Gaio Licinio Macro: differenze tra le versioni

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{{Magistrato romano
{{W|storici|arg2=politici|maggio 2016|commento = la sezioni non sono organizzate secondo il manuale di stile}}
|nome = Gaio Licinio Macro
|titolo = [[Pretore (storia romana)|Pretore]] della [[Repubblica romana]]
|nome completo = Gaius Licinius Macer
|data di nascita = [[108 a.C.|108]]-[[107 a.C.]]
|data di morte = [[66 a.C.]]
|luogo di morte = [[Roma (città antica)|Roma]]
|figli = [[Gaio Licinio Calvo]]
|Gens = [[Gens Licinia|Licinia]]
|tribunato della plebe = [[73 a.C.]]
|Epocapretura = I[[68 a.C.]]
|propretura = [[67 a.C.]]
}}
 
{{Bio
|Nome = Gaio Licinio
|Cognome = Macro
|PreData = ''{{latino|Gaius Licinius Macer''}}
|Sesso = M
|LuogoNascita =
|GiornoMeseNascita =
|AnnoNascita = circa [[107108 a.C.|108]] o [[108107 a.C.]]
|LuogoMorte = Roma
|GiornoMeseMorte =
|AnnoMorte = ?66 a.C.
|Epoca = I a.C.
|Attività = politico
|Attività2 = storico
|Nazionalità = romano
|Epoca = I a.C.
|PostNazionalità =
}}
 
== Biografia e carriera politica==
La data di nascita è sconosciuta, ma, essendosulla pretorebase neldella 68data a.C.della sua [[Pretore (storia romana)|pretura]], allorasi devepuò esseresupporre che fosse nato nel 107[[108 a.C.|108]] o 108[[107 a.C.]] circa. <ref>La ''[[lex Villia annalis]]'', un [[plebiscito]] del 180 a.C. del [[tribuno]] Lucio Villio, infatti, introduce un'età minima per l'accesso alle magistrature e un intervallo di due anni tra la investitura di due cariche.; si poteva, in questo contesto, diventare [[Pretore (storia romana)|Pretore]] si poteva diventare a 39 o 40 anni.</ref> Macro apparteneva alla ''[[nobilitas]]'' e assunse la carica di [[tribunustribuno della plebisplebe]] nel [[73 a.C.]] e unanel carica[[68 proa.C.]] ricoprì la magistratuspretura, seguita da una [[Propretore|propretura]] che risalirebberisale alprobabilmente 68all'[[67 a.C., di|anno pretorsuccessivo]]. Quest’ultimoQuest'ultimo incarico dovrebbe corrispondere a un governo di una provincia, di cui però non è stata tramandata alcuna testimonianza. Macro era padre del poeta neoterico Gaius Licinius Calvus, amico di [[Catullo]] e ostile, come oratore, di [[Cicerone]]. Il figlio era un famoso poeta della nuova tendenza neoterica ed eccellente oratore [[atticista]].
 
Licino Macro era vicino alle tesi “democrazia”,“democratiche”: comedurante il suo [[tribunusTribuno della plebe|tribunato della plebisplebe]], si batté per la restaurazione della ''[[tribunicia potestas]]''. Nel [[66 a. C.]], quandoanno in cui Cicerone era pretorpretore, secondo la ''lex repetundarum'' fu condannato. Morì poco dopo la condanna.
 
DellaMorì mortepoco didopo Macrola condanna e sulla sua morte abbiamo tre fonti letterarie: [[Cicerone]], [[Valerio Massimo]] e [[Plutarco]] che, nella ''Vita di Cicerone''<ref>Cap. 9.</ref>, scrive:
==L’oratoria di Macro==
{{citazione|Licinio Macro, uomo già potente nella città di per sé e per di più appoggiato da [[Marco Licinio Crasso|Crasso]]. Un'inchiesta per peculato fu condotta a suo carico da Cicerone. Licinio Macro, confidando nel proprio potere e nei propri appoggi, quando ancora i giudici non avevano deciso il verdetto, tornò a casa, si fece tagliare i capelli e indossò in fretta un mantello bianco, per andare nel foro di nuovo, da vincitore. Sotto casa, però, incontrò Crasso, venuto a dirgli che era stato condannato all'unanimità. Tornò quindi indietro, si mise a letto e morì|}}
Macro doveva avere delle ottime capacità retoriche, come si capire dal discorso riportato da [[Sallustio]] e dalle dichiarazione di un personaggio a lui ostile, come Cicerone, che nel <ref>Brutus 238 M. Tullio Cicerone, Bruto (a cura di E. Narducci): C. Macer auctoritate semper eguit, sed fuit patronus propemodum diligentissimus. huius si vita, si mores, si voltus denique non omnem commendationem ingeni everteret, maius nomen in patronis fuisset. non erat abundans, non inops tamen; non valde nitens, non plane horrida oratio; vox gestus et omnis actio sine lepore; at in inveniendis componendisque rebus mira accuratio, ut non facile in ullo diligentiorem maioremque cognoverim, sed eam ut citius veteratoriam quam oratoriam diceres. hic etsi etiam in publicis causis probabatur, tamen in privatis inlustriorem obtinebat locum</ref> ha scritto: «Gaio Macro ebbe sempre poca autorità, ma fu avvocato dalla diligenza pressoché ineguagliabile. Se la sua condotta di vita, i suoi costumi, infine la sua stessa fisionomia non avessero completamente guastato la reputazione che doveva al suo talento, avrebbe goduto di maggiore rinomanza tra gli avvocati. Senza aveva grande ricchezza di eloquio, non era tuttavia misero; lo stile non era particolarmente forbito, ma neppure trasandato; la voce, il gestire, e tutta l’azione non aveva grazia; ma nell’invenzione e nella composizione era di una accuratezza straordinaria: difficilmente saprei indicare, in altri, una maggiore, o più scrupolosa: ma era tale, che l’avresti detta piuttosto da mestierante che da oratore. Egli anche se si faceva apprezzare nei processi penali, aveva tuttavia un ruolo più in vista nelle cause private».
Da quanto scrive Plutarco si dovrebbe ricavare la vicinanza di Macro a Crasso, informazione che non è convalidata dalle altre fonti. Questa idea potrebbe confermare la descrizione di Cicerone, che presenta Macro come ''inimicus'' nella ''[[Pro Rabirio perduellionis reo]]'', orazione tenuta davanti al popolo in difesa di [[Gaio Rabirio (politico)|Rabirio]], condannato a morte per l'uccisione del tribuno [[Lucio Apuleio Saturnino|Saturnino]] nel [[100 a.C.]], considerato delitto contro lo Statoː Cicerone ricorda che, per difendere dalle accuse il suo assistito, sarebbe sufficiente solo mezzora; poi intuisce che data la limitazione di tempo impostagli, le accuse secondarie lo distoglierebbero dalla confutazione principale, inducendolo a perdere tempo rispetto alla difesa. L'accusa secondaria è ripresa da una vecchia accusa di Macro del 66 a.C. (tre anni prima del processo per Rabirio), ossia aver violato luoghi sacri e boschi. Cicerone si stupisce della ripresa di questa infondata accusa e mette in luce che l'accusa di un avversario (“''inimicus''”) non può avere alcun valore e inoltre i giudici avevano non accettato le argomentazioni di Macro. [[Plutarco]] presenta Macro come convinto della sua assoluzione, per questo decide di indossare un abito bianco, simbolo della festa e della vittoria.
Cicerone riconosce le capacità oratorie e di [[patronus]] nelle cause private ma disconosce il costume di Macro, che aveva una spiccata propensione oratoria, con uno stile vivace e colorito e che riusciva a organizzare perfettamente le cinque parti dell’arte retorica - ''inventio'', ''ordo'', ''[[elocutio]]'', ''memoria'' e ''actio''- nei suoi discorsi. [[Cicerone]] chiarisce che ha lavorato molto, i fatti nei suoi discorsi sono precisi, ma queste capacità sono rovinate da un comportamento e dall’astuzia di un “mestierante”. Macro era un ''popularis'', legato a [[Gaio Mario|Mario]] e questo può spiegare la volontà di difendere la città etrusca, che sostenne Mario e subì gravi danni a opera di Silla. Nel discorso Pro Tuscis Macro rimpiange le conseguenze negative sull’[[Etruria]] della colonizzazione sillana. Il rapporto con la città etrusca è stato messo in relazione anche con le origini etrusche della gens Licinia <ref>come si legge in: F. Münzer, Roman aristocratic parties and families, London Johns Hopkins University press, 1999, p. 25 (in cui si parla anche del frammento 26 di Priscilliano sulla Pro Tuscis)</ref>.
 
[[Valerio Massimo]], invece, nel nono libro dei suoi ''[[Factorum et dictorum memorabilium libri IX]]'' descrive le morti di uomini illustri come [[Tullio Ostilio]], [[Eschilo]], [[Euripide]], [[Socrate]] e altri. Tra i personaggi ricordati c'è anche l'ex pretore Gaio Licinio Macro, che salì sulla balconata della Basilica, durante il conteggio dei voti per l'accusa ''[[de repetundis]]'' (di concussione) e si uccise. Cicerone, che presiedeva il tribunale, saputo che Macro con un fazzoletto si voleva soffocare, decise di non pronunciare la condanna.
==L’opera storica==
L’opera storica di Macro in sedici o ventuno libri, non doveva essere un’opera corposa. Dagli autori dei secoli successivi quest’opera, che si dovrebbe ricollegare all’[[annalistica]] più che al genere biografico, fu considerata «un’autorità per la parte in cui trattava dalle origini fino al III secolo a.C.» <ref>come indicato da: L. Cracco Ruggini, Storia antica. Come leggere le fonti</ref>. Macro era un’annalista di tendenze popolari dell'età sillana, secondo la testimonianza di [[Cicerone]], il quale scrive nel primo libro di [[De legibus]]:«A che infatti dovrei citare un Macro? la cui garrulità presenta qualche arguzia, ma non già derivante dalla colta facondia dei Greci, ma dai copisti latini, e nei pezzi oratori vi è certo molto elevatezza, ma fuor di proposito, ed esagerata audacia»<ref>M. Tullio Cicerone, Le leggi 1, 7 (a cura di L. Ferrero e N. Zorzetti):Nam quid Macrum numerem? Cuius loquacitas habet aliquid argutiarum, nec id tamen ex illa erudita Graecorum copia, sed ex librariolis Latinis, in orationibus autem multas ineptias, †elatio† summam impudentiam</ref>. Macro è quindi uno storico abile ma la sua preparazione si riconduce più alla tradizione patrizia latina, che a quella greca. È esperto dei discorsi, essendo un discreto avvocato e oratore può facilmente riprodurre i dettami dell’ars oratoria, anche in una ricostruzione storica. Il titolo dell’opera è Annales o Historiae, di essa oggi possediamo solo dei frammenti. Fu adoperata come fonte attendibile da [[Livio]] e [[Dionigi di Alicarnasso]], forse per le ricerche approfondite e per il ricorso ai [[libri lintei]] <ref>Per una ricognizione sugli antichi materiali scrittori utile supporto è: R. Otranto, Il libro nel mondo antico</ref>. I libri lintei erano delle antiche liste di magistrati romani, registrate su teli di lino e conservati nel tempio in onore della dea Giunone Moneta, sul Campidoglio. I libri lintei sono testimoniate da varie fonti per il suolo italiano. Livio, per esempio, riferisce che Macro citava questi documenti. Livio utilizza l’opera di Macro, che, come gli altri annalisti, era interessato a enfatizzare le glorie familiari; per questo motivo è visto, da Livio, con cautela, ma generalmente rispettato.
 
{{Citazione|Altrettanto veemente fu la fine di C. Licinio Macro, ex pretore, padre di Calvo, accusato di estorsione. Mentre si contavano i voti, salì su un balcone, e vide che M. Cicerone, che era incaricato del processo, si toglieva la toga praetexta. Macro gli inviò un messaggio, per dire che sarebbe morto come accusato, non come condannato; e che quindi il suo patrimonio non poteva essere confiscato. Detto questo, si coprì la bocca e la gola con il fazzoletto, e col fiato bloccato, evitò la sua punizione con la morte. Quando ciò fu saputo, Cicerone evitò di pronunciare sentenza su di lui. Così, per la straordinarietà della morte del padre, l'illustre oratore fu liberato sia dalla povertà, sia dalla vergogna di una condanna in famiglia.|[[Valerio Massimo]], ''[[Factorum et dictorum memorabilium libri IX]]'', IX, 12, 7.|''Consimili impetu mortis C. Licinius Macer vir praetorius, Calui pater, repetundarum reus, dum sententiae diriberentur, in maenianum conscendit. si quidem, cum M. Ciceronem, qui id iudicium cogebat, praetextam ponentem vidisset, misit ad eum qui diceret se non damnatum, sed reum perisse, nec sua bona hastae posse subici, ac protinus sudario, quod forte in manu habebat, ore et faucibus suis coartatis incluso spiritu poenam morte praecucurrit. qua cognita re Cicero de eo nihil pronuntiavit. igitur inlustris ingenii orator et ab inopia rei familiaris et a crimine domesticae damnationis inusitato paterni fati genere vindicatus est.''|lingua=la|lingua2=it}}
==Un esempio di orazione per la libertas del 73 a.C.: Sallustio, Historiae, 48, 1-19==
Uno dei discorsi delle ''[[Historiae (Sallustio)|Historiae]]'' di [[Sallustio]] elabora il concetto di ''libertas'' e quindi di democrazia, che come ricorda Pani:<ref>M. Pani, Libertas e il discorso delle genti: una lettura del discorso di Licino Macro nelle Historiae di Sallustio</ref> «a Roma non ha corrispettivo diretto, ma che può trovare ospitalità nei concetti di […] [[iura]] o [[res publica]]». L’orazione pronunciata dal [[tribunus plebis]] Macro nel 73 a.C. si inserisce in un momento in cui il ruolo della magistratura a lui attribuita era stata esautorata, con le riforme di [[Lucio Cornelio Silla|Silla]], con la sua dittatura, negli anni 81-79 a.C.
La Penna <ref>La Penna, Sallustio e la «rivoluzione romana»</ref> ha scritto che in questo discorso c’è «ciò che di meglio la “democrazia romana” ha affermato quanto a valori etici e politici».Nel discorso Macro, nella contio, si rivolge al popolo romano e parla di ''[[Diritto|ius]]'' e [[iura]]. Macro rinviando alla tradizione delle lotte patrizio-plebee, rammenta che i costumi degli antenati devono essere mantenuti, ovvero è necessario tutelare i diritti conquistati. Macro esprime il valore per un uomo di carattere di combattere per la libertà, anche a costo di soccombere, piuttosto che rinunciare alla lotta. Macro vuole recuperare il ruolo di garante del [[tribunus plebis]] per tutelare i diritti dei [[plebei]]. È necessario recuperare il ruolo di tutti i magistrati di tutela e garanzia. Non si può abbandonare la [[res publica]] nelle mani corruttrici di pochi senza reagire. Macro dichiara che ormai si è privati di «spogliati [sciogli i Quiriti] di tutto ciò che avete ereditato dagli antenati» <ref>C. Sallustio Crispo, Historiarum Fragmenta 48, in C. Sallustio Crispo, Opere (a cura di P. Frassinetti e L. Di Salvo):exuti omnibus, quae maiores reliquere</ref>.In una democrazia, invece, devono governare la maggioranza, che deve potere esprimere liberamente i propri suffragia. Bisogna contrastare coloro che assoggettano il potere e che vogliono sottrarre al popolo la:«la potestà tribunizia, arma forgiata dagli avi a difesa della libertà» <ref>Ivi:vis tribunicia, telum a maioribus libertati paratum</ref>.Viene menzionato Lucio Sicinio (probabilmente si riferisce al tribuno della plebe del 76 a.C. Gneo Sicinio, vittima di Curione), il primo che ardì di ricordare della potestà tribunizia, mentre i plebei si limitavano a borbottare. Ma questi fu rovesciato. Bisogna lottare non solo con le parole, secondo lo stesso oratore Macro, che basa la sua forza di attrazione proprio con la parola. La contio è il locus libertatis, in cui si partecipa al vero spazio della democrazia e della partecipazione politica comunitaria. Macro con una serie di domande retoriche costruisce un dialogo, che dimostra la necessità della lotta. È necessario iniziare ad agire e non solo parlare Non si possono dimenticare i propri diritti e doveri abbandonando la [[contio]]. I [[plebisciti]] non devono essere ratificati dalla classe patrizia; non c’è alcuna divinità che possa scegliere per i Quiriti, ciò che è convalidato dal silenzio. Per Macro non si deve rispondere al sopruso con la violenza, perché nella [[res publica]] non si deve creare attrito, il quale scompagina l’assetto societario. È necessario riconquistare gli [[iura]] e se i patrizi si ostineranno nei loro interessi, non è necessario prendere le armi e compiere una ennesima secessione. Si può invece non partecipare più alla vita militare («travagli e pericoli non tocchino chi non avrà parte dei frutti» <ref>Ivi:absit periculum et labos, quibus nulla pars fructus est</ref>.Le avversità e i rischi di combattere, quindi, non devono più essere un interesse dei plebei, che non hanno alcun diritto («soltanto di non mettere più oltre a repentaglio la vostra via» <ref>Ibidem:tantummodo ne amplius sanguinem vestrum praebeatis censebo</ref>.Macro inoltre rinvia al 73 a.C., in cui con la lex Terentia Cassia frummentaria si ripristinavano le frumentazioni. Con questa legge i patrizi non hanno fatto altro che cercare di trattare ciò di cui loro hanno bisogno. Con l’elargizione del frumento non si aiuta, dichiara Macro, nessuno neanche nelle cura familiari. Gaio Aurelio Cotta (console nel 75 a.C.) aveva fatto abolire il diritto di assumere altre cariche magistratuali e poi nel 73 a.C. i consoli Gaio Cassio Longino e Margo Terenzio Varrone Lucullo avevano proposto che ogni proposta legislativa doveva avere in prima istanza l’avvallo del senato; il tribunato della plebe veniva depotenziato del suo ius intercessionis e non poteva continuare il cursus honorum. Macro incitava il popolo alla libertà. Sallustio rielabora la storia con una propria prospettiva, come qualsiasi storico; l’autore, comunque, è più o meno contemporaneo agli accadimenti che descrive e ci restituiscono una interessante prospettiva degli eventi del I secolo a.C. Questo secolo è, infatti, un coacervo di idee e soluzioni in un momento in cui la res publica si adatta. Pani <ref>Ivi</ref> scrive che «Macro adotta dunque alle rivendicazioni dei diritti politici il ius gentium che […] nato per regolamentare i rapporti […] commerciali […] in questo contesto il ius gentium […] si configura come ius naturae». Il discorso di Macro ha una matrice, che va al di là della riconquista dei diritti politici e si richiama a un diritto universale e naturale.
 
==Una fine controversa==
Della morte di Macro abbiamo tre fonti letterarie: [[Cicerone]], [[Valerio Massimo]] e [[Plutarco]].
Plutarco nella ''Vita di Cicerone'' scrive: «Licino Macro, uomo già potente nella città di per sé e per di più appoggiato da [[Crasso]]. Un’inchiesta per peculato fu condotta a suo carico da Cicerone. Licino Macro, confidando nel proprio potere e nei propri appoggi, quando ancora i giudici non avevano deciso il verdetto, tornò a casa, si fece tagliare i capelli e indossò in fretta un mantello bianco, per andare nel foro di nuovo, da vincitore. Sotto casa, però, incontrò Crasso, venuto a dirgli che era stato condannato all’unanimità. Tornò quindi indietro, si mise a letto e morì» <ref>Plutarco, Demostene e Cicerone 9 (a cura di C. Pecorella e B. Mugello)</ref>.Da quanto scrive Plutarco si dovrebbe ricavare la vicinanza di Macro a Crasso, informazione che non è convalidata dalle atre fonti. Questa idea potrebbe confermare la descrizione di Cicerone, che presenta Macro come inimicus. Nella Pro Rabirio perduellionis reo (orazione del 63 a.C.), tenuta davanti al popolo, in difesa di Rabirio, condannato a morte per l'uccisione del tribuno Saturnino nel 100 a.C., considerato delitto contro lo Stato. Cicerone rinvia a Macro: «A meno che tu non ritenga per caso che la tua accusa concernente la profanazione di luoghi e boschi sacri meriti una lunga confutazione, visto che a questo proposito ti sei limitato a dire che si tratta di un’imputazione formulata con Rabirio da Licinio Macro; ma sempre a questo proposito io mi meraviglio che tu, mentre hai ricordato l’accusa rivolta a Rabirio da Macro, su nemico hai invece dimenticato la sentenza pronunciata da giudici imparziali e sotto il vincolo del giuramento» <ref>M. Tullio Cicerone, Pro Rabirio perduellionis reo, in id. Le orazioni (a cura di Giovanni Bellardi):Nisi forte de locis religiosis ac de lucis quos ab hoc violatos esse dixisti pluribus verbis tibi respondendum putas; quo in crimine nihil est umquama abs te dictum, nisi a C. Macro obiectum esse crimen id C. Rabirio. In quo ego demiror meminisse te quid obiecerit C. Rabirio Macer inimicus, oblitum esse quid aequi et iurati iudices iudicarint</ref>. Cicerone ricorda che per difendere dalle accuse il suo assistito sarebbe sufficiente solo mezzora ma poi capisce che data la limitazione di tempo impostagli le accuse secondarie lo distoglierebbero dalla confutazione principale, inducendolo a perdere tempo rispetto la difesa. L’accusa secondaria è ripresa da una vecchia di Macro del 66 a.C. (tre anni prima del presente processo): aver violato luoghi sacri e boschi. Cicerone si stupisce della ripresa di questa infondata accusa e mette in luce che l’accusa di un avversario (“inimicus”) non può avere alcun valore e inoltre i giudici avevano non accettato le argomentazioni di Macro. [[Plutarco]] presenta Macro come convinto della sua assoluzione, per questo decide di indossare un abito bianco, simbolo della festa e della vittoria. [[Valerio Massimo]] invece riporta che Macro si sarebbe ucciso prima della condanna soffocandosi. [[Cicerone]] non pronunciò la sentenza ma questa descrizione è contestata dallo stesso Arpinate. [[Valerio Massimo]] nel capitolo IX dei suoi Factorum et dictorum memorabilium libri novem descrive le morti di uomini illustri, come [[Tullio Ostilio]], [[Eschilo]], [[Euripide]], [[Socrate]] e altri. Tra i personaggi ricordati c’è l’ex-pretore Gaio Licinio Macro, che salì sulla balconata della Basilica; durante il conteggio dei voti per l’accusa de repetundis (di concussione). Cicerone che presiedeva il tribunale, saputo che Macro con un fazzoletto si voleva soffocare («un fazzoletto per caso aveva in mano la bocca e la gola, si uccise per soffocamento, antivenendo così la sentenza» <ref>V. Massimo, Detti e fatti memorabili IX, 12 (a cura di R. Faranda):forte in manu habebat, ore et faucibus suis coartatis incluso spiritu poenam morte praecucurrit</ref>,decise di non pronunciare la condanna. Questa descrizione è contraddetta dallo stesso Arpinate in una lettera ad Attico, in cui dichiara di essersi comportato con indulgenza e che «Qui a Roma ho condotto a buon fine il processo di Gaio Macro, trovandomi sorretto dallo sbalorditivo consenso popolare, che proprio non mi aspettavo. Io, a dire il vero, mi ero comportato con ragionevole indulgenza nei riguardi dell’imputato, tuttavia la sua condanna mi ha fruttato, per quel che ne pensa la gente, prestigio molto maggiore di quello che ne avrei ottenuto dalla sua riconoscenza, se egli fosse stato assolto» <ref>M. Tullio Cicerone, Epistole, ad Attico II 4 (a cura di C. Di Spigno):Nos hic incredibili ac singulari populi [de] voluntate de C. Macro transegimus. Cui cum aequi fuissemus, tamen multo maiorem fructum ex populi existimatione illo damnato cepimus quam ex ipsius, si absolutus esset, gratia cepissemus</ref>.
 
Questa descrizione è riportata dallo stesso Arpinate in una lettera ad Attico, in cui dichiara di essersi comportato con indulgenza.<ref>{{Cita|''Ad Att.''|I, 4, 2}}.</ref>
==Note==
<references/>
 
==Bibliografia Famiglia ==
Macro era padre del poeta neoterico [[Licinio Calvo]], amico di [[Catullo]] e ostile, come oratore, di [[Cicerone]]. Il figlio era un famoso poeta della nuova tendenza neoterica ed eccellente oratore [[atticista]].
 
==Opere==
*F. Münzer, Roman aristocratic parties and families, London Johns Hopkins University press, 1999
*T. Robert S. Broughton, The magistrates of the Roman Republic (con la collaborazione di Marcia L. Patterson), New York: American Philological Association, 1951-1952
*Von K. Ziegler e W. Sontheimer, Der kleine Pauly Lexikon der Antike: auf der Grundlage von Pauly’s Realencyclopädie der classischen Altertumswissenschaft, Stuttgart Druckenmuller, 1964-1975
 
===Fonti Orazioni ===
Macro doveva avere delle ottime capacità retoriche, come si capire dal discorso riportato da [[Sallustio]] e dalle dichiarazioni di un personaggio a lui ostile, come Cicerone, che nel ''Brutus'' scriveva:<ref>''Brutus'', 238.</ref>
Macro doveva avere delle ottime capacità retoriche, come si capire dal discorso riportato da [[Sallustio]] e dalle dichiarazione di un personaggio a lui ostile, come Cicerone, che nel <ref>Brutus 238 M. Tullio Cicerone, Bruto (a cura di E. Narducci): C. Macer auctoritate semper eguit, sed fuit patronus propemodum diligentissimus. huius si vita, si mores, si voltus denique non omnem commendationem ingeni everteret, maius nomen in patronis fuisset. non erat abundans, non inops tamen; non valde nitens, non plane horrida oratio; vox gestus et omnis actio sine lepore; at in inveniendis componendisque rebus mira accuratio, ut non facile in ullo diligentiorem maioremque cognoverim, sed eam ut citius veteratoriam quam oratoriam diceres. hic etsi etiam in publicis causis probabatur, tamen in privatis inlustriorem obtinebat locum</ref> ha scritto: «{{citazione|Gaio Macro ebbe sempre poca autorità, ma fu avvocato dalla diligenza pressoché ineguagliabile. Se la sua condotta di vita, i suoi costumi, infine la sua stessa fisionomia non avessero completamente guastato la reputazione che doveva al suo talento, avrebbe goduto di maggiore rinomanza tra gli avvocati. Senza aveva grande ricchezza di eloquio, non era tuttavia misero; lo stile non era particolarmente forbito, ma neppure trasandato; la voce, il gestire, e tutta l’azionel'azione non aveva grazia; ma nell’invenzionenell'invenzione e nella composizione era di una accuratezza straordinaria: difficilmente saprei indicare, in altri, una maggiore, o più scrupolosa: ma era tale, che l’avrestil'avresti detta piuttosto da mestierante che da oratore. Egli anche se si faceva apprezzare nei processi penali, aveva tuttavia un ruolo più in vista nelle cause private».|}}
Cicerone riconosce le capacità oratorie e di ''[[patronus]]'' nelle cause private ma disconosce il costume di Macro, che aveva una spiccata propensione oratoria, con uno stile vivace e colorito e che riusciva a organizzare perfettamente le cinque parti dell'arte retoricanei suoi discorsi.
 
Cicerone riconosce le capacità oratorie e di [[patronus]] nelle cause private ma disconosce il costume di Macro, che aveva una spiccata propensione oratoria, con uno stile vivace e colorito e che riusciva a organizzare perfettamente le cinque parti dell’arte retorica - ''inventio'', ''ordo'', ''[[elocutio]]'', ''memoria'' e ''actio''- nei suoi discorsi. [[Cicerone]] chiarisce che ha lavorato molto, i fatti nei suoi discorsi sono precisi, ma queste capacità sono rovinate da un comportamento e dall’astuziadall'astuzia di un “mestierante”. Macro era un ''popularis'', legato a [[Gaio Mario|Mario]] e questo può spiegare la volontà di difendere la città etrusca di Etruria, che sostenne Mario e subì gravi danni a opera di Silla. Nel discorso ''Pro Tuscis'' Macro rimpiange le conseguenze negative sull’sull'[[Etruria]] della colonizzazione sillana. Il rapporto con la città etrusca è stato messo in relazione anche con le origini etrusche della gens Licinia <ref>comeCome si legge in: F. Münzer, ''Roman aristocratic parties and families'', London, Johns Hopkins University press, 1999, p. 25 (in cui si parla anche del frammento 26 di Priscilliano sulla ''Pro Tuscis'').</ref>.
*[[Gaio Sallustio Crispo]], Historiarum Fragmenta 48
*[[Marco Tullio Cicerone]], Bruto 238
*Marco Tullio Cicerone, Epistole, ad Attico I,4
*Marco Tullio Cicerone, Le leggi 1, 7
*Marco Tullio Cicerone, L'orazione Pro C. Rabirio Perduellionis reo 7
*[[Plutarco]], Vita di Demostene e Cicerone 9
*[[Valerio Massimo]], Detti e fatti memorabili IX, 12
 
=== ''Annales'' ===
;Manualistica
L'opera storica di Macro (in sedici o ventuno libri), ''Annales'' o ''Historiae'', quasi del tutto perduta, fu adoperata come fonte attendibile da [[Livio]] e [[Dionigi di Alicarnasso]], forse per le ricerche approfondite e per il ricorso ai [[libri lintei]]. Dagli autori dei secoli successivi quest'opera, che si dovrebbe ricollegare all'[[annalistica]] più che al genere biografico, fu considerata «un'autorità per la parte in cui trattava dalle origini fino al III secolo a.C.»<ref>L. Cracco Ruggini, ''Storia antica. Come leggere le fonti'', Bologna, Il Mulino, 2000, p. 143.</ref>.
*G. Poma, Le fonti per la storia antica, Bologna, 2008
*L. Cracco Ruggini, Storia antica. Come leggere le fonti, Bologna, 1996, p. 143
*M. Pani, E. Todisco, Storia romana dalle origini alla tarda antichità, Roma Carocci, 2008
*R. Otranto, Il libro nel mondo antico, Dedalo, 2008, pp. 57-88
 
Macro era un'annalista di tendenze popolari dell'età sillana, secondo la testimonianza di [[Cicerone]], che scrive, nel primo libro del ''[[De legibus]]''<ref>I 1.</ref>:
;Saggistica
{{citazione|A che infatti dovrei citare un Macro? la cui garrulità presenta qualche arguzia, ma non già derivante dalla colta facondia dei Greci, ma dai copisti latini, e nei pezzi oratori vi è certo molto elevatezza, ma fuor di proposito, ed esagerata audacia|}}
*A. La Penna, Sallustio e la «rivoluzione romana», Milano Feltrinelli, 1968, p. 191
*M. Pani, Libertas e il discorso delle genti: una lettura del discorso di Licino Macro nelle Historiae di Sallustio, in Studi in onore di Francesco Grelle (a cura di M. Silvestrini, T. Spagnuolo Vigorita e G. Volpe), Bari Edipuglia, 2006, pp 193-198
 
Macro è, quindi, uno storico abile, ma la sua preparazione si riconduce più alla tradizione patrizia latina, che a quella greca.
 
==Note==
<references/>
==Bibliografia==
 
=== Fonti storiche ===
* {{Cita testo|lingua=la|autore=Tito Livio|wkautore=Tito Livio|titolo=Ab Urbe Condita libri|url=https://la.wikisource.org/wiki/Ab_Urbe_Condita|cid=Livio}}
*{{Cita testo|lingua=la|autore=Valerio Massimo|wkautore=Valerio Massimo|titolo=Factorum et dictorum memorabilium libri IX|url=https://la.wikisource.org/wiki/Factorum_et_dictorum_memorabilium_libri_IX|cid=Valerio Massimo}}
*{{Cita testo|lingua=la|autore=Marco Tullio Cicerone|wkautore=Marco Tullio Cicerone|titolo=Brutus|url=https://la.wikisource.org/wiki/Brutus|cid=Brutus}}
*{{Cita testo|lingua=la|autore=Marco Tullio Cicerone|wkautore=Marco Tullio Cicerone|titolo=Epistulae ad Atticum|url=https://la.wikisource.org/wiki/Epistulae_(Marcus_Tullius_Cicero)/Epistulae_ad_Atticum/I|posizione=I|cid=Ad Att.}}
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=== Studi moderni ===
*{{Cita libro|nome=Friedrich|cognome=Münzer|titolo=Paulys Realencyclopädie der classischen Altertumswissenschaft|annooriginale=1837|anno=1942|lingua=de|pp=419-428|volume=I, 1|capitolo=Licinius 112|url_capitolo=https://de.wikisource.org/wiki/RE:Licinius_112|cid=Münzer|urlmorto=sì}}
*F. Münzer, ''Roman aristocratic parties and families'', London, Johns Hopkins University press, 1999.
* {{Cita libro|nome=T. Robert S.|cognome=Broughton|curatore=Phillip H. De Lacy|titolo=The Magistrates of the Roman Republic|ed=1|collana=Philological Monographs|anno=1952|editore=American Philological Association|città=New York|lingua=en|volume=II|cid=Broughton2}}
*L. Cracco Ruggini, ''Storia antica. Come leggere le fonti'', Bologna, 1996Il Mulino, p2000. 143
==Altri progetti==
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==Collegamenti esterni==
*{{Collegamenti esterni}}
{{Storici romani}}
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