Gruppo del Laocoonte: differenze tra le versioni

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{{Opera d'arte
|immagine = Laocoon and His Sons.jpg
|grandezza immagine = 300px411px
|titolo = Gruppo del Laocoonte
|artista = [[Agesandro]], [[Atenodoro di Rodi]] e [[Polidoro (scultore)|Polidoro]]
|artista2 = Agesandro, Atenodoro di Rodi
|data = probabile copia marmorea eseguita tra I secolo a.C. e I secolo d.C. di un originale bronzeo del [[150 a.C.]] circa.
|opera = scultura
|tecnica = marmo
|materiale = Marmo
|altezza = 242
|larghezza =
|profondità =
|città = [[RomaCittà del Vaticano]]
|ubicazione = [[Musei Vaticani]]
}}
Il gruppo scultoreo deldi '''''Laocoonte e i suoi figli''''' (h 242&nbsp;cm)'','' noto anche semplicemente come '''''Gruppo del Laocoonte''''', è una [[scultura]] inoriginale della [[marmo]]scuola (h 242&nbsp;cm) degli scultori [[Agesandrorodia]], [[Atanodoro]] e [[Polidoro (scultore)|Polidoro]]conservata, databile al I secolo d.C. e conservato nel [[Museo Pio-Clementino]] dei [[Musei Vaticani]], nella [[Città del Vaticano]]. Raffigura il famoso episodio narrato nell<nowiki>{{'</nowiki>}}''[[Eneide]]'' che vedemostra il sacerdote [[troia]]no [[Laocoonte]] ede i suoi figli assaliti da serpenti marini. La statua molto probabilmente è una copia romana di un originale greco in bronzo.
[[File:Alexis François Girard - Laocoonte.jpg|thumb|upright=1.3|Il gruppo del Laocoonte nella forma del restauro del XVI secolo]]
Il gruppo scultoreo del '''''Laocoonte e i suoi figli''''', noto anche semplicemente come '''''Gruppo del Laocoonte''''', è una [[scultura]] in [[marmo]] (h 242&nbsp;cm) degli scultori [[Agesandro]], [[Atanodoro]] e [[Polidoro (scultore)|Polidoro]], databile al I secolo d.C. e conservato nel [[Museo Pio-Clementino]] dei [[Musei Vaticani]], nella [[Città del Vaticano]]. Raffigura il famoso episodio narrato nell<nowiki>'</nowiki>''[[Eneide]]'' che vede il sacerdote [[troia]]no [[Laocoonte]] ed i suoi figli assaliti da serpenti marini. La statua molto probabilmente è una copia romana di un originale greco in bronzo.
 
== Storia ==
=== Storia antica e datazione ===
Plinio raccontava di aver visto una statua del Laocoonte nella casa dell'imperatore [[Tito (imperatore romano)|Tito]], attribuendola a tre scultori provenienti da [[scuola rodia|Rodi]]: [[Agesandro]], [[Atanodoro]] e [[Polidoro (scultore)|Polidoro]]<ref>Plinio, ''Naturalis Historia'', XXXVI, 37, "... ''Quorundam claritati in operibus eximiis obstante numero artificum, quoniam nec unus occupat gloriam nec plures pariter nuncupari possunt, sicut in Laocoonte, qui est in Titi imperatoris domo, opus omnibus et picturae et statuariae artis praeferendum. Ex uno lapide eum ac liberos draconumque mirabiles nexus de consilii sententia fecere summi artifices Hagesander et Polydorus et Athenodorus rhodii''..."</ref>. Scrive Plinio:
 
[[File:Scan the World - Laocoon Group.stl|thumb| Modello 3d del Gruppo del Laocoonte]]
{{citazione|Né poi è di molto la fama della maggior parte, opponendosi alla libertà di certuni fra le opere notevoli la quantità degli artisti, perché non uno riceve la gloria né diversi possono ugualmente essere citati, come nel Laoconte, che è nel palazzo dell'imperatore Tito, opera che è da anteporre a tutte le cose dell'arte sia per la pittura sia per la scultura. Da un solo blocco per decisione di comune accordo i sommi artisti [[Agesandro]], [[Polidoro (scultore)|Polidoro]] e [[Atanodoro]] di Rodi fecero lui e i figli e i mirabili intrecci dei serpenti.|[[Plinio il Vecchio]], ''[[Naturalis Historia]]'', XXXVI, 37}}
 
Plinio raccontava di aver visto una statua del Laocoonte nella casa dell'imperatore [[Tito (imperatore romano)|Tito]], attribuendola a tre scultori provenienti da [[scuola rodia|Rodi]]: [[Agesandro]], [[AtanodoroAtenodoro di Rodi|Atenodoro]] e [[Polidoro (scultore)|Polidoro]]<ref>Plinio, ''Naturalis Historia'', XXXVI, 37, "... ''Quorundam claritati in operibus eximiis obstante numero artificum, quoniam nec unus occupat gloriam nec plures pariter nuncupari possunt, sicut in Laocoonte, qui est in Titi imperatoris domo, opus omnibus et picturae et statuariae artis praeferendum. Ex uno lapide eum ac liberos draconumque mirabiles nexus de consilii sententia fecere summi artifices Hagesander et Polydorus et Athenodorus rhodii''..."</ref>. Scrive Plinio:
La tradizionale identificazione della statua dei [[Musei Vaticani]] con quella descritta da Plinio è ancora generalmente accettata, visto anche che la residenza privata di Tito si doveva trovare proprio sul [[colle Oppio]], dove la statua venne poi ritrovata. Accettata è anche l'attribuzione ai tre artisti [[rodi]]i<ref name="ReferenceA">AA.VV. ''Laocoonte: alle origini dei Musei Vaticani'', 2006</ref>, autori anche dei gruppi statuari con storie di Ulisse della grotta di [[Sperlonga]]<ref name=DVC88/>.
 
{{citazione|Né poi è di molto la fama della maggior parte, opponendosi alla libertà di certuni fra le opere notevoli la quantità degli artisti, perché non uno riceve la gloria né diversi possono ugualmente essere citati, come nel Laoconte, che è nel palazzo dell'imperatore Tito, opera che è da anteporre a tutte le cose dell'arte sia per la pittura sia per la scultura. Da un solo blocco per decisione di comune accordo i sommi artisti [[Agesandro]], [[Polidoro (scultore)|Polidoro]] e [[Atanodoro]]Atenodoro di Rodi]] fecero lui e i figli e i mirabili intrecci dei serpenti.|[[Plinio il Vecchio]], ''[[Naturalis Historia]]'', XXXVI, 37}}
Varie date sono state proposte per questa statua, oscillanti tra metà del [[II secolo a.C.]] alla metà del [[I secolo]] d.C.; [[Bernard Andreae]], in alcuni studi,<ref>Laocoonte e la fondazione di Roma, Il Saggiatore, 1989</ref> ha ipotizzato che il ''Laocoonte'' sia una copia di un originale [[Bronzo|bronzeo]] [[scultura ellenistica|ellenistico]], come dimostrerebbero alcuni dati tecnici e stilistici<ref>Salvatore Settis, ''Op. cit.'', 1999</ref>. Sulla parte posteriore della statua si trova infatti del [[marmo lunense]], non utilizzato prima della metà del I secolo a.C., inoltre alcuni dettagli rimandano inequivocabilmente alla [[fusione a cera persa]]: ad esempio il mantello che ricade sulla spalla del giovane a destra fino a toccargli il ginocchio deriva quasi certamente da un espediente tecnico necessario a costituire un passaggio per il metallo fuso. Si è ipotizzato che l'originale fosse stato creato a [[Pergamo]], come suggeriscono alcuni confronti stilistici con opere della [[scuola di Pergamo|scuola locale]]: i pacifici rapporti tra la città dell'Asia minore e Roma erano infatti rafforzati dai miti legati a Troia, dai quali discendevano le leggende di fondazione di entrambe le città<ref name=DVC89>De Vecchi-Cerchiari, cit., p. 89.</ref>.
 
La tradizionale identificazione della statua dei [[Musei Vaticani]] con quella descritta da Plinio è ancora generalmente accettata, visto anche che la residenza privata di Tito si doveva trovare proprio sul [[colle Oppio]], dove la statua venne poi ritrovata. Accettata è anche l'attribuzione ai tre artisti della [[rodiscuola rodia]]i<ref name="ReferenceA">AA.VV.{{cita libro|titolo= ''Laocoonte: alle origini dei Musei Vaticani'', |autore= Paolo Liverani |autore2= Arnold Nesselrath |anno= 2006 |editore= L'Erma di Bretschneider |ISBN = 978-88-8265-409-2 }}</ref>, autori anche deidel gruppigruppo statuaristatuario con storiel'episodio di [[Gruppo di Polifemo|Ulisse e Polifemo]], della grotta presso la [[villa di Tiberio]] a [[Sperlonga]]<ref name=DVC88/>.
Plinio comunque attesta la presenza a Roma della statua marmorea a metà del I secolo d.C. attribuendola a scultori attivi un secolo prima. Infatti alcune [[iscrizione|iscrizioni]] trovate a [[Lindos]], sull'[[isola di Rodi]] fanno risalire la presenza a Roma di Agesandro e Atanodoro ad un periodo successivo al [[42 a.C.]], ed in questo modo la data più probabile per la creazione del Laocoonte deve essere compresa tra il [[40 a.C.|40]] ed il [[20 a.C.]], per una ricca casa [[Patrizio (storia romana)|patrizia]], o più probabilmente per una committenza imperiale ([[Augusto]], [[Gaio Cilnio Mecenate|Mecenate]]), anche se il Laocoonte sembra lontano dallo [[stile neoattico]] in auge nel periodo. Visto il luogo di ritrovamento è anche possibile che la statua sia appartenuta, per un periodo, a [[Nerone]].
 
Varie date sono state proposte per questa statua, oscillanti tra metà del [[II secolo a.C.]] alla metà del [[I secolo]] d.C.; [[Bernard Andreae]], in alcuni studi,<ref>{{cita libro|autore= Bernard Andreae |titolo= Laocoonte e la fondazione di Roma, |editore= Il Saggiatore, |anno= 1989 |isbn= 978-88-04-31719-7 }}</ref>, ha ipotizzato che il ''Laocoonte'' sia una copia di un originale [[Bronzo|bronzeo]] [[scultura ellenistica|ellenistico]], come dimostrerebbero alcuni dati tecnici e stilistici<ref name=Settis>{{cita|Salvatore Settis, ''Op. cit1999}}.'', 1999</ref>. Sulla parte posteriore della statua si trova infatti del [[marmo lunense]], non utilizzato prima della metà del I secolo a.C., inoltre alcuni dettagli rimandano inequivocabilmente alla [[fusione a cera persa]]: ad esempio il mantello che ricade sulla spalla del giovane a destra fino a toccargli il ginocchio deriva quasi certamente da un espediente tecnico necessario a costituire un passaggio per il metallo fuso. Si è ipotizzato che l'originale fosse stato creato a [[Pergamo]], come suggeriscono alcuni confronti stilistici con opere della [[scuola di Pergamo|scuola locale]]: i pacifici rapporti tra la città dell'Asia minore e Roma erano infatti rafforzati dai miti legati a Troia, dai quali discendevano le leggende di fondazione di entrambe le città<ref name=DVC89>{{cita|De Vecchi-Cerchiari, cit., |p. 89}}.</ref>.
 
Plinio comunque attesta la presenza a Roma della statua marmorea a metà del I secolo d.C. attribuendola a scultori attivi un secolo prima. Infatti alcune [[iscrizioneepigrafe|iscrizioni]] trovate a [[LindosLindo]], sull'[[isola di [[Rodi]] fanno risalire la presenza a Roma di Agesandro e AtanodoroAtenodoro ada un periodo successivo al [[42 a.C.]], ede in questo modo la data più probabile per la creazione del Laocoonte deve essere compresa tra il [[40 a.C.|40]] ede il [[20 a.C.]], per una ricca casa [[Patrizio (storia romana)|patrizia]], o più probabilmente per una committenza imperiale ([[Augusto]], [[Gaio Cilnio Mecenate|Mecenate]]), anche se il Laocoonte sembra lontano dallo [[stile neoattico]] in auge nel periodo. Visto il luogo di ritrovamento è anche possibile che la statua sia appartenuta, per un periodo, a [[Nerone]].
 
=== Il ritrovamento ===
[[File:Santa Maria in Aracoeli, Grabplatte Felice de Fredis.JPG|thumb|upright=1.8|S. Maria in Aracoeli, lastra tombale di Felice De Fredis ''"qui ob proprias virtutes et repertum Lacoohontis (…) simulacrum immortalitatem meruit"'']]
La statua fu trovata il 14 gennaio del [[1506]]<ref>Una recente scoperta nell'Archivio storico “Innocenzo III” di Segni di un incunabolo della ''Naturalis Historia'' di Plinio il Vecchio e riportante a margine una nota del proprietario del libro, anticipa di quattro giorni tale rinvenimento. Fu scritta da Angelo Recchia da [[Barbarano Romano|Barbarano (Romano, VtVT)]], giurista che tra il 1519 ed il 1550 fu a lungo al servizio delle magistrature capitoline e della Camera Apostolica, per poi divenire nel 1557 uno dei Conservatori dell'Università La Sapienza. La nota è ritenuta autorevole da Luca Calenne e Alfredo Serangeli, gli studiosi che si sono occupati della scoperta. Fin dall'inizio è, però, balzato agli occhi che la data riportata dal Recchia (cioè il quarto giorno prima delle idi di gennaio, vale a dire il 10 gennaio) non corrispondeva a quella ufficiale, considerata tale da cinquecento anni sulla base di una lettera del fiorentino Filippo Casavecchia, che poneva l'eccezionale ritrovamento della statua quattro giorni dopo, cioè il 14 dello stesso mese.</ref> scavando in una vigna sul [[colle Oppio]] di proprietà di Felice de Fredis (antenato di [[Pierre De Coubertin]]), nelle vicinanze della [[Domus Aurea]] di [[Nerone]]: l'epitaffio sulla tomba di Felice de Fredis in [[Basilica di Santa Maria in Aracoeli|Santa Maria in Aracoeli]] ricorda l'avvenimento<ref>AA. VV.name="ReferenceA" ''Laocoonte: alle origini dei Musei Vaticani'', 2006</ref>. Allo scavo, di grandezza stupefacente secondo le cronache dell'epoca, assistettero di persona, tra gli altri, lo scultore e pittore [[Michelangelo Buonarroti|Michelangelo]] e l'architetto [[Giuliano da Sangallo]]. Questi era stato inviato dal papa a valutare il ritrovamento, secondo la testimonianza di [[Francesco da Sangallo|Francesco]], giovane figlio di Giuliano (che, ormai anziano, ricorda l'episodio in una lettera del [[1567]])<ref>AA. VV.name="ReferenceA" ''Laocoonte: alle origini dei Musei Vaticani'', 2006.</ref>. Secondo questa testimonianza fu proprio Giuliano da Sangallo ada identificare i frammenti ancora parzialmente sepolti con la scultura citata da [[Plinio il vecchioVecchio|Plinio]]<ref> esclamando "Questo è Hilaoconte, che fa mentione Plinio".</ref>. Esistono comunque testimonianze coeve che danno la stessa identificazione della scultura appena rinvenuta<ref>Salvatore name=Settis, ''Laocoonte, fama e stile'', 1999.</ref>.
 
=== La collocazione al Belvedere ===
La statua fu acquistata subito dopo la scoperta dal [[papa Giulio II]], che era un appassionato classicista, e fu sistemata, in posizione di rilievo, nel cortile ottagonale dei ciprex tommaso ("[[Cortile delle Statue]]") progettato da [[Bramante]] all'interno del complesso del [[Cortile del Belvedere|Giardino del Belvedere]] proprio per accogliere la collezione papale di scultura antica. Tale allestimento è considerato l'atto fondativo dei [[Musei Vaticani]]. Da allora il ''Laocoonte'', assieme all'''[[Apollo del Belvedere]]'', costituì il pezzo più importante della collezione, e fu oggetto dell'incessante successione di visite, anche notturne, da parte di curiosi, artisti e viaggiatori<ref name="ReferenceA"/>.
 
Tale allestimento è considerato l'atto fondativo dei [[Musei Vaticani]]. Da allora il ''Laocoonte'', assieme all{{'}}''[[Apollo del Belvedere]]'', costituì il pezzo più importante della collezione, e fu oggetto dell'incessante successione di visite, anche notturne, da parte di curiosi, artisti e viaggiatori<ref name="ReferenceA"/>.
=== Restauri ed integrazioni ===
[[File:Laocoon Pio-Clementino Inv1059-1064-1067 n4.jpg|thumb|left|Il ragazzo a destra]]
Quando il gruppo scultoreo fu scoperto, benché in buono stato di conservazione, presentava il padre ed il figlio minore entrambi privi del braccio destro. Dopo un primo ripristino, forse eseguito da [[Baccio Bandinelli]] (che ne eseguì una delle prime copie, intorno al 1520, oggi agli [[Uffizi]], per [[Leone X]]), del braccio del figlio minore e di alcune dita del figlio maggiore, artisti ed esperti discussero su come dovesse essere stata la parte mancante nella raffigurazione del sacerdote troiano. Nonostante alcuni indizi mostrassero che il braccio destro fosse, all'origine, piegato dietro la spalla di Laocoonte, prevalse l'opinione che ipotizzava il braccio esteso in fuori, in un gesto eroico e di forte dinamicità. L'integrazione fu eseguita, probabilmente in [[terracotta]], da [[Giovanni Angelo Montorsoli|Montorsoli]] ed il [[restauro]] ebbe un successo duraturo tanto che [[Johann Joachim Winckelmann|Winckelmann]], pur consapevole della diversa posizione originaria, si dichiarò favorevole al mantenimento del braccio teso.<ref>A. Conti, ''Storia del restauro e della conservazione delle opere d'arte'', 1988, p. 33.</ref>
 
=== Restauri ede integrazioni ===
Intanto, tra il [[1725]] e il [[1727]], Agostino Cornacchini eseguì un restauro del gruppo scultoreo che versava in condizioni di degrado. Vennero sostituiti il braccio di terracotta del Laocoonte e quello in marmo del figlio, evidentemente rovinati con altri dall'identica posa.
Quando il gruppo scultoreo fu scoperto, benché in buono stato di conservazione, presentava il padre ede il figlio minore entrambi privi del braccio destro. Dopo un primo ripristino, forse eseguito da [[Baccio Bandinelli]] (che ne eseguì una delle prime copie, intorno al 1520, oggi agli [[Uffizi]], per [[LeoneGiulio Xde' Medici]]), del braccio del figlio minore e di alcune dita del figlio maggiore, artisti ed esperti discussero su come dovesse essere stata la parte mancante nella raffigurazione del sacerdote troiano. Nonostante alcuni indizi mostrassero che il braccio destro fosse, all'origine, piegato dietro la spalla di Laocoonte, prevalse l'opinione che ipotizzava il braccio esteso in fuori, in un gesto eroico e di forte dinamicità. L'integrazione fu eseguita, probabilmente in [[terracotta]], da [[Giovanni Angelo Montorsoli|Montorsoli]] ed e il [[restauro]] ebbe un successo duraturo tanto che il [[Johann Joachim Winckelmann|Winckelmann]], pur consapevole della diversa posizione originaria, si dichiarò favorevole al mantenimento del braccio teso.<ref>A.{{cita libro|autore= Alessandro Conti, |wkautore= Alessandro Conti (storico dell''arte) |titolo= Storia del restauro e della conservazione delle opere d'arte'', |anno= 1988, |p.= 33.}}</ref>.
Intanto, tra il [[1725]] e il [[1727]], [[Agostino Cornacchini]] eseguì un restauro del gruppo scultoreo che versava in condizioni di degrado. Vennero sostituiti il braccio di terracotta del Laocoonte e quello in marmo del figlio, evidentemente rovinati, con altri dall'identica posa.
 
La statua fu confiscata e portata a [[Parigi]] da [[Napoleone Bonaparte|Napoleone]] il 27 e 28 luglio [[1798]] con il [[Trattato di Tolentino]] come oggetto delle [[Furti napoleonici|spoliazioni napoleoniche]]. Fu sistemata nel posto d'onore nel [[Museo del Louvre]] dove divenne una delle fonti d'ispirazione del [[neoclassicismo]] in [[Francia]]. DopoCon la caduta di NapoleoneRestaurazione, fu riportata in [[Vaticano]] nel [[1815]], sotto la cura di [[Antonio Canova]] e nuovamente restaurata.
=== Influenza culturale ===
[[File:Parmigianino, testa del laocoonte, chatsworth.jpg|thumb|[[Parmigianino]], ''Testa del Laocoonte'', [[Chatsworth House|Chatsworth]]]]
La scoperta del ''Laocoonte'' ebbe enorme risonanza tra gli artisti e gli [[scultore|scultori]] ed influenzò significativamente l'[[arte rinascimentale]] italiana e nel [[XVII secolo|secolo successivo]] la [[scultura barocca]]. Straordinaria fu infatti l'attenzione suscitata dalla statua, e se ne trova traccia nelle numerose lettere degli ambasciatori che la descrivono, nei disegni e nelle incisioni che subito dopo iniziarono a circolare per l'Europa. Il forte dinamismo e la plasticità eroica e tormentata del ''Laocoonte'' ispirò numerosi artisti, da [[Michelangelo]] a [[Tiziano]], da [[El Greco]] ad [[Andrea del Sarto]].
 
Nel 1906 l’archeologo praghese [[Ludwig Pollak]]<ref>Ludwig Pollak ([[Praga]], 14 settembre 1868 – [[Campo di concentramento di Auschwitz]], 1943), è stato direttore del [[Museo Barracco|Museo Barracco di Scultura Antica]] in Roma.</ref> rinvenne fortuitamente il braccio destro originario di Laocoonte nella bottega di uno scalpellino romano<ref>[https://ilmanifesto.it/ludwig-pollak-intuizioni-ed-epilogo-di-un-connoisseur/ Ludwig Pollak, intuizioni ed epilogo di un connoisseur]</ref>, che si presentava piegato, come Michelangelo aveva immaginato: l’arto, acquistato dall'archeologo stesso, fu donato poco dopo al Vaticano e ricollocato alla spalla solo nel 1959, da [[Filippo Magi]]<ref>{{Cita web|url=https://artresearchsite.wordpress.com/2016/10/30/laocoonte/|titolo=Laocoonte}}</ref>, che rimosse tutte le integrazioni non originali, secondo i princìpi del restauro moderno<ref>{{Cita libro|autore=Giuseppe Nifosì|titolo=Cittadini dell'arte|editore=Laterza |anno= 2018|p=}}</ref>.
[[Michelangelo]] ad esempio fu particolarmente impressionato dalla rilevante massa della statua e dal suo aspetto sensuale, in particolare nella rappresentazione delle figure maschili. Molti dei lavori di Michelangelo successivi alla scoperta, come il ''[[Tondo Doni]]'', lo ''[[Schiavo ribelle]]'' e lo ''[[Schiavo morente]]'', furono influenzati dal ''Laocoonte''. Molti scultori si esercitarono sul gruppo scultoreo facendone calchi e copie anche a grandezza naturale.
 
=== Influenza culturale ===
Il re di Francia insistette molto per avere la statua dal papa o almeno una sua copia. A tal fine, lo scultore [[Firenze|fiorentino]] [[Baccio Bandinelli]] ricevette l'incarico dal cardinale Giulio de' Medici [[papa Clemente VII]] Medici, di farne una copia, oggi agli [[Uffizi]]. Il re di Francia, però, dovette accontentarsi di inviare, intorno al [[1540]], lo scultore [[Francesco Primaticcio]] a Roma per realizzare un calco al fine di ricavarne una copia in bronzo destinata a [[castello di Fontainebleau|Fontainebleau]]. Un'altra copia si trova nel Gran Palazzo dei [[Cavalieri di Rodi]] a [[Rodi]]. Una copia in [[gesso (materiale)|gesso]], appartenuta al [[Anton Raphael Mengs|Mengs]], si trova nell'[[Accademia di belle arti di Roma]].
La scoperta del ''Laocoonte'' ebbe enorme risonanza tra gli artisti e gli [[scultorescultura|scultori]] ede influenzò significativamente l'[[arte rinascimentale]] italiana e nel [[XVII secolo|secolo successivo]] la [[scultura barocca]]. Straordinaria fu infatti l'attenzione suscitata dalla statua, e se ne trova traccia nelle numerose lettere degli ambasciatori che la descrivono, nei disegni e nelle incisioni che subito dopo iniziaronoincominciarono a circolare per l'Europa. Il forte dinamismo e la plasticità eroica e tormentata del ''Laocoonte'' ispirò numerosi artisti, da [[Michelangelo]] a [[Tiziano]], da [[El Greco]] ad [[Andrea del Sarto]].
 
[[Michelangelo]] ad esempio fu particolarmente impressionato dalla rilevante massa della statua e dal suo aspetto sensuale, in particolare nella rappresentazione delle figure maschili. Molti dei lavori di Michelangelo successivi alla scoperta, come il ''[[Tondo Doni]]'', lo ''[[Schiavo ribelle]]'' e lo ''[[Schiavo morente]]'', furono influenzati dal ''Laocoonte''. Molti scultori si esercitarono sul gruppo scultoreo facendone calchi e copie anche a grandezza naturale. Inoltre, [[Raffaello Sanzio]] ne prenderà spunto per disegnare la torsione visibile nella [[Pala Baglioni]].
Il fascino della scultura coinvolse per secoli artisti ed intellettuali come [[Gian Lorenzo Bernini]], [[Orfeo Boselli]], [[Johann Joachim Winckelmann|Winckelmann]] e [[Goethe]]<ref>J. W. Goethe, ''Sul Laocoonte'', 1798, trad. it. di M. Cometa, in ''Laocoonte 2000'', Palermo, 1992, pp.94-102</ref>, diventando il fulcro della riflessione [[XVIII secolo|settecentesca]] sulla scultura<ref>M. Cometa, ''Laocoonte 2000'', Palermo, 1992</ref>. La tragica mobilità di questa statua è uno dei temi del saggio ''Laokoön'', di [[Gotthold Ephraim Lessing|Lessing]], uno dei primi classici di critica dell'arte.
 
Il re di Francia insistette molto per avere la statua dal papa o almeno una sua copia. A tal fine, lo scultore [[Firenze|fiorentino]] [[Baccio Bandinelli]] ricevette l'incarico dal cardinale Giulio de' Medici, futuro [[papa Clemente VII]] Medici, di farne una copia, oggi conservata agli [[Uffizi]]. Il re di Francia, però, dovette accontentarsi di inviare, intorno al [[1540]], lo scultore [[Francesco Primaticcio]] a Roma per realizzare un calco al fine di ricavarne una copia in bronzo destinata a [[castello di Fontainebleau|Fontainebleau]]. Un'altra copia si trova nel Gran Palazzo dei [[Cavalieri di Rodi]] a [[Rodi]]. Una copia in [[gesso (materiale)|gesso]], appartenuta al [[Anton Raphael Mengs|Mengs]], si trova nell'[[Accademia di belle arti di Roma]].
=== Vicende recenti ===
La statua fu confiscata e portata a [[Parigi]] da [[Napoleone Bonaparte|Napoleone]] il 27 e 28 luglio [[1798]]. Fu sistemata nel posto d'onore nel [[Museo del Louvre]] dove divenne una delle fonti d'ispirazione del [[neoclassicismo]] in [[Francia]]. Dopo la caduta di Napoleone, fu riportata in [[Vaticano]] nel [[1815]], sotto la cura di [[Antonio Canova]] e nuovamente restaurata.
 
Il fascino della scultura coinvolse per secoli artisti ede intellettuali come [[Gian Lorenzo Bernini]], [[Orfeo Boselli]], [[Johann Joachim Winckelmann|Winckelmann]] e [[Goethe]]<ref>J. W. Goethe, ''Sul Laocoonte'', 1798, trad. it. di M. Cometa, in ''Laocoonte 2000'', Palermo, 1992, pp.94-102</ref>, diventando il fulcro della riflessione [[XVIII secolo|settecentesca]] sulla scultura<ref>M. Cometa, ''Laocoonte 2000'', Palermo, 1992</ref>. La tragica mobilità di questa statua è uno dei temi del saggio ''Laokoön'', di [[Gotthold Ephraim Lessing|Lessing]], uno dei primi classici di critica dell'arte.
Nel [[1906]] fu rinvenuto il braccio destro originario dall'archeologo tedesco Ludwig Pollak, piegato a gomito e mancante della mano, nella posizione quindi che era stata ipotizzata da [[Michelangelo]]. Un intervento di restauro, effettuato tra il [[1957]] ed il [[1960]], ha ripristinato l'aspetto originario riunendo il braccio ritrovato alla statua.
 
== Descrizione e stile ==
[[File:Laoconte-cabeza.jpg|thumb|Il volto del Laocoonte]]
[[File:Head Odysseus MAR Sperlonga.jpg|thumb|Testa di Ulisse dal [[gruppo di Polifemo]] di Sperlonga]]
Il gruppo statuario raffigura la fine di [[Laocoonte]] e dei suoi due figli [[Antifante]] e [[Timbreo]] mentre sono stritolati da due serpenti marini, come narrano varie leggende, tra cui la più nota è quella contenuta nell<nowiki>'</nowiki>''[[Eneide]]'' virgiliana<ref>Virgilio, Eneide, II libro, versi 40 ss.</ref>, in cui è descritto l'episodio come la vendetta di [[Atena]] per il tentativo del sacerdote di [[Apollo]] di opporsi all'ingresso del [[cavallo di Troia]] nella città<ref>''[[Timeo Danaos et dona ferentes]]''</ref>.
 
Il gruppo statuario raffigura la finemorte di [[Laocoonte]] e dei suoi due figli [[AntifanteAntifate (figlio di Laocoonte)|Antifate]] e [[Timbreo (figlio di Laocoonte)|Timbreo]] mentre sono stritolati da due serpenti marini, come narranonarrato varienel leggende,ciclo traepico cuidella laguerra piùdi nota èTroia, quellaripreso contenutasuccessivamente nell<nowiki>{{'</nowiki>}}''[[Eneide]]'' virgilianada Virgilio<ref>Virgilio, Eneide, II libro, versi 40 ss.</ref>, in cui è descritto l'episodio come ladella vendetta di [[Atena]], perche ildesiderava tentativola delvittoria degli Achèi, sul sacerdote troiano di [[Apollo]], che cercò di opporsi all'ingresso del [[cavallo di Troia]] nella città<ref>''[[Timeo Danaos et dona ferentes]]''</ref>.
La sua posa è instabile perché nel tentativo di liberarsi dalla stretta dei serpenti Laocoonte richiama tutta la sua forza, manifestando con la più alta intensità drammatica la sua sofferenza fisica e spirituale. I suoi arti e il suo corpo assumono una posa pluridirezionale e in torsione, che si slancia nello spazio. L'espressione dolorosa del suo viso unita al contesto e la scena danno una resa psicologica caricata, quasi teatrale, come tipico delle opere del "[[scuola di Pergamo|barocco ellenistico]]". La resa del nudo mostra una consumata abilità, con l'enfatica torsione del busto che sottolinea lo sforzo e la tensione del protagonista. Il volto è tormentato da un'espressione [[pathos|pateticamente]] corrucciata. Il ritmo concitato si trasmette poi alle figure dei figli<ref name=DVC88>De Vecchi-Cerchiari, cit., p. 88.</ref>.
 
La sua posa è instabile perché nel tentativo di liberarsi dalla strettamorsa dei serpenti, Laocoonte richiama tutta la sua forza, manifestando con la più alta intensità drammatica la sua sofferenza fisica e spirituale. I suoi arti e il suo corpo assumono una posa pluridirezionale e in torsione, che si slancia nello spazio. L'espressione dolorosa del suo viso unita al contesto e la scena danno una resa psicologica caricata, quasi teatrale, come tipico delle opere del "[[scuola di Pergamo|barocco ellenistico]]". La resa del nudo mostra una consumata abilità, con l'enfatica torsione del busto che sottolinea lo sforzo e la tensione del protagonista. Il volto è tormentato da un'espressione [[pathos|pateticamente]] corrucciata. Il ritmo concitato si trasmette poi alle figure dei figli<ref name=DVC88>{{cita|De Vecchi-Cerchiari,|p. cit88}}.</ref>. I lineamenti stravolti del viso di Laocoonte, la sua corporatura massiccia si contrappongono alla fragilità e alla debolezza dei fanciulli che implorano, impotenti, l'aiuto paterno: la scena suscita commozione ed empatia nell'animo di chi guarda<ref>{{cita libro|autore= Domenico Massaro |titolo= La meraviglia delle idee |editore= Pearson |anno= 2015 |volume= 1 |p.= 88.389}}</ref>.
 
La statua è composta da più parti distinte, mentre Plinio, in effetti, descrisse una scultura ricavata da un unico blocco marmoreo (''ex uno lapide''). Tale circostanza ha creato sempre molti dubbi di identificazione ede attribuzione<ref>Salvatore Settis, cit., 1999.</ref>.
 
== Galleria d'immagini ==
La statua è composta da più parti distinte, mentre Plinio, in effetti, descrisse una scultura ricavata da un unico blocco marmoreo (''ex uno lapide''). Tale circostanza ha creato sempre molti dubbi di identificazione ed attribuzione<ref>Salvatore Settis, cit., 1999.</ref>.
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File:EB1911 Greek Art - Laocoon Group.jpg|Il gruppo scultoreo in una fotografia di Anderson pubblicata nel vol. 12 dell{{'}}''Encyclopædia Britannica'', 1911. Testimonianza del braccio Cornacchini.
File:Laokoon.jpg|Il gruppo scultoreo in un'immagine del volume ''Grundriss der Kunstgeschichte'', di Wilhelm Lübke e Max Semrau, 1903. Sono visibili le parti mancanti.
File:Laocoon-Uffizi.png|Gruppo del Laocoonte del Bandinelli, 1520, conservato alla [[Galleria degli Uffizi]].
File:Laoconte e seus filhos 01.jpg|Gruppo del Laocoonte conservato al [[Museo nazionale delle belle arti (Brasile)]], 1862 circa. Versione con il braccio Montorsoli.
File:Vmlaokoon.jpg|Il gruppo scultoreo oggi, dopo l'integrazione novecentesca del cosiddetto braccio Pollak. [[Musei Vaticani]], [[Roma]].
[[File:Laoconte-cabeza.jpg|thumb|Il volto del Laocoonte]].
[[File:Parmigianino, testa del laocoonte, chatsworth.jpg|thumb|[[Parmigianino]], ''Testa del Laocoonte'', [[Chatsworth House|Chatsworth]]]].
File:Laocoonte - particolare.jpg|Laocoonte - [[Musei Vaticani]], [[Roma]].
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== Note ==
{{<references}}/>
 
== Bibliografia ==
* {{Cita libro|nome = Gisela M. A.|cognome = Richter|titolo = L'arte greca|editore = Einaudi|città = Torino|anno = 1969|cid = Richter 1969}}
* {{Cita libro|nome = Ranuccio|cognome = Bianchi Bandinelli|wkautore = Ranuccio Bianchi Bandinelli|coautori = Enrico Paribeni|titolo = L'arte dell'antichità classica. Grecia|editore = UTET Libreria|città = Torino|anno = 1986|ISBN = ISBN 88-7750-183-9.}}
* {{cita libro|autore= Antonio Giuliano A.,|titolo= ''Storia dell'arte greca'', |editore= Carocci, |città= Roma |anno= 1998 |ISBN= 88-430-1096-4 }}
* {{cita libro|autore= Pierluigi De Vecchi ed|autore2= Elda Cerchiari, ''|titolo= I tempi dell'arte'', |volume= 1, |editore= Bompiani, |città= Milano |anno= 1999. |ISBN= 88-451-7107-8 |cid= De Vecchi-Cerchiari }}
* {{cita libro|autore= Salvatore Settis |wkautore= Salvatore Settis |titolo= Laocoonte. Fama e stile |città= Roma |editore= Donzelli |anno= 1999 |ISBN= 978-88-6036-040-3 |cid= Salvatore Settis, 1999 }}
* [http://www.engramma.it/eOS2/index.php?id_articolo=2087 Galleria delle fonti letterarie e iconografiche su Laocoonte, "La Rivista di Engramma" n. 50, luglio/settembre 2006]
* {{cita articolo |url= http://www.engramma.it/eOS2/index.php?id_articolo=2087 |titolo= Galleria delle fonti letterarie e iconografiche su Laocoonte |rivista= La Rivista di Engramma |numero= 50 |data= luglio/settembre 2006 |pubblicazione= |accesso= 20 ottobre 2016 |dataarchivio= 16 giugno 2017 |urlarchivio= https://web.archive.org/web/20170616031258/http://www.engramma.it/eOS2/index.php?id_articolo=2087 |urlmorto= sì }}
* {{cita web|url= https://mediterraneoantico.it/articoli/archeologia-classica/gruppo-del-laocoonte-ai-musei-vaticani/ |titolo= Il gruppo del Laooconte ai Musei Vaticani |autore= Alessandra Randazzo |data= 9 Maggio 2017 |sito= MediterraneoAntico }}
 
== Voci correlate ==
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== Altri progetti ==
{{interprogetto|commonspreposizione=Category:Laocoon groupsul}}
 
== Collegamenti esterni ==
* ''[http://database.census.de/easydb/censusID=219823 Census of Antique Works of Art and Architecture Known in the Renaissance]''{{Collegamenti esterni}}
* {{cita web|http://mv.vatican.va/2_IT/pages/MV_Home.html|Musei Vaticani online}}
* {{cita web|http://digilander.libero.it/puntocontro/cultura/scheggedarte/giardino_belvedere.htm|Il giardino del Belvedere}}
 
{{Controllo di autorità}}
{{Portale|archeologia|ellenismo|Roma|Scultura}}
 
[[Categoria:Sculture a soggetto mitologico]]
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