Operazione Deny Flight: differenze tra le versioni
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▲{{Infobox conflitto
|Tipo=Operazione militare
|Nome del conflitto=Operazione Deny Flight
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|Immagine=F-15C 53FS 36FW Aviano 1993.jpeg
|Didascalia=Un [[McDonnell Douglas F-15 Eagle|F-15 Eagle]] statunitense nella [[Base aerea di Aviano]] durante l'operazione
|Data=12 aprile 1993
|Luogo=[[Bosnia ed Erzegovina]]
|Esito=firma dell'[[accordo di Dayton]]
|Schieramento1={{Bandiera|NATO|nome}}
|Schieramento2= {{BA-SRP}}
|Comandante1={{Bandiera|USA}} [[Jeremy Boorda]] <small>(1993–1994)</small><br />{{Bandiera|USA}} [[Leighton Smith]] <small>(1994–1995)</small>
|Comandante2= [[File:Flag of Republika Srpska.svg|20px|border]] [[Radovan Karadžić]]<br />[[File:Flag of Republika Srpska.svg|20px|border]] [[Ratko Mladić]]
|Effettivi1=
|Effettivi2=
|Perdite1=3 aerei perduti in azione<br/>7 aerei perduti in incidenti<ref name=Ripley-83 />
|Perdite2=sconosciute con precisione<br/>4 aerei abbattuti<ref name=Ripley-83 />
|Note=
}}
'''Operazione Deny Flight''' (in [[lingua inglese]], letteralmente, "negare il volo") era il [[nome in codice]] dell'operazione militare lanciata dall'[[NATO|Organizzazione del Trattato dell'Atlantico del Nord]] (NATO) il 12 aprile 1993
Nei mesi successivi i velivoli NATO furono varie volte chiamati a sostegno dei caschi blu alle prese con attacchi e bombardamenti delle forze serbo-bosniache, ma il sistema di approvazione dei raid aerei si dimostrò molto complesso e spesso inefficiente, gravato come era dai profondi contrasti politici tra i vari organismi coinvolti: se gli ambienti NATO ritenevano gli attacchi aerei un ottimo strumento di deterrenza nei confronti dei belligeranti, i comandi ONU nella regione erano invece molto restii
Benché relativamente efficace nell'impedire l'impiego di aerei da combattimento da parte dei belligeranti, l'operazione Deny Flight fallì sostanzialmente nel suo compito di garantire la protezione delle "zone di sicurezza" dell'ONU, cosa resa palese nel luglio 1995 con i fatti del [[
L'operazione Deny Flight fu ufficialmente terminata il 20 dicembre 1995, con l'avvio dello spiegamento della [[Implementation Force]] in Bosnia ed Erzegovina.
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== Antefatti ==
=== Le guerre jugoslave ===
{{vedi anche|
[[File:UNPROFOR 1993.jpg|
Nel 1992 le ostilità nella ormai ex [[Jugoslavia]] erano in pieno svolgimento: gli scontri in [[Croazia]], iniziati ancor prima della proclamazione d'indipendenza
La presenza delle forze ONU non impedì l'ulteriore degenerare della crisi jugoslava quando il 1º marzo 1992 la [[Bosnia ed Erzegovina]] dichiarò l'indipendenza dalla Jugoslavia: la composizione etnica del
=== La NATO nei Balcani ===
[[File:Nato Ships.jpg|
Il primo coinvolgimento della NATO nella crisi jugoslava si ebbe nel luglio del 1992, quando l'alleanza varò l'[[
Nel tentativo di limitare l'intensità del conflitto, il 9 ottobre 1992 il Consiglio di sicurezza istituì con la
[[File:E-3aawa.jpg|
Le regole d'ingaggio per i velivoli assegnati a Sky Monitor erano severe: visto che l'operazione doveva solo monitorare l'applicazione della zona d'interdizione al volo e non implementarla essa stessa, i velivoli dell'alleanza erano autorizzati a ricorrere alla forza solo per autodifesa. Senza alcuna entità incaricata di garantire con la forza il rispetto della
Le palesi violazioni della zona d'interdizione aerea e il ruolo più attivo assunto nella crisi dagli Stati Uniti spinsero le Nazioni Unite
== L'operazione ==
=== Regole d'ingaggio ===
{{Doppia immagine|right|Jeremy M. Boorda.jpg|150|Admiral Leighton Smith, official military photo, 1991.jpg|150|I comandanti dell'[[Allied Joint Force Command Naples|AFSOUTH]] durante l'operazione Deny
La direzione dell'operazione Deny Flight fu assegnata all'[[Allied Joint Force Command Naples|Allied Forces Southern Europe]] (AFSOUTH), il comando della NATO con sede a [[Napoli]] responsabile per le operazioni nell'Europa meridionale, retto in quel momento dall'[[ammiraglio]] statunitense [[Jeremy Boorda]]. Gli aerei da combattimento assegnati all'operazione furono riuniti nella 5ª Forza aerea tattica alleata (5 ATAF), la quale ricevette contingenti di velivoli da Stati Uniti, [[Regno Unito]], [[Francia]], [[Paesi Bassi]], [[Spagna]] e [[Turchia]]; aerei da ricognizione furono forniti da [[Germania]] e [[Portogallo]], mentre il [[Canada]] e l'[[Italia]] misero a disposizione solo aerei da trasporto<ref name=Ripley-81-83>{{cita|Ripley|pp. 81-83}}.</ref>. Per i francesi la partecipazione a Deny Flight rappresentò la loro piena reintegrazione nella NATO, dopo la formale uscita di [[Parigi]] dalla struttura militare dell'alleanza decisa nel 1968, mentre per i tedeschi l'operazione fu la prima missione militare operativa condotta fuori dai propri confini dalla fine della [[seconda guerra mondiale]]<ref>{{cita|Pirjevec|pp. 265-266}}.</ref>. Gli aerei della 5 ATAF operavano principalmente a partire dall'Italia, in particolare dalle basi aeree [[Base aerea di Aviano|di Aviano]], [[Base aerea di Sigonella|di Sigonella]], [[Aeroporto di Gioia del Colle|di Gioia del Colle]] e [[Aeroporto di Verona-Villafranca|di Villafranca]], oltre che dalle [[portaerei]] dislocate in Adriatico (si alternarono in questi compiti le statunitensi {{nave|USS|Theodore Roosevelt|CVN-71|6}} e {{nave|USS|America|CVA-66|6}}, le britanniche {{nave|HMS|Invincible|R05|6}} e {{nave|HMS|Ark Royal|R07|6}}, le francesi ''[[Foch (R 99)|Foch]]'' e ''[[Clemenceau (R 98)|Clemenceau]]''); i velivoli da combattimento impiegati dai reparti statunitensi comprendevano gli aerei d'attacco a suolo [[Fairchild-Republic A-10 Thunderbolt II|A-10 Thunderbolt]] e i caccia multiruolo [[Grumman F-14 Tomcat|F-14 Tomcat]], [[McDonnell Douglas F-15 Eagle|F-15 Eagle]], [[General Dynamics F-16 Fighting Falcon|F-16 Fighting Falcon]] (impiegato anche da olandesi e turchi) e [[McDonnell Douglas F/A-18 Hornet|F/A-18 Hornet]] (impiegato anche dagli spagnoli), mentre i britannici volavano su [[Panavia Tornado|Tornado]] (impiegati anche dai tedeschi), [[BAE Harrier II|Harrier]] e [[SEPECAT Jaguar|Jaguar]], questi ultimi usati anche dai francesi unitamente ai [[Dassault Mirage 2000|Mirage 2000]]<ref name=Ripley-81-83 />.
Le regole d'ingaggio stabilite per l'operazione erano conseguenza dei rapporti tra l'Occidente e la [[Russia]], tradizionalmente vicina ai serbi, nonché delle contese interne alla stessa alleanza atlantica: gli Stati Uniti erano favorevoli a impiegare la forza aerea per costringere le parti in conflitto a rispettare le risoluzioni dell'ONU, ma non avevano alcuna intenzione di dispiegare nei Balcani truppe da combattimento terrestri, men che meno sotto il comando delle Nazioni Unite; Regno Unito e Francia, al contrario, avevano fornito alla missione UNPROFOR in Bosnia ampi contingenti di truppe e temevano che azioni decise potessero spingere i belligeranti a rivalersi sui caschi blu sul terreno, dotati solo di armi leggere e dispersi in piccole guarnigioni, con conseguente necessità di inviare altri reparti per tirare fuori dai guai le unità dell'ONU<ref>{{cita|Pirjevec|pp. 255, 276}}.</ref><ref>{{cita|Finlan|p. 43}}.</ref>. Conseguentemente, gli aerei della 5 ATAF potevano aprire il fuoco solo contro i velivoli scoperti all'interno della zona d'interdizione e attivamente impegnati in un combattimento: gli aerei e gli elicotteri che violavano la zona d'interdizione ma che non partecipavano direttamente a combattimenti potevano solo essere invitati ad atterrare o a lasciare la zona, anche "sfiorandoli" ad alta velocità per costringerli.
[[File:DF-ST-94-00137.JPEG|
Il lancio dell'operazione fu salutato da alcuni commentatori come un evento importante, segnando per le Nazioni Unite e la NATO il passaggio da una mera fase di monitoraggio delle ostilità e aiuto umanitario alle popolazioni civili a un coinvolgimento più propriamente militare, ma altri dipinsero l'azione come una sorta di «[[foglia di fico]]» utile a placare l'opinione pubblica occidentale ma ininfluente sull'andamento del conflitto, visto che i combattimenti si svolgevano prevalentemente al suolo senza che il fattore aereo giocasse un ruolo significativo in essi. In definitiva l'operazione aveva un significato prevalentemente simbolico, una dimostrazione di forza militare utile a sostenere il piano di pace Vance-Owen ma senza azioni decise contro i serbi, che avrebbero messo in difficoltà il presidente russo [[Boris Nikolaevič El'cin|Boris El'cin]] con gli ambienti ultranazionalisti e filo-serbi in patria proprio mentre proponeva rapporti più distesi con l'Occidente<ref name=Pirjevec-265 />.
Al momento dell'inizio di Deny Flight, in Bosnia ed Erzegovina si trovava solo una trentina di aerei da combattimento ad ala fissa, tutti in mano all'aeronautica della Repubblica Serba: questi velivoli effettivamente non furono più usati in combattimento, ma i serbi potevano contare anche sul supporto di aerei da combattimento dislocati nella Krajina e nella Federazione Jugoslava, zone sottratte al controllo della NATO. Inoltre, le regole d'ingaggio limitarono l'efficacia di Deny Flight nei confronti degli elicotteri da trasporto truppe, attivamente impiegati da tutte le parti in conflitto: tali velivoli potevano solo essere invitati ad atterrare senza possibilità di aprire il fuoco contro di loro, con la conseguenza che gli elicotteri si posavano al suolo ai primi avvertimenti ma ripartivano una volta che gli aerei della NATO lasciavano la zona; inoltre, tutti i belligeranti presero a dipingere i loro elicotteri con colori e contrassegni tipici delle organizzazioni autorizzate dall'ONU a continuare i voli sulla Bosnia (come la [[Croce Rossa e Mezzaluna Rossa Internazionale|Croce Rossa]], ad esempio), rendendo difficoltosa la loro identificazione e spingendo i comandi NATO a essere molto cauti nelle intercettazioni, per paura di causare incidenti di fuoco amico. Come risultato, fino al termine dell'operazione fu documentato un totale di 5
=== La difesa delle zone protette ===
[[File:Bosnia areas of control Sep 94.jpg|
Mentre Deny Flight muoveva i primi passi (già il 12 aprile si registrò la prima perdita dopo lo schianto nell'Adriatico di un Mirage francese a causa di un guasto, seguito l'11 agosto da un F-16 dell'aviazione statunitense perduto in mare sempre per incidente: in entrambi i casi il pilota fu tratto in salvo<ref name=Ripley-83>{{cita|Ripley|p. 83}}.</ref>), le Nazioni Unite presero una serie di decisioni che portarono a un maggior coinvolgimento dell'alleanza atlantica nel conflitto: il 16 aprile 1993 il Consiglio di sicurezza, con la
Dopo varie discussioni circa i modi per garantire l'effettiva implementazione delle zone di sicurezza, il 4 giugno il Consiglio di sicurezza approvò la
Ulteriori complicazioni venivano poi dal sistema adottato per autorizzare gli attacchi dei velivoli NATO; dopo accese discussioni tra il presidente Clinton e il segretario generale dell'ONU [[Boutros Boutros-Ghali]], la NATO dovette rinunciare al principio secondo cui spettasse all'alleanza stessa la scelta del tempo e del luogo degli attacchi, e mettere in piedi una procedura nota come "della doppia chiave": la richiesta di un'incursione aerea, formulata da un comandante dell'UNPROFOR in una delle zone di sicurezza, doveva essere indirizzata al comando centrale della missione a Sarajevo e, dopo una verifica sulla sua fondatezza, girata per l'approvazione al segretario generale o, su sua delega, al rappresentante ONU per la Jugoslavia (il [[Norvegia|norvegese]] [[Thorvald Stoltenberg]], subentrato al dimissionario Cyrus Vance e rimpiazzato poi a sua volta nel gennaio 1994
=== Prime azioni ===
[[File:A pilot answers questions during the first press conference after the initial missions of Operation Deny Flight, the enforcement of the United Nations-sanctioned no-fly zone over Bosnia and Herzegovina F-3282-SPT-93-000811-XX-0051.jpg|
I primi mesi di svolgimento di Deny Flight furono tranquilli per i velivoli della NATO, che giornalmente si alternavano nel pattugliamento dei cieli della Bosnia ed Erzegovina per far rispettare la zona d'interdizione e per esercitarsi nel supporto alle unità
L'inizio del 1994 vide una serie di cambiamenti ai vertici delle forze internazionali impegnate nella ex Jugoslavia: oltre
[[File:A 53rd Fighter Squadron F-15C Eagle aircraft returns to base after a mission during Operation Deny Flight, the enforcement of the United Nations-sanctioned no-fly zone over Bosnia and Herzegovina F-3282-SPT-93-000811-XX-0075.jpg|
L'[[ultimatum]] della NATO non fu gradito né
Parte delle armi pesanti evacuate da Sarajevo furono spostate nella Bosnia centrale, dove a fine febbraio i serbo-bosniaci lanciarono una pesante offensiva contro le posizioni dei bosgnacchi. Visti i dissidi tra NATO e Russia, i serbi decisero di testare l'effettività delle minacce dell'alleanza atlantica e il 28 febbraio sei cacciabombardieri [[Soko G-2 Galeb]] decollarono dall'aeroporto di [[Banja Luka]] e andarono a bombardare una fabbrica di armi bosgnacca a [[Novi Travnik]], nel centro della Bosnia; i velivoli furono subito rilevati dagli aerei radar E-3 della NATO, e vista la loro mancata risposta alle chiamate radio due coppie di caccia F-16 statunitensi furono dirette alla loro intercettazione: nel corso di un lungo inseguimento, mentre i Galeb cercavano di rifugiarsi oltre il confine con la Krajina, gli F-16 abbatterono quattro dei velivoli incursori con la morte di tre piloti serbi. L'azione, il primo scontro armato reale mai condotto dalla NATO nella sua storia, non incontrò alcuna obiezione da parte delle autorità russe, che la considerarono legittima<ref>{{cita|Pirjevec|pp. 366-367}}.</ref><ref>{{cita|Ripley|pp. 19-20}}.</ref>.
=== La battaglia di Goražde ===
[[File:Deny Flight EF-111.jpg|
Nella notte tra il 28 e il 29 marzo 1994 le forze serbo-bosniache, rinforzate da reparti di volontari giunti dalla stessa Serbia e appoggiate da 100 carri armati e 350 cannoni, lanciarono una pesante offensiva contro l'enclave di Goražde nella Bosnia orientale; benché da tempo assediata dai serbi, sul fronte dell'enclave la situazione era tranquilla da quasi un anno: colte completamente alla sprovvista, le forze bosgnacche che la difendevano iniziarono a cedere terreno. Goražde era una delle zone di sicurezza istituite dalla
Solo dopo alcuni preoccupanti rapporti circa un'imminente caduta della città, inviati da una squadra da ricognizione dello [[Special Air Service]] infiltrata nell'enclave per verificare la fondatezza delle notizie pervenute (e che riportò un morto e un ferito grave mentre cercava di monitorare l'andamento degli scontri<ref name=Finlan-51
Il generale Rose dichiarò che questi attacchi dovevano essere visti come misure di autodifesa delle forze ONU più che come un tentativo di indebolire una delle parti in lotta, ma la reazione dei serbo-bosniaci fu rabbiosa: il 14 aprile forze serbe bloccarono diversi presidi dell'UNPROFOR nella zona di Sarajevo, riappropriandosi di alcune armi pesanti e prendendo in ostaggio 150 tra osservatori militari e caschi blu<ref name=Pirjevec-377
[[File:British Aerospace Sea Harrier FRS1, UK - Navy AN1199709.jpg|
L'ammiraglio Leighton Smith protestò duramente contro la pretesa del generale Rose di
I fatti di Goražde ebbero pesanti conseguenze politiche: l'atteggiamento accondiscendente mostrato verso i serbo-bosniaci e l'ostinata difesa della neutralità dell'UNPROFOR distrussero la credibilità di Akashi e del generale Rose non solo agli occhi del governo di Sarajevo ma anche negli ambienti della NATO, sebbene i due continuassero ad avere il pieno appoggio dei governi francese e britannico, più che mai preoccupati per l'incolumità delle loro truppe sul terreno. La crisi aprì una spaccatura tra NATO e ONU, in particolare in merito alla definizione della politica delle "zone di sicurezza" e sulle condizioni per l'impiego dei raid aerei: Boutros-Ghali riconobbe l'efficacia degli attacchi, ma al tempo stesso difese la prudente condotta dell'UNPROFOR, frammentata sul terreno ed esposta alle rappresaglie dei belligeranti, e la necessità di un atteggiamento strettamente neutrale verso le parti in lotta<ref>{{cita|Pirjevec|p. 382}}.</ref>.
=== Incidenti a Sarajevo ===
[[File:A-10A Connecticut ANG taking off 1994.JPEG|
L'atteggiamento dei vertici ONU in Bosnia ed Erzegovina non mutò nelle settimane seguenti la battaglia di Goražde: il 28 aprile i serbo-bosniaci cannoneggiarono un posto d'osservazione dell'UNPROFOR nella zona di sicurezza di Tuzla, mentre in luglio, anche come risposta alle continue pressioni per un accordo di pace che venivano ormai anche dalla stessa Federazione Jugoslava, le forze di Mladić attaccarono i convogli ONU nella zona di Sarajevo uccidendo anche un militare britannico; in tutte queste occasioni i comandi dell'UNPROFOR si rifiutarono di chiedere l'intervento della NATO, arrivando anche a nascondere all'opinione pubblica alcuni episodi di sopraffazione cui erano andati incontro i caschi blu<ref>{{cita|Pirjevec|p. 395}}.</ref>.
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Il 4 agosto truppe serbo-bosniache prelevarono con la forza dal deposito di Illidža presso Sarajevo alcune armi pesanti sotto controllo ONU (un carro armato, due autoblindo e un cannone antiaereo), ferendo un casco blu ucraino; un elicottero dell'UNPROFOR inviato a rintracciare le armi rubate fu sottoposto a fuoco antiaereo, e una pattuglia francese fu presa prigioniera. Il comando dell'UNPROFOR autorizzò per l'indomani pomeriggio un attacco aereo della NATO sulle postazioni serbo-bosniache, ma il generale Rose avvertì lo stato maggiore di Mladić dell'imminente azione comunicando anche la zona prescelta per il raid: come conseguenza, i velivoli dell'alleanza non trovarono bersagli da colpire, salvo una carcassa di carro armato abbandonata che fu centrata da due A-10 statunitensi. Mentre l'azione era ancora in corso, i serbo-bosniaci contattarono l'UNPROFOR e promisero di restituire le armi sottratte, spingendo Rose a cancellare ulteriori incursioni aeree; pochi giorni dopo, però, le forze di Mladić assalirono un altro deposito appropriandosi di altre armi pesanti<ref>{{cita|Pirjevec|p. 398}}.</ref>.
In settembre
=== La crisi di Bihać ===
[[File:Western Bosnia 1994.png|
Il 22 ottobre 1994 le forze bosgnacche asserragliate nella sacca di Bihać scatenarono una massiccia offensiva contro i serbo-bosniaci, iniziando a guadagnare molto terreno nel nord-ovest della Bosnia; contemporaneamente le forze croato-bosniache, che ormai da due anni osservavano una sorta di tacita tregua con i serbi, lanciarono un pesante attacco nell'Erzegovina occidentale<ref>{{cita|Pirjevec|p. 411}}.</ref>. Mentre la Repubblica Serba ordinava la mobilitazione generale, Milošević mise da parte i suoi contrasti con Karadžić e iniziò a rinforzare i serbo-bosniaci con reparti di volontari provenienti da Serbia e Krajina, oltre a fornire carri armati e armi pesanti tra cui i moderni sistemi missilistici antiaerei a lungo raggio [[S-75]] (SA-2 "Guideline" in [[Nome in codice NATO|codice NATO]]) e [[Kub (missile)|Kub]] (SA-6 "Gainful") ricevuti dalla Russia. Il 2 novembre i serbi scatenarono una massiccia controffensiva nel settore di Bihać partendo anche dalla confinante Krajina, prendendo in contropiede i troppo dispersi reparti bosgnacchi e riconquistando il terreno perduto. Le forze serbe finirono ben presto con il superare la vecchia linea del fronte e penetrare nella zona di sicurezza posta dall'ONU attorno a Bihać, i cui confini del resto non erano tracciati con precisione; per protesta contro l'offensiva bosgnacca la Francia aveva ritirato il 30 ottobre il proprio contingente dislocato nell'enclave, lasciando la difesa della zona di sicurezza a un battaglione di caschi blu del [[Bangladesh]] molto male equipaggiato<ref>{{cita|Pirjevec|pp. 415-416}}.</ref>.
Sotto pressione da parte degli statunitensi, Boutros-Ghali ordinò a Rose di dare il via a raid aerei contro le forze attaccanti, ma il generale vanificò questa disposizione ordinando ai suoi osservatori sul terreno di non indicare alcun bersaglio ai velivoli della NATO; la situazione fu poi ulteriormente esacerbata dal comportamento del comando dell'UNPROFOR, che minimizzò la portata delle notizie provenienti da Bihać e vietò ai giornalisti di recarvisi<ref>{{cita|Pirjevec|p. 416}}.</ref>. Incitato dal Congresso, il presidente Clinton propose misure più dure per intervenire nella crisi jugoslava, tra cui l'abolizione unilaterale dell'embargo sulle armi alla Bosnia ed Erzegovina e alla Croazia; l'opposizione degli alleati europei, francesi e britannici in primo luogo, fu così dura da far paventare al nuovo segretario generale dell'alleanza, il belga [[Willy Claes]], il rischio di una spaccatura dell'organizzazione<ref>{{cita|Pirjevec|p. 417}}.</ref>.
Le forze serbo-bosniache intanto premevano su Bihać, appoggiate anche da attacchi aerei di velivoli che decollavano dall'aeroporto di [[Udbina]] in Krajina, distante solo pochi minuti di volo dalla città; vista la proibizione a inseguire velivoli fuori dallo spazio aereo della Bosnia ed Erzegovina, le forze aeree della NATO erano impotenti davanti a queste violazioni della zona di interdizione al volo<ref name=Ripley-22 />. Infine, su insistenza degli Stati Uniti, il 19 novembre il Consiglio di sicurezza varò la
[[File:Deny Flight F-15.jpg|
Il 22 novembre due caccia britannici in volo sopra Bihać furono oggetto di lanci di missili dalle postazioni dei serbo-bosniaci
La crisi fu infine risolta da Karadžić che, impensierito dai successi dei croato-bosniaci nella regione della [[Livanjsko polje]] in Erzegovina, ai primi di dicembre avanzò la proposta di un cessate il fuoco generale, anche per via dell'inverno imminente che avrebbe inevitabilmente portato a un rallentamento delle operazioni belliche; mediata dall'ex presidente statunitense [[Jimmy Carter]], la tregua entrò in vigore il 1º gennaio 1995 e i caschi blu presi in ostaggio furono rilasciati<ref>{{cita|Pirjevec|pp. 438-439}}.</ref>.
=== Aggressioni continue ===
[[File:General Dynamic F-16 USAF.jpg|
La tregua resse fino al 9 febbraio 1995, quando i combattimenti ripresero progressivamente più o meno su tutti i principali settori bellici. Un importante cambiamento ai vertici della missione ONU si verificò alla fine di gennaio, quando l'ormai screditato generale Michael Rose fu rimpiazzato alla guida dei caschi blu in Bosnia ed Erzegovina dal generale britannico [[Rupert Smith]]: a differenza del predecessore, Smith decise di puntare su un atteggiamento molto più deciso, se necessario andando contro gli interessi del proprio governo, e si convinse che solo l'uso della forza avrebbe spinto i serbo-bosniaci a scendere a trattative e a rispettare le risoluzioni del Consiglio di sicurezza<ref>{{cita|Finlan|p. 34}}.</ref>. Questo atteggiamento scavò ben presto un solco tra il generale Smith e il nuovo comandante in capo dell'UNPROFOR, il generale francese [[Bernard Janvier]], ben deciso invece a seguire l'atteggiamento del suo governo circa il coinvolgimento dei caschi blu nei combattimenti<ref name=Pirjevec-456>{{cita|Pirjevec|p. 456}}.</ref>.
Il 1º maggio le forze regolari croate scatenarono una massiccia offensiva ([[operazione Fulmine]]) nella [[Slavonia]] occidentale, parte della Repubblica Serba di Krajina, riconquistandola dopo duri scontri; i serbo-bosniaci reagirono a tale attacco scatenando prima un'offensiva contro posizioni croato-bosniache nella [[Posavina (regione)|Posavina]], e poi riprendendo i bombardamenti su Sarajevo violando apertamente la zona di esclusione dei 20 chilometri per le armi pesanti. Il generale Rupert Smith chiese con insistenza l'intervento degli aerei della NATO, ma dal quartier generale dell'UNPROFOR a [[Zagabria]] tanto Akashi quanto il generale Janvier si limitarono a deplorare il bombardamento della capitale bosniaca senza prendere altre misure; Boutros-Ghali in persona cercò di ridurre la tensione crescente tra i comandi di Zagabria e Sarajevo tramite un incontro con i rispettivi responsabili il 12 maggio, ma senza troppo successo<ref name=Pirjevec-456 />. Il 22 maggio i serbo-bosniaci assalirono i depositi dell'ONU nella zona di Sarajevo e si ripresero ampie quantità delle loro armi pesanti, mossa del resto imitata dagli stessi difensori bosgnacchi che pure avevano sottoposto i loro pezzi di artiglieria alla sorveglianza dell'UNPROFOR; il continuo bombardamento di Sarajevo e l'evidente fallimento della zona dei 20 chilometri indussero infine Akashi a dare il suo assenso a nuovi
Dopo un ultimatum di Rupert Smith ignorato dai serbo-bosniaci, il 25 maggio gli aerei NATO compirono per la prima volta un raid punitivo non indirizzato contro un obiettivo direttamente coinvolto in scontri aperti: quattro F-16 statunitensi e due F/A-18 spagnoli centrarono con [[Bomba a guida laser|bombe a guida laser]] (usate per la prima volta nel teatro bosniaco) un importante deposito di munizioni serbo-bosniaco situato in una caserma abbandonata vicino a Pale, distruggendolo completamente senza causare vittime<ref>{{cita|Ripley|p. 23}}.</ref>. Per tutta risposta Karadžić denunciò ogni precedente accordo con le Nazioni Unite e fece assaltare gli ultimi depositi di armi pesanti ancora presidiati dall'UNPROFOR, dove furono presi in ostaggio circa 200 caschi blu; la NATO replicò il 26 maggio centrando con nuove incursioni altri sei depositi di munizioni secondari nella zona di Pale, ma gli alleati europei espressero forti riserve al proseguimento dei raid. I serbo-bosniaci intensificarono ancora di più le ostilità bloccando tutte le vie di accesso a Sarajevo e aumentando il numero di caschi blu presi in ostaggio a 400: alcuni di questi furono impiegati come scudi umani, ammanettati a pali e blocchi di cemento nelle vicinanze di obiettivi militari, e ripresi in queste posizioni umilianti dalle troupe della televisione di Pale<ref>{{cita|Pirjevec|p. 461}}.</ref>.
[[File:OGrady-conference-bosnia.jpg|
Il 27 maggio soldati serbo-bosniaci a bordo di un veicolo ONU catturato assalirono il posto di blocco dell'UNPROFOR sul ponte di Vrbanja a Sarajevo facendo prigionieri dieci caschi blu francesi; un plotone francese lanciò un contrattacco e riprese il ponte al termine di una battaglia costata la vita a due francesi e quattro serbi. Davanti a questi episodi il nuovo presidente francese [[Jacques Chirac]], al governo da una decina di giorni, invocò un mandato più forte per l'UNPROFOR, trovando anche l'appoggio del governo britannico che il 28 maggio aveva dovuto assistere a un duro scontro a fuoco tra i suoi caschi blu e le truppe serbo-bosniache nell'enclave di Goražde: il 29 maggio Parigi e Londra decisero la formazione di una "Forza di reazione rapida" a sostegno dell'UNPROFOR di 12
Il recupero di O'Grady consentì di allentare la tensione in seno alla NATO, e la crisi degli ostaggi fu ancora una volta risolta per via negoziale: in vari incontri con lo stesso Mladić, il generale Janvier assicurò che nessun altro raid aereo della NATO sarebbe stato più autorizzato se gli ostaggi fossero stati rilasciati
=== Il massacro di Srebrenica ===
{{vedi anche|Massacro di Srebrenica}}
[[File:Dutchbat.jpg|miniatura|sinistra|Una postazione di caschi blu olandesi in Bosnia]]
Il 16 giugno le forze bosgnacche iniziarono una vasta offensiva a tenaglia ([[operazione T]]) nella Bosnia centro-orientale: il braccio settentrionale dell'offensiva, che puntava a sbloccare Sarajevo dall'assedio, si infranse contro il complesso sistema trincerato allestito dai serbo-bosniaci intorno alla città, ma il braccio meridionale, a 100 chilometri di distanza, approfittò della dispersione delle forze serbe per guadagnare terreno nella regione del massiccio montuoso di [[Treskavica]] e aprirsi la strada in direzione di Goražde; davanti alla prospettiva che i bosgnacchi potessero ristabilire i contatti con le enclavi della Bosnia orientale, isolando la Repubblica Serba dalla valle della [[Drina]] e tagliando la principale via di collegamento con la Serbia stessa, Karadžić e Mladić ordinarono la mobilitazione generale e diedero il via al piano per la conquista di queste postazioni, già da tempo preparato<ref>{{cita|Pirjevec|pp. 468-469}}.</ref>.
I confini della zona di sicurezza di Srebrenica erano alquanto disputati
[[File:Luchtmachtdagen 2011 Royal Netherlands Air Force (6188283051).jpg|
Il meccanismo di trasmissione delle notizie in seno all'apparato burocratico dell'ONU era completamente inceppato
Il 12 luglio, mentre il Consiglio di sicurezza adottava la
=== Cambio di strategia ===
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L'eco del massacro di Srebrenica e le continue violazioni delle zone di sicurezza obbligarono la comunità internazionale a rivedere le sue strategie. Per discutere sul da farsi, tra il 20 e il 21 luglio si riunirono a Londra i ministri degli Esteri e della Difesa dei membri NATO nonché rappresentanti di Russia e Nazioni Unite; nonostante i britannici fossero fermamente intenzionati a portare avanti una soluzione strettamente diplomatica del conflitto, su influenza degli Stati Uniti dalla conferenza uscirono misure decise: la NATO promise di impegnare tutto il suo potenziale perché l'enclave Goražde non divenisse la prossima vittima dell'offensiva serbo-bosniaca, ma soprattutto fu semplificato il sistema della "doppia chiave" eliminando il ramo politico del processo decisionale e concentrando unicamente nei comandi militari (quello dell'UNPROFOR a Zagabria e quello dell'AFSOUTH a Napoli) la scelta dei modi e dei tempi delle incursioni aeree. Si decise inoltre di evacuare il personale dell'UNPROFOR dalle zone controllate dai serbo-bosniaci per evitare nuove prese di ostaggi, e si diede mandato alla NATO di bombardare non solo le forze impegnate in eventuali attacchi alle zone di sicurezza ma anche le loro installazioni militari nelle retrovie e le linee di comunicazione, estendendo senza limiti la portata delle incursioni all'intera macchina bellica dei serbo-bosniaci<ref name=Pirjevec-483>{{cita|Pirjevec|pp. 482-483}}.</ref><ref>{{cita|Finlan|p. 80}}.</ref>.
[[File:Shali and Berlijn.jpg|miniatura|Il generale Shalikashvili durante una visita in Bosnia-Erzegovina accompagnato dal tenente colonnello Berlijn]]
Il 29 luglio il generale Rupert Smith si incontrò con il comandante delle forze aeree dell'AFSOUTH, il generale statunitense [[Michael E. Ryan]], per mettere a punto piani concreti per un'azione comune tra l'alleanza e l'UNPROFOR, sfociati poi il 10 agosto in un protocollo d'intesa segreto (di cui, pare, furono tenuti all'oscuro i delegati russi e cinesi dell'ONU) secondo cui da quel momento in poi gli attacchi aerei sarebbero stati "sproporzionati" rispetto all'entità dell'offesa e non sarebbero stati necessariamente limitati all'area dove si sarebbero verificate violazioni da parte dei serbo-bosniaci. Entro il 14 agosto la NATO aveva stilato una lista di potenziali obiettivi da colpire, combinando insieme due piani strategici già approntati in precedenza: "Dead Eye", volto a distruggere il sistema di difesa antiaerea della Repubblica Serba, e "Deliberate Force", dedicato invece alle minacce dirette alle zone di sicurezza; furono subito intensificati sulla Bosnia ed Erzegovina i voli di ricognizione, anche tramite i nuovi [[Aeromobile a pilotaggio remoto|aeromobili a pilotaggio remoto]] [[General Atomics RQ-1 Predator|RQ-1 Predator]], e le attività di [[SIGINT|sorveglianza elettronica]] delle comunicazioni dei serbo-bosniaci<ref>{{cita|Pirjevec|pp. 485-486}}.</ref>.
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== L'operazione Deliberate Force ==
{{vedi anche|operazione Deliberate Force}}
[[File:F-16 deliberate force.JPG|
La situazione militare stava nel frattempo cambiando rapidamente. Il 4 agosto le forze croate scatenarono una grande offensiva ([[operazione Tempesta]]) travolgendo nel giro di tre giorni le difese della Repubblica Serba di Krajina e portando alla sua dissoluzione, con il conseguente esodo di 200
Il 28 agosto cinque colpi di mortaio sparati dalle postazioni serbo-bosniache colpirono il centro di Sarajevo: uno si abbatté sulla piazza di ''Markale'', uccidendo 39 civili e ferendone altri 90; l'azione provocò forte indignazione nelle opinioni pubbliche occidentali, e il presidente Clinton ebbe gioco facile nello spronare gli alleati europei all'azione<ref>{{cita|Pirjevec|p. 501}}.</ref>. In quel momento, il generale Janvier aveva lasciato il comando di Zagabria per una licenza mentre Boutros-Ghali era a letto con l'influenza e aveva delegato le sue decisioni al suo vice [[Kofi Annan]]: senza frapporre troppi ostacoli, Annan acconsentì alla richiesta statunitense di trasmettere il potere decisionale spettante a Janvier al generale Rupert Smith a Sarajevo, il quale la sera del 28 agosto diede la sua autorizzazione agli attacchi aerei della NATO senza ulteriori consultazioni con i suoi superiori alle Nazioni Unite; mentre le forze dell'alleanza si andavano radunando, il generale Smith tenne un atteggiamento prudente, rilasciando alla stampa e allo stesso Mladić rassicuranti dichiarazioni sul fatto che i responsabili della strage di ''Markale'' non erano ancora stati individuati con precisione, mentre contemporaneamente gli ultimi caschi blu ancora presenti nelle zone controllate dai serbo-bosniaci venivano fatti ritirare con discrezione<ref name=Finlan-82>{{cita|Finlan|p. 82}}.</ref>.
[[File:B l3.jpg|
Nelle prime ore del 30 agosto l'operazione Deliberate Force ebbe inizio: la prima parte dell'operazione prese di mira la rete di difesa antiaerea serbo-bosniaca della Bosnia orientale e i velivoli alleati, facendo largo impiego di munizionamento a guida laser, centrarono postazioni di missili, stazioni radar, bunker di comando e centri di comunicazione; a partire da poco prima dell'alba e poi per tutto il resto della giornata gli aerei NATO passarono a colpire depositi di munizioni, magazzini militari e postazioni di armi pesanti nella regione di Sarajevo, appoggiati anche dal tiro dei cannoni della Forza di reazione rapida dell'UNPROFOR che dalla loro posizione dominante sul monte Igman riversarono un
I bombardamenti continuarono il 31 agosto con nuove missioni contro i depositi di munizioni serbo-bosniaci nella zona di Sarajevo, ma il 1º settembre il generale Janvier, rientrato precipitosamente a Zagabria, ottenne una sospensione dell'operazione motivata ufficialmente con il peggiorare delle condizioni meteo ma di fatto voluta per aprire un negoziato con i serbo-bosniaci: in un incontro con Mladić, Janvier formulò un ultimatum congiunto dell'ONU e della NATO, dando tempo ai serbo-bosniaci fino alle 23:00 del 4 settembre per ritirare le loro armi pesanti dalla fascia dei 20 chilometri attorno a Sarajevo e garantire la piena libertà di movimento ai convogli con gli aiuti umanitari. Contemporaneamente erano in corso dure discussioni sia in seno
Durante i bombardamenti non si erano mai interrotti i colloqui tra Richard Holbrooke e Milošević, che alla fine riuscì a persuadere la dirigenza serbo-bosniaca ad accettare la via dei negoziati; la disponibilità a negoziare da parte di Holbrooke era dovuta anche al ridursi degli obiettivi militari ancora da colpire: l'AFSOUTH aveva stilato ulteriori piani per estendere la campagna a danno di obiettivi industriali (grandi fabbriche, centrali elettriche e dighe), ma ciò avrebbe di conseguenza aumentato notevolmente la probabilità di causare vittime civili e ben difficilmente una simile opzione sarebbe stata autorizzata dai governi europei<ref>{{cita|Pirjevec|p. 512}}.</ref>. La dirigenza di Pale era però ormai messa con le spalle al muro da Milošević, e il 14 settembre fu raggiunto un accordo per la sospensione dei bombardamenti in cambio del ritiro delle armi pesanti serbo-bosniache dalla fascia dei 20 chilometri da Sarajevo entro il 16 settembre, scadenza poi ampliata di 72 ore; il 20 settembre, constatato l'adempimento delle disposizioni da parte dei serbo-bosniaci, l'operazione Deliberate Force ebbe termine: circa 350 aerei NATO condussero un totale di 3
[[File:Admiral Leighton Smith, Commander Implementation Forces (IFOR), speaks during the Transfer of Authority Ceremony in Sarajevo Bosnia-Herzegovina - DPLA - 5d261bedb14a805e694d92a6eb47b787.
== La fine ==
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== Note ==
{{
== Bibliografia ==
* {{cita libro|cognome=Beale |nome=Michael |anno=1997 |titolo=Bombs over Bosnia: The Role of Airpower in Bosnia-Herzegovina |città=Montgomery |editore=Air University Press |
*{{cita libro|cognome=Finlan |nome=Alastair |titolo=Jugoslavia, il crollo di uno Stato |editore=RBA Italia/Osprey Publishing |anno=2010
*{{cita libro|cognome=Pirjevec |nome=Jože |titolo=Le guerre jugoslave 1991-1999 |editore=Einaudi |anno=2002 |isbn=88-06-18138-6 |cid=Pirjevec}}
*{{cita libro|cognome=Ripley |nome=Tim |titolo=La guerra nei Balcani - Il conflitto aereo |editore=RBA Italia/Osprey Publishing |anno=2011 |id=ISNN 2039-1161 |sbn=TO01914106|cid=Ripley}}
== Voci correlate ==
* [[Operazione Deliberate Force]]
* [[Operazione Allied Force]]
== Altri progetti ==
{{interprogetto|commons_preposizione=sull'}}
== Collegamenti esterni ==
* {{en}} [http://www.jfcnaples.nato.int/page6322744/13-the-crisis-in-former-yugoslavia-.aspx Operazioni NATO nella ex Jugoslavia] dal sito dell'[[Allied Joint Force Command Naples]]
{{GuerreUSA}}
{{Guerre jugoslave}}
{{Portale|guerra|NATO}}
{{Voce di qualità|valutazione=Wikipedia:Riconoscimenti di qualità/Segnalazioni/Operazione Deny Flight|arg=storia|giorno=6|mese=dicembre|anno=2015}}
[[Categoria:Guerre jugoslave]]
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