Dialetto anconitano: differenze tra le versioni

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{{Avvisounicode}}
{{Torna a|Ancona|Dialetti marchigiani}}
{{F|Dialetti|agosto 2008}}
{{lingua
|nome = dialetto anconitano
|nome nativo = ancunetà
|colore = #FD9191ABCDEF
|stati = [[Italia]]<br />Comunità di emigrati [[Ancona|anconitani]] all'estero ([[Argentina]], [[Belgio]], [[Germania]], [[Canada]], [[USA]])
|regione = [[Marche]]
[[Provincia di Ancona]]: [[Ancona]], [[Numana]], [[Sirolo]], [[Camerano]], [[Monte San Vito (Italia)|Monte San Vito]], [[Chiaravalle]] e [[Falconara Marittima]]
|province=[[provincia di Ancona|Ancona]],
|persone =~ +150.000
|classifica = Non tra i primi 100
|fam1 = [[Lingue indoeuropee|Indoeuropee]]
|fam2 = [[Lingue italiche|Italiche]]
|fam3 = [[Lingue romanze|Romanze]]
|fam4 = [[Lingue italo-orientaliitaloromanze|Italo-orientaliromanze]]
|fam5 = [[Dialetti italiani mediani|mediani]]
|fam6 = '''Dialetto anconitano'''
|iso2 =
|iso3 =
|nazione = -
|agenzia = ''nessuna regolazione ufficiale''
|estratto = Tute le perzóne nasce liberelibre e ugualecumpàgne 'nte la dignità e 'ntintî diritidirìti. Ciàne la ragió e la cuscenzacunscènza e ancoraciavrìane e'da spiritucumpurtàsse dein penzàtra ldé lóra co'un alu'altruspìrtu cumede fratèli.}}fartèli
}}
[[File:Aporrhais pespelecani 001.JPG|thumb|upright=1.3|La ''[[Aporrhais pespelecani|cruceta]]'', poeticamente assurta a simbolo del carattere anconitano]]
{{citazione|Se pine in tra dó deti come un fiore;<br />le bagi come fosse el primo amore,<br />prima in tel cuderizo un bagio seco,<br />po' volti e bagi in do' che c'era el beco.<br /><br />Ciuci e riciuci; lichi scorze e deti;<br />è un ino de chiopeti e de fischieti<br />e te viènene su qúi ciciolini<br />che udorene de mare e de giardini.<br /><br />[...]<br /><br />Io guardo 'sta cruceta sbuzolosasbruzolosa<br />cun 'st'anima gentile; ciàc'ha qualcosa<br />del caratere nostro anconità;<br />rozo de fora, duro, un po' vilà<br />ma drento bono, un zuchero, 'n'amore,...<br />ché nun conta la scorza, conta el core|dalla poesia ''Cume se magna le crucete in porcheta'' di [[Eugenio Gioacchini|Eugenio Gioacchini (Ceriago)]]}}<ref>[http://www.treccani.it/enciclopedia/scorza/ La poesia è riportata anche nel sito dell'enciclopedia Treccani] {{Webarchive|url=https://web.archive.org/web/20160307050012/http://www.treccani.it/enciclopedia/scorza/ |data=7 marzo 2016 }}, alla voce "Scorza" e nel riquadro delle citazioni.</ref><ref>Nel sito [{{cita web |url=http://www.ariadeancona.an.it/blog/gastronomia/modi-di-dire/ceriago] |titolo=Copia archiviata |accesso=9 maggio 2012 |urlmorto=sì |urlarchivio=https://web.archive.org/web/20120210222233/http://www.ariadeancona.an.it/blog/gastronomia/modi-di-dire/ceriago |dataarchivio=10 febbraio 2012 }} è possibile anche ascoltare la poesia in un file audio</ref>
 
Il '''dialetto anconitano''' (''ancunetà''){{ISO 639}}, è un idioma parlato nella città di [[Ancona]] e nelleha zonela circostantiparticolarità di essere un idioma comunale, poiché la sua variante più pura è parlata esclusivamente entro i confini della città e - in tempi recenti - nei territori comunali limitrofi; per questo motivo alcuni studiosi preferiscono parlare di ''[[Lingua vernacolare|vernacolo]].''<ref name=":4" />
 
== Origine ==
[[File:Dialetti italiani centrali.jpg|upright=1.4|left|thumb|Nel sistema dei [[Dialetti italiani mediani|dialetti centrali]] il dialetto anconitano fa parte della zona 1-a ([[dialetti marchigiani|marchigiano centrale]], anconitano)]]
Secondo la tradizione, il vernacolo<ref name=":4">{{Cita libro|nome=Mario|cognome=Panzini|titolo=Il Vernacolo Anconitano. Compendio storico - antologico dalle origini ad oggi|anno=1977|editore=Edizioni "Nuova Cultura"|città=Ancona|p=20|citazione=Mentre la parola «dialetto» designa una lingua popolare propria di una regione, o di un'area di essa, e cioè di un gruppo etnico diffuso in più città e paesi limitrofi (e quindi la parlata è pressoché omogenea, comune a tutto il gruppo), la parola «vernacolo» designa una lingua popolare, autoctona ed estremamente ristretta nello spazio geografico, la cui fondamentale caratteristica sta nell'isolamento del fonèma, cioè dell'effetto sonoro del linguaggio, che vive entro le mura cittadine. È il caso della nostra Città, e di poche altre: già [...] a pochi chilometri dal centro storico, il fonèma anconitano non esiste più: così come, appena cento anni fa, più non esisteva fuori della cinta muraria}}</ref> anconitano sarebbe nato nel [[Circoscrizioni di Ancona#Rioni San Pietro, Capodimonte, Santo Stefano, Cardeto|Rionerione Porto]], in una piccola piazza ora non più esistente detta ''la ChiogaChiòga'', nella quale si erano fuse tre parlate: quella locale dei ''purtulòti'' (portolotti), lavoratori portuali, quella dei marinai [[Levante (regione storica)|levantini]] (provenienti dall'Oriente) stabilitisi in città e quella dei ''[[Burano|Buranèli]]buranèli'', ovvero le famiglie originarie di [[Burano]] e della [[laguna veneta]], trasferitesi ad Ancona in cerca di fortuna e dedite alla pesca e alla navigazione come attività e sussistenza<ref>Armando Angelucci, sulle riviste ''L'onda - L'eco dei bagnanti'' e ''Flik & Flok''; Palermo Giangiacomi ''Il vernacolo anconitano'' 1932; Saturno Schiavoni, nella rivista ''Riguleto''; Mario Panzini nel ''Dizionario del vernacolo anconitano'', Controvento editore 2008, vol. I, alla voce "La Chioga"</ref><ref>{{Cita libro|nome=Maria Lucia|cognome=De Nicolò|titolo=Il Mediterraneo nel Cinquecento tra antiche e nuove maniere di pescare|collana=Quaderni del Museo, Collana "Rerum Maritimarum"|data=2011|editore=Museo della Marineria Washington Patrignani|città=Pesaro|citazione=I buranelli in definitiva costituivano nella città dorica una vera e propria colonia veneta, di cui si trova traccia fin dal XIV secolo e che si mantiene fino a tempi recenti con periodici flussi migratori documentabili fra Cinque e Ottocento [...] Recenti ricerche demografiche, non ancora date alle stampe, comprovano che ad Ancona nel secondo Cinquecento nella parrocchia di San Primiano (rione del Porto) era concentrata una vera e propria colonia di buranesi, la cui presenza si registra anche in varie altre località costiere delle Marche. Dai libri parrocchiali infatti, indagati per gli anni che vanno dal 1568 al 1584, si accerta che tra i parrocchiani residenti dediti alle attività marittime (circa il 62%), distinti in marinai e pescatori da una parte (85%) e calafati e marangoni dall'altra (15%), la presenza di soggetti provenienti da Burano raggiunge una percentuale assai elevata (75,8%). La comunità anconitana dei buranelli, alimentata nei secoli successivi da ulteriori ondate migratorie, si mostra sufficientemente connotata e rappresentativa delle sue origini veneziane ancora nel XIX secolo, come si evince dalla stessa terminologia caratterizzante la lingua portolotta, ampiamente documentata nel secolo scorso.}}</ref><ref>Nadia Falaschini, Sante Graciotti, Sergio Sconocchia, ''Homo Adriaticus: identità culturale e autocoscienza attraverso i secoli: atti del convegno internazionale di studio'', Diabasis, 1998 (pagina 77)</ref><ref>Marcello Mastrosanti ne ''Il 1500 ad Ancona'' (2011) rileva come i notai anconetani spesso lascino il latino per il volgare, mutuando alcuni termini veneti o nord adriatici, quali ad esempio ''piron'' (forchetta), ''carega'' (sedia), ''caligher'' (calzolaio), ''toso'' (ragazzo), ''bacolo'' (scarafaggio), ecc.</ref>. In particolare il professor [[Giovanni Crocioni]] ebbe modo di sottolineare quanto riferitogli dal poeta vernacolare [[Duilio Scandali]], ossia che nel porto, almeno fino all'inizio del '900, varie famiglie parlassero ancora il ''buranese'', un dialetto semi-veneto.<ref>{{Cita web|autore = Giovanni Crocioni|url = https://archive.org/stream/ildialettodiarc00crocgoog#page/n16/mode/2up|titolo = "Il dialetto di Arcevia", pagina IX|accesso = |editore = |data = }}</ref>
 
Nel corso del tempo ha assunto sempre maggiori peculiarità, continuando ad assorbire e rielaborare influssi dovuti agli scambi del porto, determinando così la penetrazione di vocaboli di origine greca, ma anche spagnola e francese. Si può inoltre notare che molte parole anconetane in senso stretto non appartengono al repertorio etrusco-gallico né osco-sannitico, ma sono calchi di modelli medioevali, quando Ancona poteva permettersi anche l'autonomia linguistica. Si è così sviluppata una quasi totale estraneità di Ancona di fronte ai mutamenti linguistici, come fosse un'"isola" nel "continente" marchigiano nonché centro-italico: tuttavia molte parole sono ormai scomparse per lo scarso utilizzo e per l'allontanamento dalla fonte originaria.
 
In aggiunta a ciò, Scandali e Crocioni ebbero modo di riscontrare anche la presenza, fino a quell'epoca, di un vero e proprio gergo ''giudaico-anconetano'', quasi inintelligibile e poco documentato, e che risultava essere formato da radici ebraiche congiunte a desinenze dialettali<ref>{{Cita web|autore = Giovanni Crocioni|url = https://archive.org/stream/ildialettodiarc00crocgoog#page/n16/mode/2up|titolo = "Il dialetto di Arcevia" pagina IX|accesso = |data = }}</ref><ref>{{Cita libro|nome=Marco|cognome=Ascoli Marchetti|titolo=Yiddish Anconetano. Parole, aneddoti e personaggi della comunità ebraica di Ancona|annooriginale=2017|editore=Affinità Elettive|città=Ancona|citazione=M'hann ditt che Pepìn và a fa' 'l sahìr; l'han vist bachajare in t'un portòn (sahìr=soldato; bachajare=piangere)|ISBN=978-88-7326-368-5|SBN=}}</ref><ref>A titolo esemplificativo, le seguenti espressioni sono tratte dalla poesia ''La vechia abreva'' (la vecchia ebrea) di Duilio Scandali:
Si è così sviluppata una quasi totale estraneità di Ancona di fronte ai mutamenti linguistici, come fosse un'"isola" nel "continente" marchigiano nonché centro-italico: tuttavia molte parole sono ormai scomparse per lo scarso utilizzo e per l'allontanamento dalla fonte originaria.
 
{{Citazione|Ganascia del sumar' [...] negro guìn! [...] quest'è la civiltaaa de sti gnarell / e i signor' Istraelit' de tut'Ancon' / dà da mangià ai Crestian' [...]}}
In aggiunta a ciò, non ultima per importanza, lo Scandali e il Crocioni ebbero modo di riscontrare anche la presenza, fino a quell'epoca, di un vero e proprio gergo ''giudaico-anconetano'', quasi inintelligibile e non documentato, e che risultava essere formato da da radici ebraiche congiunte a desinenze dialettali.<ref>{{Cita web|autore = Giovanni Crocioni|url = https://archive.org/stream/ildialettodiarc00crocgoog#page/n16/mode/2up|titolo = "Il dialetto di Arcevia" pagina IX|accesso = |editore = |data = }}</ref>
 
Altri esempi di termini giudeo-anconitani tratti dal ''Dizionario del Vernacolo Anconitano'' di Mario Panzini:
== Caratteristiche ==
Il dialetto di Ancona, specie nel passato, poteva essere considerato un vernacolo, vista la limitata zona di suo utilizzo: infatti la parlata anconetana "pura" era circoscritta praticamente alla sola città e solo negli ultimi decenni si è estesa anche alle contigue [[Falconara Marittima|Falconara]], [[Sirolo]], [[Numana]], un tempo centri di dialetto gallo-italico ed ora completamente anconetanizzate. Un'anconetanizzazione parziale la si può riscontrare anche nei vernacoli dei centri rurali immediatamente limitrofi, come [[Agugliano]], [[Polverigi]] e [[Offagna]], ove risente dell'[[Dialetto osimano|osimano]], nonché [[Camerata Picena]] e [[Chiaravalle]], in cui si mescola con lo [[Dialetto jesino|jesino]]. Ormai però al giorno d'oggi è da evidenziare come gli influssi dell'anconetano hanno modo di manifestarsi in aree assai più estese, specie lungo la costa in direzione nord e sud e nella valle del fiume [[Esino (fiume)|Esino]]: accade cioè che gli abitanti di centri quali [[Senigallia]], [[Jesi]], [[Osimo]], [[Porto Recanati]] e perfino [[Civitanova Marche]], tanto per citare solo i più importanti, assumano sempre più spesso, a causa dei numerosi contatti col capoluogo, lavorativi e non, la tendenza ad ''anconetanizzare'', cioè ad utilizzare accento e vocaboli tipici della parlata dorica, considerata la variante di maggior prestigio. Ciononostante, Ancona non è mai stata, né lo è tuttora, la "capitale linguistica" delle Marche, a causa dell'eccessiva frammentarietà dei vernacoli regionali.
 
• ''ganàv' / ganavéss''<nowiki/>': ladro / ladra
L'anconetano viene quasi unanimemente considerato l'idioma più settentrionale del gruppo umbro-laziale-marchigiano (secondo la linea [[Roma]]-[[Perugia]]-[[Ancona]]), poiché a nord-ovest, già a [[Montemarciano]] (distante solo 20&nbsp;km) gli influssi del [[gallo-italico]] predominano su quelli centrali.<ref name="balducci">Sanzio Balducci I Dialetti (in La Provincia di Ancona - storia di un territorio, Laterza Roma Bari , 1987 ISBN 88-420-2987-4</ref><ref name="ReferenceA">Carla Marchetti, in ''Guida di Ancona'', pag. 108 Il Lavoro editoriale 1991 ISBN 88-7663-136-4</ref>. Ad ovest, poi, già da [[Jesi]] (30&nbsp;km) i dialetti sono più tipicamente [[Dialetti italiani mediani|centrali]], mentre a sud già l'[[dialetto osimano|osimano]] (20&nbsp;km) e le parlate limitrofe assumono alcune componenti maceratesi-picene<ref name=balducci />, le quali costituiscono retaggio dei secoli di amministrazione maceratese su Osimo, Loreto e [[Castelfidardo]].
 
• ''mugnàr''<nowiki/>': parlare a vanvera
Nel dialetto anconitano convivono elementi dei due macro-gruppi italiani: infatti malgrado la già citata appartenenza al gruppo dialettale umbro-laziale-marchigiano, non è difficile accorgersi, accanto agli elementi [[Dialetti italiani mediani|centro-meridionali]], anche di elementi [[Gallo-italico|gallo-italici]], nonché di alcuni fenomeni linguistici tipici anche dei [[Lingua veneta|dialetti veneti]], il che porta un cospicuo numero di studiosi a considerare l'anconitano come parlata di "transizione" con i dialetti galloitalici. Addirittura, secondo il già citato Giovanni Crocioni, il dialetto anconetano è da considerare come il più meridionale dei dialetti gallo-italici, o gallo-piceni, che da [[Fano]] verso sud perdono progressivamente le loro caratteristiche galliche per esaurirsi solo dopo [[Camerano]] ed [[Osimo]], divenendo poi parlate picene.<ref>IL DIALETTO DI ARCEVIA (Ancona) – Giovanni Crocioni - ROMA - ERMANNO LOESCHER & C.° - (BRETSCHNEIDER E REQENBERO) - 1906 – introduzione pagg. VI-VII<br />
 
L’estendersi del dialetto gallo-piceno fin sotto Ancona non deve riuscire inaspettato del tutto ai dialettologi ( 5 ) ai quali la pretesa toscanità dell'anconitano ha dato sempre qualche sgomento.<br />
• ''presènt'': tradizionale scambio festivo di dolciumi
Chi si occupò in passato dei dialetti marchigiani ( ! ), con sollecita disinvoltura si affrettò a distribuirli per province, col vieto criterio geografico; e le scritture dialettali, che avrebbero potuto e dovuto chiarire ciò che non chiarivano gli studiosi, erano toscanizzate e ripulite a tal segno, da perpetuare indefinitamente quello sgomento e quell’equivoco.<br />
 
• ''rugnàr''': mugugnare
 
• ''sciatìn'': stanco
 
Inoltre diverse espressioni anconitane derivano da o hanno legami con la cultura e il linguaggio della comunità ebraica; si segnala (in quanto utilizzata anche al giorno d'oggi) ''fa sciabà'' (fare bisboccia), derivato da ''shabbat''</ref>.
 
Ancora, è da segnalare che nel [[Circoscrizioni di Ancona#Rione degli Archi|rione degli Archi]] (''Rió d'j Archi''), relativamente vicino al porto, si registrò un massiccio afflusso di pescatori-armatori originari di [[Porto Civitanova]] ([[Civitanova Marche]]), i quali emigrarono a più riprese ad Ancona a partire dalla seconda metà degli anni Venti del XX secolo: infatti il porto del capoluogo marchigiano, date le maggiori dimensioni rispetto agli altri scali marittimi della regione, si rivelò di vitale importanza per il loro lavoro sulle barche a vela di quell'epoca. Più precisamente, la struttura del porto peschereccio del [[Mandracchio]] - nome che in tutte le città di mare contraddistingue l'area adibita al ricovero delle barche - venne costruita al Molo Sud partire dal 1920, e ciò comportò dunque lo spostamento definitivo ad Ancona di un buon numero di pescatori e delle loro imbarcazioni a vela, provenienti soprattutto da [[Porto Civitanova]] e, per una parte meno consistente, anche da [[Porto Recanati]]; bisogna comunque ricordare che essi frequentavano già da vari anni il porto di Ancona specie durante la stagione invernale, in quanto riparato e protetto nei casi di improvvise burrasche.<ref>{{Cita web|url=http://www.mappadicomunita-ancona.org/joomla/storia/la-pesca-nel-rione-archi/49-quartiere/storia|titolo=Origine del quartiere "Archi" di Ancona e dei suoi abitanti|accesso=14 marzo 2018|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20180314175408/http://www.mappadicomunita-ancona.org/joomla/storia/la-pesca-nel-rione-archi/49-quartiere/storia|dataarchivio=14 marzo 2018|urlmorto=sì}}</ref> Nel corso degli anni costoro aggiunsero, all'attività più propriamente ittica, quelle consuete dello scalo dorico, ossia scambi mercantili e produzione cantieristica: le loro barche trovarono perciò sistemazione al Mandracchio, mentre le famiglie, che successivamente li raggiunsero, andarono ad abitare appunto agli Archi. Ciò ha fatto sì che fino a non molti anni fa alcuni tra i più anziani residenti in quel quartiere parlassero ancora il dialetto civitanovese, appartenente alla famiglia dialettale [[Dialetti marchigiani#Zona maceratese-fermana-camerte|maceratese-fermana-camerte]] (marchigiano centro-meridionale), sia pure inframmezzandolo con vocaboli tipicamente dorici, mutuati per via dei numerosi contatti (lavorativi e non) con gli anconetani. In sostanza, pur non avendo il civitanovese influenzato linguisticamente l'anconitano, ebbe modo di crearsi nel rione degli Archi una sorta di piccola "città dentro la città", proprio per via del forte attaccamento che costoro mantennero nei confronti non solo del dialetto natio ma anche dei costumi e delle usanze marinare e culinarie civitanovesi. I loro attuali discendenti hanno invece abbandonato definitivamente la parlata paterna e sono pertanto del tutto anconetanizzati<ref>{{Cita web|url=http://www.anconatoday.it/eventi/pescatori-mostra-mole-ancona.html|titolo=Provenienza civitanovese di molti marinai del porto di Ancona|accesso=14 marzo 2018|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20180314114139/http://www.anconatoday.it/eventi/pescatori-mostra-mole-ancona.html|dataarchivio=14 marzo 2018|urlmorto=sì}}</ref>.
 
== Caratteristiche, classificazione e studi in merito ==
L'anconetano viene quasi unanimemente considerato l'idioma più settentrionale del gruppo dei [[dialetti italiani mediani]] (secondo la linea Roma-Perugia-Ancona), subarea ''perimediana''; già a [[Montemarciano]] (distante solo 20&nbsp;km) gli influssi del gallo-italico predominano su quelli centrali, e gli elementi gallo-italici si ritrovano nelle frazioni della campagna anconetana ed in comuni limitrofi, quali [[Camerano]].<ref name="balducci">Sanzio Balducci I Dialetti (in La Provincia di Ancona - storia di un territorio, Laterza Roma Bari, 1987 ISBN 88-420-2987-4</ref><ref name="ReferenceA">Carla Marchetti, in ''Guida di Ancona'', pag. 108 Il Lavoro editoriale 1991 ISBN 88-7663-136-4</ref>. Ad ovest, poi, già da [[Jesi]] (30&nbsp;km) i dialetti sono più tipicamente [[Dialetti italiani mediani|centrali]], mentre a sud già l'[[dialetto osimano|osimano]] (20&nbsp;km) e le parlate limitrofe assumono alcune componenti maceratesi-picene<ref name="balducci" />, le quali costituiscono retaggio dei secoli di amministrazione maceratese su Osimo, Loreto e [[Castelfidardo]].
 
Il dialetto di Ancona, specie nel passato, poteva essere considerato un vernacolo, vista la limitata zona di suo utilizzo: infatti la parlata anconetana "pura" era circoscritta praticamente alla sola città e solo negli ultimi decenni si è estesa anche alle contigue [[Falconara Marittima|Falconara]], [[Sirolo]], [[Numana]], un tempo centri linguisticamente [[Lingue gallo-italiche|gallo-italici]] e ora completamente anconetanizzati. Un'anconetanizzazione parziale la si può riscontrare anche nei vernacoli dei centri rurali immediatamente limitrofi, come [[Agugliano]], [[Polverigi]] e [[Offagna]], ove si risente dell'[[Dialetto osimano|osimano]], nonché [[Camerata Picena]], in cui si mescola con lo [[Dialetto jesino|jesino]], mentre vi sono diversità un po' più accentuate a [[Chiaravalle]] e [[Monte San Vito (Italia)|Monte San Vito]]. C'è anche da dire che a ben vedere al giorno d'oggi gli influssi dell'anconetano hanno modo di manifestarsi in aree assai più estese, specie lungo la costa (in direzione nord e sud) e nella valle del [[Esino (fiume)|fiume Esino]]: accade cioè che gli abitanti di centri quali [[Senigallia]], [[Jesi]], [[Osimo]], [[Porto Recanati]] e perfino [[Civitanova Marche]], tanto per citare solo i più importanti, assumano sempre più spesso - a causa dei numerosi contatti col capoluogo (lavorativi e non) - la tendenza ad ''anconetanizzare'', cioè ad utilizzare accento e vocaboli tipici della parlata dorica, considerata una varietà dialettale di maggior prestigio. Negli ultimi anni, anche Marina di Montemarciano e Montemarciano hanno assunto la parlata anconitana. Ciò non è tuttavia sufficiente per poter definire Ancona la "capitale linguistica" delle Marche; anche perché l'influenza dell'anconitano sulle parlate dei centri del circondario si manifesta attraverso l'adozione di tratti ed espressioni spesso abbondantemente italianizzati e quindi privi delle caratteristiche più schiette dell'originario idioma del capoluogo.
 
Nel vernacolo anconitano convivono elementi dei due macro-gruppi italiani: infatti malgrado la già citata appartenenza al gruppo dialettale umbro-laziale-marchigiano (nell'ambito dei dialetti ''perimediani''), non è difficile accorgersi, accanto agli elementi [[Dialetti italiani mediani|mediani]], anche di elementi [[Lingue gallo-italiche|gallo-italici]], nonché di alcuni fenomeni linguistici tipici anche della [[Lingua veneta]], il che porta un cospicuo numero di studiosi a considerare l'anconitano come parlata di "transizione" con i dialetti gallo-italici. Addirittura, secondo il già citato Giovanni Crocioni, il dialetto anconetano è da considerare come il più meridionale dei dialetti gallo-italici, che da [[Fano]] verso sud perdono progressivamente le loro caratteristiche gallo-italiche per esaurirsi solo dopo [[Camerano]] ed [[Osimo]], divenendo poi parlate picene.<ref>IL DIALETTO DI ARCEVIA (Ancona) – Giovanni Crocioni - ROMA - ERMANNO LOESCHER & C.° - (BRETSCHNEIDER E REQENBERO) - 1906 – introduzione pagg. VI-VII<br />
L'estendersi del [[dialetto gallo-piceno]] fin sotto Ancona non deve riuscire inaspettato del tutto ai dialettologi ( 5 ) ai quali la pretesa toscanità dell'anconitano ha dato sempre qualche sgomento.<br />
Chi si occupò in passato dei dialetti marchigiani ( ! ), con sollecita disinvoltura si affrettò a distribuirli per province, col vieto criterio geografico; e le scritture dialettali, che avrebbero potuto e dovuto chiarire ciò che non chiarivano gli studiosi, erano toscanizzate e ripulite a tal segno, da perpetuare indefinitamente quello sgomento e quell'equivoco.<br />
Onde nessuno sospettò, neppure alla lontana, che laggiù, oltre l'Esino, confine imaginario fra due opposte correnti dialettali, si protendesse un filone, che a Pesaro e Urbino è ancora gallo-italico, e per Fano, Senigallia e Montemarciano, per Falconara ed Ancona, spogliandosi via via di alcuni caratteri del suo gruppo, andasse a smorire fra i parlari della Marca meridionale,</ref><ref>[https://archive.org/stream/ildialettodiarc00crocgoog#page/n14/mode/2up Il dialetto di Arcevia (Ancona) – Giovanni Crocioni – Roma – ERMANNO LOESCHER & C.- 1906]</ref>
 
Sempre secondo il Crocioni, nellaNella prefazione alla 1ª edizione del volume ''La bichieròla'' di Duilio Scandali, del 1906, Crocioni osserva: ''“Chi nel passato ha rivolto alla lesta uno sguardo al dialetto di Ancona, badando a qualche saggiuolo infedele, sparso qua e là nelle stampe, se n'è ritratto come sgomentito, per quell'accento spiccato di schietta italianità, che lo fa parere un vernacolo propagginatosi da quelli toscani. Eppure l'anconitano, chi bene lo indaghi, mostra cospicui caratteri, sconosciuti ai toscani, che lo accomunano a ben altra famiglia... Esso vanta un vocabolario dovizioso e un frasario multiforme, un po' cosmopolita, flessibile, pronto all'esigenze di un'arte che lo chiami a cimenti difficili.”'' Il Crocioni prosegue evidenziando come ad Ancona si verifica la confluenza, insieme al galloitalico, anche dei dialetti della ''-u'' finale, che attraversano l'Italia dal Tirreno all'Adriatico, e "''che più di una loro proprietà immettono nell'anconetano, nel quale si vengono pertanto ad incontrare, come i raggi nell'asse di una ruota, i prolungamenti dei dialetti gallici, di quelli dalla -u finale, e dei toscani, che irraggiano su tutti i dialetti dell'Italia centrale un filo della loro luce.''"
 
Nella raccolta ottocentesca de "''[[:c:File:I parlari italiani in Certaldo.1875.pdf|I parlari italiani in Certaldo]]''", il professor Cesare Rosa, che raccolse due versioni in anconitano della novella di Boccaccio "''La dama di Guascogna e il re di Cipro''", non manifestò particolare considerazione in merito all'esistenza ad Ancona di un vero e proprio "dialetto" inteso nel senso letterale del termine: egli ebbe infatti modo di osservare che "''un dialetto anconetano non esiste; il linguaggio che qui si presenta, non è che una corruzione dell'italiano quale in Ancona si suol fare dal popolo minuto soltanto''". Contrapposto a quello del professor Rosa è il parere di autori e studiosi vernacolari quali Duilio Scandali<ref>{{Cita libro|nome=Duilio|cognome=Scandali|titolo=Scenette e Scenate|anno=1919|citazione=V'è ancora chi sostiene che, comunque, la nostra parlata è una corruzione della lingua italiana. Questa opinione è diffusa anche fra persone cólte, ma che di linguistica non si sono mai occupate. Se ciò fosse vero, bisognerebbe ammettere che in un tempo più o meno lontano sulla bocca del nostro popolino avesse risuonato la pura lingua letteraria, il che è storicamente assurdo}}</ref>, Palermo Giangiacomi<ref>{{Cita libro|nome=Palermo|cognome=Giangiacomi|titolo=Storie e sturiele|annooriginale=1932|editore=P. Giangiacomi - tipografia S.T.A.M.P.A.|città=Ancona|p=87|capitolo=Il Vernacolo Anconitano|citazione=Non è, quindi, come fu detto da taluni, una corruzione, o storpiatura della lingua italiana, perché allora bisognerebbe ritenere che anticamente qui si parlasse l'italiano puro. Il che è assurdo}}</ref> e Mario Panzini<ref>{{Cita libro|nome=Mario|cognome=Panzini|titolo=Il Vernacolo Anconitano. Compendio storico - antologico dalle origini ad oggi|annooriginale=1977|editore=Edizioni "Nuova Cultura"|città=Ancona|p=21|citazione=in un recente congresso di studii dialettali un intervenuto [...] definì il vernacolo anconitano una «corruzione della lingua italiana» [...] Chiunque può agevolmente dedurne che si tratta di una definizione a dir poco paradossale [...] e dovremmo ammettere il concetto [...] che il popolo abbia parlato prima la lingua nazionale e poi il dialetto}}</ref>, che evidenziano l'inverosimiglianza della possibilità di una corruzione popolare della lingua nazionale, che avrebbe implicato l'uso da parte della popolazione (all'epoca scarsamente scolarizzata) della lingua letteraria; le stesse versioni in anconitano proposte dal professor Rosa risentono di una certa italianizzazione, di cui sono indicatori l'uso del passato remoto e del gerundio, pressoché assenti nel vernacolo anconitano: al primo viene tuttora preferito il passato prossimo, mentre il secondo era usato solo con funzione modale preceduto da ''a;'' a titolo esemplificativo: ''stago a discóre'' = sto parlando (e non ''stago discurèndo''), laddove ''a discurèndo me sò badurlàto'' = parlando, ho perso tempo. Lo stesso Duilio Scandali ha proposto una versione della novella di Boccaccio in un anconitano più caratteristico rispetto a quella del professor Rosa.<ref>{{Cita web|url=https://accademiamarchigiana.it/pdf/25072023/11RendicontiXVII1941-49.pdf|titolo=Rendiconti, XVII (Anni 1941-1949)|editore=Istituto Marchigiano di Scienze, Lettere e Arti|pp=49-50|accesso=26-12-2024}}</ref>
È interessante infine la presenza di un'isola linguistica comprendente le frazioni anconitane del Conero ([[Poggio (Ancona)#Dialetto|Poggio]] e [[Circoscrizioni di Ancona|Massignano]]) e, fuori dai confini comunali, [[Camerano]]. I dialetti di questi centri non sono varianti del dialetto anconitano, ma costituiscono un nucleo [[Gallo-italico|gallico]] circondato da dialetti [[Dialetti italiani mediani|centrali]]; il fenomeno era più netto fino a trenta anni fa, ma anche oggi è rilevante.<ref>Giuseppe Bartolucci ''Il Poggio di Ancona'' e ''Miti e leggende del Conero anconitano.'' Ente Parco del Conero, Sirolo, 1997</ref>
 
È interessante infine la presenza di un'isola linguistica comprendente le frazioni anconitane del [[Monte Conero|Cònero]] ([[Poggio (Ancona)#Dialetto|Poggio]], [[Massignano (Ancona)|Massignano]] e [[Varano (Ancona)|Varano]]) e, fuori dai confini comunali, [[Camerano]]. Come si vedrà più avanti, i dialetti di questi centri non sono varianti del vernacolo anconitano, ma costituiscono un nucleo [[Gallo-italico|gallico]] circondato da dialetti [[Dialetti italiani mediani|centrali]], e potrebbe anche trattarsi degli ultimi residui di un'area gallo-italica che un tempo doveva
essere molto più ampia al punto da ricomprendere persino la stessa Ancona, ma non ci sono certezze documentali in merito<ref name=":1" />. La presenza del gallo-italico nelle frazioni di Ancona era un fenomeno molto più netto fino a quaranta anni fa, ma anche oggi è rilevante.<ref>Giuseppe Bartolucci ''Il Poggio di Ancona'' e ''Miti e leggende del Conero anconitano.'' Ente Parco del Conero, Sirolo, 1997</ref> Da segnalare però come a livello lessicale e sintattico ci sia una frequente mutua intelligibilità tra il vernacolo anconitano e le parlate gallo-italiche delle campagne limitrofe.
 
Relativamente a una possibile antica appartenenza dello stesso dialetto anconetano alla famiglia gallo-italica, alcuni studiosi contemporanei, quali il prof. Sanzio Balducci, hanno ipotizzato che ciò fosse verosimile e che successivamente si fosse impiantata, sulla antica base settentrionale, una parlata di impronta mediana<ref name=":1">{{Cita libro|nome=Sanzio|cognome=Balducci|curatore=Sergio Anselmi|titolo=La provincia di Ancona. Storia di un territorio|anno=2002|editore=SAGRAF|città=Falconara Marittima (AN)|pp=212-215|volume=Tomo 1 - Aspetti storico-culturali|capitolo=I dialetti|citazione=È difficile trovare in sede storica uno stretto collegamento culturale tra Senigallia e i paesi del Conero: sembra più probabile un'antica connessione costiera tra Fano-Senigallia-Ancona e il Conero, con successivo spostamento del dialetto di Ancona verso moduli più umbri e romaneschi. Ma queste sono supposizioni}}</ref>. Ciò potrebbe essere legato a un possibile orientamento da parte del ceto mercantile a prediligere modelli linguistici fiorentini e mediani, probabilmente reputati più prestigiosi<ref>{{Cita web|url=https://www.tulasi.it/morronimassimo/default.asp?p=4|titolo=Il vernacolo osimano|autore=Massimo Morroni|citazione=Alla fine del Trecento l'influsso toscano lascia le sue conseguenze nei principali centri delle Marche, nelle scritture sia letterarie sia documentarie. Il suo modello viene comunque imposto in maniera diversa; mentre, per esempio, ad Urbino esso è legato al contesto politico e culturale e verrà meno con l'evolversi degli eventi, ad Ancona, dove è fondato su rapporti meramente economici e commerciali, il toscano riuscirà a deviare il corso evolutivo della parlata. Il toscaneggiamento è comunque maggiore negli ambienti aulici, mentre si perde in quelli popolareggianti}}</ref>. Un vago indizio in merito proviene da quanto scritto dal cronista del XVI secolo Bartolomeo Alfeo, qualche decennio dopo l'annessione di Ancona allo [[Stato Pontificio]]: a seguito del nuovo governo, in città si sarebbe registrato un arrivo cospicuo di nuclei familiari di provenienza specialmente maceratese e toscana, e ciò avrebbe avuto notevoli ripercussioni sulla parlata locale; viene infatti evidenziato come a partire da allora negli annunci pubblici "''fu alterato il parlare e la pronuncia cangiata''"<ref>Palermo Giangiacomi, ''Il Vernacolo Anconitano'', in ''Storie e sturiele'', Ancona, P. Giangiacomi - tipografia S.T.A.M.P.A., 1932, p. 87.</ref>. È stata pertanto ventilata l'ipotesi che un tempo il gallo-italico si estendesse in modo compatto e senza interruzioni da Senigallia fino al Cònero, comprendendo pertanto Ancona, e che successivamente tale "continuum" si fosse interrotto proprio nel centro urbano di Ancona per via dei fenomeni migratori prima accennati.
 
Non bisogna tuttavia dimenticare che, in virtù dell'esistenza della [[Repubblica di Ancona|Repubblica marinara di Ancona]], [[Venezia]] ha esercitato per secoli un'influenza notevole sulla città dorica, anche sotto il profilo linguistico: si potrebbe pertanto ipotizzare che l'antico anconetano fosse una sorta di dialetto gallo-italico fortemente "venetizzato".
 
=== Elementi gallo-italici e somiglianze con i dialetti veneti ===
Nell'anconitano sono presenti i seguenti elementi [[Gallo-italico|gallo-italici]]:
* [[prosodia]] (ossia cadenza) nel parlato dialettale ed italiano molto più somigliante a quella dell'area galloitalicagallo-italica di [[Senigallia]], che non al resto del territorio della provincia: infatti già a [[Osimo]] e soprattutto a [[Jesi]] è avvertibile un accento più tipicamente "umbro-marchigiano";
* [[scempiamento (ossia sdoppiamento) delle consonanti doppieconsonantico]], ad eccezione della ''s''<ref name=balducci /><ref name="ReferenceA"/><ref name=":2" />(''guera'' = guerra, ''balà'' = ballare, ''fratelo'' = fratello, ''surela'' = sorella, ma ''grosso-a''); tuttavia in tempi recenti lo sdoppiamento totale e sistematico delle consonanti geminate è in regresso, nonostanteper via di un adeguamento della parlata alla lingua italiana, per cui nella pronuncia odierna le doppie mantengono una loro pur flebile presenza, eccezion fatta per la "r", che viene scempiata totalmente anche in molte altre aree delle Marche centrali, in Umbria e nel Lazio, specie a Roma: per tale ragione {{chiarire|alcuni|chi?}} riterrebbero più corretto scrivere forme quali ad es. ''ba(l)là'', ''ma(t)to'', ecc., ma ''guera'', ''tera'', ecc. Da notare però che l'assenza di consonanti doppie rimane uno dei tratti più distintivi dell'anconitano più puro, non contaminato dalla lingua nazionale o dall'italiano locale, come si può evincere dalla pronuncia dei più anziani e dalla letteratura vernacolare storica<ref name=":3">{{Cita testo|autore=Duilio Scandali|titolo=Scenette e scenate|editore=|città=|data=1919|citazione=Il nostro vernacolo non conosce geminazione di consonanti. Tuttavia ho mantenuto come pura convenzione grafica, anche ove non esistano in italiano, la doppia Z e la doppia S per indicarne i suoni sordi in confronto di quelli sonori. Le due sibilanti, del resto, come intervocaliche son sempre sonore, meno, appunto, quando corrispondono a doppie italiane}}</ref><ref>{{Cita libro|nome=Sanzio|cognome=Balducci|curatore=Sergio Anselmi|titolo=La provincia di Ancona. Storia di un territorio|anno=2002|editore=SAGRAF|città=Falconara Marittima (AN)|p=215|volume=Tomo 1 - Aspetti storico-culturali|capitolo=I dialetti|citazione=Ancona opera uno scempiamento sistematico di tutte le doppie sia protoniche che postoniche}}</ref>. Attualmente lo sdoppiamento è mantenuto solo nella parlata più stretta, altrimenti nel dialetto italianizzato che sempre più spesso si parla esso è in via di regresso. Nonostante la tendenza allo sdoppiamento, mantengonopossono lamanifestare una consonante doppia le voci verbali con suffissi pronominali, come ''guardarti, parlarci, vedervi'', che diventano rispettivamente ''guardàtte, parlàcce, vedévve''.; Inanche particolarequesto loaspetto sdoppiamentoè però probabilmente dovuto a una pronuncia più moderna e prossima all'italiano o influenzata da varianti regionali sentite come più prestigiose, in quanto nelle opere più datate e nella pronuncia di tanti anziani queste voci mantengono il tipico scempiamento anconetano<ref name=":2" />(''stéme'' = statemi, poichéanziché giàil più recente stémme; ''dime'' = dimmi, anziché ''dimme''; ''fernìla'' = finitela, anziché ''fenìlla''<ref>Esempi tratti dalle opere di Duilio Scandali</ref>). Inoltre va evidenziato come nei centri galloitalicigallo-italici di Senigallia e Montemarciano, nonma risultaanche marcatonelle comeormai nelestinte capoluogoparlate contadine anconetane di [[Varano (Ancona)|Varano]] e [[Circoscrizioni di Ancona#Frazione di Montacuto|Montacuto]], nonché in altre località più interne fino alle aree perugina ed aretina, lo sdoppiamento è presente solo prima dell'accento, ossia in posizione protonica (''acétta'' per "accétta", ''alóra'' per "allora", ''acòrd'' per "accordo"): pertanto la sua presenza molto più frequente e sistematica nell'anconetano urbano sarebbe probabilmente didovuta originea veneta,influssi veneti e dunque costituirebbe il lascito maggiore della parlata dei "''buraneli''". Inoltre testi ottocenteschi dimostrerebbero come all'epoca lo sdoppiamento riguardasse in alcuni casi pure la "s" (come appunto in [[Veneto]]): sono infatti attestate forme come ''groso'' per "grosso", ''esendo'' per "essendo", ''consolase'' per "consolarsi"<ref name=":3" /><ref>{{Cita web|autore = AA VV|url = httphttps://www.archive.org/stream/iparlariitalian00unkngoog#page/n96/mode/2up|titolo = "I parlari italiani in Certaldo", pagina 76|accesso = |editore = |data = }}</ref>. AttualmenteSingolare loe sdoppiamentodi èdifficile mantenutospiegazione nellaera parlatapoi piùil strettafenomeno esattamente opposto, altrimentiossia nelil dialettoraddoppiamento italianizzato(o chegeminazione) sempredelle piùscempie, spessoche si parlaverificava essoin èalcuni intratti viadelle ormai estinte parlate gallo-italiche del contado: ad es. ''maritte'' per "marito"<ref>V. la voce ''[https://www.anconanostra.com/vernaculo/diziunario/diziunario.htm pisciatóra]'' nel "Dizionario del Vernacolo Anconitano" di regressoMario Panzini</ref>;
* conseguente tendenza al mancato rafforzamento dei nessi consonantici "gn", "gl" e "sc" (sia pure gli ultimi due in misura minore): ad esempio, una parola come "legno" viene pronunciata con una debole articolazione della "g", oppure "conoscere" con una debole articolazione della "s";
* mancanza del cosiddetto [[raddoppiamento fonosintattico]], presente già nel dialetto osimano: perciò ad Ancona si ha ad es. ''a-casa'' e non ''a ccasa'', ''è-più-dificile'' anziché ''è ppiù ddifficile'', e così via; tuttavia pare che dagli ''Statuti del mare'' medievali questo fenomeno fosse riscontrabile nell'anconetano volgare (''a llui, se ffarà''): si tratterebbe di un fenomeno regredito nel corso dei secoli per influsso settentrionale, e che comunque risulta assente pure in altri dialetti mediani, come nel perugino;
* conseguente mancanza del cosiddetto [[raddoppiamento fonosintattico]]<ref>{{Cita libro|nome=Michele|cognome=Loporcaro|curatore=Martin Maiden, Mair Parry|titolo=The Dialects of Italy|anno=1997|editore=Routledge|città=Abingdon|lingua=Inglese|capitolo=Lengthening and "raddoppiamento fonosintattico"|citazione=In Ancona, total loss of RF (raddoppiamento fonosintattico, ndr) [...] corresponds to context-free degemination word-internally [...] Ancona, as claimed by Rohlfs (1966: 322) is the southernmost outcrop on the Adriatic coast - south of Wartburg's La Spezia-Rimini (or Pellegrini's Carrara-Fano) Line - of Western Romance degemination|ISBN=0-415-11104-8}}</ref>, presente già nella parlata gallo-italica di [[Camerano]] (''più ffort'' per "più forte"<ref>{{Cita web|url=https://www.bulgnais.com/ventoesole/VS-Camerano.html|titolo=Dialetto di Camerano|accesso=13 dicembre 2017|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20171213204434/https://www.bulgnais.com/ventoesole/VS-Camerano.html|dataarchivio=13 dicembre 2017|urlmorto=sì}}</ref>) nonché nel [[dialetto osimano]]<ref>{{Cita web|url=https://www.bulgnais.com/ventoesole/VS-Osimo.html|titolo=Dialetto di Osimo|accesso=13 dicembre 2017|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20190210081921/http://www.bulgnais.com/ventoesole/VS-Osimo.html|dataarchivio=10 febbraio 2019|urlmorto=sì}}</ref>: perciò ad Ancona si ha ad es. ''a-casa'' e non ''a ccasa'', ''è-più-dificile'' anziché ''è ppiù ddifficile'', e così via; tuttavia dall'esame degli ''Statuti del mare'' medievali, scritti in un presumibile anconetano volgare, emerge la presenza di questo fenomeno (''a llui, se ffarà''), che sarebbe perciò regredito nel corso dei secoli per influsso settentrionale; il raddoppiamento risulta comunque assente pure in altri dialetti mediani, come nel [[Dialetto perugino|perugino]], ma anche in [[Toscana]], come ad [[Arezzo]] ed in buona parte della sua provincia;
* [[lenizione]] (o volgarmente detta "rilassamento") della ''t'' e della ''c'' intervocaliche<ref name=balducci />, fenomeno di or (''pudé'' = potere, ''segondu'' = secondo, ''gambià'' = cambiare, ''garbó'' = carbone e ''fadìga'' = fatica, ''vigolo'' = vicolo, ''mbriago'' = ubriaco, ''stomigo'' = stomaco). Tuttavia, tale lenizione non è generalizzata, quindi non si estende ai participi, come invece succede nei dialetti di [[Jesi]], [[Osimo]] e comuni limitrofi, dove si dice, per esempio, ''magnado, sentido, tenudo'' per ''mangiato, sentito, tenuto'' (''magnao'' a [[Fabriano]]);
* la pronuncia sempre sonora di "s" intervocalica, anche se sorda in italiano standard (''naṡo, caṡa, méṡe, preṡidènte, e''cc.)<ref>{{Cita pubblicazione|autore=|nome=Silvia|cognome=Micheli|titolo=Onomastica cinquecentesca ad Ancona.
* Uso di ''t'' per unire la preposizione semplice ''in'' all'articolo (come anche in parte della provincia,'' in'' + ''el'' dànno origine a ''ntel'': ''ntel muro'' per "nel muro");
Profilo linguistico e culturale della città attraverso l'analisi di un repertorio di antroponimi|rivista=|volume=|numero=|citazione=La sonorizzazione delle consonanti intervocaliche, tratto caratteristico dei dialetti settentrionali e proprio anche dell'anconetano moderno, colpisce soprattutto le velari e la sibilante: nel repertorio spiccano infatti le
* nella pronuncia della vocale "a" sono avvertibili echi della palatalizzazione galloitalica, riscontrabile fino all'altezza di Senigallia: perciò la parola "padre" si scrive certamente come in italiano, ma in anconetano stretto si pronuncia con una "a" tendente ad "è" molto aperta; il fenomeno in questione però si riscontra anche all'interno, come a Fabriano, perché poi nell'Umbria centro-settentrionale ([[Perugia]] e soprattutto [[Gubbio]]), nonché in [[Toscana]] nell'aretino, si assiste a un vero e proprio innalzamento vocalico di un grado (a>è ad es. "casa" diventa ''chèsa''); inoltre non bisogna dimenticare che comunque una pronuncia della "a" leggermente alterata non scompare quasi mai nelle Marche, soprattutto nella zona meridionale, perché infatti un'altra area di irradiazione della palatalizzazione della "a" è l'[[Abruzzo]] teramano.
forme Ciriago e Mariza in cui, nel primo caso, troviamo una occlusiva velare sonora al posto della corrispettiva sorda, nel secondo la sonorizzazione della sibilante viene resa graficamente con una <z>}}</ref>; anche nel prefisso "trans-" si ha pronuncia sonora, per cui si avrà ''tranzito'', ''tranzitare'', ecc. A ciò si aggiunge il fatto che la "s" ad inizio di parola viene spesso pronunciata in maniera tendente a "sc" (''sciùbito'' per "subito"), anche se in modo non intensivo come in Emilia-Romagna: si tratta certamente di un influsso proveniente dalle non lontane aree senigalliese e pesarese-urbinate;
* si rinvengono sporadiche pronunce delle vocali "e" ed "o" secondo il tipo galloitalico (emiliano-romagnolo in particolare), ad esempio ''spórco ''per "spòrco" o ''bistècca'' per "bistécca", o ancora ''vèndere'' per "véndere" (quest'ultimo in uso pure nelle aree provinciali limitrofe e a [[Porto Recanati]]);
* [[lenizione]] (o volgarmente detta "rilassamento") della ''t'' e della ''c'' intervocaliche<ref name=balducci />, fenomeno di or (''pudé'' = potere, ''segóndu'' = secondo, ''gambià'' = cambiare, ''garbó'' = carbone e ''fadìga'' = fatica, ''vìgolo'' = vicolo, ''mbriàgo'' = ubriaco, ''stòmigo'' = stomaco). Tuttavia, tale lenizione non è generalizzata, quindi non si estende ai participi, come invece succede nei dialetti di [[Jesi]], [[Osimo]] e comuni limitrofi, dove si dice, per esempio, ''magnàdo, sentìdo, tenùdo'' per ''mangiato, sentito, tenuto'' (''magnào'' a [[Fabriano]]);
* assenza della trasformazione di ND in NN, (che si potrebbe però sporadicamente incontrare in rarissimi casi come nel verbo ''andare'' che può dare indifferentemente ''andà'' ma anche ''annà'' o ''anà''), di NT in ND, di LD in LL, ecc. L'unica assimilazione riscontrata è quella del nesso ''ng'', che diventa ''gn'' (''piàgne'' per ''piangere'', ''strégne'' per ''stringere''). Tuttavia nelle aree campagnole limitrofe, almeno fino alla metà del secolo scorso, tale trasformazione doveva essere vitale, come dimostrato da forme quali ''palomma'', ''spanne'', ''quanne'': in particolare quest'ultimo vocabolo, letteralmente "quando", mostra un indebolimento della vocale finale, tipico dei dialetti galloitalici, che proprio nella campagna anconetana e nei paesi limitrofi trovavano i loro ultimi echi, come si vedrà più avanti. Inoltre non bisogna sottovalutare che nella parola ''numbero'' per "numero" trasparirebbe un ipercorrettismo frutto probabilmente di un precedente ''nummero'', forma tra l'altro tuttora in uso nelle aree a sud del capoluogo, come [[Osimo]], il che dimostrerebbe come in passato almeno alcune rese di tipo centromeridionale come appunto MB in MM, fossero presenti pure ad Ancona e poi regredite;
* Uso di ''t'' per unire la preposizione semplice ''in'' all'articolo (come anche in parte della provincia,'' in'' + ''el'' danno origine a ''ntel'': ''ntel muro'' per "nel muro");
* uso anche davanti alla ''s'' impura e alla ''z'' dell'articolo determinativo maschile ''el'' (es: ''el zùchero'' = lo zucchero), che però, davanti alla ''s'', spesso perde la ''l'' (es. ''e' stato'' = lo stato). Vale però la pena di ricordare che c'è un unico caso in cui è usato ''lo'': quando è seguito dalla parola ''stesso'', e solo nel caso in cui sia avverbio (''lu stessu'');
* nella pronuncia della vocale "a" sono avvertibili echi della palatalizzazione gallo-italica, riscontrabile fino all'altezza di Senigallia: perciò la parola "padre" si scrive certamente come in italiano, ma in anconetano stretto si pronuncia con una "a" tendente ad "è" molto aperta; il fenomeno in questione però si riscontra anche all'interno, come a Fabriano, perché poi nell'Umbria centro-settentrionale ([[Perugia]], [[Città di Castello]] e [[Gubbio]]), nonché in [[Toscana]] nell'aretino, si assiste a un vero e proprio innalzamento vocalico di un grado (a>è ad es. "casa" diventa ''chèsa''); inoltre non bisogna dimenticare che comunque una pronuncia della "a" leggermente alterata non scompare quasi mai nelle Marche, soprattutto nella zona meridionale, perché infatti un'altra area di irradiazione della palatalizzazione della "a" è l'[[Abruzzo]] teramano;
* la pronuncia sempre sonora di "s" intervocalica, anche se sorda in italiano standard (''naṡo, caṡa,'' ecc.); analogamente viene spesso pronunciata anche in maniera tendente a "sc" (''sciùbito'' per "subito"), anche se in modo non intensivo come in Emilia-Romagna.
* si rinvengono pronunce delle vocali "e" ed "o" secondo il tipo gallo-italico (emiliano-romagnolo in particolare), opposte all'italiano standard: ad esempio ''spórco'' per "spòrco", ''bistèca'' per "bistécca" (in uso anche in molte altre aree centrali) o ancora ''vènde'' per "véndere" (quest'ultimo adoperato pure nelle aree limitrofe fino a [[Porto Recanati]]), e infine ''scènde'', in uso pressoché in tutte le Marche, specialmente costiere, ed in quasi tutto l'Abruzzo;
* pronomi personali ''lù'' e ''lia'' (lui e lei), in uso comunque in tutta la provincia, in parte di quella di [[Macerata]] e in molte zone dell'[[Umbria]]; ciononostante negli anziani è in vita anche la forma centro-meridionale ''essa ''per "lei", nonché ''issi'' per "loro";
* assenza della trasformazione di ND in NN, (che si potrebbe però sporadicamente incontrare in rarissimi casi come nel verbo ''andare'' che può dare indifferentemente ''andà'' ma anche ''anà''), di NT in ND, di LD in LL, ecc. L'unica assimilazione riscontrata è quella del nesso ''ng'', che diventa ''gn'' (''piàgne'' per ''piangere'', ''strégne'' per ''stringere''). Tuttavia nelle aree campagnole limitrofe, almeno fino alla metà del secolo scorso, alcune di queste trasformazioni dovevano essere vitali, come dimostrato da forme quali ''palomma'' (MB > MM), ''spanne'', ''quanne'' (ND >> NN): in particolare quest'ultimo vocabolo, letteralmente "quando", mostra anche l'indebolimento della vocale finale, tipico dei dialetti gallo-italici, che proprio nella campagna anconetana e nei paesi limitrofi trovavano i loro ultimi echi, come si vedrà più avanti. Inoltre non bisogna sottovalutare che nella parola ''numbero / numbro'' per "numero" trasparirebbe un ipercorrettismo frutto probabilmente di un precedente ''nummero'', forma tra l'altro tuttora in uso nelle aree a sud del capoluogo, come [[Osimo]], il che dimostrerebbe come in passato almeno alcune rese di tipo centromeridionale come appunto MB in MM, fossero presenti pure ad Ancona e poi regredite;
* l'utilizzo del termine ''ròba'' per "cosa" (''"te devo dì na roba"'');
* uso anche davanti alla ''s'' impura e alla ''z'' dell'articolo determinativo maschile ''el'' (es: ''el zùchero'' = lo zucchero), che però, davanti alla ''s'', spesso perde la ''l'' (es. ''e' stato'' = lo stato). Vale però la pena di ricordare che c'è un unico caso in cui è usato ''lo'': quando è seguito dalla parola ''stesso'', e solo nel caso in cui sia avverbio (''lo stessu''); a tal proposito va però menzionata la forma ''l'istessu/l'istesso'', attestata nella letteratura meno recente<ref name=":0" />, il che potrebbe far pensare all'adozione di ''lo + stesso'' per adeguamento recenziore al modello italiano;
* le forme ''vago'' per "vado", ''stago'' per "sto" e ''fago'' per "faccio" (cfr. senigalliese ''vag'', ''stag'' e ''fag''), anche se l'ultimo di questi verbi, in strutture semantiche disagevoli, è reso con la forma toscana ''fo''', presente in modo sistematico nell'entroterra (''"te fo' véde io"''), anche se è da notare che le forme ''vaco ''e ''staco ''sono presenti pure nel dialetto maceratese, per cui si potrebbe ben parlare di un fenomeno marchigiano in senso stretto;
* analogo comportamento per il pronome personale complemento, che è reso sempre con ''el'' (''lo prendono'' > ''el pìne'', lo aspettiamo > ''e' spetàmo''), mentre già a Osimo è ''lu''. L'utilizzo della forma debole ''el'' come pronome è comunque diffuso quasi in tutta la provincia di Ancona dove però, a differenza del capoluogo, esso viene rimpiazzato da ''lo'' per ovviare a un accostamento stridente davanti a ''s'' (se ad Ancona il televisore ''el spegno'', a Jesi ''lo spegno'')
* seconde persone plurali dei verbi (presente e futuro indicativo, imperativo) in ''-é'' ed ''-ì'', identiche a quelle usate nella [[laguna veneta]] (''magné'' = mangiate, ''andé'' = andate, ''vedé'' = vedete, ''partiré'' = partirete, ''sé'' = siete, ''saré'' = sarete, ''partì'' = partite, ''durmì'' = dormite);
* pronomi personali ''lu'' e ''lia'' (lui e lei), in uso comunque in tutta la provincia, in parte di quella di [[Macerata]] e in molte zone dell'[[Umbria]]; ciononostante negli anziani è in vita anche la forma centro-meridionale ''essa'' per "lei";
* uso dell'avverbio di tempo "''adè"'' (adesso), rispetto a "''mò''" usato nell'Italia centro-meridionale, Roma, parte dell'Umbria e dalla Provincia di Ancona in giù ;
* l'utilizzo del termine ''ròba'' per "cosa" (''"te devo dì 'na roba"'');
* le forme ''dago'' per "do", ''vago'' per "vado", ''stago'' per "sto" e ''fago'' per "faccio" (cfr. senigalliese ''dag'', vag, ''stag'' e ''fag''), anche se l'ultimo di questi verbi, in strutture semantiche disagevoli, è a volte reso con la forma toscana (e romanesca) ''fo''', presente in modo sistematico nell'entroterra (''"te fo' véde io"''); è comunque da notare che le forme ''vaco ''e ''staco'' sono presenti pure nel dialetto maceratese, per cui si potrebbe ben parlare di un fenomeno marchigiano in senso stretto;
* seconde persone plurali dei verbi (presente e futuro indicativo, imperativo) in ''-è'' ed ''-ì'', identiche a quelle usate nella [[laguna veneta]] (''magné'' = mangiate, ''andé'' = andate, ''vedé'' = vedete, ''partiré'' = partirete, ''sé'' = siete, ''saré'' = sarete, ''partì'' = partite, ''durmì'' = dormite);
* uso dell'avverbio di tempo "''adè"'' (adesso), rispetto a "''mò''" usato nell'Italia centro-meridionale, Roma, parte dell'Umbria e dalla Provincia di Ancona in giù;
* uso di pronomi interrogativi provenienti da ''cosa'' (''cù, cusa, cò'') invece che da ''che'', come invece avviene nel resto dei dialetti centrali, perciò non si avrà ad es. la forma ''che c'è'', ma ''cusa c'è'';
* utilizzo del termine ''fjòlofiòlo'' per ''bambino'', mentrein giàuso anche in parti della Toscana e dell'Umbria (tra [[Arezzo]] e [[Città di Castello]]); ad [[Dialetto osimano|Osimo]] lo stesso termine (con il significato di ''figlio'') convive con il sinonimo ''bardàscio'' (cfr. maceratese ''vardàsciu'');
* ormai del tutto regredita è la [[metatesi (linguistica)|metatesi]] quando la sillaba diventa àtona, tipica dei dialetti gallo-piceni: ''burdéto'', per "brodetto", ''umberlì'' per "ombrellino", ''cherdévi'' per "credevi", ''fartèlu'' per "fratello", ''spergà'' per "sprecare", ''purcesió'' per "processione". Ancora in parte in uso risulta invece essere quella inverseinversa (''pre'' "per");
* fenomeno tipico dei dialetti emiliano-romagnoli e che è vitale anche in parte nella pronuncia degli anconetani è la resa sibilante della ''z'', seppur in maniera non molto accentuata, che si potrebbe rendere non proprio in "ss" come avviene più a nord, ma almeno in ''"sz"'' (''situaszione'' per "situazione"). NelInoltre nel secolo scorso il già citato poeta [[Duilio Scandali]] ebbe modo di riscontrare, nel ''portolotto'', forme tipicamente venete e romagnole quali ''in zó'' per "in giù", e, nelle parlanti più anziane, espressioni quali ''bòn zórno'' per "buon giorno", nonché la resa di "sc" in ''"ss"'', come ''pésse'' per "pesce", ''conosséte'' per "conoscete", ecc;<ref>{{Cita web|autore = Giovanni Crocioni|url = https://archive.org/stream/ildialettodiarc00crocgoog#page/n16/mode/2up|titolo = "Il Dialetto di Arcevia", pagina IX|accesso = |editore = |data = }}</ref>
* totale assenza del passaggio dalla ''c'' dolce a ''sc'' (ad esempio, l'italiano ''pace'' non diventa mai ''pasce''), fenomeno assente anche nel [[dialetto perugino]], ma presente da [[Jesi]] ed [[Osimo]] in giù e tipico dei dialetti toscani e centro-meridionali;
 
[[File:Informazioni sulla raccolta differenziata in dialetto anconitano.JPG|upright=1.4|left|thumb|Opuscoli informativi sulla raccolta differenziate in cui viene usato il dialetto anconitano. ''Hai da rompe'' = devi rompere; ''ciaca'' = acciacca; ''semo a disposiziò'' = siamo a disposizione; ''duvrìa esse'' = dovrebbe essere; ''ntel'' = nel]]
 
=== Elementi centrali e meridionali ===
Nell'anconitano sono presenti anche i seguenti elementi, tipici anche di altri [[Dialetti italiani mediani|dialetti centrali]] e dei [[Dialetti italiani meridionali|dialetti meridionali]]; per ragioni di chiarezza si può operare una distinzione ulteriore tra elementi ''perimeridiani'' e centro-meridionali''mediani'' marchigiani in senso stretto.
 
Le caratteristiche dei primi, che si sviluppano lungo la già citata isoglossa Roma-Perugia-Ancona, sono dovute all'influsso toscano, e li isolano parzialmente dai dialetti mediani veri e propri, e tra le più rilevanti vanno segnalate:
* la mancata chiusura in "i" di "e" protonica, e, nel caso dei clitici, anche postonica (''de Ancona'', ''me stai a sentì?'', ''dam(m)e'', ecc): è un fenomeno che contraddistingue massicciamente tutte le parlate del centro Italia, romanesco in testa, ed è molto usato anche nell'italiano regionale, essendo molto ridotta la differenza tra lingua e dialetto;
* la trasformazione del nesso ''uo'' in ''o'' semplice (''còco'' = cuoco, ''core'' = cuore, ''scòla'' = scuola);
* la trasformazione del nesso ''uo'' in ''o'' aperta (''cògu'' = cuoco, ''còre'' = cuore, ''scòla'' = scuola);
* l'uso dell'aggettivo possessivo proclitico davanti ai nomi di parentela (''mi' madre'', ''tu' fratello'');
* l'uso dell'aggettivo possessivo proclitico davanti ai nomi di parentela (''mi' madre'', ''tu' fratèlo''), ma a differenza di toscano, umbro occidentale e laziale viterbese - e comunemente invece al romanesco - non si usa per i sostantivi (''el libro mio'', ''la scola tua'');
* [[apocope]] degli infiniti<ref name="ReferenceA" />, come in moltissimi [[Dialetti italiani mediani|dialetti mediani]] (Iª coniugazione: ''andà'' = andare, ''caminà'' = camminare, ''sgamà'' = scoprire; IIª coniugazione: ''véde'' = vedere, ''sedesse'' = sedersi, ''legge'' = leggere; IIIª coniugazione: ''durmì'' = dormire, ''sentì'' = sentire, ''stremulì'' = rabbrividire; verbi ausiliari, fraseologici e servili: ''c'avé, esse, dové, poté, sapé'' = avere, essere, dovere, potere, sapere);
* [[aferesi (linguistica)|aferesi]], cioè caduta della vocale all'inizio della parola prima di un gruppo di consonanti che inizia con una nasale o una nasale palatale (n- preconsonantico), nonché nel prefisso -ar: anch'esso è un fenomeno tipico di tutta l'Italia mediana e centro-meridionale, e si riscontra all'inizio di articoli, aggettivi dimostrativi, preposizioni e sostantivi: (''‘ntigne'' = intingere, '''ncumincià'' = incominciare, ''metéva ‘n bóca'', ''c'era ‘n falegname'', ''quanto ‘rivava'' = quando arrivava);
* [[apocope]] degli infiniti<ref name="ReferenceA" />, come in moltissimi [[Dialetti italiani mediani|dialetti mediani]] (Iª coniugazione: ''andà'' = andare, ''caminà'' = camminare, ''sgamà'' = scoprire; IIª coniugazione: ''véde'' = vedere, ''sedesse'' = sedersi, ''lege'' = leggere; IIIª coniugazione: ''durmì'' = dormire, ''sentì'' = sentire, ''stremulì'' = rabbrividire; verbi ausiliari, fraseologici e servili: ''c'avé, esse, dové, pudé, sapé'' = avere, essere, dovere, potere, sapere);
* la triplice uscita delle prime persone verbali in ''-amo'' (''cantàmo'' da "cantare"), ''-emo'' (''vedémo'' da "vedere"), ''-imo'' (''sentìmo'' da "sentire"), a differenza delle Marche centro-meridionali, dove le uscite sono unificate nella forma ''-emo'' (''-imo'' a Macerata e dintorni);
* l'assenza di [[metafonesi]] di ''-u'' e da ''-i'' finale, così come nel [[Dialetto toscano|toscano]], nel [[romanesco]] e nei dialetti umbri occidentali, elemento invece riscontrabile nell'Italia settentrionale, in quella centrale più propriamente "mediana" (per le Marche è il caso ad esempio di [[Macerata]]), e meridionale (per le Marche [[Ascoli Piceno]]). Pare tuttavia che tanti secoli fa la metafonia, che nella prima metà del '900 si arrestava lungo la linea [[Arcevia]]-[[Fabriano]]-[[Cingoli]]-[[Filottrano]]-[[Potenza Picena]] (ed ora è ulteriormente regredita), fosse vitale anche in centri posti più a nord, come dimostrato da documenti dei secoli XIV XV di [[Recanati]] (''terrino, quillo, quisto'') e del secolo XVI di [[Ancona]] (''quilli, furbitti, piumbo'');
* l'indistinzione tra ''ô'' (<-o, -ō del latino) e ''ö'' (<ū latina), come in tutta l'area perimeridiana e in [[Toscana]], dove le ''-u'' latine si sono aperte in ''-o'' (lupo < lat. LUPUM). Nell'anconetano verace però, come nelle aree circostanti ([[Osimo]], [[Porto Recanati]], ecc.), sebbene ci sia questa indistinzione, è avvenuto il fenomeno contrario, per il quale tutte le ''-o'' finali dell'italiano sono divenute ''-u'' (''iu magnu'' < io mangio, ''el stòmigu'' < lo stomaco). Infatti nella maggior parte dei testi scritti dai poeti anconetani in vernacolo ([[Franco Scataglini]], [[Duilio Scandali]]) sono spesso registrate tutte le voci con la ''-u'' finale, per ricordare l'anconetano più schietto che si è parlato fino agli [[anni 1960|anni sessanta]] del [[Novecento]]: in particolare proprio a detta dello stesso Scandali ''"Mi torna acconcio il far notare che il suono dell’udell'u, quando corrisponde all’oall'o italiano, è talora spiccato e lungo (nel dialetto più genuino) e tal’altratal'altra non si distingue molto dall’odall'o. Nel maggior numero dei casi è u breve leggermente aperta. Chi legge, deve star attento a non marcare molto il suono cupo, ma, d’altronded'altronde, sarebbe sbaglio scrivere o pronunciar o."''<ref>{{Cita web|autore = Duilio Scandali|url = http://www.anconanostra.com/vernaculo/poeti/duilio/bichierola/2.htm|titolo = La Bichierola|accesso = |editoredata = |dataurlarchivio = https://web.archive.org/web/20150627181428/http://www.anconanostra.com/vernaculo/poeti/duilio/bichierola/2.htm|dataarchivio = 27 giugno 2015|urlmorto = }}</ref>. Tuttavia l'anconetano parlato da qualche decennio ha ripristinato la ''-o'' finale come in italiano e la ''-u'' è percettibile talvolta solo all'interno di frase e in pochi altri casi.;
* [[affricazione]], in base a cui la ''s'' dopo ''n'', ''l'' ed ''r'' è resa come ''z'' (''pènzo'', ''falzo'', ''borzabórza'', e ciò è possibile pure in fonosintassi (''el zindaco'', ''nun ze sente'', ''al zole'', ma ''ragioràgio de sole'', ecc.): vale la pena di segnalare che, insieme al già citato sdoppiamento delle consonanti doppie, avviene per contro un certo rafforzamento di tale ''z'' al posto della ''s'', per cui la parola ''persona'' ad Ancona si pronuncia, nel vernacolo, come se la ''z'' (sorda) fosse raddoppiata, ad es. ''perzzona'' in luogo di persona. Graficamente la lettera però non si raddoppia (''inzóma'' = insomma, ''penzo'' = penso, ''gió pel corzo'' = giù per il corso);
* l'assenza della lenizione delle sorde post-nasali (NC > NG, NT > ND, MP > MB), come in Toscana, Umbria Occidentale, Lazio settentrionale con Roma (perciò non si avrà ''biango, tembo, tando,'', ma ''bianco, tempo, tanto'' ecc.); il tratto in questione in realtà affiora anche ad Ancona, dove sono riscontrabili forme sporadiche di passaggio di NC in NG, quali ''vinge'' e ''cunvinge'' per "vincere" e "convincere": esso è però considerato "rustico", tipico della provincia, dove è ancora vitale, specie a Jesi e Fabriano;
 
Relativamente ai secondi elementi, si tratta di fenomeni linguistici presenti di fatto quasi esclusivamente delle Marche centro-meridionali, e che pertanto consentirebbero, seppur in maniera assai approssimativa, di individuare un "dialetto marchigiano" come distinto dagli altri dell'Italia centrale. Molti di questi fenomeni fanno la loro comparsa proprio a partire da Ancona procedendo verso sud, come:
* l'[[apocope]] dei suffissi in'' -ne, -no, -ni'', (''el pà'' = il pane, ''el cà/i càni ''= il cane/i cani, ''la màlemà/le mà ''=la mano/le mani, ''el vì'' = il vino, ''el pacó'' = lo spaccone,'' fa bé'' = fa bene), che forsenelle Marche ha avuto origine forse nell'area maceratese, dove è presente nella sua forma più completa, cioè pure nei suffissi in ''-ore ''(''trattó'' = trattore), per poi diffondersi a nord nell'area anconetana, ma non oltre il fiume [[Esino (fiume)|fiume Esino]] (infatti è assente a Senigallia), e verso sud anche oltre il [[Tronto]]. Il fenomeno è dunque riscontrabile in modo sistematico pressoché in tutte le località centro-meridionali della regione, specie quelle limitrofe alla costa, (ad es. Jesi, Filottrano, Civitanova Marche, Ascoli Piceno, San Benedetto), e insi formafa più attenuatararefatto anchemano a mano che si procede verso alll'interno,: comead esempio a [[Matelica]], doveesso è pressoché limitatalimitato ai soli suffissi in ''-ne,'' e sconfinaa come detto nell'[[AbruzzoFabriano]] settentrionalecompare solo in modo sporadico, ad es. nel nome stesso della città (''Fabrià''), e ciò testimonierebbe come in particolaretale centro il fenomeno fosse in origine sconosciuto, ed avrebbe attecchito soltanto nel toponimo locale a [[causa di influssi provenienti da est. L'Aquilaapocope - molto diffusa nelle Marche anche nei nomi propri di persona maschili non in funzione vocativa (''Francé, Giuvà'') - è frequente come detto anche nell'[[Abruzzo]] settentrionale (sempre nei soli suffissi in ''-ne''), nei comuni della [[Val Vibrata]], e lungo la costa tra [[Martinsicuro]] e [[Giulianova]], arrestandosi di fatto alla foce del fiume [[Tordino]], per cui mentre a Giulianova è ancora avvertibile ad es. Lla forma 'apocope'pallò'', siciò potrebbenon direaccade esserenella distribuitaconfinante [[Roseto degli Abruzzi]], dove è in unauso sorta''pallònë''. Un'altra area dove è in uso l'apocope è quella sabina, tra Abruzzo e Lazio, come testimoniato dai dialetti dell'[[L'Aquila|Aquila]] e di [[Tivoli]], in cui è in uso la forma neutra ''lo maró'' per "triangoloil (colore) marrone". Ancona-LSi tratta comunque di località in cui, data la distanza dalle Marche, questo fenomeno dovette aver avuto un'Aquila-Giulianovaorigine autonoma e non connessa a quella marchigiana. Va notato comunque come nell'anconitano l'apocope in questione si applichi solo alle parole al singolare, tranne che per ''le mà ''= le mani; per cui avremmo ''la frazió'' / ''le frazioni'', ''é' scalandró'' / ''i scalandroni'');
* il rafforzamento di ''s'' in ''sc'' in molti vocaboli con la doppia s (''roscio/a, tosce, nisciuno/a''), nonché negli avverbi ''scì ''e ''cuscì'' per "sì" e "così", come avviene anche in tutte le Marche centro-meridionali, nonché in Abruzzo, [[Molise]] e [[Puglia]] settentrionale garganica. E'È tuttavia assente in alcune parole, come "passione", che mentre in anconetano è resa normalmente come ''passió, ''a Macerata ed Ascoli diventa ''pasció. ''. Invece è presente, a differenza delle Marche centro-meridionali, in alcuni dei vocaboli inizianti per s-, come ''scigaréta, sciguréza ''per "sigaretta", "sicurezza": ciò infatti è riscontrabile nel nord della regione, e perciò dipenderebbe viceversa da influssi gallo-romagnoli;
* seppur in via di regresso, la [[palatalizzazione]] di "s" preconsonantica, considerata anch'essa "rustica" e ormai vitale solo presso gli abitanti più anziani e periferici (''štrada'', ''rišpettà'', ecc.);
* le vocali di inizio parola subiscono l'aferesi se seguite da due o più consonanti ('<nowiki/>''mazzà < ''ammazzare,''''' '<nowiki/>'''spetà <'' aspettare);
* rafforzamento di "l" intervocalico (''Itaglia'' per "Italia", ''Erziglia'' per "Ersilia",'' Giuglià ''per "Giuliano"), ciò si ha tuttavia anche nella zona della Provincia di Pesaro e Urbino, quindi risulta esteso un po' in tutte le Marche;
* la mancanza dell'articolo per introdurre il nome di persona femminile, vitale fino a Montemarciano, nonché nelle aree perugina, aretina e fiorentina e senese: perciò ad Ancona non si avrà ad es. ''c'è la Giovanna'', bensì, ''c'è GiovannaGiuvàna''; altra forma tipicamente centro-meridionale è la resa del diminutivo di Giuseppe in ''Pèpe'' anziché in ''Beppe'' come al nord;
* per quanto riguarda i nomi di persona maschili, un uso tipicamente marchigiano ed anche anconetano consiste nella loro apocope nell'uso anche non al vocativo: ad es. ''me chiamo Francé'' per "mi chiamo Francesco", ''ho chiamato a Giovà'' per "ho chiamato Giovanni", ecc;
* le forme ''nialtri'', ''vuialtri'' (nella forma più "pura" ''niantri'' e ''vuiantri'') in aggiunta a ''no'' e ''vo'', come rafforzativi dei pronomi di 1° e 2° persona plurale (cfr. romanesco ''noantri'');
* le forme ''nialtri'', ''vuialtri'' (nella forma più "pura" ''niantri'' e ''vuiantri'') in aggiunta a ''nó'' e ''vó'', come rafforzativi dei pronomi di 1º e 2º persona plurale (cfr. romanesco ''noantri'');
* la posticipazione del possessivo: ''il cane mio, la scola vostra'';
* la posticipazione del possessivo: ''el cà mio, la scola vostra''; si evidenzia così una differenza marcata col toscano e l'umbro occidentale, dove invece si verifica in modo sistematico l'anticipazione del possessivo in tutti i vocaboli (''il mi' cane'', ''la mi' casa''), mentre ad Ancona e nel resto delle Marche centrali essa si verifica solo con i nomi di parentela (''mi' padre'', ''tu' madre'', ecc.);
* nei verbi si ha spesso identica uscita della 3ª persona singolare e 3° plurale, per cui si ha ad es. ''loro è andati'', che convive con ''ène andati'': ciò si riscontra anche nell'italiano colloquiale di tutte le Marche, tranne che nel Pesarese, e in particolare l'isoglossa è al di sotto della linea [[Montemarciano]]-[[Pergola (Italia)|Pergola]];
* nei verbi si ha spesso identica uscita della 3ª persona singolare e 3º plurale, per cui si ha ad es. ''loro è andati'', che convive con ''ène andati'': ciò si riscontra anche nell'italiano colloquiale di tutte le Marche, tranne che nel Pesarese, e in particolare l'isoglossa è al di sotto della linea [[Montemarciano]]-[[Pergola (Italia)|Pergola]];
* gli infiniti che in latino erano della IIª coniugazione e in lingua terminano in ''-orre'' e in ''-urre'' oppure sono passati alla IIIª coniugazione, in anconitano terminano in ''-one'' e in ''-uce'' (''nun me poi impone de conduce la discussió'' = non mi puoi imporre di condurre la discussione; ''ogi nisciuno sa più usà la machina da cuge'' = oggi nessuno sa più usare la macchina da cucire)<ref>Carla Marcellini (a cura di) Dizionario dei dialetti dell'Anconetano Il lavoro editoriale editore Ancona 1996</ref>;
* seconda persona plurale dell'imperativo della IIIª coniugazione coincidente con l'infinito (''sentì che prufumo!'' = sentite che profumo!, ma: ''nun te posso sentì'' = non ti posso sentire; ''durmì per tera, se sé boni!'' = dormite per terra, se siete capaci!, ma: ''durmì per tera nun è belo!'' = dormire per terra non è bello!);
* come nel maceratese, ma anche in ampie zone di [[Umbria]] e [[Lazio]], il condizionale è presente nella forma in "''-ia''" per la prima e terza persona singolare (''duvrìa'' per "dovrei" e "dovrebbe");
* uso del complemento di termine pure quando il verbo non lo richiederebbe ([[accusativo preposizionale]]): ad esempio la frase italiana ''"gli piace scrivere''", in cui il verbo è un infinito sostantivato nel caso di complemento oggetto, ad Ancona e giù in tutto il Centro-Sud diventa ''jej piacegusta a scrive'';, pertantoe ancheancora si ha ad es. ''stostago a spettàspetà a lù'' per ''"sto aspettando lui"; il fenomeno è però presente anche in area senigalliese e fanese (''stag' a spe(t)tà ma lu'');
* per quanto concerne la sintassi, vale la pena di ricordare l'uso della preposizione ''da'' davanti all'infinito modale preceduto dal verbo ''avere'' in sostituzione di dovere (''ciavémo da fà ='' dobbiamo fare''; ''<nowiki>s'ha da magnà'</nowiki>'' = si deve mangiare) e l'uso della forma gerundiva composta dal verbo ''"stare a + infinito" ''(''stostago a capà i mosciolimóscioli'' = sto pulendo le cozze ([o i mitili]);
* si possono infine citare vocaboli tipicamente centro-meridionali, di origine perlopiù marchigiana, umbra, laziale ed abruzzese, che si rinvengono pure nel vernacolo anconetano, come ad es. ''fadigà'', inteso anche come "lavorare", ''zómpo/zompà'' per "salto/saltare", ''imparà'' per "insegnare", ''cazzaròla'' per "casseruola", ''spaso'' per "steso", ''parnànza'' per "grembiale", usato in da cucina dalla donna specie per i lavori domestici<ref>{{Cita web|url = http://www.anconanostra.com/|titolo = AnconaNostra - El zzito d'j ancunetani che ama la Pace|accesso = 2015-09-28|sito =settembre www.anconanostra.com2015}}</ref>, ''sacociasacòcia'' per "tasca", ''schina'' per "schiena", ''ciavata'' per "ciabatta", ''<nowiki/>'na muchia'' / ''un fracu'' per "un sacco, molto", ecc.
 
=== Altre caratteristiche ed influssi su altri dialetti ===
Ritornando alle caratteristiche dell'anconetano cittadino, interessante è l'[[ipercorrettismo]] delle forme ''quanto'' per "quando", e ''sparambià'' per "sparagnare", che potrebbero far pensare, come già esposto in precedenza, che un tempo potesse essere presente almeno in parte pure ad Ancona la trasformazione centro-meridionale di NT in ND, di ND in NN e di MB in GN, e che la sua scomparsa abbia attratto con sé pure termini che hanno tale forma pure nella lingua italiana: perciò si potrebbe ipotizzare che un tempo pure ad Ancona si dicesse ''quanno'' e poi per un eccesso di ipercorrettismo sia passato non a "quando", perché erroneamente creduta anch'essa una forma meridionale, ma appunto a "quanto". In ogni caso anche a [[Senigallia]] la resa è analoga: ''quant'' con caduta della "o" finale; la stessa resa compare comunque a Pesaro<ref>Come nel detto pesarese ''Quant à da gì pegg, l'è mej ch' la vaga acsé'' (quando deve andare peggio è meglio che vada così)</ref> e in alcune varianti romagnole<ref>{{Cita web|url=https://www.dialettoromagnolo.it/annalisa-teodorani.html|titolo=Annalisa Teodorani|citazione=E ta l sint quant e' cambia e' vént (e lo senti quando cambia il vento)}}</ref>, il che può suggerire una spiegazione alternativa all'ipotesi dell'ipercorrettismo appena descritta.
[[File:CD informativo su Ancona in Italiano, Inglese e dialetto anconitano.JPG|upright=1.4|left|thumb|La vitalità dell'Anconitano è testimoniata anche dal CD recentemente distribuito in migliaia di copie in occasione della visita di Benedetto XVI, in cui si può scegliere se ascoltare il commento sonoro in Italiano, Inglese o dialetto anconitano]]
Come accennato in precedenza, Ancona non è mai stata, storicamente, la "capitale linguistica" delle Marche, né la si potrebbe considerare tuttora: è innegabile però che, nel corso soprattutto dei decenni finali del XXI secolo, l'anconetano ha progressivamente influenzato le parlate marchigiane limitrofe, specie lungo la costa (in direzione nord e sud) e nella valle dell'[[Esino (fiume)|Esino]].
 
Anche i verbi e i sostantivi introdotti nell'uso solo recentemente vengono regolarmente troncati<ref>Carla Marcellini (a cura di) ''Dizionarietto dei dialetti dell'Anconitano'', Il lavoro editoriale 1996</ref> (''termosifó'' =
Come dimostrazione dell'influsso sempre più predominante dell'anconetano cittadino verso nord, basterebbe ricordare come a [[Montemarciano]] si vadano diffondendo le forme apocopate ''mà'' e ''pà'' contro le precedenti nasalizzate ''mañ'' e ''pañ''; inoltre verso nord sembra via via estendersi anche il passaggio di -ns-, -ls- e -rs-, forse anche per l'influsso del c.d. "romanesco televisivo", come testimoniato dalla forma senigalliese moderna ''el polz'', contro la pronuncia precedente ''el pols.''
termosifone, ''e' scuteró '' = "lo scooterone", da scooter, ''sgarbonà'' = fare effusioni con il/la proprio/a ragazzo/a, ''inciciasse'' = ingrassarsi, ''digità'' = digitare);
 
Pressoché limitata ad Ancona, ed estranea perciò al resto dei dialetti centrali, è la seconda persona singolare dell'imperativo della IIª coniugazione (e del verbo essere) coincidenti con la terza persona singolare del presente indicativo e con l'infinito (''vago a véde la partita'' = vado a vedere la partita, ma: ''lu'' ''véde'' = lui vede, e ''véde da cumpurtàte bè'' = vedi di comportarti bene; ''nun za né lège né scrive'' = non sa né leggere né scrivere, ma: ''lu lège'', e ''prima lège ntel libro, po' scrive quelo ch'î capito'' = prima leggi nel libro, poi scrivi quello che hai capito; ''èsse bono: dame 'na mà!'' = sii buono, dammi una mano!, ma: ''prò, dumà, nun c'ha da esse nisciun prublema'' = però, domani, non ci deve essere nessun problema);
Verso sud la pressione dell'anconetano si è manifestata, negli ultimi decenni, nell'area costiera e nell'immediato entroterra della [[provincia di Macerata]], ossia in centri quali [[Porto Recanati]], [[Recanati]], [[Montelupone]], [[Potenza Picena]] e [[Civitanova Marche]]: infatti in tutti questi centri si è registrata da secoli la scomparsa della distinzione tra -o e -u, in favore dell'unico esito in -o, e addirittura il primo di essi, Porto Recanati, ha accolto elementi talmente cospicui, come l'utilizzo dell'articolo ''el'', la mancanza della metafonia e il passaggio di tutte le -o in -u, da essere ascritto a pieno titolo nella famiglia anconetana, per la precisione nella sub area osimano-lauretana; a Recanati le "innovazioni" di origine anconetana si riassumono anche qui nell'indistinzione -o -u, nella mancanza di metafonia, negli esiti dei latini j, dj, gi, gj, gl uguali a quelli di Ancona, mentre le caratteristiche maceratesi resistono maggiormente: infatti, anche se il passaggio MB>MM non è sistematico, e quello LD>LL è quasi scomparso, gli articoli in uso sono ancora oggi oscillanti tra ''u, ru, lu, a ra, la'', come nelle aree interne del maceratese, per cui il recanatese è da considerare una parlata intermedia tra anconetano e maceratese, difficile da inquadrare con precisione nell'una o nell'altra famiglia; a Potenza Picena e Civitanova il dialetto è molto più simile al maceratese, e l'appartenenza a tale famiglia è indubbia, ma già da secoli risulta assente la distinzione tra -o e -u finali, e recentemente si registra il progressivo regresso della metafonia nelle vocali medio-alte (ad es. ''lo frichétto'' anziché ''lu frichittu''), nonché la penetrazione di vocaboli anconetani in sostituzione degli originali maceratesi, quali ''smorcià'' invece di ''stutà'' per "spegnere", e ''testa'' in luogo di ''coccia''; infine anche a Montelupone, ma anche a [[Morrovalle]] e [[Montecosaro]], gli abitanti sono coscienti che non si usa più la -u finale, in contrasto con la situazione cittadina di Macerata.
 
Molto caratteristica è il grande uso dell'[[antifrasi]] nel parlare comune: un esempio lampante è l'usatissima locuzione ''un bel po' ''(= molto), che ha finito col diffondersi in un'area costiera molto vasta che va all'incirca da [[Fano]] a [[Civitanova Marche]]; tale forma convive con la meno usata, ma di analogo significato, ''<nowiki/>'na mùchia'', adoperata anche in altre aree marchigiane e abruzzesi. Ad esse si aggiungono anche frasi del tipo ''hai fato gnènte ride'' (= hai fatto ridere molto), o ''anzi che ciavevi pòga fame!'' (= avevi davvero molta fame). Espressione tipicamente marchigiana (ma anche umbra ed abruzzese settentrionale-teramana) in uso anche ad Ancona è ''gustà, dà gusto'' per indicare un qualcosa di particolarmente apprezzato da una persona (''j gusta/dà gusto a sentì discóre in ancunetà'').
Ritornando alle caratteristiche dell'anconetano cittadino, interessante è l'[[ipercorrettismo]] delle forme ''quanto'' per "quando", e ''sparambià'' per "sparagnare", che potrebbero far pensare, come già esposto in precedenza, che un tempo potesse essere presente almeno in parte pure ad Ancona la trasformazione centro-meridionale di NT in ND, di ND in NN e di MB in GN, e che la sua scomparsa abbia attratto con sé pure termini che hanno tale forma pure nella lingua italiana: perciò si potrebbe ipotizzare che un tempo pure ad Ancona si dicesse ''quanno'' e poi per un eccesso di ipercorrettismo sia passato non a "quando", perché erroneamente creduta anch'essa una forma meridionale, ma appunto a "quanto". In ogni caso anche a [[Senigallia]] la resa è analoga: ''quant'' con caduta della "o" finale.
 
La cadenza anconetana nel parlare italiano risente non tanto di elementi marchigiani "tipici" ma piuttosto di influssi gallo-romagnoli, veneti e toscani, al punto che spesso viene scambiata per "settentrionale" da chi proviene dal sud e per "toscana" specialmente dai romani.
Anche i verbi e i sostantivi introdotti nell'uso solo recentemente vengono regolarmente troncati<ref>Carla Marcellini (a cura di) ''Dizionarietto dei dialetti dell'Anconitano'', Il lavoro editoriale 1996</ref> (''termosifó'', ''scuteró ''"scooterone" da scooter,'' sgarbonà'' = fare effusioni con il/la proprio/a ragazzo/a,'' incicciasse'' = ingrassarsi,'' digità ''= digitare);
 
Invece il registro linguistico viene spesso scambiato per quello di una parlata umbro-laziale: infatti anche la parlata di Ancona è sempre contornata dall'intercalare utilizzatissimo ''ó!'', che si usa per richiamare l'attenzione verso di sé prima di parlare (es: ''ó!, je la guantàmu a rivà' in urario al'apuntamèntu?''; ''ó!, va bè, ce sentimo dòpu!''); in comune soprattutto con il romanesco vi sono alcune espressioni con tono di insulto (''e va' a murì 'mazzatu!''). Non ultima è da segnalare anche la presenza di alcuni vocaboli e modi di dire tipici dell'area romana, che comunque di solito non suonano esattamente uguali a quelli in uso nell'area capitolina: ''pi(z)zardó'' per vigile urbano (a Roma ''[[pizzardone]]''), termine che convive con il sinonimo ''béco'' per via del copricapo a feluca con due punte adottato fino all'inizio del Novecento, ''andà de prescia'' per ''andare di fretta'', che convive con l'espressione analoga ''andà de fuga''. Inoltre soprattutto nelle ultimissime generazioni sarebbe da rilevare una certa pacifica penetrazione di elementi dialettali "capitolini" (per influsso del cosiddetto "romanesco televisivo"): perciò spesso si sentono giovani utilizzare ''aó!'' e ''monnézza'' in luogo dei più tradizionali ''ó!'' e ''mundé(z)za''.
Pressoché limitata ad Ancona, ed estranea perciò al resto dei dialetti centrali, è la seconda persona singolare dell'imperativo della IIª coniugazione (e del verbo essere) coincidenti con la terza persona singolare del presente indicativo e con l'infinito (''vago a vede la partita'' = vado a vedere la partita, ma: ''lù vede'' = lui vede, e ''vede de comportàtte bè'' = vedi di comportarti bene; ''nun za né leg(g)e né scrive'' = non sa né leggere né scrivere, ma: ''lù leg(g)e'', e ''prima leg(g)e ntel libro, po' scrive quelo ch'î capito'' = prima leggi nel libro, poi scrivi quello che hai capito; ''esse bono: dame 'na mà!'' = sii buono, dammi una mano!, ma: ''prò, dumà, nun c'ha da esse nisciun prublema'' = però, domani, non ci deve essere nessun problema);
 
Tipico di Ancona, come del resto di molti altri posti dell'Italia centrale, è l'uso di aggiungere la ''-e'' finale nei vocaboli terminanti in consonante, specie se anglosassoni: ''stòpe'' per stop, ''scùpe'' per scoop, ''Juvèntuse'' per Juventus, ''Intere'' per Inter, e via discorrendo, senza poi dimenticare che spesso se la parola non è accentata sull'ultima, la consonante di questa può cadere (''Inte'' per ''Inter'', ''cumpiùte'' per ''computer''; ''càmio'' per camion, ''nàilo'' per nylon, che nella parlata delle vecchie generazioni fanno regolarmente il plurale in ''cami'' e ''nàili'').
[[File:Informazioni sulla raccolta differenziata in dialetto anconitano 2.JPG|upright=1.4|left|thumb|Opuscolo informativo sulla raccolta differenziate in cui viene usato il dialetto anconitano. Il termine ''pizardò'' (vigile urbano) è simile a quello usato in romanesco (''pizzardone'')]]
Molto caratteristica è il grande uso dell'[[antifrasi]] nel parlare comune; l'usatissima locuzione ''un bel po' '' (= molto) ne è un esempio, ma anche frasi del tipo ''hai fato niente ride'' (= hai fatto ridere molto), o ''anzi che ciavevi poga fame!'' (= avevi davvero molta fame) sono molto comuni; espressione tipicamente marchigiana (e abruzzese settentrionale-teramana) in uso anche ad Ancona è ''gustà, dà gusto'' per indicare un qualcosa di particolarmente apprezzato da una persona (''je gusta/dà gusto sentì parlà in ancunetà'').
 
Fenomeno interessante consiste nella pronuncia occasionale dei verbi venire, tenere e pensare (e tutti i loro composti), secondo il modello gallo-italico (viéni, véngono, manténgono, pénso ecc.). Tuttavia il fenomeno appena citato non appare assolutamente utilizzato da tutti i locutori.
La cadenza anconetana nel parlare italiano risente non tanto di elementi marchigiani "tipici" ma piuttosto di influssi gallo-romagnoli e toscani, al punto che spesso viene scambiata per "settentrionale" da chi proviene dal sud e per "toscana" specialmente dai romani.
 
Negli avverbi terminanti in ''-mente'', è bene specificare che la ''e'' aperta è spesso pronunciata in modo allungato e calzato, quasi come se ci fossero due "e" di cui la prima un po' più chiusa, e ciò soprattutto nei casi in cui l'avverbio è usato in funzione interrogativa. Ad esempio se si usa l'avverbio ''veraménte'' a mo' di domanda, si sentirà chiedere: ''veraméènte?''
Invece il registro linguistico viene spesso scambiato per quello di una parlata umbro-laziale: infatti anche la parlata di Ancona è sempre contornata dall'intercalare utilizzatissimo ''ó!'', che si usa per richiamare l'attenzione verso di sé prima di parlare (es: ''ó!, je la famu a rivà' in urario al'apuntamèntu?''; ''ó!, va bè, ce sentimo dòpu!''); in comune soprattutto con il romanesco vi sono alcune espressioni con tono di insulto (''e va' a murì 'mazzatu!''), oppure, come a Roma si usa dire "li mortacci tua", in Ancona si dice ''"li morti tua"''. Non ultima è da segnalare anche la presenza di alcuni vocaboli e modi di dire tipici dell'area romana, che comunque di solito non suonano esattamente uguali a quelli in ''b'' uso nell'area capitolina: ''pizzardó'' per vigile urbano (a Roma ''[[pizzardone]]''), termine che convive con il sinonimo ''beco'' per via del copricapo a feluca con due punte adottato fino all'inizio del Novecento, ''andà' de prèscia'' per ''andare di fretta'', che convive con l'espressione analoga ''andà de fuga. ''Inoltre soprattutto nelle ultimissime generazioni sarebbe da rilevare una certa pacifica penetrazione di elementi dialettali "capitolini" (per influsso del cosiddetto "romanesco televisivo"): perciò spesso si sentono giovani utilizzare ''aó!'' e ''monnézza'' in luogo dei più tradizionali ''ó!'' e ''mundéza''.
 
E tuttavia riscontrabile l'utilizzo delle forme in -mente con la e chiusa (sporadicamente), specie nell'italiano, e anche forme come sóno anziché sòno, ma sono tutte molto rare e non costituiscono le forme maggiormente utilizzate dai locutori.
Tipico di Ancona, come del resto di molti altri posti dell'Italia centrale, è l'uso di aggiungere la ''-e'' finale nei vocaboli terminanti in consonante, specie se anglosassoni: ''stòpe'' per stop, ''scùpe'' per scoop, ''Juventuse'' per Juventus, ''Intere'' per Inter, e via discorrendo, senza poi dimenticare che spesso se la parola non è accentata sull'ultima, la consonante di questa può cadere (''Inte'' per ''Inter'', ''compiùte'' per ''computer''; ''camio'' per camion, ''nailo'' per nylon, che nella parlata delle vecchie generazioni fanno regolarmente il plurale in ''cami'' e ''naili'').
 
Infine si possono passare in rassegna elementi oramai estinti: oltre alla già citata metatesi, sono scomparse forme come ''per ô'' "per uno" (o al porto ''peròmo'', alla veneziana), ''ghiétru, ghiéce'' per "dietro", "dieci" (ma ''lindiéra'' per "ringhiera"), ''bia'' o ''bigna'' come abbreviazione di "bisogna", ''lala'' e ''lónda'' per "ala" e "onda", ''scole alimentari'' per "elementari", ecc.
Negli avverbi terminanti in ''-mente'', è bene specificare che la ''e'' aperta è spesso pronunciata in modo allungato e calzato, quasi come se ci fossero due "e" di cui la prima un po' più chiusa. Ad esempio se si usa l'avverbio ''veraménte'' a mo' di domanda, si sentirà chiedere: ''veraméènte?''.
 
Infine si possono passare in rassegna elementi oramai estinti: oltre alla già citata metatesi, sono scomparse forme come ''per ô'' "per uno" (o al porto ''peròmo'', alla veneziana), ''ghietru, ghieci'' per "dietro", "dieci", ''bia'' o ''bigna'' come abbreviazione di "bisogna", ''scole alimentari'' per "elementari", ecc.
 
=== Le parlate dei quartieri e delle frazioni ===
 
È rilevante notare che le parlate del contado iniziano già dalle aree periferiche della città. È infatti possibile cogliere, all'interno degli stessi confini comunali, alcune sfumature linguistiche differenti tra l'area del Porto e di [[Circoscrizioni di Ancona#Quartiere di Torrette|Torrette]] a nord-ovest, di [[Circoscrizioni di Ancona#QuartiereRione di Posatora|Posatora]] ad ovest, delle [[Circoscrizioni di Ancona#Rione delle Grazie|Grazie]] e delle [[Circoscrizioni di Ancona#QuartiereRione delle Tavernelle|Tavernelle]] a sud<ref name=":2">Mario Panzini - Dizionario del vernacolo anconitano</ref>.
 
È possibile, a maggior ragione, cogliere differenze anche tra la parlata cittadina e i dialetti usati nelle frazioni più distaccate dal capoluogo, come [[Paterno (Ancona)|Paterno]], [[Sappanico]], [[Montesicuro]], [[Circoscrizioni di Ancona#Frazione Gallignano|Gallignano]] a nord-ovest e il [[Varano (Ancona)|Trave]] a sud-est, [[Candia di Ancona|Candia]], la zona della Baraccola e l'[[Circoscrizioni di Ancona#Frazione Aspio|Aspio]] a sud, dove, almeno fino agli anni settanta del Novecento, le persone più anziane parlavano un idioma che dagli anconitani di città veniva considerato del tutto alieno dal loro contesto linguistico: si tratta infatti di parlate chiaramente ascrivibili al gruppo [[gallo-italico]]<ref>{{Cita web|url=http://www.dialettiromagnoli.it/autore.php?id=139&m0=submenu14&m1=submenu75|titolo=El vent dë bora e ‘l sol}}</ref>, a causa della caduta della vocale finale ''-o,'' mentre il dialetto di Ancona conserva ottimamente l'esito delle ''-o'', ''-u'' latine, facendoalla del resto parte del vasto complesso distregua parlate italiane mediane e centrali, che di tale fatto linguistico fanno un importante tratto di distinzione.
 
Le ormai estinte parlate contadine, invece, tendevano a lenire o ad eliminare la ''-o'' finale (''andàm'' per "andiamo", da qui il detto-scioglilingua cameranense ''Dì ndu ndam?? No' ndam sul Guast'' dove il ''Guast'' era un toponimo tipico per indicare il Duomo ([''Dòm'') di Camerano. Considerando che il dialetto di [[Jesi]] è chiaramente appartenente al gruppo centrale, la causa di questa anomalia delle suddette parlate della campagna anconitana, ma anche di alcuni centri limitrofi, come [[Camerano]], è forse attribuibile ad una qualche penetrazione gallo-italica dovuta ad insediamenti di [[Galli Senoni]], su un precedente sostrato italico, che ha riguardato esclusivamente quella parte di territorio fra Jesi ed Ancona, arrestandosi non oltre Camerano e la frazione anconitana di Varano e che ha portato alla creazione di una interessante isola linguistica, per fortuna in alcuni casi documentata). Era inoltrepoi possibile riscontrare forme assai curiose, come ad es. ''quanne'' per "quando", in cui comparivano contemporaneamente sia un elemento di tipo gallico, cioè l'indebolimento della vocale finale, sia uno di tipo centromeridionale, ossia il passaggio da ND a NN, sconosciuto nel capoluogo ma vitale nei centri immediatamente più a sud, come [[Osimo]]; altra forma interessante era ''babbetebàbbete'', sempre con la caduta delle vocali nonché con il suffisso personale posposto al nome, di uso tipicamente centromeridionale, in luogo dell'anconitano ''tu' padre.'' È inoltre interessante notare come gli scrittori di teatro anconetani cittadini, nel riprodurre graficamente (e nel parodiare) la nasale velare (''ŋ)'' della zona del Cònero e di altri contadi prossimi alla città, scrivessero ''le mang'' per "le mani", ''è fing'' per "è fino", ''suddisfazióng'' per "soddisfazione".
 
Degni di nota alcuni termini presenti nelle varianti linguistiche rurali ma assenti nell'anconetano cittadino: ''invèlle / invèll''' per "in nessuno luogo", ''lècca'' per "femmina del maiale" o "donna di malaffare", ''luccà'' per "urlare" (in città è utilizzato ''sgagià''), ''chitta'' e ''litta'' per "qui" e "lì", ''puscióngh / puscióŋ / pusció'' per "possessione agricola", ''gì'' per "andare".
Naturalmente, l'influenza sempre più dominante dell'anconitano cittadino ha parzialmente alterato questo schema, che è appena intuibile nelle frazioni di [[Candia di Ancona|Candia]], Varano, e un po' più vistosa nelle frazioni più conservative di Camerano, mentre le frazioni di [[Circoscrizioni di Ancona#Frazione Massignano|Massignano]] e del [[Poggio (Ancona)|Poggio]], formano un nucleo dialettale [[gallo-italico]] che è ancora vivo. Le generazioni più recenti di tali località ripristinano nettamente la vocale finale, e il loro parlare non si discosta quasi per nulla dall'anconitano standard, che come ''koinè'' ha ormai influenzato anche molte altre parlate vicine, come quella osimana e loretana, che col tempo hanno via via perduto varie componenti maceratesi, come la [[metafonesi]] da ''-o'' e da ''-i'' finale, che nella provincia di Ancona è ormai rilevabile solo nell'area di [[Fabriano]] e di [[Filottrano]].
 
Da menzionare infine nelle parlate delle frazioni campagnole di Ancona, l'utilizzo della preposizione [[Dialetto osimano#La preposizione sa|''sa'' (e relative forme articolate ''sal'', ''sai'')]] per dire "con"<ref>{{Cita web|url=http://www.anconanostra.com/vernaculo/poeti/ceriago/fresche/come_magnane_signori.htm|titolo=Quelo che voleva magnà come magnane i signori (Eugenio Gioacchini)|citazione=Pacienza; se vede che i signori principia sa le patate per provà più guste sa le robe bone che vieng dope}}</ref>, utilizzata in una zona che va dal riminese passando per la provincia di Pesaro-Urbino fino a lambire la provincia di Ancona assottigliandosi in un fazzoletto di terra che comprende - oltre alle aree di Senigallia, Montemarciano, Falconara e del Cònero - anche territori linguisticamente non gallo-italici come Agugliano, Castelfidardo e il contado osimano.
È interessante notare come gli scrittori di teatro anconetani cittadini, nel riprodurre graficamente, e nel parodiare, la nasale velare della zona del Conero scrivevano ''le mang'' per "le mani", ''è fing'' per "è fino", ''suddisfaziong'' per "soddisfazione".
 
Considerando che il dialetto di [[Jesi]] è chiaramente appartenente al gruppo centrale, la causa di questa "anomalia" delle suddette parlate della campagna anconitana, ma anche di alcuni centri limitrofi, come [[Camerano]], è forse attribuibile ad una qualche penetrazione gallo-italica dovuta ad insediamenti di [[Galli Senoni]], su un precedente sostrato italico, che ha portato alla creazione di una interessante isola linguistica, per fortuna in alcuni casi documentata. Anche il Crocioni ebbe modo di riscontrare questa realtà, evidenziando che per "dialetto anconetano" si deve intendere solo quello cittadino, perché nella campagna, specie a Varano e Camerano, "''risalendo verso Osimo, il gallicismo appare così evidente, che ogni parola sarebbe superflua''".
=== Curiosità ===
Tra le caratteristiche che vengono usate per imitare la parlata anconitana, anche da parte degli altri marchigiani almeno fino a [[Civitanova Marche]], c'è l'uso della locuzione ''m'bel pò' '', al posto di ''molto'', e la frase ''pà cu l'oio'' (pane con l'olio), che viene talvolta usata come sinonimo di "abitante di Ancona". Inoltre del tutto tipico di Ancona e zone limitrofe, precisamente fino a [[Porto Recanati]], è l'uso dell'avverbio ''ancora'' per "anche"/"pure" (''è venuto ancora lù ''"è venuto pure lui).
 
Come si è accennato in precedenza, secondo l'opinione di alcuni studiosi contemporanei, si potrebbe invece propendere per l'ipotesi contraria, ossia per un dialetto gallo-italico esteso ininterrottamente da Senigallia a tutto il Cònero - e quindi un tempo in uso pure ad Ancona - e che poi si sarebbe spostato su modelli mediani e toscani (con influssi veneti) nel centro urbano di Ancona: potrebbe costituire prova di ciò il fatto che fino agli anni '50 del '900 le parlate gallo-italiche si estendessero subito oltre le mura cittadine, ritraendosi poi progressivamente verso le aree più isolate dal centro urbano; a tal proposito, nel ''Vocabolarietto anconitano-italiano'' di Luigi Spotti (1929) viene notato come la parlata contadinesca arrivi a lambire, all'epoca, l'interno della città allargata dalla cinta daziaria (quindi presso un'area che va dalla [[Stazione di Ancona|stazione ferroviaria]] al [[Piano San Lazzaro]])<ref>{{Cita libro|nome=Luigi|cognome=Spotti|titolo=Vocabolarietto anconitano-italiano. Voci, locuzioni e proverbi più comunemente in uso nella provincia di Ancona, con a confronto i corrispondenti in italiano|data=1929|editore=Casa Editrice Leo S. Olschki|città=Firenze|citazione=Fuori dalle mura cittadine (ed ora, con l'allargamento della cinta daziaria, molto dentro la medesima) ci troviamo di fronte alla parlata contadinesca in cui, oltre a un differente accento, le consonanti doppie riappaiono, e le parole tronche perdono soltanto la vocale finale: veccion (vecchione), carin (carino)|ISBN=9788822248800}}</ref>.
Ad Ancona, come del resto in altre località dell'Italia mediana, è assente una netta percezione dei confini tra dialetto e lingua italiana: è divertente perciò il fatto che gli anconitani, quando parlano con persone di altre città, a volte usano inconsapevolmente termini dialettali italianizzati, ma in realtà incomprensibili, suscitando lo stupore di chi ascolta. Valgano come esempio: ''sfrondone'' (in dialetto ''sfrundó'') = errore grossolano nel parlare; ''sgolfanato'' (in dialetto ''sgulfanato'') = senza fondo nel mangiare; ''sfrigiare'' (in dialetto ''sfrigià'') = rigare una superficie lucida, ''capiscione'' (in dialetto ''capisció'') = saccente (come in [[romanesco]]), sbregare (in dialetto ''sbregà'') = rompere per rabbia o per disattenzione (come in [[Lingua veneta|veneto]]), panni ''spasi'' = panni stesi, in quanto in Italiano il participio del verbo spandere è considerato voce desueta), ''scapecciare'' (in dialetto ''scapecià'') = spettinare, ''crinare'' (in dialetto ''crinà'') = fessurare, fiarare (in dialetto ''fiarà'') = bruciare, ''ciaffo''<ref>Mario Panzini, op. citata</ref> (identico in dialetto), = oggetto inutile, con i derivati inciaffare (''inciaffà'') = riempire di ''ciaffi'' e ''ciaffone'' (''ciaffó'') = persona che accumula ''ciaffi'' o, al femminile, che si veste male. Addirittura la vicina spiaggia di ''Portonovo'', viene a volte chiamata dalle signore di una certa età ''Portonuovo'', come a volerle attribuire più eleganza.
 
Pertanto, l'influenza sempre più dominante dell'anconitano cittadino ha progressivamente alterato questo schema, che è ormai appena intuibile nelle frazioni di [[Candia di Ancona|Candia]], [[Varano (Ancona)|Varano]], e un po' più vistoso nelle frazioni più conservative, come [[Circoscrizioni di Ancona#Frazione Massignano|Massignano]] e del [[Poggio (Ancona)|Poggio]], che formano un nucleo dialettale [[gallo-italico]] che è ancora vivo. Tuttavia le generazioni più recenti di tali località ripristinano nettamente la vocale finale, e il loro parlare non si discosta quasi per nulla dall'anconitano standard, che come ''koinè'' ha ormai influenzato anche molte altre parlate vicine.
Divertente è anche quando, trovandosi in altre città, un anconitano usa parole sì italiane, ma con significati sconosciuti al di fuori di Ancona. Si possono fare i seguenti esempi: "per colazione mi sono mangiato una ''polacca''", cioè un [[Cornetto (pasticceria)|cornetto]]; "Ho comprato una ''finlandese''", cioè una tuta da ginnastica, "per cena mi sono mangiato una ''svizzera''", cioè un hamburger.
 
== Influssi su altri dialetti ==
 
Come accennato in precedenza, Ancona non è mai stata, storicamente, la "capitale linguistica" delle Marche, né la si potrebbe considerare tuttora (come invece è accaduto in altre regioni fin dai tempi più antichi, come nel caso di [[Firenze]] per la Toscana o di [[Napoli]] per la Campania, o come si è verificato nel corso di quest'ultimo secolo a [[Roma]] per il Lazio): è innegabile però che, nel corso soprattutto dei decenni finali del XX secolo, l'anconetano ha progressivamente influenzato le parlate marchigiane limitrofe, specie lungo la costa (in direzione nord e sud) e nella valle dell'[[Esino (fiume)|Esino]].
 
Come dimostrazione dell'influsso sempre più predominante dell'anconetano cittadino verso nord, basterebbe ricordare come a [[Montemarciano]] si vadano diffondendo le forme apocopate ''mà'' e ''pà'' al posto delle precedenti nasalizzate ''maŋ'' e ''paŋ''; inoltre verso nord sembra via via estendersi anche la sonorizzazione di -ns-, -ls- e -rs-, come testimoniato dalla forma senigalliese moderna ''el polz'', contro la pronuncia precedente ''el pols.''
 
Verso sud la pressione dell'anconetano si è manifestata, negli ultimi decenni, nell'area costiera e nell'immediato entroterra della [[provincia di Macerata]], ossia in centri quali [[Porto Recanati]], [[Recanati]], [[Montelupone]], [[Potenza Picena]] e [[Civitanova Marche]]: infatti in tutti questi centri si è registrata da secoli la scomparsa della distinzione tra ''-o'' e ''-u'', in favore dell'unico esito in ''-o''.
 
In particolare, nel dettaglio:
 
- Porto Recanati ha accolto nel corso dei secoli elementi anconetani molto cospicui, come l'utilizzo dell'articolo ''el'', la mancanza della metafonia e soprattutto l'indistinzione delle o/u finali latine, che non si sono solo limitate a convogliarsi nell'unico esito -o, ma a loro volta hanno anche finito col passare tutte ad -u, o comunque ad una -o pronunciata in modo cupo: per queste ed altre ragioni, il suo dialetto merita di essere ascritto a pieno titolo nella famiglia anconetana, per la precisione nella sub area osimano-lauretana;
 
- a Recanati le "innovazioni" di origine anconetana si riassumono anche qui nell'indistinzione ''-o -u'', nella mancanza di metafonia, negli esiti dei latini ''j, dj, gi, gj, gl'' uguali a quelli di Ancona, mentre altre caratteristiche maceratesi resistono maggiormente: infatti, anche se il passaggio MB>MM non è sistematico, e quello LD>LL è quasi scomparso, gli articoli in uso sono ancora oggi oscillanti tra ''u, ru, lu, a ra, la'', come nelle aree interne del maceratese, per cui il recanatese è da considerare una parlata intermedia (o "zona grigia") tra anconetano e maceratese, difficile da inquadrare con precisione nell'una o nell'altra famiglia;
 
- a Potenza Picena e Civitanova il dialetto è molto più simile al maceratese, e l'appartenenza a tale famiglia è indubbia, ma già da secoli risulta assente la distinzione tra -o e -u finali, e recentemente si registra il progressivo regresso della metafonia nelle vocali medio-alte (ad es. ''lo frichétto'' anziché ''lu frichittu''), nonché la penetrazione di vocaboli anconetani in sostituzione degli originali maceratesi, quali ''smorcià'' invece di ''stutà'' per "spegnere", e ''testa'' in luogo di ''coccia'';
 
- infine anche a Montelupone, ma anche a [[Morrovalle]] e [[Montecosaro]], gli abitanti sono coscienti che non si usa più la ''-u'' finale, in contrasto con la situazione cittadina di Macerata.
 
=== Particolarità ===
Tipicamente anconetana è l'espressione ''pà cu l'ojo'' (pane con l'olio), che viene talvolta usata come sinonimo di "abitante di Ancona", e che testimonia la notevole predilezione per questo piatto semplice e povero da parte degli anconetani. Inoltre del tutto tipico di Ancona e zone limitrofe, precisamente fino a [[Porto Recanati]], è l'uso dell'avverbio ''ancora'' per "anche"/"pure" (''è venuto ancora lù '' per "è venuto pure lui").
 
Ad Ancona, come del resto in altre località dell'Italia mediana, è assente una netta percezione dei confini tra dialetto e lingua italiana: pertanto, come anche nell'umbro e nel romanesco, non di rado capita di ascoltare anconitani anche di elevata istruzione ed estrazione sociale esprimersi utilizzando forme quali ''me piace'' invece di "mi piace", ''je (j) va'' invece di "gli va", ecc.
 
Divertente è poi il fatto che gli anconitani, quando parlano con persone di altre città, a volte usano inconsapevolmente termini dialettali italianizzati, ma in realtà incomprensibili, suscitando lo stupore di chi li ascolta. Valgano come esempio: ''sfrondone'' (in dialetto ''sfrundó'') = errore grossolano nel parlare, o anche bestemmia; ''sgolfanato'' (in dialetto ''sgulfanato'') = senza fondo nel mangiare, in uso anche in area pesarese-urbinate; ''sfrigiare'' (in dialetto ''sfrigià'') = rigare una superficie lucida, ''capiscione'' (in dialetto ''capisció'') = saccente (come in [[romanesco]]), sbregare (in dialetto ''sbregà'') = rompere per rabbia o per disattenzione (come in [[Lingua veneta|veneto]], ma ''sbrego'' è usato anche in aree marchigiane centro-meridionali), panni ''spasi'' = panni stesi, in quanto in Italiano il participio del verbo spandere è considerato voce desueta), ''scapecciare'' (in dialetto ''scapecià'') = spettinare, ''crinare'' (in dialetto ''crinà'') = fessurare, ''fiarare'' (in dialetto ''fiarà'') = bruciare, ''ciaffo''<ref>Mario Panzini, op. citata</ref> (''ciafu'' in dialetto), = oggetto inutile, con i derivati inciaffare (''inciafà'') = riempire di ''ciaffi'' e ''ciaffone'' (''ciafó'') = persona che accumula ''ciaffi'' o, al femminile, che si veste male. Addirittura la vicina spiaggia di ''Portonovo'' viene a volte chiamata dalle signore di una certa età ''Portonuovo'', come a volerle attribuire più eleganza.
 
Infine è del tutto esilarante quando, trovandosi in altre città, un anconitano usa parole sì italiane, ma con significati sconosciuti al di fuori di Ancona. Si possono fare i seguenti esempi: "per colazione mi sono mangiato una ''polaca''", cioè un [[Cornetto (pasticceria)|cornetto]]; "Ho comprato una ''finlandese''", cioè una tuta da ginnastica, "per cena mi sono mangiato una ''svizzera''", cioè un hamburger.
 
D'altra parte questa inclinazione a non percepire netti confini tra dialetto e lingua italiana, associata alla (scorretta) considerazione del vernacolo quale corruzione popolare della lingua nazionale, è probabilmente all'origine della forte italianizzazione dell'anconitano avvenuta nell'ultimo secolo e dell'abbandono delle sue forme più genuine; già nel primo Novecento Palermo Giangiacomi osservava che il vernacolo "''va sempre più dileguando, assorbito, parola per parola, dalla lingua madre. L'opera di trasformazione è lentissima, ma evidente: i giovani non parlano più come parlano i vecchi e l'italiano è sempre più adoperato''"<ref>Palermo Giangiacomi, ''Il Vernacolo Anconitano'', in ''Storie e sturiele'', Ancona, P. Giangiacomi - tipografia S.T.A.M.P.A., 1932, p. 88.</ref>, mentre il coevo [[Duilio Scandali]] notava come il vernacolo più stretto fosse prerogativa del popolo minuto e che anche l'occasione di un piccolo avanzamento economico-sociale poteva far scaturire l'esigenza di adottare un registro linguistico il più possibile vicino alla lingua<ref>« [...] per esempio, il basso ceto dirà: ''Vardé, sora Beta, '''metéve''' a s'''é'''de qui, che '''qula''' sedia lì '''n'è tanta sciuca'''''; e il mezzo ceto: ''Vardé, sora Beta, '''meteteve''' a sed'''é''' qui che '''quela''' sedia lì, '''nun è tantu sciuta'''»'' (trad. it.: ''guardate, signora Elisabetta, mettetevi seduta qui, ché quella sedia lì non è così asciutta'')</ref>. Con la modernizzazione seguita al secondo dopoguerra questa tendenza ha preso il sopravvento.
 
== Flessioni verbali ==
=== Indicativo presente attivo ===
{| class="wikitable"
!
! ''ciacà'' (schiacciare)||''discorediscóre'' (parlare)||''murì'' (morire)||''esseèsse'' (essere)||''dà'' (dare)||''fà'' (fare)
!''avé'' (avere)
!''pudé'' (potere)
!''stà'' (stare)
!''andà'' (andare)
|-
!Io
| ciàco||discorodiscóro||mòro||so||dò/dago||fò/fago
|ciò / ciàgo (raro)
|pòsso
|stago
|vago
|-
!Te
| ciàchi||discoridiscóri||mòri||sèi (si / sai)||dai||fai
|ciài
|pòi (pòssi / pòsci)
|stai
|vai
|-
!Lù/lia (essa)
| ciàca||discorediscóre||mòre||è||dà||fà
|cià
|pòle
|sta
|va
|-
!NoialtriNialtri ()
| ciacàmo||discorémodiscurémo||murìmo||semosémo||damo||famo
|ciavémo
|pudémo
|stamo (stacémo)
|andàmo (anàmo)
|-
!Vuialtri ()
| ciaché||discorédiscuré||murì(te)||sé||dé||fé
|ciavé
|pudé
|sté
|andé
|-
!Loro (issilora/lori)
| ciàca(ne)||discorediscóre(ne)||mòre(ne)||è(ne)||dà(ne)||fà(ne)
|cià(ne)
|pòle(ne) / pòne
|sta(ne)
|va(ne)
|}
Come già ricordato, la terza persona plurale ha due uscite: un'identica alla terza singolare e una in -ne (si usa la forma plurale quando ci sono possibilità di confusione, come quando il soggetto non è chiaramente espresso, si usa la forma singolare in tutti gli altri casi<ref>A cura di Alfonso Napolitano ''Anconitano, lingua di terra e di mare''</ref>).
 
=== Condizionale presente attivo<ref name=":0" /> ===
{| class="wikitable"
!
! ''ciacà'' (schiacciare)||''discorediscóre'' (parlare)||''esseèsse'' (essere)||''dà'' (dare)||''fà'' (fare)
!''avé'' (avere)
!''pudé'' (potere)
!''stà'' (stare)
!''andà'' (andare)
|-
!Io
| ciacherìa||discorerìadiscurerìa||sarìa||darìa||farìa
|ciavrìa
|pudrìa (puderìa)
|starìa
|andrìa (andarìa)
|-
!Te
| ciacheresti (-isti)||discorerestidiscureresti (-isti)||sarestisaristi (-istiesti)||darestidaristi (-istiesti)||farestifaristi (-istiisci)
|ciavristi
|pudristi
|staristi
|andristi (andaristi)
|-
!Lù/lia (essa)
| ciacherìa||discorerìadiscurerìa||sarìa||darìa||farìa
|ciavrìa
|pudrìa
|starìa
|andrìa (andarìa)
|-
!NoialtriNialtri ()
| ciacherissimi||discuririmi||sarissimi (-iscimi)||daréssimi (-issimi)||farissimi (-iscimi)
| ciacheremo||discorerémo||saremo||daremo||faremo
|ciavrissimi
|pudrissimi
|starìssimi
|andrissimi (anderissimi)
|-
!Vuialtri ()
| ciacheristi||discuriristi||saristi||daristi||faristi
| ciachereste||discorereste||sareste||dareste||fareste
|ciavristi
|pudristi
|staristi
|andristi (andaristi)
|-
!Loro (issilora/lori)
| ciacherìa(ne)||discorerìa(ne)||sarìa(ne)||darìa(ne)||farìa(ne)
|ciavrìa(ne)
|pudrìa(ne) / pudrìene
|starìa(ne)
|andrìa (andarìa) (-ne)
|}
Anche qui, come nell'indicativo, la terza persona plurale ha due uscite: un'identica alla terza singolare e una in -ne.
 
== Gli ''"Statuti del mare"'' ==
{{vedi anche|Statuti del mare}}
Si tratta del primo documento redatto in anconetano volgare che sia riuscito a pervenire fino a noi, la cui edizione più antica risale al 1397. In essi mancano le finali in -u, e compaiono da un lato elementi tipicamente "mediani", come il raddoppiamento sintattico (''a llui, e ssia''), l'intercambiabilità dell'articolo ''lo/el'' (''lo navilio, lo patrone,'' ma ''el Podestà, el ditto navilio''), i dimostrativi ''quesso'' per "codesto", ''cossoro'' per "costoro", nonché forme curiose quali ''bampno'' per "banno/bando" o ''candapnato'' per "condannato"; dall'altro lato compaiono invece influssi adriatici settentrionali, come ad es. ''coverta'' per "coperta della nave", ''marnari'' per "marinai", ''livere'' per "libbre", ''cargasse'' per "caricasse", ''pevere'' per "pepe". Inoltre, al pari dell'odierno anconetano, anche negli "Statuti" si ha indecisione nella terza persona dei verbi: ''le mercanzie non se pongano/li patroni non cie le debia mectere.''
Si tratta del primo documento redatto in anconetano volgare che sia riuscito a pervenire fino a noi, la cui edizione più antica risale al 1397. In essi mancano le finali in -u, e compaiono da un lato elementi tipicamente "mediani", come il raddoppiamento sintattico (''a llui, e ssia''), l'intercambiabilità dell'articolo ''lo/el'' (''lo navilio, lo patrone,'' ma ''el Podestà, el ditto navilio''), i dimostrativi ''quesso'' per "codesto", ''cossoro'' per "costoro", nonché forme curiose quali ''bampno'' per "banno/bando" o ''candapnato'' per "condannato"; dall'altro lato compaiono invece influssi adriatici settentrionali, come ad es. ''coverta'' per "coperta della nave", ''marnari'' per "marinai", ''livere'' per "libbre", ''cargasse'' per "caricasse", ''pevere'' per "pepe". Inoltre, al pari dell'odierno anconetano, anche negli "Statuti" si ha indecisione nella terza persona dei verbi: ''le mercanzie non se pongano/li patroni non cie le debia mectere.'' Si potrebbe tuttavia presumere che detti "Statuti" furono redatti da autori non autoctoni, oppure da anconitani facenti riferimento a modelli linguistici più prestigiosi, come il toscano o l'umbro, e ciò anche in virtù del bacino di fruitori dei testi in questione, che non doveva essere costituito solo da maestranze locali. Ciò sarebbe inoltre dimostrato dalla presenza di tratti analoghi anche in altri documenti coevi, specie veneziani.
 
== Opere vernacolari ==
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È molto vivo il Teatro in Dialetto, che possiede testi classici dell'inizio del XX secolo ancora frequentemente rappresentati. Il repertorio quasi ogni anno si arricchisce di testi contemporanei.
 
La poesia vernacolare è anche molto viva e praticata e vanta tra i suoi scrittori classici [[Duilio Scandali]], Palermo Giangiacomi, Turno Schiavoni, Eugenio Gioacchini, Francesco Mario Chirco, Mario Tomassi e Camillo Caglini, cantori dell'anima popolare della Città. Tra i contemporanei Mario Panzini è un poeta e drammaturgo (oltre 14 le sue pubblicazioni, anche sul [[folklore]]) ma soprattutto è autore del ''Dizionario del Vernacolo Anconitano'', opera in 3 volumi<ref name=":0">Mario Panzini, ''Dizionario del Vernacolo Anconitano'', Controvento editore; in tre volumi, pubblicati dal 1984 al 2008, comprende tutti i vocaboli in vernacolo anconetano ed è quasi un'enciclopedia, raccogliendo anche i nomi di tutti gli autori e delle opere in vernacolo anconitano. Poche città italiane possono vantare un'opera così analitica ed organica dedicata al suo dialetto.</ref>. [[Franco Scataglini]], nei cui testi risuona un vernacolo arcaico, rivisitato e trasfigurato dalla poesia, è un poeta noto anche a livello nazionale, nell'ambito della riscoperta della forza espressiva. Tra le autrici, è da segnalare Cesarina Castignani Piazza, sia come poetessa che come commediografa. Tra gli autori in dialetto anconitano contadinesco si ricorda Vilario Bordicchia, specie per i testi scritti per la [[RAI|RAI-Ancona]] con i famosi personaggi di "Cèsaro e Cesira".
 
La musica vernacolare, spesso collegata ai testi teatrali, ha come simbolo ''[[Duilio Scandali|El Portoloto]]'' (del 1901, musica di Federico Marini, testo di [[Duilio Scandali|Duilio Scàndali]]), una specie di inno popolare. Dopo un periodo di relativo oblio, la musica in dialetto viene diffusa da alcuni gruppi musicali dediti alla ricerca storica, e a nuove composizioni<ref>Dal 1998 è online un sito web ideato e dedicato ad Ancona da Marini Sauro, AnconaNostra.com, completamente scritto in dialetto, che cerca di dare un contributo al mantenimento delle tradizioni popolari; nel sito è presente una corposa rassegna di poeti vernacolari, oltre ad una notevole massa di altre informazioni sulla storia della Città, le sue tradizioni, non tralasciando gli aspetti gastronomici.</ref>.
 
== Espressioni e modi di dire ==
* ''Fà la fine del ca' de Luzi'' = Fare la fine del cane di Luzi (subire varie disgrazie una di seguito all'altra). L'uso di questa espressione deriva da un curioso episodio: il cane di un sarto, certo Enrico Luzi, dal balcone del primo piano dove era tenuto, lungo Corso Carlo Alberto, un giorno cadde in strada. Rimbalzando sul tendone del negozio sottostante, ancora incolume, rimbalzò sul tetto del tram fermo, per poi cadere su un calesse e successivamente finire sulle [[rete tranviaria di Ancona|rotaie del tram]] che proveniva dalla direzione opposta. In cittàpassato, l'espressione in passato era usata anche come minaccia (''te fago fà la fine del ca' de Luzi'')<ref>La fonte di questa informazione è il pronipote di Enrico, Lorenzo, noto Professore di Elettronica anconetano</ref>.
* ''Ah, l'ardìce chi vò' le conculecóncule!'' = si dice a chi ripete sempre la stessa cosa; nel detto si fa riferimento al grido dei venditori ambulanti di vongole (''cóncule'').
* ''Cu' ciài drénto la testa, la renèla?'' = si dice a persona dall'intelletto non proprio brillante (la ''renela'' è la sabbia).
* ''Semu d'Ancona e ce n'arfacému!'' = siamo d'Ancona e siamo orgogliosi di esserlo.
* ''Buta sù e rischiàra'' = propriamente significa "risciacqua velocemente i panni insaponati"; si dice di una persona che fa le cose in modo approssimativo, oppure è un consiglio: non ci perdere troppo tempo.
* ''Caminà' a gatugato mignó'' = Camminare a quattro zampe.
* ''Cià i calzzeticalzzéti a cagarèla'' = Porta le calze allentate.
* ''Cià 'na facia smitriàta'' = Ha una faccia da schiaffi.
* ''CiàcaBada l'aju!a caminà'' = Muori dilascia rabbia!perdere...
* ''Ciàca l'ajo!'' = Muori di rabbia!
* ''Daje e daje la cipola diventa aju'' = La troppa insistenza fa perdere la pazienza.
* ''Daje e daje la cipóla divènta ajo'' = La troppa insistenza fa perdere la pazienza.
* ''A discore n'è fadiga'' = Parlare non costa niente. La frase è tradizionalmente attribuita ad un personaggio di nome ''Barigelo'', vissuto in città nella prima metà del Novecento. L'interlocutore può replicare con «''Scì, ma quanto ha 'rnovato dai fascisti Barigelo ha dito:'' ''O', adè/mò è fadiga ancora a discore''» (Sì, ma quando le ha prese dai fascisti Barigelo ha detto: Adesso costa fatica anche parlare)<ref>da ''Proverbi, locuzioni, espressioni e gergo nel Vernacolo Anconitano'', Mario Panzini, Edizioni Fogola, Ancona, 1980</ref>
* ''Si per tant'è...'' = se dovesse accadere che...
* un indovinello: ''si ce lavé nun me la dé, si nun ce lavé dèmela'' = se ci lavate non me la date, se non ci lavate, datemela (''la mastela'' = la tinozza); la difficoltà dell'indovinello consiste nel fatto che la frase si può intendere anche: ''si ce lavé non me la dé, si nun ce lavé démela'' = se ci lavate non datemela, se non ci lavate datemela, il che è assurdo.
* ''È tut'adè che...'' = è da un pezzo che...
* ''Po' stà?''= può essere?
* ''A garbo...'' = può essere? / ci mancherebbe pure
* ''A discóre n'è fadiga'' = Parlare non costa niente. La frase è tradizionalmente attribuita ad un personaggio di nome ''Barigèlo'', vissuto in città nella prima metà del Novecento. L'interlocutore può replicare con «''Scì, ma quanto ha 'rnovato dai fascisti Barigèlo ha dito:'' ''O', adè è fadiga ancóra a discóre''» (Sì, ma quando le ha prese dai fascisti Barigelo ha detto: Adesso costa fatica anche parlare)<ref>da ''Proverbi, locuzioni, espressioni e gergo nel Vernacolo Anconitano'', Mario Panzini, Edizioni Fogola, Ancona, 1980</ref>
* un indovinello: ''si ce lavé nun me la dé, si nun ce lavé démela'' = se ci lavate non me la date, se non ci lavate, datemela (''la mastèla a tré réchie'' = la tinozza da bucato); la difficoltà dell'indovinello consiste nel fatto che la frase si può intendere anche: ''si ce l'avé non me la dé, si nun ce l'avé démela'' = se ce l'avete non datemela, se non ce l'avete datemela, il che è assurdo. (L'indovinello funziona in realtà solo a voce perché la parola scritta tradisce subito il significato sotteso. Ma chi udisse senza poter leggere cadrebbe nell'equivoco tra avete (l'avé) e lavate (lavé) da cui in paradosso di... chiedere una cosa che non si ha).
*''Tocà el culo a la cigàla'' = punzecchiare ironicamente una persona che si indispettisce per poco.
 
== Un esempio moderno di poesia in Anconitano ==
 
Il dialetto anconitano è usato per comporre poesie, poi pubblicate in antologie, calendari, pubblicazioni varie, o anche oggetto di pubbliche letture; come esempio si riporta il seguente brano.
{{citazione|È dó giorni e dó note<br />che lia sta lì su qulaquela ponta del molumolo,<br />nisciununisciù la riesce a smove,<br />pare diventata<br />la statua del dulore.<br />Col celucelo, el mare<br />è tutututo 'n grigiore,<br />j ochi ène fissi là<br />'nte la speranza da vede spuntà<br />'na vela bianca.|dalla poesia ''Na dona prega'' di [[Maria Pia Marchetti]]}}
 
== Proverbi ==
* ''Quant'él Monte cià él capèlo, curé a casa a pia' l'umbrèlo'' = Quando la cima del Monte (sott. Monte Conero) è coperta dalle nuvole pioverà presto;
* ''Cassa da mortu, vestitu che nun fa 'na piega'' = La cassa da morto è l'unico vestito che non fa pieghe
* ''DònaCassa deda pòg'unoremòrto, cunzzumavestito elche lumenun efa sparamia el'na zzolepiéga'' = La donnacassa dida pocomorto onoreè spessol'unico stavestito chiusa in camera eche non si espone alfa solepieghe;
* ''Dòna de pòg'unóre, cunzuma el lume e sparamia el zzóle'' = La donna di poco onore spesso sta chiusa in camera (ad esercitare il meretricio), e dunque non si espone al sole;
* ''È fadíga a fadigà'' = Lavorare è faticoso
* ''Vì e amóre, fai el zzignorezzignóre'' = Una donna e un bicchiere di buon vino bastano per sentirsi un signore;
* ''La [[Candelora|Madòna Candelòra]], de l'invèrnuinvèrno sémusémo fòra, ma se piòve o tira vèntuvènto de l'invèrnuinvèrno sémusémo dréntudrénto'' = Alla festa della "[[Candelora]]" (2 febbraio) si esce dall'inverno, ma se piove e tira vento si è ancora dentro la brutta stagione;
* ''QuantuQuando el galugalo canta da galínagalina, la casa va in ruvina'' = Quando in famiglia l'uomo non si comporta come tale, la casa va presto in rovina;
* ''Nun è dólci i [[lupinus|lupini]]'' = Come i [[lupinus|lupini]], la vita è spesso amara e dura;
* ''Cà' che 'bàja nun móciga'' = Chi parla e strilla troppo, molto probabilmente non passerà alle vie di fatto;
* ''Mèjo puzà' da vivi che da mòrti'' = meglio essere vivi anche se si puzza, cioè anche si conduce una vita povera e grama; ad esso si ricollega l'analogo ''Mejo puzà' de vì' che d'òjo santo'' = Meglio puzzare da ubriachi, perché si è comunque ancora in vita, che con l'olio del funerale;
* ''Mèju puzzà' da vivi che da morti''
* ''GrassézzaGrasséza fa belezabeléza'' = Contrariamente ai canoni di bellezza di oggi, una volta essere un po' in carne era considerato un pregio estetico;
* ''Oste bìgiubìgio, vì aquatìciuaquatìcio'' = Se l'oste non ha un buon colorito, molto probabilmente il suo vino sarà annacquato;
* ''Nun vendevènde la pèle de l'orzoórzo prima del temputèmpo'' = È la traduzione del detto "non dire quattro se non ce l'hai nel sacco";
* ''Chi magna da solisóli se stròzzastròza'' = Si dice a chi non ama dividere con gli altri ciò che possiede;
* ''Quant'el [[Monte d'Ancona|Monte]] méte 'l capèlucapèlo, lassalàssa 'l bastó e pja l'umbrèluumbrèlo'' = Quando il [[Monte d'Ancona]] (ossia il [[Monte Conero|Conero]]) si copre di nuvole, sicuramente pioverà;
* ''A discóre n'è fadígafadìga (el pruverbio de Barigelo)'' = È facile parlare, non comporta alcuna fatica. Più difficile è fare realmente le cose, espresso dal detto ''È fadíga a fadigà'' = Lavorare è faticoso;
* ''La pigna nun bóle cuco' le curonecuróne'' = Un titolo nobiliare non basta per assicurarsi da mangiare;
* ''Mare mòssumòsso, bufi a tèra'' = Quando il mare è in burrasca i pescatori non possono lavorare e così i debiti crescono;
* ''SacuSaco vòtuvòto nun sta drìtudrìto'' = Quando lo stomaco è vuoto non si riesce a stare in piedi;
* ''S'ha sempresèmpre da sentí le dó campane'' = Per giudicare tra due contendenti bisogna ascoltare le due versioni dei fatti;
* ''L'amoreamóre e la tósce se fa prèstu a cunósce'' = L'amore e la tosse non possono essere nascosti;
* ''Invidia d'amiguamigo è 'l pegiupègio nemìgunemìgo'' = L'invidia di un amico è il nemico peggiore;
* ''Tré mestieri, sèi sciapate'' = Chi fa troppi mestieri (o attività in genere), di solito non ne fa nessuno nella giusta maniera;
* ''NisciúnaNisciuna nóvanòva, bòna nòva'' = A volte non avere nessuna nuova notizia è come averne buone;
* ''A chiachiarà nun zze sbúgia un còrnucòrno'' = Con le chiacchiere non si risolvono i problemi;
* ''Chi 'dopra l'ójuòjo s'ógne 'lel détudéto'' = Si scopre sempre l'autore di ogni azione perché si lasciano sempre tracce;
* ''J unóri viéviè sempre dòpudòpo mòrtumòrto'' = Molto spesso si parla bene di una persona solo quando è passato a miglior vita;
* ''El zzumàruzzumàro carègia el vi' e béve l'aquaacqua'' = La persona poco accorta non riesce a trarre profitto dalle cose che fa;
* ''GalínaGalìna che nun béca, ha già becatubecàto'' = Chi rifiuta un buon piatto evidentemente ha già mangiato altrove (usato sia in quanto al cibo che all'amore e al sesso);
* ''“Se” è 'l paradisuparadiso d'i cujóni'' = Solo le persone sciocche basano la propria vita sulle speranze, iniziando sempre le frasi con il "se", ossia col [[periodo ipotetico]];
* ''Chi magna senzasènza bevebéve el vì è come n'muratore che mura i mattòmatoni a secuséco'' = Chi mangia senza bere vino è come un muratore che mura i mattoni senza la calce;
* ''El limó strignestrégne ma nun cùmedacumèda'' = Il limone stringe ma non aggiusta (riferito alle proprietà astringenti del limone, che tuttavia non bastano per placare i dolori intestinali);
* ''Chi cià i bufi dorme, chi svanza sta svéjo.'' = Chi ha debiti dorme, chi ha crediti resta sveglio.
* ''Meju puzzà' de vì' che d'òju santu ='' Meglio puzzare da ubriachi, perché si è comunque ancora in vita, che con l'olio del funerale
*''El mare nun è 'na poza e la barca nun è un pertigaro'' (proverbio di Cecco). = Bisogna sempre fare le cose in maniera accurata.
* ''Chi cià i bufi dorme, chi svanza sta svejo.'' = Chi ha debiti dorme, chi ha crediti resta sveglio
*''Cent'ani sot'a un camì, puzì sempre de cuntadì''. = E inutile pavoneggiarsi, darsi le arie.
* ''Se ce lavé nun me la dé, se nun ce lavé demela. Cosa? La mastela a tre rechie'' = Se ci lavate, non me la date, se non ci lavate, datemela. Che cosa? la tinozza da bucato (L'indovinello funziona in realtà solo a voce perché la parola scritta tradisce subito il significato sotteso. Ma chi udisse senza poter leggere cadrebbe nell'equivoco tra avete (l'avé) e lavate (lavé) da cui in paradosso di... chiedere una cosa che non si ha).
*''El mare è come el fogo, j'eroi e i cojoni li pia tuti lù'' (proverbio di Cecco). = In mare bisogna fare molta attenzione.
*''Quanto slampa da Punente, nun slampa mai per gnente'' (proverbio di Gustì) = Se si notano i segni di un temporale verso Occidente, è probabile che il brutto tempo raggiungerà Ancona.
*''Vento da Levante, dà 'ntel culo al navigante'' = Navigare con un vento Orientale è molto difficoltoso.
*''Frige el frito e guarda el gato'' = Si dice di persona affetta da strabismo.
*''Mejo puzà de vì che d'ojo santo'' = Qualunque imprevisto, per quanto indecoroso, è sempre superabile.
*''Piscio l'òjo'' = Sono davvero molto orgoglioso di qualcuno o qualcosa.
*''È bava'' = C'è un problema, sarà arduo trovare una soluzione, insomma: ''è 'na fava che non se còce''.
*''È 'na fava che nun zze còce'' = C'è un problema, sarà arduo trovare una soluzione, insomma: ''è bava''.
 
== Bibliografia ==
 
* Sanzio Balducci, ''I dialetti'', in Sergio Anselmi (a cura di), ''La provincia di Ancona. Storia di un territorio'', Tomo 1 - Aspetti storico-culturali, (2002 SAGRAF) p. 211-222
* Chiara Bartolomei Cartocci, ''L'anconitano nei testi teatrali del sec. XX'' (Associazione Culturale Puntoeacapo)
* Giovanni Crocioni, ''[[iarchive:ildialettodiarce00crocuoft|Il dialetto di Arcevia]] - Prefazione'' (1906 Ermanno Loescher & C.)
* Palermo Giangiacomi, ''[[iarchive:sorieesturielelassediudanconailvernacoloanconitano|Storie e sturiele - L'assediu d'Ancona - Il vernacolo anconitano]]'' (1932 S.T.A.M.P.A.)
* Carla Marcellini, ''Dizionario dei dialetti dell'Anconetano. Compilato sul vocabolario di Luigi Spotti riveduto e aggiornato all'uso attuale'' (1996 Il Lavoro Editoriale)
* Margherita Marconi, ''[http://hdl.handle.net/10579/27873 Ancona al plurale. Un'analisi linguistica delle varietà dialettali del capoluogo marchigiano]'' (2024 Università Ca' Foscari Venezia, tesi di Laurea magistrale in Scienze del Linguaggio, relatrice Prof.ssa Giuliana Giusti, correlatice Prof.ssa Laura Brugè)
* Alfonso Napolitano, ''Lingua di terra e di mare. L'anconitano dei dizionari dello Spotti e del Toschi e negli scritti dei poeti dei sec. XIX e XX'' (1983 ACAR)
* Mario Panzini, ''Dizionario del Vernacolo Anconitano'' - volumi ''A-I'', ''K-P'', ''Q-Z'' (2009 Controvento Editrice)
* Mario Panzini, ''Il Vernacolo Anconitano. Compendio storico - antologico dalle origini ad oggi'' (1977 Edizioni Nuova Cultura)
* Mario Panzini, ''Proverbi, modi di dire, locuzioni e gergo nel Vernacolo Anconitano'' (1980, Edizioni Fogola)
* [[Duilio Scandali]], tutte le opere
* Fabio Maria Serpilli, ''Dialetto anconetano (nel panorama dei dialetti marchigiani). Appunti di fonetica, morfologia, grammatica, sintassi'' (2024 Associazione Culturale Versante)
* Luigi Spotti, ''Vocabolarietto Anconitano-Italiano. Voci, locuzioni e proverbi più comunemente in uso nella provincia di Ancona, con a confronto i corrispondenti in italiano'' (1929 Leo S. Olschki)
== Note ==
<references/>
 
== Voci correlate ==
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* [[Dialetto osimano]]
* [[Dialetto jesino]]
 
== Note ==
<references />
 
== Collegamenti esterni ==
Riga 285 ⟶ 429:
 
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[[Categoria:Ancona]]