimento della legazione precedentemente inviata; ancora, si ritenne che
«''Ripeto ancora: siamo stati ingannati, o
Per di più una riconciliazione con Antonio sarebbe stata impossibile, visto il deteriorarsi del loro rapporto, e
«''E dovrei io far parte di questa ambasceria,
Essendo un degno rappresentante
In questo modo, Cicerone riuscì nella difficile impresa di rendere nulla una decisione presa in precedenza dal Senato, senza offendere la sensibilità di tutti i senatori e allo stesso tempo, di tutelare gli interessi della repubblica.<ref name="ref_A">CICERO, Marcus Tullius, ''La quarta Filippica'', con introduzione, commento, appendici, a cura di L. Dal Santo, La Nuova Italia, Firenze, 1940, p. 29.</ref>
In realtà questo ripensamento di Cicerone non fu dovuto al fatto che temesse per la propria incolumità, ma
=== Filippica XIII ===
Il 19 marzo giungono a Roma alcune incoraggianti notizie di [[Aulo Irzio|Irzio]] e [[augusto|Ottaviano]], spostando l'oratoria ciceroniana sull'ormai chiaro rapporto di inimicizia che esiste tra Antonio e lo stesso Cicerone e che, la vita o la morte di uno dei due sarà correlata all'esito della guerra.
La XIII filippica si presume sia stata pronunciata dopo il 20 marzo del 43 a.C.<ref name=filippiche/> Si sa per certo che il Senato fu convocato il 20 marzo dal pretore urbano Marco Cecilio Cornuto<ref>CICERO, Marcus Tullius, ''Phil. 13,16; 39; Fam. 10,6,3.''</ref> (il console [[Gaio Vibio Pansa|Pansa]] era partito il giorno prima per raggiungere Irzio e Ottaviano, che si trovavano nella Gallia Cisalpina, per tentare di liberare Decimo Bruto e la città di Modena dall'assedio) per rendere pubbliche le lettere ricevute da [[Marco Emilio Lepido]], governatore della [[Gallia Narbonense]] e della [[Spagna romana|Spagna Citeriore]], e di [[Lucio Munazio Planco]], governatore della [[Gallia|Gallia Transalpina]]. Suddette lettere suggerivano, dietro consiglio di Antonio, la stipulazione di una pace tra Antonio e il Senato.<ref>CICERO, Marcus Tullius, ''Le Orazioni'', a cura di G. Bellardi, ed. UTET, vol. IV, Torino, 1978, p. 53.</ref>
Cicerone, avendo compreso l'intento delle due missive, sostenne con decisione che nonostante la pace fosse una volontà di entrambe le parti, essa era impossibile da raggiungere perché era in corso contro lo stato una guerra feroce e di difficile soluzione.
Nella stessa seduta, Cicerone pronunciò davanti ai colleghi senatori, tutte le azioni disoneste di cui Antonio e i suoi fedeli sostenitori si erano macchiati.<ref>CICERO, Marcus Tullius, ''La quarta Filippica'', con introduzione, commento, appendici, a cura di L. Dal Santo, La Nuova Italia, Firenze, 1940, p. 31.</ref>
«''Ci sono due pretori che temono di rimetterci la loro posizione, ma hanno torto perché noi riconosciamo validi gli atti di Cesare. Ci sono poi gli ex pretori Filadelfo Annio e quel buon diavolo di Gallio; gli edili, Bestia, che è stato per i miei polmoni e la mia voce come la palla per il pugile, e Trebellio, difensore del credito ma ad un tempo bancarottiere fraudolento, e Quinto Celio, uomo disfatto di corpo e dissestato di borsa, e Cotila Vario, vera colonna degli amici di Antonio, delizia di Antonio quando nei banchetti lo faceva frustare da pubblici schiavi; i settemviri Lentone e Nucula e quella gioia, quell'amore di popolo romano che è Lucio Antonio; i due tribuni dapprima designati, Tullio Ostilio, che a buon diritto ha dato il proprio nome a quella porta per la quale, non avendo potuto tradire il suo comandante, è passato dissertando; e l'altro designato è un non so chi Insteio, un brigante che oggi, dicono, è tanto sfrenato, quanto invece era equilibrato… nel temperare le acque quando faceva il bagnino a Pesaro. Vengono poi altri che già furono tribuni: in prima linea Tito Planco, che se avesse amato il senato, non avrebbe mai applicato il fuoco alla curia, e che, condannato per questo delitto, è tornato con la forza delle armi a Roma, donde era stato bandito per virtù delle leggi. Ma questa è sorte che egli ha in comune con molti altri della sua razza.''»<ref>{{cita|Le Filippiche|vol. II, pp. 668-670.}}</ref>
La lettura di questa lettera avvenne con molta enfasi e ironia, prendendosi una rivincita morale su Antonio, che ne settembre del 44 a.C. aveva letto in Senato alcuni carteggi privati di Cicerone.
Scopo di questa lettura pubblica, era per il [[Marco Tullio Cicerone|politico di Arpino]], quello di sbugiardare in maniera assai plateale la figura del suo acerrimo avversario, Antonio che tra l'altro, in diverse occasioni si era rivolto al Senato utilizzando un linguaggio volgare e inappropriato.<ref>CICERO, Marcus Tullius, ''La quarta Filippica'', con introduzione, commento, appendici, a cura di L. Dal Santo, La Nuova Italia, Firenze, 1940, pp. 31-32.</ref> La lettura di questa lettera aveva anche una duplice intenzione: rivelarsi utile alla causa della repubblica romana e dichiarandosi pubblicamente nemico di Antonio, di difendere l'operato e la sua figura.
La seduta del 20 marzo segna quindi una vittoria importante per Cicerone: il senato si dichiara contrario alla proposta dei due governatori Lepido e Planco e, lo stesso parere viene espresso anche dall'assemblea popolare.<ref>''Fam. 10,6; 10,27''.</ref>
Cicerone giunge quindi alla conclusione che un eventuale isolamento di Antonio sia cosa ormai prossima e che i cesariani moderati si dichiareranno favorevoli alla causa della ''res publica''.
La lotta politica a Roma, e quella militare a Modena, non accennavano a placarsi. Il 14 aprile, a [[Castelfranco Emilia|Forum Gallorum]], presso la Via Emilia, il console Pansa fu ferito e sconfitto dalle truppe di Antonio; a Pansa giunse in soccorso Irzio, che riuscì a sconfiggere Marco Antonio. Anche il giovane Ottaviano, che era rimasto a difendere l'accampamento, ottenne un'affermazione sulle truppe capeggiate da Antonio mentre Pansa moriva a causa delle ferite subite durante lo scontro.<ref name="UTET 1978, p. 55" />
La notizia della [[Battaglia di Forum Gallorum|duplice vittoria]] giunse a Roma solo il 20 aprile e il pretore Marco Cecilio Cornuto fu costretto a convocare il
In questa giornata, Cicerone pronunciò la XIV filippica nel tempio di [[Tempio di Giove Ottimo Massimo|Giove Capitolino]].<ref>CICERO,
Marcus Tullius, ''La quarta Filippica'', con introduzione, commento, appendici, a cura di L. Dal Santo, La Nuova Italia, Firenze, 1940, p. 32.</ref> L'orazione inizia con il politico che esalta il valoroso comportamento dei consoli [[Gaio Vibio Pansa|Pansa]] e [[Aulo Irzio|Irzio]], assieme a quello di [[Augusto|Ottaviano]]; poi si dichiara contrario alla proposta di [[Publio Servilio Vatia Isaurico (console 48 a.C.)|Publio Servilio Isaurico]] di indire celebrazioni solenni agli dei, di abbandonare l'armatura da guerra in favore dell'abito della pace.<ref name="UTET 1978, p. 55"/> Cicerone motiva la sua posizione affermando che solo quando la liberazione di Modena e di [[Decimo Giunio Bruto Albino|Decimo Bruto]] saranno effettive, si potrà constatare che si è agito nel solo interesse della ''salus'' della ''res publica''.<ref name="UTET 1978, p. 55"/>
Inoltre l'abilità oratoria di Cicerone si scaglia ancora una volta contro l'infedeltà di Antonio, proponendo al Senato la nomina dello stesso come ''hostis'', ovvero nemico pubblico;<ref name="ref_B">CICERO, Marcus Tullius, ''Le Filippiche'', a cura di B. Mosca, Mondadori, Milano, 1972, vol. I, p. 61.</ref> questo per distinguere ulteriormente le due fazioni. Cicerone sottolinea anche le pericolose mosse che gli antoniani attuarono a Roma, intravedendo in essi il decadimento morale e politico di una determinata classe dirigente. Tutto ciò contrasta con la benevolenza dei consoli Irzio e Pansa, che con coraggio e lealtà, assieme ad Ottaviano, hanno messo in pericolo la loro vita pur di tutelare la sicurezza dello Stato e delle istituzioni; pertanto tutti e tre devono essere nominati ''imperator''.<ref>CICERO, Marcus Tullius, ''Le Orazioni'', a cura di G. Bellardi, ed. UTET, vol. IV, Torino, 1978, pp. 55-56.</ref> Cicerone propone al Senato di aumentare a 50 il numero di giorni di festività (''supplicationes'')<ref name="ref_B" />] in onore degli dei, suggerisce a tutta l'assemblea di mantenere fede alla promessa di ricompensa fatta ai soldati. L'oratore suggerisce anche di ricompensare tutte le famiglie di quei soldati che sono periti per la difesa della Repubblica; inoltre consiglia di erigere un maestoso monumento funebre (''Ara del Valore'') per omaggiare tutti i caduti di guerra.<ref name="ref_C">CICERO, Marcus Tullius, ''Le Orazioni'', a cura di G. Bellardi, ed. UTET, vol. IV, Torino, 1978, p. 56.</ref>
«''È poi nostro
Durante questo discorso, Cicerone ha anche occasione di smentire le dicerie su una sua presunta partecipazione a un colpo di
La XIV Filippica è
Marcus Tullius, ''La quarta Filippica'', con introduzione, commento, appendici, a cura di L. Dal Santo, La Nuova Italia, Firenze, 1940, p. 35.</ref>
Da tutte e quattordici le orazioni si palesa con franchezza che Cicerone non esitò mai a ricoprire il ruolo di ''defensor patriae''
== Note ==
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== Bibliografia ==
{{div col}}
;Fonti antiche
* AA.VV., ''Scriptorium'', coordinata e diretta da G. B. Conte, Le Monnier, Firenze, 2000.
* Cicero, Marcus Tullius, ''La prima Filippica'', con introduzione e commento di A. Finzi, Ed. Signorelli, Milano, 1933.
* Cicero, Marcus Tullius, ''La quarta Filippica'', con introduzione, commento, appendici, a cura di L. Dal Santo, La Nuova Italia, Firenze, 1940.
* Cicero, Marcus Tullius, ''Le Filippiche'', a cura di B. Mosca, Mondadori, Milano, 1972, voll. I
* Cicero, Marcus Tullius, ''Le Orazioni'', a cura di G. Bellardi, ed. UTET, vol. IV, Torino, 1978.
* Cicero, Marcus Tullius, ''Orazione Filippica Ottava'', con introduzione e commento di A. Pozzi, Ed. Signorelli, Milano, 1935.
* Cicero, Marcus Tullius, ''Orazione Filippica Sesta'', con introduzione e commento di A. Pozzi, Ed. Signorelli, Milano, 1934.
* Cicero, Marcus Tullius, ''Orazione Filippica Settima'', con introduzione e commento di A. Pozzi, Ed. Signorelli, Milano, 1935.
;Fonti storiografiche moderne
* Fedeli, Paolo, ''Storia letteraria di Roma: con brani antologici'', Ferraro Editori, Napoli, 2004.
* Rovalev, Sergej Ivanovic, ''Storia di Roma'', Ed. Rinascita, Roma, 1955.
* Narducci, Emanuele, ''Cicerone. La parola e la politica'', Editori Laterza,
* Narducci, Emanuele, ''Introduzione a Cicerone'', Editori Laterza, Roma – Bari, 2010.
* Pani, Mario - Todisco, Elisabetta, ''Storia romana dalle origini alla tarda antichità'', Carocci, Roma, 2008.
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* Plutarco, ''Vite'', introduzione di A. Barigazzi, Utet, Torino.
* Poma, Gabriella, ''Le istituzioni politiche del mondo romano'', Il Mulino, Bologna, 2002.
*
* Traina, Giusto, ''Marco Antonio'', Editori Laterza,
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== Voci correlate ==
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{{Interprogetto|s=la:In M. Antonium Philippicae|s_oggetto=il testo in latino|s_preposizione=delle orazioni |s_etichetta=''Filippiche''}}
== Collegamenti esterni ==
* {{Collegamenti esterni}}
{{Marco Tullio Cicerone}}
{{Controllo di autorità}}
{{Portale|Antica Roma|Letteratura|Lingua latina}}
[[Categoria:Opere letterarie del I secolo a.C.]]
[[Categoria:Orazioni di Cicerone]]
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