[[Utente:Distico/Sandbox/3|Sandbox 3]] -
[[Utente:Distico/Sandbox/4|Sandbox 4]] -
[[Utente:Distico/Sandbox/5|Sandbox 5]] -
[[Utente:Distico/Sandbox/6|Sandbox 6]] -
[[Utente:Distico/Sandbox/7|Sandbox 7]]
</div>
'''ConcezioneGoverno storicamunicipale parigino di Bailly'''
==Antefatti==
{{torna a|Jean Sylvain Bailly}}
===Le prime avvisaglie===
[[File:Jean Sylvain Bailly, maire de Paris.jpg|thumb|240px|''[[Jean Sylvain Bailly]]'' ritratto da [[Jean-Laurent Mosnier]] ([[1789]]).]]
{{vedi anche|Stati generali del 1789|Assemblea nazionale costituente}}
[[File:Signature Bailly 1790.svg|thumb|210px|Firma di Jean Sylvain Bailly.]]
Dopo essere stato il primo presidente dell'[[Assemblea nazionale costituente|Assemblea nazionale]], la popolarità di Bailly tra i deputati e il popolo parigino crebbe notevolmente. Il ruolo fondamentale che egli aveva giocato in questo iniziale momento rivoluzionario di successo fu infatti interamente compreso e apprezzato sia dai suoi colleghi, sia dai suoi concittadini.<ref>Gene A. Brucker, ''Jean-Sylvain Bailly - Revolutionary Mayor of Paris'' - University of Illinois Press Urbana, 1950, I, p. 13</ref> Ad esempio la camera di commercio della città di [[Bordeaux]] mandò una delegazione per ringraziarlo della bontà della sua presidenza e per comprare un suo ritratto, dipinto da Mosnier, pittore della corte del re, in modo che fosse esposto nella propria sala riunioni.<ref>Arago, ''Oeuvres'', II, 340-41.</ref> Lo stesso Bailly ringraziò gli abitanti di Bordeaux «per la bontà di cui avevano inondato un cittadino che non aveva fatto altro che il suo dovere».<ref>Bailly, ''Mémoires'', I, 290.</ref> Il giornale ''Point du jour'' osservava, poco prima del termine del mandato di Bailly: «Un sentimento di dolore era misto col piacere di vedere M. Bailly nel presiedere l'Assemblea nazionale ieri. Purtroppo sta per finire».<ref>''Point du jour'', n° 15, 4 July 1789.</ref> Bailly ricevette anche dei messaggi e delle delegazioni delle tre accademie di cui lui stesso era membro, le tre accademie più importanti di [[Francia]] – l'[[Académie française]], l'[[Académie des sciences]] e l'[[Académie des inscriptions et belles-lettres]] – oltre che dell'assemblea elettorale parigina e dell'Assemblea Nazionale stessa che espressero la loro approvazione per la sua conduzione degli [[Stati generali del 1789|Stati generali]] nel loro periodo più tempestoso.<ref name="ebs511">Edwin Burrows Smith, ''Jean-Sylvain Bailly: Astronomer, Mystic, Revolutionary (1736-1793)'' (Philadelphia, 1954), p. 511.</ref>
La '''concezione storica di [[Jean Sylvain Bailly]]''' è una parte importante del pensiero dell'astronomo francese. Essa è caratterizzata da un'interpretazione originale delle origini preistoriche della civiltà; questa interpretazione anticipava, per certi versi, alcuni dei dettagli del "mito Ariano". Bailly sosteneva infatti la tesi secondo cui Atlantide era la civiltà originaria del genere umano, che essa aveva inventato le arti e le scienza e che aveva "civilizzato" i Cinesi, gli Indiani, gli Egizi e tutti i popoli dell'antichità. Egli posizionò inoltre questo popolo primordiale nel lontano nord dell'[[Eurasia]], inizialmente nel [[Caucaso]] e poi nelle isole di [[Spitzbergen]], argomentando che quando il raffreddamento della Terra aveva poi seppellito il loro ancestrale territorio sotto delle lastre di ghiaccio, degli Atlantidei si fossero perse completamente le tracce.
I delegati dell'Assemblea erano capeggiati dall'[[Arcidiocesi di Bordeaux|arcivescovo di Bordeaux]] e dal [[François Alexandre Frédéric de La Rochefoucauld-Liancourt|duca de La Rochefoucauld]], un segnale d'onore visto che il principio guida di Bailly era stato l'uguaglianza del [[Terzo Stato]] rispetto agli ordini privilegiati.<ref name="ebs511" />
Bailly si mosse ecletticamente tra scienza, mitologia classica, linguistica, e orientalismo per dimostrare la sua ipotesi affermando che i [[brahmani]] che formarono la civiltà indiana non erano altro che Atlantidei di [[lingua sanscrita]].<ref name="harvey1" />
Il mandato di Bailly come presidente dell'Assemblea nazionale durò fino al [[2 luglio]]. La sua soddisfazione e quella dei suoi colleghi non durò a lungo comunque. Il licenziamento del primo ministro [[Jacques Necker]] e la nomina di [[Louis Auguste Le Tonnelier de Breteuil]] al suo posto nella giornata del [[12 luglio]] causarono una costernazione generale nell'Assemblea. Nonostante il suo attaccamento a Breteuil, Bailly condivideva le opinioni dei suoi colleghi, e avrebbe di gran lunga preferito che il licenziato Necker tornasse al suo posto.<ref name="ebs511" />
Le teorie di Bailly riflettevano molte delle idee prevalenti della sua epoca, come ad esempio il [[determinismo geografico]] di [[Montesquieu]] e [[Georges-Louis Leclerc de Buffon|Buffon]] e la superiorità del dinamico [[Occidente]] sul decadente [[Oriente]]. Eppure, sebbene non abbia mai fatto degli Atlantidei una razza, né tantomeno una "razza superiore", e nonostante le sue posizioni chiaramente antirazziste,<ref name="review" /><ref name="harvey">David Allen Harvey, ''The lost Caucasian civilization: Jean-Sylvain Bailly and the roots of the Arian myth''.</ref> le sue opere hanno posto le basi per il successivo emergere del mito ariano.<ref name="harvey1" />
{{citazione|...come uomo, io l'ho visto buono, sensibile, giusto e leale. [...] Quanto ai suoi principi politici, essi non sono né rivoluzionari né costituzionali: ambasciatore per trent'anni, abituato a parlare a nome del re, egli non conosce che la sua autorità; la giustizia da un lato, l'obbedienza dall'altro: ecco le sue massime. Aveva una reputazione di dispotismo che non era favorevole per essere ripreso al ministero nella circostanza degli Stati generali.|Bailly sul [[Louis Auguste Le Tonnelier de Breteuil|barone de Breteuil]].<ref>Bailly, ''Mémoires'' 1: 253.</ref>}}
Inoltre, una successiva rimitizzazione, attraverso varie mistificazioni e incomprensioni, delle tesi di Bailly fornì ai nazisti una finzione mitica antichissima su cui fondare la loro piattaforma ideologica (come fatto da [[Alfred Rosenberg]] nel suo ''The Myth of the Twentieth Century''). Indirettamente ed inconsapevolmente, Bailly quindi si trova quindi alla fonte di un elemento centrale nella ideologia nazista, quello che può essere definito, con le parole di [[Philippe Lacoue-Labarthe]] e [[Jean-Luc Nancy]], il "mito nazista".<ref>''Le Mythenazi'' (La Tour d'Aiugues: Editions de l'Aube, 1991</ref>
Senza avere coscientemente formulato le sue idee, Bailly diventava implicitamente sia «rivoluzionario» che «costituzionale». Mentre l'Assemblea approvava una legge che dava un voto di fiducia a Necker e stabiliva il principio della responsabilità ministeriale, Bailly scrisse una lettera personale a Breteuil dicendogli, in tante parole, di sentirsi infelice, in fin dei conti, del fatto che questi fosse stato nominato primo ministro al posto di Necker e lo avvertì, ammonendolo di non sottovalutare la determinazione dell'Assemblea nazionale.<ref name="ebs511" />
==Background culturale==
Il [[XVIII secolo]] ha portato un cambiamento drastico nella coscienza storica europea. I pensatori illuministi, come afferma lo storico David Harvey, abbandonarono il «quadro biblico di una storia universale» che impostava la discendenza del genere umano da [[Adamo]] ed [[Eva]] attraverso i tre figli di [[Noè]], preferendo «la narrativa secolare della nascita e del crollo delle civiltà», integrandoli in un impianto storico più ampio del progresso umano.<ref name="harvey1">David Allen Harvey, ''The lost Caucasian civilization: Jean-Sylvain Bailly and the roots of the Arian myth'', p. 1.</ref> Nonostante ciò, comunque, alcune asserzioni bibliche, come ad esempio la diffusione della civiltà da un unico punto di origine, sopravvissero a questo processo di distanziamento dalle tesi bibliche, aderendo esplicitamente alle nuove teorie. Lo storico Colin Kidd infatti rimarca che «lo spettro della [[Genesi]] ossessionava la nascita dell'[[etnologia]]».<ref>Colin Kidd, ''The Forging of Races: Race and Scripture in the Protestant Atlantic World'' (Cambridge e New York, 2006), 27.</ref>
Lo stesso giorno Bailly sentì per la prima volta una voce secondo cui stava per essere menzionato per la carica di ''Prévôt des Marchands'' di Parigi (il prevosto dei mercanti, una sorta di sindaco facente funzioni), ruolo che apparteneva in quel momento a Jacques de Flesselles.<ref name="ebs511" /> Il licenziamento di Necker e la presenza delle truppe a [[Parigi]] fece precipitare la capitale nel caos. Il [[13 luglio]] l'assemblea degli elettori, che, avendo raggiunto il suo scopo già da mesi (eleggere i deputati all'Assemblea Nazionale), si sarebbe dovuta sciogliere da tempo, e che il Bureau de la Ville, la Garde des Sceaux e lo stesso re [[Luigi XVI]] avevano tentato senza successo di sciogliere, si costituì [[Comune di Parigi (1792)|comune di Parigi]]. La rivolta esplose il giorno successivo, il [[14 luglio]], il giorno della [[Presa della Bastiglia]].<ref name="ebs511" />
Sin dal [[Rinascimento]] e fino all'[[Illuminismo]], generazioni di studiosi, scienziati, e storici avevano affrontato la questione della "cronologia storica", tentando di riconciliare la linea temporale dell'antichità classica con quella della storia sacra biblica. Lo storico [[Anthony Grafton]] osserva che, quando gli [[Umanesimo|umanisti]] riscoprirono la storia degli [[antico Egitto|antichi egizi]], dei [[fenici]], e dei [[Mesopotamia|popoli mesopotamici]] attraverso fonti greche, «la ben definita e relativamente breve cronologia della Bibbia incominciò a sfilacciarsi»<ref name="Grafton">Anthony Grafton, "Kircher’s Chronology" in Paula Findlen, ed., ''Athanasius Kircher: The Last Man Who Knew Everything'' (New York, 2004), 171–87, 172.</ref> perché le evidenze suggerivano «che il mondo fosse molto più vecchio di quanto la testimonianza biblica supponeva».<ref name="Grafton" /> Intanto, le nuove rivelazioni dei [[gesuiti]] alla corte dell'Imperatore cinese a [[Pechino]] minarono ulteriormente l'infallibilità della cronologia biblica perché, ad esempio, la storia cinese precorreva, e di molto, la data del [[diluvio universale]].<ref>Matthew Brockey, ''Journey to the East: The Jesuit Mission to China'', 1579–1724 (Cambridge, MA, 2007)</ref><ref>Colin Mackerras, ''Western Images of China'' (Oxford, 1999)</ref><ref>Virgile Pinot, ''La Chine et la formation de l’esprit philosophique en France'', 1640–1740</ref>
===La nomina a sindaco===
La storica Suzanne Marchand ha scritto che «le battaglie cronologiche divennero dunque molto appassionate e consequenziali perché [...] si era ipotizzato che "la priorità nel tempo implicasse la superiorità nella dottrina"».<ref>Suzanne Marchand, ''German Orientalism in the Age of Empire: Religion, Race, and Scholarship'' (Cambridge and New York, 2009), 12.</ref> Allo stesso modo, [[Paolo Rossi Monti]] ha scritto che «l'affermazione che ci fossero storie di età superiore alla storia sacra sarebbe potuto sembrare [...] un attacco alla verità della Cristianesimo e una pretesa sacrilega».<ref>Paolo Rossi Monti, ''I segni del tempo: storia della Terra e storia delle nazioni da Hooke a Vico'', (Milano, 1979)</ref> Se questa civiltà originaria non era quella dei patriarchi biblici, che cosa ne sarebbe stato della cronologia sacra, della storia della e della dispersione dei popoli com'era narrata nel libro della Genesi? Per risolvere tali controversie, secondo lo storico Harvey, molti studiosi incominciarono a rivolgersi all'[[astronomia]], una scienza che si stava sviluppando e che stava diventando via via sempre più precisa, «in modo da trovare un supporto empirico o una confutazione per i venerabili ma opachi testi sacri».<ref>David Allen Harvey, ''The lost Caucasian civilization: Jean-Sylvain Bailly and the roots of the Arian myth'', p. 4.</ref> Già a partire dal [[XV secolo]], gli studiosi avevano attinto a fenomeni astronomici precisamente databili (come le eclissi o le congiunzioni dei pianeti) per corroborare la cronologia della storia antica.<ref>Anthony Grafton, ''Defenders of the Text: The Traditions of Scholarship in an Age of Science'', 1450–1800 (Cambridge, MA, 1991), 129.</ref> Considerando il fatto che i corpi celesti variavano la loro posizione nel corso dei secoli, i primi studiosi moderni riflettevano sul fatto che la posizione delle costellazioni nelle antiche [[Carta celeste|carte celesti]] poteva essere usata per calcolare le date precise in cui queste carte furono composte.
{{vedi anche|Presa della Bastiglia}}
All'indomani della [[presa della Bastiglia]], il [[15 luglio]] 1789, Bailly fu acclamato, dalla neonata Assemblea elettorale cittadina costituitasi Comune, come [[sindaco di Parigi]], il primo nella storia della città. Assieme a lui il [[Gilbert du Motier de La Fayette|marchese de La Fayette]] fu acclamato comandante in capo della [[milizia]] cittadina, che prese il nome di [[Guardia nazionale francese|Guardia nazionale]].
[[File:Gravure Assemblée nationale, époque du 4 février 1790 1 - Archives Nationales - AE-II-3878.jpg|thumb|260px|Una seduta dell'[[Assemblea nazionale costituente]].]]
Mentre le fonti greche riportavano che gli [[Egizi]] e i [[Caldei]] fossero stati i primi astronomi del mondo antico, gli studiosi [[gesuiti]] in missione in [[Asia]] rivelarono che gli [[Indiani]] e i [[Cinesi]] avevano mappato le stelle e registrato le eclissi da tempi forse molto più antichi; tali rivelazioni, secondo Harvey, «vennero strombazzate come prove della inattendibilità della cronologia biblica da scettici come [[Voltaire]]».<ref>David Allen Harvey, ''The lost Caucasian civilization: Jean-Sylvain Bailly and the roots of the Arian myth'', p. 5.</ref>
Durante la [[Presa della Bastiglia]], intanto, l'[[Assemblea nazionale costituente]] svolse un ruolo abbastanza passivo. Le notizie da Parigi raggiungevano Versailles con difficoltà, e i deputati non erano ben informati di ciò che stava realmente accadendo. L'Assemblea continuò comunque a seguire tutta la situazione, i deputati attendevano infatti con ansia l'esito degli eventi. [[Jean Sylvain Bailly|Bailly]] nelle sue ''Mémoires'' presentò la propria interpretazione del significato e dell'importanza della Presa della Bastiglia.<ref>Bailly, ''Mémoires'', I, 385-92.</ref> Pienamente convinto che l'intenzione della corte fosse quella di sciogliere l'Assemblea Nazionale, citò delle prove per sostenere l'esistenza di un piano preorganizzato del governo per riconquistare la supremazia e prendere il controllo di Parigi intimidendo l'Assemblea. La presa della Bastiglia fu, secondo lui, «un giorno terribile e indimenticabile, il momento in cui la Rivoluzione fu consumata dal coraggio e dalla risolutezza degli abitanti di Parigi...»<ref>''Ibid.'', I, 388.</ref> Dando piena responsabilità al comandante [[Bernard-René Jourdan de Launay|De Launay]] per gli eventi che ebbero luogo presso la prigione, Bailly insistette che questi avrebbe dovuto arrendersi ben prima di arrivare all'estrema decisione di sparare sui suoi concittadini.<ref>E' difficile riconciliare i commenti, almeno parzialmente illogici, di Bailly sulla presa della Bastiglia soprattutto per come lui stesso si difese dalle accuse a lui rivolte per il massacro al Campo di Marte due anni dopo (di cui, comunque, non fu fautore materiale). Né la sua giustificazione della folla della Bastiglia né la sua condanna di De Launay sono in accordo con la sua solita posizione di opposizione ad ogni tipo di disordine pubblico.</ref> Bailly ammise che al fianco del «buon popolo di Parigi» c'erano state comunque delle bande di faziosi e facinorosi che avevano voluto portare la rivoluzione al di là di ogni opposizione ragionevole, e che questi erano responsabili di gran parte dei saccheggi e delle illegalità che caratterizzarono quella «giornata terribile e indimenticabile».
Con l'Assemblea nazionale nel ruolo di osservatore tremulo ed impotente, [[Parigi]] aveva vinto la sfida e superato la crisi del [[14 luglio]]. La città ribolliva ancora di agitazione, e sia la corte che l'Assemblea la guardavano con diffidenza, temendo che una mossa falsa avrebbe potuto innescare una nuova esplosione. Il giorno dopo la caduta della Bastiglia, il [[15 luglio]], il re fece il primo passo per porre fine ai disordini visitando l'Assemblea in prima persona, chiedendo l'assistenza dei deputati nella crisi:
Intanto, contemporaneamente, verso la fine del [[XVIII secolo]], un numero sempre più crescente di pensatori europei incominciò a convincersi, in virtù del livello di progresso tecnico-scientifico raggiunto, della propria superiorità culturale (e solo in alcuni casi razziale) nei confronti dei restanti popoli del globo, contrastando lo staticismo dell'[[Oriente]] al dinamismo dell'[[Occidente]]. Nello stesso periodo, intanto, gli "storici congetturali" del tardo illuminismo stavano cercando di colmare le lacune nella storia del genere umano.<ref>Karen O’Brien, ''Narratives of Enlightenment: Cosmopolitan History from Voltaire to Gibbon'' (Cambridge, 1997)</ref><ref>Ronald Meek, ''Social Science and the Ignoble Savage'' (Cambridge, 1976)</ref>
{{citazione|Beh, sono io ad essere tutt'uno con la nazione; sono io che mi fido di voi. Aiutatemi in questa circostanza per garantire la salvezza dello Stato. Mi aspetto che l'Assemblea Nazionale... e contando sull'amore e sulla fedeltà dei miei sudditi, ho ordinato alle truppe di lasciare Parigi e Versailles.|Il re rivolto all'Assemblea.<ref>''Ibid.'', II, 5.</ref>}}
Unendo tutti questi filoni di pensiero insieme, alcuni pensatori settecenteschi conclusero che i popoli "decadenti" dell'Est, considerati incapaci di creatività ed inventiva, non potevano aver sviluppato da soli delle civiltà avanzate sviluppate, e teorizzarono l'esistenza di un'antica civiltà perduta, che aveva - di conseguenza - civilizzato tutte le altre.
A Bailly fu chiesto di scrivere questo discorso per il re.<ref name="ebs511" /> Il linguaggio del discorso, però, non era certo quello di Bailly; era ben poco artificioso e, per tale motivo, commovente.<ref>E. Burrows Smith, ''Jean-Sylvain Bailly: Astronomer, Mystic, Revolutionary (1736-1793)'', p. 512.</ref> Bailly stesso, sia detto a suo merito, osservò: «Questo discorso non era quello che avevo scritto io; [...] Ma credo che questo vada meglio».<ref>Bailly, ''Mémoires'', II, 5.</ref> Tuttavia, il discorso, probabilmente, incarnava gli stessi suggerimenti di Bailly. Per la prima volta, il Re infatti usò il termine "Assemblea Nazionale", ed espresse la sua fiducia nella volontà della nazione.<ref name="ebs511" />
Bailly è uno tra questi pensatori. Egli, unendo insieme prove astronomiche, mitiche, storiche e geologiche, ipotizza l'esistenza di un antico popolo primordiale nelle lontane regioni del Nord. Rileggendo la tradizione biblica attraverso un altro classico mito legato all'oceano, Bailly finì per legare questa civiltà originaria con il mito di Atlantide. Basandosi in gran parte sugli scritti di [[Platone]], Bailly sostenne che la storia raccontata da Crizia nell'omonimo dialogo platonico, doveva essere presa alla lettera.<ref name="Dan Edelstein" /> La civiltà originaria di cui Bailly parlava era secondo lui la principale testimonianza dell'antica [[età dell'oro]] che, legata al [[mito platonico]] di [[Atlantide]], gli permetteva anche di spostare sia l'[[giardino dell'Eden|Eden biblico]] sia le antiche radici culturali e civili asiatiche in una nuova narrazione della preistoria umana, in cui la civiltà, proveniente da nord, discese verso il sud.<ref>David Allen Harvey, ''The lost Caucasian civilization: Jean-Sylvain Bailly and the roots of the Arian myth'', p. 2.</ref>
[[File:Jean Sylvain Bailly, maire de Paris.jpg|thumb|left|200px|[[Jean Sylvain Bailly]], nuovo [[sindaco di Parigi]].]]
===L'importanza dell'orientalismo===
Accettando l'apertura del re, i deputati adottarono vari provvedimenti e decisero di inviare una una loro delegazione a Parigi, fiduciosi che la vista dei «rappresentanti della nazione» avrebbe avuto un effetto sedativo in città.<ref>''Archives parlementaires'', VIII, 236-37.</ref><ref>Bailly, ''Mémoires'', II, 3-8.</ref> La delegazione includeva Bailly, il [[Gilbert du Motier de La Fayette|marchese de La Fayette]], il cardinale [[Anne-Antoine-Jules de Clermont-Tonnerre|Clermont-Tonnerre]] e l'[[Emmanuel Joseph Sieyès|abate Sieyès]]. La delegazione portò con sé la buona novella dell'apertura del re per calmare gli animi dei parigini.
L'Illuminismo, secondo lo storico Dan Edelstein, ha certamente avuto la «sua giusta quota di pregiudizi europei», eppure «ci sono un sacco di ''topoi'' orientalisti (cortigiane afose, visir intriganti, e, naturalmente, despoti orientali) ad ingombrare le pagine e le tele della cultura settecentesca».<ref>Dan Edelstein, ''Hyperborean Atlantis: Jean-Sylvain Bailly, Madame Blavatsky, and the Nazi Myth'' p. 2.</ref>
Il giornale ''Point du jour'' descrisse vividamente la scena, di grande effetto, che si presentò nel dare il benvenuto ai deputati che, lentamente, si muovevano attraverso la città per andare all'[[Hôtel de Ville (Parigi)|Hôtel de Ville]].<ref>''Point du jour'', no. 25, 16 luglio 1789.</ref> I deputati furono accolti da un corteo costituito da migliaia di parigini acclamanti. Quella dei delegati fu una marcia trionfale per la città, accolti e salutati da ogni parte dalle grida di "''Vive le roi''", "''Vive la nation''", "''Vive les députés''". Alle [[Palazzo delle Tuileries|Tuileries]] furono accolti come «gli angeli della pace».<ref>Bailly, ''Mémoires'', 2: 17.</ref> All'Hôtel de Ville, gli applausi e il tumulto dentro e fuori era tale che la maggior parte dei discorsi che i deputati tennero non riuscirono ad essere sentiti. La Fayette, Gérard de Lally-Tollendal, l'[[Arcidiocesi di Parigi|arcivescovo di Parigi]] [[Antoine-Eléonore-Léon Le Clerc de Juigné|Le Clerc de Juigné]] ed altri luminari cercarono di parlare alla folla e furono accolti con un plauso fragoroso. La Fayette riuscì a dire: «il re è stato ingannato; ma adesso non lo è più»<ref>''Ibid.'' 2: 20.</ref> e si congratulò con gli elettori per il loro coraggio nell'aver preso il potere.
Comunque, la [[Francia]] e l'[[Inghilterra]] non cominciarono a considerare "l'Oriente" come territorio da colonizzare almeno fino all'ultimo quarto del [[XVIII secolo]].<ref>Zaheer Baber, ''The Science of Empire: Scientific Knowledge, Civilization, and Colonial
Rule'' in India (Albany: SUNY Press, 1996).</ref>
[[File:Gilbert du Motier Marquis de Lafayette.PNG|thumb|right|200px|[[Gilbert du Motier de La Fayette|Gilbert du Motier, marchese de La Fayette]], nuovo comandante in capo della Guardia Nazionale.]]
Come ricorda lo storico [[Maxime Rodinson]]: «C'è stato un [[orientalismo]] prima degli imperi; l'interesse settecentesco all'Oriente, e i suoi utilizzi, non possono quindi inglobato sotto un manto imperialista».<ref>Clarke, ''Oriental Enlightenment'', 26.</ref>
L'arcivescovo di Parigi propose un ''Te Deum'' ed intanto, mentre la delegazione si preparava per partire verso la cattedrale, si levò qualche urlo dalla folla che definiva La Fayette ''Commandant Général de la Milice Parisienne''.<ref name="ebs511" /> In effetti, in mezzo a questa scena di grande eccitazione, le menti più sobrie riflettevano sui mezzi pratici per porre fine all'anarchia. Flesselles infatti, il ''prévôt des marchands'' (prevosto dei mercanti) e capo titolare della città, era stato assassinato il giorno prima dalla folla; il luogotenente generale della polizia, De Crosne, si era dimesso e aveva abbandonato la città. Per rimediare a questa mancanza di leadership, La Fayette, quando le voci si moltiplicarono, fu unanimemente acclamato e davvero nominato comandante in capo della neonata [[milizia]] cittadina. Bailly, poco dopo di lui, fu proclamato [[Consiglio di Parigi#Sindaci di Parigi|sindaco di Parigi]] (''maire de Paris''), il primo nella storia della città.<ref>Tuckerman, p. 230</ref><ref>Crowdy, p. 42</ref> Il ''procès-verbal'' dell'Assemblea elettorale descrisse bene gli eventi che si verificarono dopo la nomina di La Fayette:
Nel suo recente dell'orientalismo francese del [[XVIII secolo|XVIII]] e del [[XIX secolo]], Madeleine Dobie si è spinta a sostenere che «fino all'ultimo quarto del diciannovesimo secolo, ciò che incontriamo prevalentemente nella rappresentazione orientalista non è né una celebrazione né una registrazione di conquista e di occupazione, ma una marcata estetizzazione sia della cultura orientale sia della vita coloniale».<ref>''Foreign Bodies'', 21.</ref> Lo studio di Dobie sostiene, secondo Edelstein, in modo convincente «che è l'Oriente non-coloniale che attira lo sguardo occidentale/francese, almeno fino alla corsa imperialistica europea post-1870».<ref name="edelstein2">Dan Edelstein, ''Hyperborean Atlantis: Jean-Sylvain Bailly, Madame Blavatsky, and the Nazi Myth'' p. 2.</ref><ref>Raoul Girardet, ''L'Idée coloniale en France de 1871 à 1962'' (Paris: Hachette, 1972).</ref>
{{citazione|Nello stesso momento M. Bailly fu unanimemente proclamato prevosto dei mercanti. Una voce si fece sentire: "Non prevosto dei mercanti ma sindaco di Parigi". E con un'acclamazione, ognuno ripeté: "Sì, sindaco di Parigi". M. Bailly era inclinato in avanti sulla scrivania, i suoi occhi erano bagnati di lacrime. Il suo cuore era così pieno che, in mezzo alle sue espressioni di gratitudine, si poteva sentirlo solo mentre diceva di non sentirsi degno di cotanto onore, né in grado di trasportare un così grande fardello. La corona che aveva premiato l'eloquenza patriottica del conte di Lally-Tollendal fu improvvisamente messa sulla testa di M. Bailly. Nonostante la sua resistenza che derivava dalla sua modestia, la mano dell'arcivescovo di Parigi mantenne la corona sul suo capo, come omaggio per tutte le virtù di questo giusto uomo che per primo aveva presieduto l'Assemblea nazionale del 1789 e che aveva gettato le basi per la libertà francese.|Le ''procès-verbal'' dell'Assemblea elettorale.<ref>''Procès-verbal'' dell'Assemblea elettorale; si trova nel ''Rèimpression de l'ancien Moniteur depuis la rèunion des états-généraux jusqu'au Consulat'' (mai 1789-novembre 1799, Paris, 1843-45), I, 583.</ref><ref>Bailly, ''Mémoires'', II, 26-27.</ref>}}
L'orientalismo settecentesco non fu sempre dispregiativo nei suoi contenuti.<ref>Amy Glassner Gordon, ''Autres Mondes, Autres Mœurs''</ref> I lavori in prosa di [[Voltaire]], ad esempio, sono molto elogiativi nei confronti delle culture orientali: un derviscio turco ha l'ultima parola in ''[[Candide]]''; le ''Lettres d'Amabed'' getta molto discredito sui rapaci missionari europei e sui coloni in India, mettendoli in contrapposizione con gli abitanti locali virtuosi; La ''Princesse de Babylone'' raffigura invece la versione di Voltaire sull'[[età dell'oro]], descritta sulle rive del Gange.<ref>Sankar Muthu, ''Enlightenment Against Empire''.</ref> Queste rappresentazioni elogiative dell'Oriente furono sancite nei suoi ''Essai sur les moeurs et l'esprit des nations'', che lo storico Raymond Schwab ha identificato come la fonte dell'orientalismo indiano.<ref>Raymond Schwab, ''La Renaissance orientale'' (Paris: Payot, 1950), 152-55.</ref>
Quando [[Jean Sylvain Bailly|Bailly]] fu acclamato nuovo [[sindaco]] di Parigi e La Fayette nuovo comandante in capo della [[milizia]] urbana, ci fu bisogno che anche [[Pierre-Augustin Hulin]] – eroe della giornata precedente durante la [[presa della Bastiglia]] – approvasse, con la sua immensa popolarità, la scelta appena fatta dagli elettori parigini del loro primo [[magistrato]] municipale e del comandante in capo della loro milizia.
C'è un'altra ragione per richiamare l'orientalismo, e sul suo non sempre sincero riguardo per le culture orientali, sia nel [[XVII secolo]] sia dopo. Secondo lo studioso Edelstein: «È solo riconoscendo questo stato iniziale di rispetto che siamo in grado di comprendere come l'orientalismo fu poi "recuperato" (nel senso francese del termine) per autorizzare alcune dei più vili ideologie eurocentriche, in particolare il nazismo. Ignorando questa venerazione, trascuriamo sia il meglio che il peggio di atteggiamenti occidentali verso l'Oriente».<ref name="edelstein2">Dan Edelstein, ''Hyperborean Atlantis: Jean-Sylvain Bailly, Madame Blavatsky, and the Nazi Myth'' p. 2.</ref>
Fu lo stesso La Fayette, inoltre, a proporre il nome e il simbolo della milizia di cui era stato nominato a capo, che fu rinominata [[Guardia nazionale francese|Guardia Nazionale]]: come simbolo scelse la [[coccarda tricolore francese|coccarda tricolore]], blu, bianca e rossa. Al blu e al rosso, i colori della città di [[Parigi]], La Fayette stesso fece aggiungere il bianco, colore della monarchia borbonica: dalla coccarda si originò, in seguito, la [[bandiera francese]].<ref>Gerson, pp. 81-83</ref><ref>Doyle, pp. 112-113</ref> Hulin, che era ancora considerato un eroe, l'[[8 ottobre]] venne promosso a furor di popolo al grado di [[capitano]]-[[comandante (grado militare)|comandante]] dell'ottava compagnia dei cacciatori assoldati dalla [[Guardia nazionale francese|Guardia nazionale]] parigina.
===Le posizioni di Voltaire===
Il modello antropologico di fondo dell'orientalismo settecentesco è meglio percepito nell'opera di Voltaire ''Essai sur les Mœurs et l'esprit des nations'', un saggio pubblicato per la prima volta nel [[1756]] ma scritto in molti anni di lavoro. In questa "storia universale" - così infatti si intitolava una versione precedente del ''Essai'' che l'autore scritto - Voltaire scosse l'establishment clericale e accademico ponendo la Cina e l'India a capo della sua cronologia, con gli ebrei ben dietro.<ref> Pomeau, ''Introduzione - Essai sur les moeurs et l'esprit des nations'', 2 vols. (Parigi: Bordas,1990).</ref> Voltaire infatti presentò l'India e la Cina come le prime civiltà avanzate del mondo antico e, aggiungendo al danno la beffa, suggerì che gli ebrei non solo succedettero a delle civiltà precedenti, ma anche che le avevano copiati: «Gli ebrei hanno copiato tutto da altre nazioni».<ref>''Examen important de milord Bolingbroke'', in ''Œuvres complètes de Voltaire/Complete works of Voltaire'', Ulla Kölving, ed., 85 vols. (Ginevra: Voltaire Foundation, 1968)</ref> Voltaire diffuse queste affermazioni eterodosse anche nei suoi ''Contes''.<ref>Voltaire, ''Contes''</ref>
Dopo aver eliminato il «tirapiedi della corte», Flesselles, Parigi ora aveva, per la prima volta nella sua storia, un sindaco di sua scelta. Il governo reale, per una volta, fu veloce a prendere vantaggio dalla nuova situazione, spostando la sua attenzione dall'Assemblea a Bailly. In una conferenza nel giorno successivo, il [[16 luglio]], il re [[Luigi XVI di Francia|Luigi XVI]] ribadì al nuovo sindaco la sua ansia per i disordini a Parigi, ed accettò il suggerimento di Bailly di visitare la città di persona.<ref>Bailly, ''Mémoires'', II, 42-44. La conversazione si svolse in forma privata e la relazione di Bailly è l'unica rimasta. Bailly fa una curiosa menzione del fatto che il re, parlando di De Launay, disse che questi «aveva meritato la sua sorte».</ref>
Inoltre, nella ''Philosophie de l’histoire'', altra opera scritta però nel [[1765]] come prefazione all'opera precedente, Voltaire asseriva che «gli Indiani attorni al [[Gange|fiume Gange]] furono probabilmente i primi esseri umani a formare un popolo».<ref>Voltaire, ''Philosophie de l’histoire'' (1765)</ref>
Il re, inoltre, tentando una pacificazione, dopo aver deciso di ritirare le truppe dalla città, permise a [[Jacques Necker]], come auspicato da Bailly e dagli altri deputati, di rientrare nel suo governo; questi, il [[16 luglio]], riottenne la carica di ''[[Capi di governo della Francia|Principal ministre d'État]]'', ovvero di primo ministro.
Secondo il filosofo di [[Ferney]], i progenitori di tutte le conoscenze erano gli Indiani: «Sono convinto che tutto provenga dalle rive del Gange, l'astronomia, l'astrologia, la metempsicosi etc...».<ref>Bailly, ''Lettres sur l'origine des sciences et sur celle des peuples d'Asie.''</ref> Questa ipotesi era particolarmente seduttiva, perché poteva essere estesa agli aspetti più sofisticati della cultura umana, vale a dire, ad esempio, le scienze. La fiducia nella super-raffinatezza della cultura [[Brahmani|Brahmanica]], ovvero la massima casta indiana, crebbe tra l'altro, con più forza, dopo la "scoperta" di sir [[William Jones (filologo)|William Jones]] della grammatica sanscrita, ma anche prima che queste ricerche asiatiche vedessero la luce, il Bramanesimo fu salutato come «l'origine delle scienze» (dal titolo dell'opera di [[Jean Sylvain Bailly]] in un suo studio del [[1777]]). Agli occhi di Voltaire, India superava l'[[Antico Egitto]]: «È difficile dire quale delle due nazioni ha insegnato l'una all'altra; ma se si dovesse scegliere tra l'[[India]] e l'[[Egitto]], credo ancora che la scienza sia molto più antica in India».<ref>Voltaire, ''Essai sur les moeurs'', 1: 232.</ref> Questa sostituzione dell'India al posto dell'Egitto era molto significativa, dal momento che l'Egitto era sempre stato tradizionalmente considerato la fonte della religione e della scienza. Un posto d'onore riservato all'India fu sancito nell′[[Encyclopédie]] dal cavaliere [[Louis de Jaucourt]], che scrisse nella voce ''Inde'': «Le Scienze forse possono essere più antiche in India più che in Egitto». Questo divenne il parere dominante nel tardo [[Illuminismo]]: «una vasta gamma di autori e studiosi posizionavano la culla del genere umano fra l'[[Indo]] e il [[Gange]]».<ref>Poliakov, ''Aryan Myth'', 188</ref>
Bailly e La Fayette non parteciparono immediatamente all'amministrazione della città. Anche se profondamente commossi delle scene di grande acclamazione che seguirono la loro nomina, ad entrambi pareva ingiusto essere eletti in questo metodo irregolare: volevano essere, in qualche modo, nominati ufficialmente, attraverso una ratifica legale. Nell'adozione di una serie di misure per ottenere la sua nomina ratificata, Bailly comparve di fronte all'Assemblea Nazionale, li informò della sua nuova posizione, e attese i loro ordini.<ref name=""Arc.parl.238">''Archives parlementaires'', VIII, 238.</ref> Il suo annuncio fu accolto con grandi applausi, e la sua nomina fu confermata, assieme a quella di La Fayette.<ref name=""Arc.parl.238" /><ref>Bailly, ''Mémoires'', II, 35-36. Il ''procés-verbal'' dell'assemblea non menziona la conferma di Bailly e La Fayette, ma è certo che fu concessa, perché lo stesso giorno Clermont-Tonnerre propose una deputazione al re per chiedergli di confermare le nomine di Bailly e La Fayette.</ref>
Le fonti di Voltaire sull'[[antica India]] includevano lo ''Shastabad'', un frammento incluso dal medico John Zephaniah Holwell, uno dei primi a studiare l'antica civiltà indiana, e l’''Ezour-vedam'', un testo presumibilmente antico arrivatogli dall'India grazie ad un suo ammiratore, il cavaliere Fayd'herbe de Maudave. Oggi, nessuna di queste "fonti" è considerata autentica o attendibile: il frammento di Holwell, presumibilmente ricostruito a memoria da una copia persa negli sconvolgimenti della [[guerra dei sette anni]], presentava una "religione naturale" razionalistica del tipo preferito dal [[deismo|deismo settecentesco]]; invece il secondo documento, un dialogo in cui si discutevano i meriti del monoteismo e del politeismo, era, nelle parole di [[Friedrich Max Müller]], [[filologo]] e [[orientalista]] preminente del [[XIX secolo]], una «grezza falsificazione» composta dai primi gesuiti moderni per la conversione degli induisti.
[[File:Bailly, La Fayette and Louis XVI at Hôtel de Ville (particular).jpg|thumb|240px|Bailly, La Fayette e il re Luigi XVI all'[[Hôtel de Ville (Parigi)|Hôtel de Ville]] il 17 luglio 1789.]]
Tuttavia, Voltaire, probabilmente inconsapevole dell'inattendibilità di questi documenti, ne fece ampio uso nella sua campagna volta a minare la sacra cronologia biblica e, soprattutto, per sottolineare la maggiore antichità dei popoli del [[sud-est asiatico]] rispetto agli abitanti delle terre bibliche.<ref>Raymond Schwab, ''La Renaissance orientale'' (Parigi, 1950)</ref><ref>Dorothy Figueira, ''Aryans, Jews, Brahmins: Theorizing Authority through Myths of Identity'' (Albany, 2002)</ref><ref>Urs App, ''The Birth of Orientalism''.</ref>
Bailly e La Fayette, desiderando maggiori garanzie, e sfidando il dispiacere di Parigi, guardarono al re per un'ulteriore conferma. Luigi colse l'occasione della sua visita a Parigi per confermare oralmente il nuovo sindaco Bailly nel suo officio, e analogamente il nuovo comandante in capo La Fayette.<ref>Bailly, ''Mémoires'', II, 67.</ref> Il [[17 luglio]], inoltre, [[Luigi XVI di Francia|Luigi XVI]], seguendo il consiglio di Bailly del giorno addietro, si recò a Parigi all'[[Hôtel de Ville (Parigi)|Hôtel de Ville]], dove aveva sede la neo-formatasi [[Comune di Parigi (1792)|Comune di Parigi]], e fu ricevuto dal sindaco Bailly e da La Fayette. Per salutare il suo sovrano, Parigi superò in intensità l'entusiasmo che aveva mostrato durante la visita della delegazione dell'Assemblea.
[[File:A un peuple libre - Le peuple acclame le roi, Lafayette et Bailly.jpg|thumb|left|Il popolo acclama un busto del re [[Luigi XVI]], un bassorilievo di Bailly e il marchese de La Fayette, portato in trionfo dai soldati.]]
[[Urs App]] ha recentemente osservato che Voltaire «ha creato una specifica narrazione per servire la sua particolare agenda» e che «quasi da solo ha trasformato alcuni appunti missionari provenienti da luoghi remoti dell'India del Sud nei "testi più antichi del mondo" [...] nel Vecchio Testamento del suo [[deismo]]».<ref>''Ibid.'', 53-64.</ref>
Bailly incontrò il re nella periferia della città, e lo accolse con un celebre discorso di benvenuto, donandogli le [[chiavi della città]]:
{{citazione|Io porto a Vostra Maestà le chiavi della città di Parigi. Queste sono le stesse che sono state presentate ad Enrico IV. Egli aveva riconquistato il suo popolo; oggi il popolo ha riconquistato il suo re.|Bailly al re.<ref>''Archives parlementaires'', VIII, 246.</ref><ref>Bailly, ''Mémoires'', II, 58-59.</ref>}}
===Il Diffusionismo===
Ciò che Voltaire intendeva come una critica al primato giudaico-cristiana fu anche il risultato di una teoria antropologica, che sarebbe poi diventato nota come [[diffusionismo]].<ref>Harris, ''Rise of Anthropological Theory''</ref> Secondo questa teoria, ogni invenzione tecnico-scientificha e ogni tradizione culturale non si era sviluppata indipendentemente in luoghi diversi, ma aveva avuto origine da un unico punto, e da lì si era poi, per l'appunto, "diffusa" nel resto del mondo. Un tipico esempio di "diffusione culturale" è quello dell'[[alfabeto fenicio]]: inventato da una cultura, se non addirittura pochi individui, e che fu presto adottato da tutta una serie di culture diverse per trascrivere le loro lingue.
Questa cerimonia fu seguita dalla processione verso l'[[Hôtel de Ville (Parigi)|Hôtel de Ville]] dove il re salutò gli elettori di Parigi. [[Luigi XVI di Francia|Luigi XVI]], sopraffatto dall'adulazione dei suoi sudditi, non fu in grado di parlare e chiese a Bailly di rivolgersi alla folla in sua vece.<ref>''Archives parlementaires'', VIII, 246-47.</ref><ref>Bailly, ''Mémoires'', II, 67-68.</ref> Poi, con indosso la coccarda rivoluzionaria che Bailly e La Fayette gli avevano dato, il re si congedò dalla città, fedele ma turbolenta, e ritornò a Versailles.
Sebbene sia considerata una cultura di fine [[Ottocento]], tuttavia, già nel [[XVIII secolo]] il diffusionismo esisteva in una forma molto radicale. Piuttosto che mappare le varie invenzioni culturali a rispettivi ''loci'' (come ad esempio, l'alfabeto ai Fenici, le divinità pagane all'Egitto, o la polvere da sparo ai cinesi), i diffusionisti radicali (o iperdiffusionisti) tracciavano tutte le scoperte scientifiche e le invenzioni culturali ad un unico luogo originario da cui poi si erano "diffuse".<ref>Dan Edelstein, ''Hyperborean Atlantis: Jean-Sylvain Bailly, Madame Blavatsky, and the Nazi Myth'', p. 4.</ref>
Il [[18 luglio]], intanto, su richiesta di Bailly e La Fayette di ratificare ufficialmente la loro nomina, l'Assemblea elettorale ordinò ai sessanta distretti cittadini, che si erano appena formati, di radunarsi e di deliberare sulla nomina dei due nuovi leader.<ref>Lacroix, ''Actes'', ser. 1, I, xiv-xv.</ref> Bailly scrisse personalmente una lettera ai distretti, in cui affermava che si sarebbe considerato validamente eletto solo con il loro consenso.<ref>''Ibid.'', ser. 1, I, xv.</ref> Entro il 21 luglio, cinquantacinque dei sessanta distretti avevano ratificato l'elezione di Bailly senza alcuna decisione dissenziente.<ref>''Ibid.'', ser. 1, I, xvi-xvii.</ref>
Quindi, quando Voltaire sosteneva che gli ebrei avessero "preso in prestito" la loro cultura dalle nazioni, non stava semplicemente dicendo che gli ebrei non avevano inventato nulla e avevano solo copiato dagli altri, stava più che altro aderendo alla stretta logica del diffusionismo radicale. Gli ebrei, così come ogni altro popolo che si era succeduto alla prima civiltà, perpetuando semplicemente un sistema culturale già completo, ereditato da questi unici antenati della società umana.<ref>English Milord, ''What then in La Princesse de Babylone''</ref>
Arricchiti da questi travolgenti mandati e con un'immensa popolarità alle spalle tra i parigini, Bailly e La Fayette erano disposto ad accettare la responsabilità di sovrintendere alla gestione della metropoli rivoluzionaria. Il ''Journal des Etats-généraux'' commentò, relativamente a Bailly: «Osservate come l'uomo è il prodotto della circostanza. Noto per un′''Histoire de l'astronomie'', M. Bailly, destinato a finire i suoi giorni su una pacifica poltrona dell'Accademia, si ritrova oggi gettato tra le tempeste della una rivoluzione».<ref>''Journal des Ètats-généraux'', I, no. 8.</ref>
Oltre un secolo più tardi, nel momento in cui le teorie poligeniche circa l'origine della specie umana dilagarono, il diffusionismo radicale fu ulteriormente rafforzato dalla nozione concettuale secondo cui solo alcuni popoli "selezionati" (e quindi superiori) avrebbero avuto le qualità richieste per inventare e poi diffondere la cultura. Fu così che il diffusionismo contribuì, in qualche modo, a "diffondere" le contemporanee tesi razziste, come ad esempio quella del mito ariano.<ref>Poliakov, ''Aryan Myth''</ref>
===Le motivazioni della nomina===
Il diffusionismo radicale fu, secondo lo storico Dan Edelstein, «anche sottoscritto anche da un mito: il mito di [[Atlantide]]». Come raccontato dal personaggio [[Crizia]] nel [[Crizia (dialogo)|dialogo platonico omonimo]], Atlantide una volta era stata la patria di un popolo altamente sofisticato, che eccelleva sia in progetti di ingegneria avanzata (ad esempio, canali, ponti, gallerie e acquedotti) sia in guerra. Dopo aver colonizzato il mondo conosciuto, infatti, secondo Crizia gli Atlantidei avevano condiviso le loro conoscenze tecnologiche con gli altri popoli, prima che un terribile terremoto facesse sprofondare la loro isola sotto il mare. Sebbene questo popolo perduto fosse ricordato solo da alcuni sacerdoti egiziani, esso aveva prodotto una delle prime e più avanzate civiltà umane, ed era apparentemente inventato la maggior parte delle scienze conosciute agli uomini.<ref>L. Sprague de Camp, ''Lost Continents: The Atlantis Theme in History, Science, and Literature'' (New York: Dover, 1970), 41</ref>
Il fatto che Bailly avesse sentito delle voci relativamente alla sua nomina tre giorni prima che si verificasse suggerisce che la nomina, probabilmente, fu premeditata. In una lettera scritta il [[16 luglio]] a [[Médéric Louis Élie Moreau de Saint-Méry]], presidente pro-tempore dell'Assemblea elettorale, Bailly disse: «Penso che siete stato voi ad aver avuto la bontà di propormi come sindaco di Parigi; io vi devo i suffragi dell'Assemblea».<ref>Chassin 3: 566. Il riferimento di Bailly ai «suffragi dell'Assemblea» ha a che fare con la conferma che cercava e ricevette dall'Assemblea Nazionale.</ref> Anche se Moreau de Saint-Méry propose Bailly, c'è un'ulteriore questione sul perché lo abbia fatto: era semplicemente un gesto spontaneo di stima, o c'erano delle macchinazioni dietro? Un indizio curioso e non confermato è offerto nelle memorie di una donna inglese pettegola e spesso imprecisa, [[Grace Elliott|Grace Dalrymple Elliot]], amante del [[Luigi Filippo II di Borbone-Orléans|duca d'Orléans]] e di [[Giorgio IV del Regno Unito|Giorgio IV]]. Questa signora sosteneva di aver pranzato con Bailly e La Fayette assieme al duca d'Orléans il [[14 luglio]]:
{{citazione|Ho compreso dal tenore generale della loro conversazione che erano venuti a consultare il duca circa gli eventi accaduti a Parigi, e ho appreso più tardi che quello stesso giorno La Fayette fu nominato comandante in capo e Bailly sindaco di Parigi. Mentre eravamo a pranzo, abbiamo sentito i cannoni; subito dopo, abbiamo appreso della presa della Bastiglia, e i signori sono partiti con grande precipitazione.|[[Grace Elliott|Grace Dalrymple Elliot]] nel suo ''Journal de ma vie''.<ref>''Op. cit.'', 269-270.</ref>}}
Atlantide era rimasta, nel corso della storia europea, sinonimo di perfezione tecnologica, e serviva spesso come metafora per i guadagni scientifici. Al culmine del Rinascimento, sir [[Francesco Bacone|Francis Bacon]] celebrò ne ''[[La nuova Atlantide]]'' un'utopica civiltà sofisticata, accentrata attorno ad un'accademia scientifica chiamata "Casa di Salomone" (dal nome di un leggendario re atlantideo, re Solamona, e non il biblico Salomone, anche se il fraintendimento è spesso intenzionale<ref>Dan Edelstein, ''Hyperborean Atlantis: Jean-Sylvain Bailly, Madame Blavatsky, and the Nazi Myth'', p. 5.</ref>), il cui obiettivo era: «la conoscenza delle cause e dei movimenti segreti delle cose; e contemporaneamente l'ampliamento dei confini dell'impero umano all'effettuazione di tutte le cose possibili».<ref>''New Atlantis'' (1626; rpt. edn., in ''Ideal Commonwealths'', Henry Morley, ed. [New York: Colonial Press, 1901]), 19.</ref> Gli scienziati di questa civiltà erano progrediti così oltre gli obiettivi che erano addirittura riusciti in qualunque impresa ingegneristica, dai frigoriferi e farmaci fino agli aeroplani e ai sottomarini. Voltaire avrebbe ricordato questa [[La nuova Atlantide|Nuova Atlantide]] nel suo ''[[Candide]]'', dove la civiltà perduta di Eldorado ivi narrata contiene un "''Palais des Sciences''" molto simile alla Casa di Salomone.<ref>Voltaire, ''Candide''</ref>
La donna è certamente in errore nel dire che Bailly e La Fayette furono nominati lo stesso giorno della [[presa della Bastiglia]], e Bailly stesso sostiene di aver trascorso l'intera giornata del [[14 luglio]] a Versailles.<ref>Bailly sostiene di essere andato all'Assemblea alle 10:00 del mattino. «Ho preso solo il tempo di andare a pranzare; poi sono tornato» (Bailly, ''Mémoires'' 1: 356 e 360).</ref> Ma forse la data di per sé non è di primaria importanza. Secondo il resoconto dello stesso Bailly, questi aveva in precedenza (il [[29 giugno]]) chiesto il parere del duca d'Orleans sulle manovre politiche nell'Assemblea Nazionale. Il vero scopo della sua visita smentisce però l'apparente innocenza con cui lui spiega l'incontro:
Siccome illustrava perfettamente la teoria del diffusionismo radicale, il mito di Atlantide fu facilmente "naturalizzato" (nel senso che fu reso un fatto naturale, ovvio), in particolare nei primi anni di vita dell'orientalismo.<ref>Bardies in ''Mythologies'' (1957; Annette Lavers, trans., New York: Hill and Wang, 1984)</ref> Il risultato netto di questa naturalizzazione fu l′«Atlantizzazione» del credo diffusionistico dell'esistenza di una civiltà originaria, che è poi ciò che accadde nei lavori dello stesso Bailly. Questa ipotesi si conformava perfettamente con la storia quasi universalmente accettata dalla comunità scientifica del [[Diluvio universale]] (che spiegava l'inondazione dell'isola e la sua scomparsa), e fu ri-enfatizzata e sottolineata nel [[XVIII secolo]] da [[Giambattista Vico]] e Nicolas Boulanger. Quest'ultimo soprattutto, nella sua opera ''Antiquité dévoilée'' (1756, aveva tentato addirittura di dimostrare il tutto scientificamente adducendo varie prove geologiche; anche lui, come avrebbe poi fatto Bailly, aveva ipotizzato l'esistenza di una sofisticata civiltà antidiluviana.
{{citazione|Ammetto la mia ignoranza qui con semplicità. Anche se nuovo ad ogni intrigo, ben poco istruito delle manovre che erano incessantemente scoppiate, lo ero ancora meno del ruolo che gli [al duca d'Orleans] avevano attribuito; avevo ammirato, quando stava con la minoranza del suo ordine, sia la sua popolarità che trovava la nazione nei comuni, sia il suo zelo per la cosa pubblica che lo portava all'unione. Vidi allora in lui il primo della nobiltà degli stati, e l'ho giudicato come più adeguato per illuminarmi e dirmi fino a che punto potevo sostenere i diritti contro le pretese.31|Bailly nelle ''Mémoires''.<ref>Bailly, ''Mémoires'', 1: 257.</ref>}}
Eppure, come ha affermato lo storico [[Pierre Vidal-Naquet]], questa ipotesi ha anche permesso ai ''philosophes'' di contrastare il racconto ortodosso della Genesi, e di presentare «Atlantide come sostituta della Palestina nell'esegesi della storia».<ref>Richard Ellis, ''Imagining Atlantis''</ref> Ma che cosa fosse esattamente Atlantide, e dove si trovasse, questo era frutto di numerose speculazioni. L'identificazione di questa proto-civiltà urbanizzata fu il progetto che l'astronomo Jean-Sylvain Bailly si autoassegnò in una serie di opere, a cominciare dalla sua ''Histoire de l'astronomie ancienne'' del [[1775]], seguito dalle ''Lettres sur l'Origine des sciences'' del [[1777]], ed infine nel [[1779]] dalle ''Lettres sur l'Atlantide de Platon''.<ref>Edwin B. Smith, ''Jean-Sylvain Bailly: Astronomer, Mystic, Revolutionary (1736-1793)'' (Philadelphia, 1954)</ref>
[[William Playfair]], nella sua ''History of Jacobinism'', dice abbastanza chiaramente che la nomina di Bailly fu dovuta al lavoro degli Orleanisti:
==La figura di Bailly==
(1) Formatosi come astronomo sotto la guida di [[Lacaille]] e [[Alexis Clairaut|Clairaut]], autore anche di un importante studio sui satelliti di [[Giove]], Bailly sviluppò un forte interesse verso la storia dell'astronomia antica e moderna ed incominciò a concentrare i suoi studi, soprattutto, sulla [[archeoastronomia|paleoastronomia]]. La sua ricerca delle antiche origini dell'astronomia, lo portarono via via sempre più lontano dai solidi e ben documentati fatti scientifici, avvicinandolo sempre di più nel regno della speculazione preistorica.
{{citazione|Il duca di Orleans e Mirabeau vedevano in lui un uomo adatto per il loro scopo; e introducendo un uomo di lettere e dalla reputata integrità in una tale situazione, si sarebbe ottenuta la fiducia del popolo, e gli intellettuali, in generale, si sarebbero uniti alla Rivoluzione. Quest'ultimo, forse, non era immediatamente un grande obiettivo, ma prometteva in ultima analisi di esserlo. Poiché entrambi [La Fayette e il signor Bailly] appartenevano alla prima delegazione, essi furono proposti e proclamati dal popolo. L'insurrezione fu allora, per usare una loro stessa espressione, organizzata, e due uomini ambiziosi ne furono posizionati a capo.|[[William Playfair]] nella sua opera, ''History of Jacobinism''.<ref>''Op. Cit.'', 1: 140-141.</ref>}}
(15) Bailly era affascinato dal mondo preistorico, dal mondo mitico, soprattutto dalla tradizione di [[Atlantide]]. Questa sua attività di ricerca parallela fu, molto probabilmente, ispirata dall'opera a nove volumi di [[Antoine Court de Gébelin|Court de Gébelin]], ''Monde primitif'', che pretendeva di descrivere in maniera dettagliata ed enciclopedica un mondo antico, preistorico ma abitato da una civiltà sofisticata e tecnologicamente avanzata.<ref name="Dan Edelstein">[http://collections.stanford.edu/supere/page.action?forward=author_jean_sylvain_bailly§ion=authors ''Jean-Sylvain Bailly (1736-1793)''] by Dan Edelstein</ref><ref name="Dan2">">{{Cita libro|titolo=Studies in Eighteenth-Century Culture|nome1=Dan|cognome1=Edelstein|lingua=Eng|data= 2006}}</ref> Il progetto di de Gébelin si era anche legato al mondo semi-segreto della massoneria francese: molte delle caratteristiche e delle usanze che lui attribuiva all'antica civiltà descritta nella sua opera sembravano progettate più che altro per fornire una secolare e venerabile genealogia ai vari rituali massonici. Questa influenza massonica è un po' meno evidente nel caso di Bailly, anche se ci sono prove che testimoniano la sua presenza nella prestigiosa ''Loge des Neuf Sœurs'', a cui erano appartenuti [[Benjamin Franklin]], lo stesso de Gébelin, l'astronomo [[Jérôme Lalande]], e anche (sebbene solo per qualche settimana prima di morire) [[Voltaire]]. La loggia in effetti univa vari rappresentanti dell'empirismo settecentesco e degli storici versati nella speculazione mitologica.<ref name="Dan Edelstein" /><ref name="Dan2" />
La plausibilità di questa spiegazione aumenta se si considera che il racconto di Bailly sui suoi rapporti con il duca d'Orléans fu scritto ben tre anni dopo il fatto, quando una tale confessione avrebbe potuto essere pericolosa e sarebbe potuta essere stata motivata solo dal desiderio di registrare gli eventi come essi si erano verificati.
===Concezione storica di Bailly===
Da [[Leibniz]] e da [[Voltaire]] Bailly aveva imparato una nuova filosofia della storia. La storia non era più intesa come un mero oggetto di curiosità né come la cronaca di fatti superficiali, ma come fonte profonda di conoscenza e comprensione. Così come era d'accordo con i ''philosophes'' nei confronti dello scopo didattico dell'arte, Bailly era d'accordo con loro anche sullo scopo didattico della storia («[[historia magistra vitae]]» avrebbe detto [[Cicerone]]) in quanto essa dava una duplice lezione, insegnando dei buoni precetti da seguire e mostrando anche dei cattivi esempi da non accogliere. Latente nella storia, secondo Bailly, c'erano le universali e durature verità che documentavano il progresso dell'uomo dal momento della sua creazione. Ma nel suo studio della storia, nella sua elaborazione di un percorso storico del progresso scientifico, Bailly voleva applicare la pietra di paragone della semplicità, il [[rasoio di Occam]], cercando sempre quelle che lui definiva le spiegazioni più semplici o più generali, o almeno presunte tali. Tutto questo però nella consapevolezza che non tutto poteva essere «dimostrato come le verità matematiche»: non poteva dunque che applicare, in quelle che lui stesso riteneva solo delle ipotesi, la categoria della ''vraisemblance'' (la verosimiglianza), imparata dall'esempio di Leibniz, che lui unì al [[rasoio di Occam]]. In fin dei conti, da scienziato qual era, Bailly finisce infatti per assimilare la categoria della ''vraisemblance'', il principio di verosimiglianza, al [[rasoio di Occam]]. Verosimile diventa, per Bailly, la spiegazione più semplice e generale, coerentemente al principio scientifico, non scritto, del [[rasoio di Occam]] che lui applica a qualunque categoria della conoscenza, dalle indagini nei confronti del [[mesmerismo]] fino alla storia e alla filologia.
È inoltre degno di nota che Bailly fosse favorevolmente impressionato dal conte di Mirabeau,<ref>Bailly, ''Mémoires'' 1: 303.</ref> nonostante gli intrighi dello stesso Mirabeau contro di lui.<ref>''Ibid.'', 2: 154-155.</ref> Naturalmente, nel 1792 (quando Bailly scrisse le sue memorie) non era pericoloso lodare Mirabeau che, quasi unico tra i rivoluzionari, morì di morte naturale, quando la sua statura politica era ancora intatta. Non ci sono prove incontestabili del fatto che la nomina di Bailly al sindacato sia stata dovuta al lavoro di questi uomini, ma ci sono tutte le ragioni per credere che Bailly non fosse poi così inesperto negli intrighi come avrebbe voluto fare credere ai suoi lettori, mostrando un'innocenza che la maggior parte dei suoi biografi ha comunque accettato senza discussioni. È del tutto possibile che le supposizioni di [[William Playfair]] siano corrette, e che Bailly, inebriato dal suo successo in Assemblea, fosse diventato politicamente ambizioso e che, quindi, accettò l'appoggio dei Orleanisti quando questo gli fu offerto.
Questo tentativo, da sempre naturale nell'uomo secondo Bailly, di «far dipendere verità diverse da una sola verità», questa ''reductio omnia ad unum'' di matrice [[Leibniz|leibniziana]], si traduce, nella sua sistematizzazione del pensiero e della storia, nell'applicazione costante del [[rasoio di Occam]], che ordina e generalizza, tenta in ultimo fine di ridurre ogni ambito di conoscenza ad una [[Legge fisica|legge naturale]], e tra questi anche la storia. Si potrebbe dire che l'obiettivo di Bailly fosse quello di «newtonianizzare della storia», dimostrando che i processi storici avevano seguito un percorso naturale e che, con l'astronomia, si poteva dimostrare l'armonizzazione delle vicende umane con la natura nel suo complesso. In definitiva che la storia ha una precisa via da seguire, e che segue da sempre una legge prestabilita, che la porterà al progresso.<ref>Nicholas Campion, ''The New Age in the Modern West'', 2015.</ref>
L'acclamazione popolare di Bailly come sindaco fu confermata, come detto, a tempo debito da un'elezione a cui lui stesso insistette. John Bondfield, un mercante e agente commerciale statunitense a [[Bordeaux]], scrisse a [[Benjamin Franklin]] l'8 agosto:
L'obiettivo era quello di trovare delle "ipotesi storiche" quanto più verosimili possibili, ovvero quanto più semplici e generali, almeno a suo giudizio. Eppure questo suo desiderio di applicare il [[rasoio di Occam]] ovunque, ovvero il suo desiderio di semplificare, conciliare e generalizzare fu la principale debolezza del suo lavoro, e applicando costantemente questo metodo in categorie di conoscenza dove esso era, fondamentalmente, di difficile applicazione (se non, addirittura, inapplicabile) lo portò a fare delle conclusioni quantomai azzardate. Applicandolo infatti alla storia antica, ad esempio, Bailly dedusse l'esistenza di un'atavica filosofia «saggia e sublime» e di un elevato stato di civiltà proprio all'inizio della storia, l'esistenza di un antichissimo popolo civilizzato e scientificamente progredito. Questa nozione, in definitiva, era in contrasto con l'idea stessa di progresso storico che lo stesso Bailly vagheggiava. L'idea di progresso di Bailly allora si sublimava nella possibilità di un ritorno all'[[età dell'oro]], un'epoca di conoscenza e ordine (il cosiddetto ''grand ordre'') che lui vide arrivare attraverso la [[Rivoluzione francese]], anche se in seguito capì, sulla sua stessa pelle, di essere in torto.
{{citazione|Il suo amico M. Bailly è il sindaco di Parigi; il marchese de la Fayette è generale e comandante in capo... sono soddisfatto che tu sarai euforico dei sentimenti liberali che sembrano regnare. Vedrai nella relazione del nostro Arcivescovo che essi non sono [manchevoli] alle cause dell'America, che essi citano come modelli.|Lettera di John Bondfield a [[Benjamin Franklin]].<ref>''Collected papers of Benjamin Franklin'', [[American Philosophical Society]].</ref>}}
Come nel campo degli studi astronomici precedenti, quindi, Bailly ricercava sempre la spiegazione più semplice e quella che avrebbe coperto più prove storiche possibili (applicando in pratica il [[rasoio di Occam]]). Questo era dunque sia un procedimento di generalizzazione che di semplificazione, anche eccessivo in alcuni casi. A questo punto nello sviluppo del [[pensiero di Bailly|suo pensiero]], a Bailly arrivò l'influenza di [[Antoine Court de Gébelin|Court de Gébelin]] che in generale stava procedendo nella stessa direzione. Per alcuni anni i due lavorarono separatamente, ma lungo linee parallele, sull'interpretazione storica del mito e dell'allegoria, alla ricerca di una chiave di lettura sicura per accedere al passato. La storia di Bailly, come quella di Court de Gébelin, voleva essere la storia dell'umanità, delle leggi universali più che quella meramente cronologica o degli specifici eventi. Bailly scrisse infatti nell'[[Elogio di Molière (Bailly)|Elogio di Molière]]: «La ricerca delle conoscenze degli antichi è il primo passo di un popolo che marcia verso la luce». Questa è un'indicazione di quanto presto, nella sua formazione, questo concetto si stesse formando nella sua mente. Secondo lo storico Burrows Smith, biografo di Bailly: «il suo rispetto per l'antichità era esagerato, ed egli fu frequentemente deluso da quella convinzione [che lui aveva e] secondo cui l'uomo primitivo aveva raggiunto uno stato di conoscenza pari o superiore a quella dell'uomo moderno».<ref name="ebs455">Edwin Burrows Smith, ''Jean Sylvain Bailly: Astronomer, Mystic, Revolutionary (1736-1798)'', American Philosophical Society (Philadelphia, 1954); p. 455.</ref> La sua fede professata verso il progresso si qualificava quindi attraverso il sospetto che il progresso consistesse nel ri-raggiungimento di un livello già raggiunto nel remoto passato.<ref name="ebs455" />
==Antologia storico-scientificaL'amministrazione di Bailly==
Bailly iniziò la sua nuova carriera con sentimenti liberali, forse, ma senza alcuna nozione delle sue responsabilità e dei suoi doveri. Con la caduta di Necker e l'assassinio di Flesselles, tutto il compito relativo all'approvvigionamento cittadino era divenuto incarico del nuovo comune.
Fu sotto una duplice egida di scienza e speculazione mitologica che Bailly decise di abbandonare quasi definitivamente l'osservazione astronomica al fine di concentrarsi sugli studi di storia e di mitologia per scavare a fondo alle radici mitiche degli inizi della scienza, del progresso tecnologico ed anche delle conoscenze astronomiche.<ref name="Dan Edelstein" /><ref name="Dan2" /> Il suo primo lavoro di questo tipo, vagamente ispirato all′''Essai sur les mœurs et l'esprit des nations'' di Voltaire, fu l′''[[Storia dell'astronomia antica (Bailly)|Histoire de l'astronomie ancienne, depuis son origine jusqu'à l'établissement de l'école d'Alexandrie]]'' del [[1775]]''.'' Un altro libro, simile, fu anche l′''[[Storia dell'astronomia moderna (1779)|Histoire de l'astronomie moderne, depuis la fondation de l'école d'Alexandrie jusqu'àl'époque de 1730]]'', apparso invece in due volumi nel [[1779]]. Questi due libri assieme al [[Storia dell'astronomia moderna (1782)|Histoire de l'astronomie moderne, jusqu' à l'époque de 1782]] e al ''Traité de l'astronomie indienne et orientale'' apparsi rispettivamente nel [[1782]] e nel [[1787]] formano un'imponente tetralogia sulla storia dell'astronomia, nella quale Bailly formula la tesi storico-leggendaria per il quale sarebbe stato famoso: pre-datando alcuni casi e studi astronomici documentati dalle civiltà del passato, sostenne l'ipotesi che dovesse esistere una civiltà preesistente, "antidiluviana", che prima delle altre aveva eccelso in campo astronomico. Solo l'esistenza di questa civiltà precedente avrebbe infatti potuto spiegare come mai gli indiani, i caldei, i persiani e addirittura i cinesi avevano potuto sviluppare conoscenze e pratiche astronomiche intorno allo stesso periodo (3000 a.C.).<ref name="Dan Edelstein" />
Le dimissioni di de Crosne, il capo della polizia, avevano aggiunto al comune l'onere di occuparsi delle forze dell'ordine. Nessuno tra gli elettori aveva alcuna esperienza nell'amministrazione cittadina, e certamente Bailly nemmeno. Su richiesta di quest'ultimo, Louis Éthis de Corny, il ''Procureur del Roi'', rimase temporaneamente in carica e fornì una serie preziosa di memoranda sull'organizzazione e sulle funzioni del comune. Bailly ammise candidamente che era più preso dall'onore del suo ufficio più che dalle sue responsabilità:
Tra le altre opere d'interesse pubblicate da Bailly negli stessi anni troviamo le ''[[Lettere sull'origine delle scienze|Lettres sur l'origine des sciences]]'' e le ''Lettres sur l'Atlantide de Platon'', due raccolte epistolari della corrispondenza che egli aveva tenuto con Voltaire, in cui trova nuove altre prove per confermare le sue tesi storiche.
{{citazione|...accettai senza sapere di quale fardello mi stavo caricando; [...] pensavo molto semplicemente di essere prevosto dei mercanti sotto il nome di sindaco di Parigi. Pensavo che questo ruolo non fosse doloroso, sapevo con quanta facilità esso era stato portato a termine; e non fui colpito che dall'onore che mi aveva reso.|Bailly nelle sue memorie.<ref>Bailly, ''Mémoires'' 2: 26.</ref>}}
Un'ulteriore opera di interesse storico-mitico, l′''[[Saggio sulle favole e sulla loro storia|Essai sur les fables et sur leur histoire]]'' (scritto tra il [[1781]] e il [[1782]] ma pubblicato postumo) invece mostra dei cambiamenti di un Bailly che, ormai più maturo e consapevole delle prove a sua disposizione, incomincia di conseguenza a mitigare le sue posizioni (continuando su questa scia anche nel ''Traité de l'astronomie indienne et orientale'').
Bailly era in carica da meno di una settimana, quando comprese l'errore della sua prima impressione. Già martedì [[21 luglio]] era alle prese con la scarsità del pane e il conseguente rialzo del prezzo. Il giorno seguente, invece, fu messo al corrente del pieno significato delle sue responsabilità relative alla polizia cittadina, quando i suoi ordini e quelli di La Fayette furono impotenti nel prevenire gli efferati omicidi di Joseph François Foullon e il suo genero Berthier. Questo giorno orribile e sanguinoso fu una lezione per filosofi-rivoluzionari come Bailly. Quando il cuore grondante di sangue di Berthier fu riportato nelle camere dell'[[Hôtel de Ville (Parigi)|Hôtel de Ville]] solo pochi minuti dopo che Bailly aveva
===''Histoire de l'astronomie ancienne''===
ordinato la sua liberazione e un salvacondotto per lui in città, Bailly stesso scrisse «abbiamo voltato lo sguardo».<ref>''Ibid.'', 2: 123.</ref> Allora la folla ebbe l'idea di presentare la testa di Berthier ai funzionari comunali. Si ordinò immediatamente di sbarrare le porte e l'assemblea comunale in tutta fretta trovò altri affari da discutere.
{{vedi anche|Histoire de l'astronomie ancienne}}
L′''Histoire de l'astronomie ancienne'' di Bailly è la prima opera in cui Bailly incomincia la sua disquisizione storica. Essa includeva una discussione sulle [[tavole astronomiche]] [[India|indiane]] presumibilmente risalenti al 3102 a.C. (una data provocatoriamente antidiluviana); Bailly arrivò a sospettare che le vere origini della scienza e della civiltà dovessero essere poste più a nord. Constatò i suoi sospetti per la prima volta nell’''Histoire de l’astronomie ancienne'' ([[1775]]), dove, notando che queste accuratissime osservazioni convivevano con grandi errori e con numerose superstizioni all'interno degli annali di questi popoli antiche, il che gli suggeriva che queste osservazioni fossero state semplicemente copiate dalle scoperte di una più avanzata e più antica civiltà che però la storia aveva dimenticato.
{{citazione|Allora, e in quei tempi terribili, si dovettero prendere dei pretesti per negare queste atrocità; vi era un pericolo reale, e non c'era alcun bisogno di coraggio, di parlare il linguaggio della giustizia e dell'umanità. Il popolo frenetico non lo potevano intendere; chiunque non la pensasse come lui era sospettato di tradimento. [...] Che magistratura è quella che non ha l'autorità per evitare che i crimini possano essere commessi sotto i suoi occhi!|Bailly nelle sue memorie.<ref>''Ibid.'', 2: 123-125.</ref>}}
Bailly riportò anche che entrambi [[Tolomeo]] e [[Zoroastro]], avevano scritto che la durata del giorno nel [[solstizio d'estate]] fosse due volte più lunga di quella del [[solstizio d'inverno]], un'osservazione che in realtà era sbagliata per le latitudini della [[Grecia]] e del [[Medio Oriente]], ma corretta al [[49º parallelo Nord]], cioè ben più a settentrione, dove la lunghezza del giorno variava dalle sedici ore di [[giugno]] alle solo otto ore di [[dicembre]].<ref>Jean-Sylvain Bailly, ''Histoire de l’astronomie ancienne, depuis son origine jusqu’à
l’établissement de l’école d’Alexandrie'' (Parigi, 1775), 18, 100.</ref>
Bailly imparò rapidamente che l'unico modo per far fronte alla furia della folla era quello di evitarla. Lo stesso giorno in cui Foulon e Berthier morirono, il sindaco comunque riuscì a salvare de Crosne dandogli asilo in casa sua, e lo scortò personalmente fuori da Parigi il giorno successivo. Bailly aveva fatto un bel po' di strada dal giorno in cui credeva che «quando in un secolo di lumi si chiama la ragione in suo aiuto, la ragione dovrebbe finire per essere la padrona [di tale secolo]».<ref>Bailly, ''Mémoires'', 1: 3.</ref>
L′''Histoire de l'astronomie ancienne'' di Bailly combina il diffusionismo radicale dell′''Essai sur les mœurs'' di [[Voltaire]] con il classico [[tropo]] ''translatio de studii et imperii'', ben presto diventata un segno distintivo della storiografia romantica.<ref>Hogden, ''Early
Anthropology'', 462.</ref> «Lo scettro della scienza deve essere stato tramandato da un popolo all'altro» dichiara definitivamente Bailly nell′''Histoire'', prefigurando una metafora che successivamente sarebbe passata ai posteri nella filosofia storica di [[Hegel]]: «I loro lumi, nati in Oriente, come quelli del sole, sono avanzati, come quelli di questo astro, verso Occidente, e in una lenta rivoluzione, sembra che debbano fare il giro del mondo».<ref>Bailly, ''Histoire de l'astronomie ancienne'', 3.</ref>
Bailly ebbe più successo nel far fronte alla minaccia nei confronti di Jean Dussaulx nel mese di ottobre 1789. Dussaulx aveva cercato di calmare una folla in [[Place de l'Hôtel-de-Ville|Place de Grève]]. «Signori – egli disse – voi vedete di fronte a voi il traduttore di Giovenale...», al che la folla rispose urlando: «E chi è Giovenale? Un aristocratico! ''À la lanterne'' Giovenale!» e stavano per fuggire con l'anziano accademico e linciarlo, quando Bailly stesso intervenne coraggiosamente e disse con fermezza: «Dussaulx è un mio amico; io ve lo reclamo», riuscendo infine a salvarlo.<ref>Berville, xxi-xxii.</ref> Fu per gratitudine a quest'atto che Dussaulx in seguito offrì assistenza finanziaria alla moglie di Bailly dopo la morte di suo marito.
All'alba delle realizzazioni umane, tuttavia, Bailly, in questo testo (come nei successivi), non vi percepisce l'India, e guarda piuttosto ad Atlantide: «Esaminando i diversi ceppi del genere umano, vediamo che gli Atlantidei sono i principali e i più antichi».<ref>Bailly, ''Histoire de l'astronomie ancienne'', 7.</ref> Bailly suggerì che la culla atlantidea della civiltà poteva trovarsi nei dintorni di [[Selenginskij rajon|Selinginskoi]], in [[Siberia]], dove alcune scoperte archeologiche sembravano confermare i suoi sospetti della presenza di tale popolo progenitore nordico.
===''Lettres sur l'origine des sciences''===
{{vedi anche|Lettere sull'origine delle scienze}}
===''Lettres sur l'Atlantide de Platon''===
===''Essai sur les fables et sur leur histoire''===
{{vedi anche|Saggio sulle favole e sulla loro storia}}
===''Traité sur l'astronomie indienne et orientale''===
Dopo il [[5 ottobre]] ci fu un equilibrio di potere che si mantenne quasi per tutta la durata della prima Assemblea Nazionale e in cui Bailly potenzialmente mantenne una posizione chiave. C'erano quattro forze coinvolte: l'Assemblea stessa, il [[Club bretone|Club Breton]] (in seguito [[Club dei Giacobini]]), il governo municipale di Parigi, e la Guardia Nazionale. In generale, l'Assemblea ed i giacobini erano alleati contro il comune e le truppe popolari. Ma Bailly era sindaco di Parigi e, almeno in teoria, superiore di La Fayette, inoltre mantenne comunque il suo seggio in Assemblea e partecipò alle riunioni dei giacobini.<ref>Non sappiamo in quale periodo Bailly si unì ai giacobini, ma il suo nome figura nella lista dei membri pubblicata il 21 dicembre 1790. Circa verso la stessa data cominciò ad essere attaccato dagli altri membri, specialmente da Danton. Aulard, ''La Société des Jacobins'', passim.</ref>
==La tendenza storico-mitica di Bailly==
(7) Egli ha inoltre scritto nella sua seconda lettera all'interno delle ''Lettres'':
«Ho detto che nel considerare attentamente lo situazione dell'astronomia in Cina, in India e in Caldea, troviamo più dei detriti che elementi veri di una scienza. Se vedesse, Mons. [Voltaire] la casa di un contadino costruita da sassi mescolati a frammenti di colonne, in un bellissimo stile architetturale, non concludereste che questi erano i resti di un palazzo, costruito da un architetto più affidabile e antico degli abitanti di quella casa? I popoli dell'Asia, eredi di un popolo pre-esistente che aveva generato le scienze, o almeno l'astronomia, erano depositari e non inventori. Questo ritengo sia vero anche nei confronti degli Indiani; e mi sforzerò di dimostrarlo più dettagliatamente. Aggiungo che alcuni fatti astronomici possono essere sperimentati solo ad una latitudine considerevolmente elevata in Asia: e questo è perfettamente vero. Considerando che questi fatti sono estremamente antichi, ho pensato che potrebbero servire per individuare il paese di un popolo primitivo. Ho congetturato che le scienze, prima crescendo a queste alte latitudini, sono poi scese verso l'equatore, "illuminando" gli Indiani e Cinesi; e che, contrariamente all'opinione accettata, la luce viaggiò da Nord a Sud. Io ho fatto questa conclusione, non come una verità dimostrata, ma come un'opinione altamente probabile; e ho finito con una sorta di romanzo filosofico. La miglior parte delle favole antiche, considerate da un punto di vista fisico, sembrano appartenere alle regioni settentrionali del globo: si potrebbe pensare che la loro interpretazione unificata permetta di tracciare le successive fasi del genere umano e il loro percorso dal Polo verso l'Equatore, in cerca di calore, e giorni di lunghezza più uguale».<ref>''Ibid.'', 18–19.</ref>
Sebbene non fu capace di riunire questi diversi elementi, era tuttavia ben posizionato per monitorare le loro attività.
Bailly dichiarò la sua ipotesi secondo cui le scienze, nate nelle latitudini nordiche, erano discese verso l'equatore per illuminare gli Indiani e Cinesi e che, «contro l'opinione prevalentemente accettata», la luce della conoscenza si mosse da Nord verso il Sud. Ha riconosciuto infatti che la sua teoria andava contro l'opinione stabilita del suo tempo, anche scrivendo: «si è sempre creduto che la terra sia stata popolata e illuminato da Sud a Nord. [...] Era naturale infatti credere che i primi uomini avrebbero scelto la loro residenza nei climi più piacevoli; era naturale pensare che le scienze, e in particolare l'astronomia, fossero nate in questi climi piacevoli sotto la serenità delle loro notti.»
Il suo errore, politicamente parlando, fu il suo ritiro dai Giacobini nell'estate del 1791, dopo il massacro del Campo di Marte.<ref>Bailly ufficialmente si ritirò dal [[club dei giacobini]] dopo l'affare del Campo di Marte (circa luglio 1791) per fondare il [[Club dei Foglianti]] con La Fayette, [[Alexandre de Lameth|Lameth]] e il [[François Alexandre Frédéric de La Rochefoucauld-Liancourt|duca de la Rochefoucauld]]. A poco a poco questo club guadagnò la reputazione di rifugio per i reazionari. Il Club dei Foglianti, inoltre, fu il seguito di un altro gruppo sorto in precedenza, la [[Società del 1789|Société de 1789]], che aveva un colore politico un po' meno pronunciato. I suoi membri includevano Mirabeau, La Fayette, [[André Chénier]], [[Nicolas de Condorcet]], Marmontel, ed altri. Bailly ne servì, inoltre, brevemente anche come presidente. Fonte: Challamel, ''Les Clubs contre-révolutionnaires''.</ref>
Più tardi, quando Pétion divenne sindaco e Santerre comandante della guardia, sorse una coalizione formidabile tra l'Assemblea, il comune, il club, e i soldati che rese possibile il grande potere di [[Robespierre]] e del [[comitato di salute pubblica]]. Bailly non era, purtroppo, l'uomo per giungere ad una tale coalizione, e tra il 1789 e il 1791 concentrò la sua attenzione sul suo mandato come sindaco a scapito del suo prestigio e della sua influenza nei confronti delle altre organizzazioni.
Tuttavia, Bailly sostenne che, al contrario, era più probabile che gli uomini fossero venuti dalle zone fredde per stabilirsi in climi caldi piuttosto che il contrario, rilevando che: «Non oserei mai proporre alla gente della Provenza di andare a prendere residenza a Pietroburgo».<ref>''Ibid.'', 225, 229.</ref> Infatti, come vedremo, Bailly sosterrebbe l'ipotesi che graduali cambiamenti del clima globale avrebbero dato luogo alla migrazione verso sud di questo popolo primordiale dalla sua antica dimora settentrionale.
Bailly indubitabilmente fece un buon lavoro come [[sindaco di Parigi]].<ref>Brucker, ''Jean-Sylvain Bailly, revolutionary mayor of Paris'', Urbana, Univ. of Illinois</ref> Fu rieletto nel mese di agosto [[1790]], per un secondo mandato, sconfiggendo sonoramente l'avversario [[Georges Jacques Danton]] con 12.550 voti a 1.460. Quando si dimise dall'incarico l'anno successivo, nel [[1791]] la città era materialmente in una posizione migliore rispetto a qualsiasi altro momento a partire dallo scoppio della Rivoluzione.
(13) È certamente significativo notare che mentre la prima menzione di Bailly di un popolo primordiale perduto, in un capitolo intitolato "De l’astronomie antediluvienne" nell′''Histoire de l’astronomie ancienne'' ([[1775]]) e che invocava il [[diluvio universale|diluvio biblico]] come la cesura tra la preistoria e la storia, nelle ''Lettres sur l’Atlantide'', scritte solo quattro anni dopo, Bailly sostituì la storia sacra con una spiegazione puramente secolare e derivata dalla scienza naturale contemporanea.
Le sue preoccupazioni come sindaco erano queste:
#organizzare un'efficace macchina di governo;
#fermare la carestia;
#fornire lavoro per i disoccupati;
#alleviare la situazione carceraria;
#attuare la [[costituzione civile del clero]];
#sopprimere la crescente ondata di crimine e illegalità.
Un'assemblea di rappresentanti dei comuni di Parigi fu convocata il [[25 luglio]] 1789, apparentemente per elaborare dei progetti per un governo municipale permanente. Cinque giorni dopo, l'Assemblea elettorale, che fino ad allora aveva esercitato l'autorità nel comune, si sciolse. La nuova assemblea fu una fonte di grandi fastidi per Bailly, in quanto cercava costantemente di governare, lasciando la pianificazione a lungo termine ad un comitato di venticinque persone. La commissione non andò avanti nel suo lavoro; rimase in sessione fino ad ottobre 1790; e il suo piano, una volta terminato, era più che deludente, in quanto prevedeva l'istituzione di una pesante burocrazia e delle severe limitazioni sul potere esecutivo del sindaco. Bailly criticò questo piano in due ''Observations'' che chiedevano un'amministrazione più leggera e con una maggiore libertà di azione.<ref>Le ''Observations'' furono pubblicati per la prima volta nei ''Discours et mémoires'' 1: 442-454.</ref> «È necessario che il consiglio sia il principio della forza, il sindaco dell'unità delle operazioni».<ref>''Discours et mémoires'', 1: 452.</ref> Bailly non ebbe mai il tipo di governo municipale che desiderava, e per due anni dovette risolvere ogni problema ed ogni nuova crisi con delle disposizioni ad hoc. In un discorso eloquente al consiglio comunale del [[12 novembre]] 1791, Bailly condannò questo sistema di governo che lo obbligava a muoversi ogni volta con degli espedienti particolari per ogni situazione; egli attribuì questa manchevolezza alla diffusione delle idee repubblicane. I progettisti, a lungo abituati agli abusi di poteri concentrati in poche mani, avevano ora paura di delegare le autorità. Bailly chiese che al suo successore venissero accordati dei reali poteri per affrontare le sue reali responsabilità che non implicavano, comunque, alcun ripudio del principio del governo rappresentativo. «Questo principio non richiede numerose assemblee né poteri troppo divisi».<ref>Bailly, ''Recueil'', 168.</ref> Bailly aveva appreso che la deliberazione non era sempre il modo per realizzare l'azione.
(17) In più solo questo sito settentrionale avrebbe potuto spiegare i costanti ritornelli mitologici e le usanze comuni a tutte le tradizioni religiose delle civiltà antiche: spiegabili perché in realtà tutte le civiltà deriverebbero dall'unico ceppo comune atlantideo. Da questo luogo infatti, gli Atlantidei migrati a Sud, si stabilirono in India, per poi trasferirsi ad Ovest, oltrepassando e colonizzando dopo l'India, anche l'Egitto, la Grecia, per arrivare, infine, in Europa. Prefigurando [[Hegel]], Bailly affermò che: «lo scettro della scienza deve essere stato tramandato da un popolo all'altro».<ref>Bailly, ''Histoire de l'astronomie ancienne'', 3.</ref> Il movimento di queste conoscenze scientifiche però, diversamente da come Hegel riterrà, non era avvenuto da est a ovest, ma, per Bailly, da nord a sud.<ref name="Dan Edelstein" /><ref name="Dan2" />
Per quanto riguarda il combattimento contro la carestia e la fame, e l'approvvigionamento cittadino, l'amministrazione di Bailly riuscì ad ottenere un po' più di successo. Fu suggerito che ci fosse uno sforzo concertato da parte degli Orleanisti nell'aver prodotto una scarsità artificiale di cibo, in particolare nei primi giorni della rivoluzione.<ref>Montjoie, ''Histoire de la conjuration de Louis-Philippe d'Orléans'', 1: 153-193, 228-237, 283-291; 2: 23-43, 306-312, 345-348.</ref> Nel 1790 Bailly conferì con [[Luigi XVI]] su questo tema ed si riporta che abbia detto «Io non gli dissimulai che la povertà era più o meno fittizia...»<ref>Sérieys e André, ''Anecdotes inédites''</ref>
(18) Secondo Bailly, perciò, le popolazioni dell'Asia non erano state che eredi delle conoscenze di questo popolo antlantideo settentrionale, che aveva già sviluppato un'astronomia molto precisa. I cinesi e gli indiani, tanto rinomati per il loro apprendimento scientifico, non sarebbero stati per lui che semplici depositari.
È
(20) Bailly insistette per individuare Atlantide molto più a nord, localizzandola nella mitica terra di [[Iperborea]], la cui capitale era [[Thule (mito)|Thule]].<ref name="Dan Edelstein" /><ref name="Dan2" /> Questa terra doveva essere quella che aveva ospitato l'[[età dell'oro]] di cui poeti e storici antichi, come [[Erodoto]] o [[Esiodo]], avevano narrato.<ref name="Dan Edelstein" /><ref name="Dan2" />
===L'ispirazione verso Rudbeck===
(11) Sebbene le teorie di Bailly appaiono fantasiose, egli non fu il primo scrittore europeo a suggerire che l'Atlantide di cui parlavano gli antichi si trovasse nel lontano nord. Un secolo prima infatti, [[Olaus Rudbeck]], professore di medicina presso l'[[Università di Uppsala]], era diventato ossessionato dalla teoria che Atlantide secondo cui Atlantide fosse in realtà la Svezia, e che le leggende greche sugli Iperborei similarmente si riferissero al suo paese natale. Durante gli ultimi anni della sua vita, Rudbeck si dedicò a far avanzare la sua teoria in un lavoro in più volumi, scritto in latino e in svedese, ''Atlantica'' (pubblicato nel [[1679]]), che lo storico Gunnar Eriksson ha descritto come «un lavoro storico di estremo patriottismo», fatto di «mitologia classica, poetica dell'[[Edda]], ed infinite etimologie vertiginose».<ref>Gunnar Eriksson, ''The Atlantic Vision: Olaus Rudbeck and Baroque Science'' (Canton, MA, 1994), VII–VIII.</ref> Forse ipersensibile alle opinioni degli studiosi di latino europei che consideravano la Scandinavia una terra di barbari, solo recentemente cristianizzata e civilizzata, Rudbeck tentò in ogni modo di dimostrare che la Svezia era, al contrario, l'originale primavera della cultura occidentale, da cui le arti e le scienze in seguito discesero verso il sud ai Greci, ai Fenici, ed agli altri popoli antichi. Anche se, come nota David King, «dal primo Settecento ''Atlantica'' era caduto nel regno della parodia e il nome di Rudbeck stava diventando sinonimo di [...] di "teorizzazione selvaggia"»<ref>King, ''Finding Atlantis'', 252.</ref> la nozione di un'Atlantide settentrionale era stata avanzata nel discorso storico europeo, ed era già disponibile a Bailly nei suoi sforzi per dimostrare che le arti e le scienze erano state prima sviluppate nei pressi del [[circolo polare artico]].
It is a fact that many shipments of grain and flour were waylaid
L'interpretazione di Rudbeck dunque appartiene alla tradizione classica della "mitologia politicizzata" che andava da [[Virgilio]] a [[Pierre de Ronsard]]: nella sua analisi, il mito di Atlantide serviva a glorificare la [[Svezia]] e ad autorizzare le sue pretese imperialistiche. Nel caso di Bailly, secondo lo storico Edelstein, «non ci fu invece nessun beneficiario immediato della sua interpretazione: almeno superficialmente, il suo studio riguarda la storia universale, non una mitopoiesi politica».<ref name="edelstein8">Dan Edelstein, ''Hyperborean Atlantis: Jean-Sylvain Bailly, Madame Blavatsky, and the Nazi Myth'', p. 8.</ref> Ad un'analisi più attenta, tuttavia, secondo Edelstein: «l'importo politico del lavoro di Bailly è forse ancora più potente della propaganda di Rudbeck. A differenza dello svedese, infatti, Bailly dissociò Atlantide dagli Atlantidei, dissociò il luogo dal popolo». Atlantide grazie a Bailly diventò un indicatore culturale di superiorità e originalità che poteva essere "affittato" a qualunque luogo geografico e a qualunque popolo con cui gli Atlantidei, migrando, sarebbero potuti entrare in contatto.<ref name="edelstein8" />
and pillaged before they reached the city, and this
created a panic each time it happened.5' The municipality
undertook to buy and sell such provisions itself,
convoying the shipments with armed guards and distributing
them under the closest supervision. By the
time of Bailly's resignation, he was able to announce
that Paris had in its storehouses over a year's supply
of wood, nearly two years' supply of coal, and sufficient
flour to last until the next harvest.
Bailly was responsible for the establishment of numerous
ateliers de charite or public workhouses, designed
to relieve the unemployment which resulted from
France's acute economic disorder and was made doubly
dangerous by the political events of the Revolution.
Limited funds prompted the Assembly of the Communes
and the National Assembly to several attempts
to suppress the ateliers, but Bailly was insistent that
the government should not expose itself to the menace
of a hungry mob. However, he was careful to avoid
an outright system of dole, and much of his energy was
directed to the problem of finding legitimate work for
idle hands. In this connection it may be observed
that Bailly was now in a position to practice and did
in fact practice some of the economic theories which he
had expounded as early as 1767 in the Eloge de
Charles V. Particularly he had praised Charles' administrative
economy coupled with realistic expenditure
in the public welfare: "dans des temps orageux, il faut
des secours prompts." 52 Bailly watched the budget
like a hawk, but he was always ready to use public
funds to alleviate distress and to encourage a normal
economy.53
The whole period of the Revolution was marked by
maladministration of the courts and the prisons, and
one of Bailly's principal crusades was the hastening of
justice and the amelioration of the lot of the prisoner.
In an address to the National Assembly on November
18, 1790, Bailly laid before that body a report on the
Paris prisons which, in its reasonableness and humaneness,
is reminiscent of the report on the hospitals:
Les tribunaux sont vacants; les accuses n'ont point de
juges. Deja un mois et plus s'est ecoule; il s'ecoulera
encore plus de temps avant que les tribunaux nouveaux
soient etablis, et cependant les prisons sont remplies; de
nouvelles prisons y ont et ajoutees, et cependant les
prisonniers y sont entasses. L'innocent y attend sa justification,
le criminel la fin de ses remords. Tous y respirent
un air malsain, et la maladie est pres d'y prononcer des
arrets de mort. Le desespoir y dit: Ou donnez-moi la
mort ou jugez-moi.54
A recent historian has observed that Bailly, despite
his professed devotion to the law, was "none too
scrupulous" in his observance of judicial codes and the
laws protecting the individual.55 It is true that Bailly
===L'ispirazione verso Court de Gébelin===
did interfere arbitrarily in several cases, which may be
Bailly scriveva sulla scia di una rivoluzione scientifica nella mitografia, causata dai nove volumi di [[Antoine Court de Gébelin|Court de Gébelin]], ''Monde Primitif'' (1773-1782).<ref>Anne-Marie Mercier-Faivre, ''Un Supplément à l′"Encyclopédie:" Le "Monde Primitif d'Antoine Court de Gébelin'' (Paris: Champion, 1999).</ref> Questa gigantesca impresa, una sorta di [[Encyclopédie]] per il mondo antico (come la studiosa Anne-Marie Mercier-Faivre ha suggerito), è stato uno dei primi trattati settecenteschi a concedere ai miti un considerevole valore culturale, arrivando fino al punto di definire la mitologia come un «''Discours sacré''» (ovvero un "discorso sacro").<ref>''Monde Primitif, analysé et comparé avec le monde moderne, considéré dans son génie allégorique et dans les allégories auxquelles conduisit ce genie...
excused only on the grounds of political expediency,
9 vols. (Paris: Chez l'auteur, 1773-82), 1: 68.</ref> Quando dei ''philosophes'' come [[Pierre Bayle]] e [[Bernard le Bovier de Fontenelle]] avevano denigrato i miti come il prodotto di menti pre-logiche spaventate, Court rivalutò le antiche società interpretando le loro divinità secondo un nuovo codice ermeneutico: l'astronomia. Questa ipotesi non era poi così del tutto nuova, essendo già stata suggerito da [[Macrobio]] nel primo libro dei ''[[Saturnalia (Macrobio)|Saturnalia]]'', e riportata in voga da [[Noël-Antoine Pluche]], nella sua ''Histoire du ciel où l'on recherche l'origine de l'idolâtrie et les méprises de la philosophie'' del [[1740]]. Nel caso di Court, tuttavia, è più probabile che ciò sia stato derivato dall'uso massonico dei simboli solari e lunari (come evidenziato, ad esempio, ne ''[[Il flauto magico]]'' di [[Mozart]]). Court sostenne che, alla base dei molteplici rami della mitologia, c'erano gli originali simboli sacri del sole e della luna.
but usually this interference was the only alternative to
mob violence which Bailly feared and hated. At any
time during his mayoralty he would have been happy to
renounce all participation in judicial affairs in favor of
an efficient court system functioning under clearly defined
laws.
One of Bailly's most trying tasks was the implementation
of the Assembly's decisions concerning the constitution
civile of the clergy. An enactment of July, 1790,
forbade the clergy to recognize any foreign authority
and made nomination to ecclesiastical office a state
matter. This law was accepted by the King and,
tacitly, by the clergy. It was followed, however, by a
law of November 27 which called upon all members of
the clergy to swear an oath of obedience to the state
and to the civil constitution; those who did not swear
were to be regarded as having automatically resigned
their offices. The refusal of the overwhelming majority
of the clergy caused a deep rift among the revolutionaries
themselves and all but suspended the functions
of the church in many areas. Bailly, who had never
displayed strong feelings one way or the other on church
matters, was reluctant to enforce the letter of the law.
When the municipality posted its decree implementing
the Assembly's law, some overly enthusiastic clerk had
caused to be inserted the warning that "les ecclesiastiques
qui ne preteront pas le serment seront regardes
comme perturbateurs du repos public." 56 Bailly hastened
to denounce this clause: "J'ai ete frappe, afflige
quand j'en ai vu le preambule. . . " Six months
later a test of the law occurred when a mob attacked a
non-conformist priest at the monastery of the Theatins.
A battalion of the National Guard protected the priest
and dispersed the mob. In a letter of commendation
to the commanding officer, Bailly expressed the most
liberal views on the freedom of worship:
. . . la doctrine est la meme et chez les preres soumis a
Con il passare del tempo, questi e altri simboli cosmici (costellazioni, pianeti, comete) furono personificati e i loro referenti originali furono dimenticati, lasciando i miti come storie modificate di una religione sublime perduta. La conoscenza del codice vero della mitologia, tuttavia, avrebbe permesso ai futuri mitografi di ricostruire questa religione e di scoprire il "discorso sacro" che si celava nei miti. Precedendo la natura diadica delle tesi di Court, Bailly (così come Charles Dupuis dopo di lui) si concentrò principalmente sui simboli solari nella sua lettura della mitologia, anche se pose attenzione anche su molte delle stesse figure mitiche, in particolare su [[Ercole]] quando scrive: «non c'è dubbio che Ercole sia l'emblema del Sole».<ref>Bailly, ''Lettres sur l'Atlantide de Platon'', 115</ref>
la loi qui ont pr&e le serment et chez ceux qui, par
conscience ou par d'autres motifs moins louables, ont cru
devoir s'y refuser. Ce point, pretendu de conscience, n'est
que pour eux; il ne fait rien 'a personne; il n'interesse
point le peuple. . . . L'Assemblee nationale a decrete que
les opinions seraient libres, que tous les cultes seraient
permis.... Oiu est donc leur liberte si vous restreignez et
leurs dogmes et leurs actes religieux? 58
A number of pamphlets made Bailly out as an
===Il determinismo geografico===
apostate, and Barruel claims that Bailly said that, if it
(6) D'altro canto, il rifiuto di Bailly all'ipotesi di Voltaire, ovvero all'ipotesi secondo cui l'Asia meridionale e orientale fosse il luogo di nascita della civiltà, rifletteva un'idea prevalente durante l'[[Illuminismo]], quella del [[determinismo geografico]]. Secondo questa tesi, propugnata da Bailly e almeno parzialmente ripresa da [[Montesquieu]], esiste un rapporto di causalità tra il clima e le forme di governo, tra il clima e il progresso delle arti e delle scienze.
depended on him, the Catholic religion would be annihilated
Nell’''Esprit des lois'', ad esempio, [[Montesquieu]] sosteneva che: «la codardia dei popoli che abitavano i climi caldi li ha quasi sempre resi schiavi e il coraggio dei popoli climi freddi li ha invece tenuti liberi» e rese popolare la teoria, articolata già dagli antichi greci, secondo cui l'estremità torrida e quella polare impedivano lo sviluppo fisico e intellettuale dell'uomo, mentre la zona temperata aveva permesso all'umanità che vi abitava di raggiungere la piena fruizione.<ref>Charles Sécondat de Montesquieu, ''The Spirit of the Laws'', trad. Anne Kohler (Cambridge, 1989; pubblicata 1749), 54.</ref>
in France.59 Such views seem entirely out
of keeping with Bailly's character and are certainly
contrary to the evidence of his actions and his official
utterances.
It was in the matter of policing Paris that Bailly enjoyed
least success and encountered greatest criticism.
The Revolution produced a widespread amorality which
manifested itself in increased prostitution, gambling,
pornography, and all manner of petty vice.60 In vain
Bailly tried to close the gaming houses, suppress bullfighting,
segregate the prostitutes. He gained only the
reputation for being puritanical. He was obliged to
re-establish substantially the same police measures that
had been used by Sartine, Le Noir, and de Crosne, but
they were ineffective without the same financial resources,
the same espionage and the same lettres de
cachet.61 When Bailly tried to stem the tide of
pornographic literature by controlling retail sales, he
was accused of interfering with freedom of the press:
Depuis quelque temps, l'enthousiasme etait dejA bien
diminue pour M. Bailly. Aujourd'hui c'est un mecontentement
presque general, peut-etre sans beaucoup de fondement.
On l'accuse de vouloir retablir l'ancien regime de
la police, surtout parce qu'il a borne comme autrefois le
nombre des colporteurs a trois cents. Bien du monde, et
les brochuriers particulierement, regardent cela comme un
attentat a la fiberte de la presse.62
Bailly's detractors probably greatly exaggerated the
dangers of his policy; even after his administration had
suffered repeated attacks in the press and he had become
a target for personal abuse, Bailly still championed
freedom of the press, "qui defend la liberte publique." 63
Nevertheless, such measures began to destroy Bailly's
popularity even during his first year in office, because
they looked too much like old fetters to a populace bent
on license.
The reason for Bailly's decline in popularity is fairly
simple. Hebert saw it clearly at the time of Bailly's
trial: "Je citerai un mot remarquable de Vergniaud:
c'est qu'en revolution il ne faut jamais stationner; un
pas retrograde perdrait infailliblement le parti qui
aurait molli." 64 After the civil constitution of the
clergy, the King began to be lukewarm to the Revolution,
and Bailly, still attached strongly to the monarchy,
filled with apprehension at the republican ideas that
were beginning to be bruited about, stood still. Everywhere
he saw only lawlessness and irresponsibility.
His secession from the Jacobins was a protest against
the excesses of the Revolution, but it made him automatically
a counter-revolutionary. The monarchists,
however, would have nothing to do with him, regarding
him as a traitor of the blackest sort. Even the King
lost faith in his good intentions, received him coolly
and on one occasion slammed the door in his face.
Bailly's only hope was in the Constitution. Somehow,
he was sure, stability must inevitably be re-established
through constitutional government. The affair at the
Theatins offered Bailly an opportunity for a lengthy
public statement of this view in June, 1791.
Vous etres libres et vous voulez etre heureux; vous ne
Questi sentimenti sono stati ampiamente ripresi dall'insigne [[naturalista]], [[Georges-Louis Leclerc, conte di Buffon|Buffon]], protettore di Bailly, la cui ''Histoire naturelle'' sottolineava la superiorità degli abitanti della zona temperata rispetto ai popoli nordici e a quelli dei tropici, dichiarando sui primi che «è in questo clima che si dovrebbe formare un'idea del vero colore naturale dell'uomo» dal quale poi le altre "varietà" umane erano degenerate.<ref>Georges-Louis Leclerc, conte di Buffon, "Des variétés de l’homme", in Buffon, ''Histoire naturelle, générale et particulière'', vol. 3 (Parigi, 1750–1804), 371–530, 528.</ref>
pouvez etre heureux et libres que par la loi; toute infraction
a la loi est une atteinte a votre liberte. On vous parle
de despotisme; il n'y en a plus. Vous avez un roi que vous
ch6rissez; il regne par la constitution; il cede le premier
a la loi qu'il doit faire executer . . .; bannissez donc les
defiances; faites cesser la fermentation et des assemblees et
des groupes motionnaires, les attroupements, les mouvements
populaires, et tous ces desordres qui effrayent les
bons citoyens, eloignent les riches, depeuplent la capitale,
aggravent la misere; et, en retablissant la paix et l'ordre
public, finissons par la sagesse une revolution que vous
avez si heureusement commencee par le courage.65
A month later, forced by circumstance to act, he took
E mente Montesquieu e Buffon sottolineavano la superiorità dell'ambiente temperato, loro e molti dei loro contemporanei incominciarono a rivalutare i relativi meriti dell'[[Oriente]] e dell'[[Occidente]].
the fatal "pas retrograde" at the Champ de Mars.
The King's flight to Varennes at the end of June,
1791, accelerated the movement towards republican
government, even among the moderates. In the middle
of July the Jacobins drafted a petition for the deposition
of the King and the establishment of a republic. As the
Assembly had shown itself inhospitable to such petitions,
it was proposed to have this one signed at a mass
meeting at the autel de la patrie on the Champ de Mars.
The date was set for July 17. The day before, the
National Assembly, fearing a popular uprising, ordered
Bailly and Lafayette to use force if necessary to maintain
order. Two killings on the morning of the seventeenth
were the pretext for the declaration of martial
law. Bailly and Lafayette together led the troops that
marched on the Champ de Mars in the late afternoon
to disperse the crowd. They were stoned and, according
to some sources, fired on. The troops returned the
fire, and some ten or fifteen persons were killed. The
following day Bailly made a full report of the affair
to the Assembly and was commended for his resolute
action. It was not until Bailly was out of office that
his enemies began to suggest that he was in any way
at fault for the events of that day.66 Nevertheless,
Bailly realized that the last vestige of his popularity
was gone and that he was no longer an effective voice
in the Revolution. Three months later he tendered his
resignation to the municipality in a letter which is
singularly dispirited and significant for its lack of
revolutionary eloquence:
Je crois que je puis regarder ma carriere comme finie.
Nel [[XVII secolo]] e all'inizio del [[XVIII secolo]], i missionari e gli studiosi gesuiti, molti viaggiatori colti, i ''philosophes'' illuministi, ed in particolare lo stesso Voltaire, avevano celebrato l'antichità e la saggezza dell'Oriente, riflettendo in qualche modo l'ammirazione degli umanisti verso il passato classico e l'autorità che davano alla tradizione antica. Quando, tuttavia, le teorie stadiali del progresso storico misero le proprie radici nel tardo Illuminismo gli autori successivi incominciarono a sottolineare la "decadenza" orientale e contrastavano le antiche, eppure apparentemente stagnanti, civiltà dell'Est con la più giovane, ed anche più dinamica, civiltà [[Europa|Europea]].
Je viens vous prier de recevoir ma demission. La constitution est achevee, solennellemnent decretee; elle est accept6e
par le roi. Commencee sous ma presidence, j'ai dfi la voir
terminer, et accomplir mon serment. Mais j'ai besoin d'un
repos que les fonctions de ma place ne me permettent
pas.... 67
Bailly was asked to postpone his departure until
La forza di queste convinzioni era così forte che l'intero mondo accademico tendeva ad accettarle. Infatti, confrontando lo stato dell'astronomia in entrambe le società, in un ''Histoire de l’Académie des sciences'', scritta nel [[1759]], si disse che «il genio dei Cinesi, per quanto ammirabile, è enormemente inferiore a quello degli Europei».<ref>''Histoire de l’Académie des sciences'' (1759), 45.</ref> Anche l'[[Gabriel Bonnot de Mably|abate Mably]], filosofo e politico francese, riprese questo contrasto tra il dinamismo occidentale e la stagnazione orientale, scrivendo «duemila anni fa i cinesi avevano la stessa quantità di conoscenza che hanno anche oggi».<ref>Henry Vyverberg, ''Human Nature, Cultural Diversity, and the French Enlightenment'' (New York, 1989), 130.</ref> Parlando di Asia più in generale, Montesquieu, concordando, scrisse che: «la "pigrizia dello spirito" dei popoli orientali ha assicurato che le leggi, i costumi e le maniere [...] rimanessero oggi in Oriente identiche a come erano un migliaio di anni fa».<ref>Montesquieu, ''The Spirit of the Laws'', 235.</ref>
new elections could be arranged, but no one protested
his resignation, and the following month Petion succeeded
to the mayoralty to the general relief of all
concerned.
Bailly's ostentation as mayor was frequently criticized
by his friends as well as his enemies. Merard de Saint-
Just has left us an account of the great display with
which Bailly rivalled royalty:
I1 souffrit que la comnmune arretat que ses gens porteraieint
Bailly attinse a tale [[determinismo geografico|determinismo climatico]] per sostenere che la scienza dell'astronomia era emerso nel nord ed era poi, da lì, discesa verso il sud. Nell’''Histoire de l’astronomie ancienne'' Bailly scrisse che: «Un clima temperato dà alla costituzione umana questa miscela felice di forza e di attività, necessaria per il progresso della conoscenza. Una volta che la scienza fu trapiantata nei paesi caldi, invece, è rimasta stazionaria. Gli uomini, [...] trovando indolenza e morbidezza in questi climi, hanno perso il loro genio. [...] Orgogliosi dei meriti dei propri antenati, gelosi dei "detriti" dei loro tesori, ma anche cullati e appesantiti dalla pigrizia, hanno conservato tutto ciò che sapevano senza produrre nulla».<ref>Bailly, ''Histoire de l’astronomie ancienne'', 105.</ref>
une livree; et cette livr6e fit crier avec raison, car
elle etait plus voyante que celle du roi.... II aimait la
grande repr6sentation de sa place, son nombreux domestique,
son carrosse precede deux ordonnances, a voir
prendre les armes quand il sortait ou rentrait dans son
h6tel, l'affiluence du monde qui avait des rapports habituels
a lui, les audiences publiques qu'il donnait, les deputations
de tous les corps de l'etat, de toutes les autorites constituees,
qui lui t6moignaient les plus grands egards. . .. II entrait
chez lui . . . precede d'un laquais [qui] prononqait ces
mots: Monsieur le Maire! . . . On m'a demande souvent
pourquoi a la mairie on parodiait Versailles; et je n'ai su
que repondre.
Yet Bailly was an honest man who put the general
In pieno accordo con il [[determinismo geografico]] illuminista, Bailly sostenne nelle ''Lettres sur l’origine des sciences'' che i popoli dell'India e della Cina, pur non essendo inferiori come uomini rispetto agli Europei, mancavano però dello «spirito d'inventiva» ed erano «senza energia o movimento», necessari per il progresso scientifico, ma non per loro colpa, quanto come necessaria conseguenza dell'ambiente climatico in cui vivevano che li aveva plasmati in questo modo.<ref>Bailly, ''Lettres sur l’origine des sciences''</ref>
interest above personal gain. If he felt the weight of
his office a little too keenly, it was because, on the one
hand, he was conditioned by the traditional pomp of
the ancien regime and because, on the other, he believed
that under popular government the man raised
to high office should serve as a visible symbol of
authority. Bailly explained that he continued to wear
the uniform of the Estates General long after that
custom had been abandoned by others, because "un
depute inviolable, un legislateur, est un objet de veneration
publique et qu'il est bon d'annoncer et de faire
connaitre partout par un signe exterieur." 69
It was a combination of reason and pride, of nobility
and incapacity, of tenacity and improvidence which,
while Bailly and his fellow constitutionalists worked for
the regeneration of the monarchy, actually debilitated
and destroyed it. Bailly was prepared to make changes
without quite knowing their nature or their possible
effect. He was determined to preserve the monarchy
even as he undermined it; he resisted republicanism even
as he prepared the way for it. This is why Nourrisson
called him "excellement un revolutionnaire . . . le revolutionnaire
sans le savoir." 70 Yet Bailly matured during
his two years in the service of the Revolution, and when he retired from office he had lost many of his
illusions about reason and law. Human law, unlike
natural law, was violable, and the grand order was not,
after all, to be the work of pure reason:
Citoyens, vous vous plaignez du defaut de l'ordre public,
Citando il gesuita studioso Parrenin sul conservatorismo degli astronomi di corte cinesi, che percepivano tutte le novità come pericolose e minacciose, Bailly rimarcò che: «Se noi in Europa pensassimo come loro, non avremmo avuto Cartesio, Galileo, Cassini, o Newton».<ref>''Ibid.'', 190, 25.</ref> Bailly concluse che i Cinesi «non hanno mai avuto il vero spirito delle scienze e, dicendolo senza mezzi termini, manca loro del genio».<ref>''Ibid.'', 30.</ref> Similmente, Bailly mise in contrapposizione la presunta "decadenza" dell'India attuale, con il suo glorioso passato, scrivendo «Vedo ovunque in mezzo a loro una filosofia degenerata, precetti dei quali hanno perso il significato, verità fisiche coperte con uno stile figurativo che dà loro un carattere fiabesco».<ref>''Ibid.'', 56.</ref>
mais rappelez-vous qu'on a administre dans les temps
orageux d'une revolution. Combien de reglements necessaires
ont ete suspendus, parce qu'ils n'auraient pas ete
execut6s; conibien de mesures sages ont et retirees,
combien de fois on n'a pas commande, assure de n'etre pas
obei.... Quand on ne peut opposer que la loi aux desordres,
il est incertain qu'on puisse les reprimer; il est sfir qu'on a
rarement le moyen de les prevenir.71
Le fonti missionarie gesuite su cui sia Voltaire che Bailly si basavano per avere informazioni sull'antica India rafforzarono ulteriormente questa narrativa di un glorioso passato e di un presente decadente. Il filosofo e storico indiano Dhruv Raina ha osservato che i trattati dei gesuiti sull'India affermavano che "l'idolatria Indù" non era altro che una discendente degenerata della puro e originale religione naturale del genere umano, emersa in seguito alla dispersione dei popoli dopo la distruzione della [[torre di Babele]], un'interpretazione progettata per supportare il dogma della monogenesi e l'universalità del [[monoteismo]] primordiale.
Allo stesso modo, gli autori gesuiti, come padre Gaston-Laurent Cœurdoux, fecero risalire la migrazione dei primi Brahmani in [[India]] da nord, collegandoli implicitamente a un origine biblica. Facendo eco a tali argomentazioni, ispirate teologicamente, in un registro laico, Bailly sostenne che «gli indiani estranei a se stessi», che ha spiegato, sostenendo «che i brahmani non sono indiani». Essi, secondo lui, lo riconoscevano, e dicevano che i brahmani sono arrivati dal nord. Questa è la tradizione e, contemporaneamente, la prova di una migrazione.<ref>Bailly, ''Lettres sur l’origine des sciences'' p. 81.</ref>
51 Defresne, Les Subsistances, passim.
===Il collegamento con Atlantide===
52 DISC MEM 1: 18.
(8) Il primo volume delle lettere di Bailly postulava l'esistenza di una civiltà primordiale perduta che aveva influenzato tutte le altre, ma senza offrire specifiche sul nome, sulla posizione, o sul destino di quella civiltà. Il suo secondo volume, invece riprendendo alcune tesi dell′''Histoire de l'astronomie ancienne'', offriva una spiegazione sorprendente e originale, che collegava la sua teoria della civiltà primordiale alla storia della crescita, dell'espansione e della distruzione di [[Atlantide]] come descritto nei dialoghi platonici del ''Timeo'' e del ''Crizia''.
53 Brucker, 58-59.
54 "Discours à l'Assemblée nationale, le 18 novembre 1790."
55 Brucker, 63.
56 Avant-Moniteur, Appendix LXXIX.
57 Ibid.
58 "Lettre à M. Le Feuvre d'Arles, 5 juin 1791."
59 History of the clergy 1: 72.
60 Cf. Goncourt, 21-27 and 221-236.
61 Merard de Saint-Just, 95-96.
62 Lescure 2: 412.
63 Recueil, 185.
64 Aulard 5: 508.
65 "Lettre à M. Le Feuvre d'Arles, 5 juin 1791." That Bailly
wanted this letter to be published is shown clearly by his concluding
remarks: "Voila, monsieur, ce que je desirerais pouvoir
dire 'a mes concitoyens; . . . vous etes le maitre de donner a
cette lettre la publicite que vous jugerez convenable."
66 Even Danton, who repeatedly attacked Bailly, first alluded
to the affair of the Champ de Mars only in July, 1792, a year
after the event. (Danton, 152.)
67 "Lettre aux officiers municipaux, 19 octobre 1791."
68 Op. cit., 103-104.
69 Mémoires 1: 69.
70 Op. cit., 334.
71 Recueil, 183.
==Note==
La ricerca di [[Atlantide]] è da sempre uno dei temi più antichi della cultura occidentale, che beneficia del prestigio della paternità di Platone e offre oscure ma allettanti promesse di una saggezza perduta, di ricchezza, e possibili prove riguardanti la preistoria remota del genere umano.
{{references}}
Bailly, argutamente, anticipò l'obienzione che certamente gli avrebbero fatto: ovvero che Atlantide non fosse altro che una favola didattica, «frutto della fantasia geniale e morale di Platone». Allora, per suffragare la sua tesi, Bailly sostenne che «la maggior parte dei poemi presentati come storici, hanno dei soggetti presi dalla storia», citando l'[[Eneide]] di [[Virgilio]] come esempio. Di conseguenza, egli scrisse sull'Atlantide di Platone che «è evidente che qui la morale c'è ma è solo accessoria. Platone è uno storico che traccia una grande catastrofe e trae da esso una grande lezione».<ref>Bailly, ''Lettres sur l’Atlantide de Platon, et sur l’ancienne histoire de l’Asie'' (Paris, 1779), 43–4.</ref>
Lo storico [[Pierre Vidal-Naquet]] ha osservato che il racconto di Platone sull'ascesa e sulla caduta di Atlantide si comprende molto bene come una critica all'imperialismo marittimo ateniese e al commercio dal punto di vista del repubblicanesimo austero che l'autore aveva già sostenuto nella ''[[Repubblica (Platone)|Repubblica]]''.<ref>Pierre Vidal-Naquet, ''The Atlantis Story: A Short History of Plato’s Myth'', trad. Janet Lloyd (Exeter, 2007), 15–23.</ref> [[Lyon Sprague de Camp]] concorda, notando che i contemporanei di Platone e i suoi immediati successori riconobbero la natura fittizia e didattica della storia di Atlantide, e che invece furono i neoplatonici alessandrini e poi, soprattutto, gli studiosi del [[Rinascimento]] che, riscoprendo le loro opere, per primi hanno interpretato Atlantide come un luogo reale.<ref>Lyon Sprague de Camp, ''Lost Continents: The Atlantis Theme in History, Science, and Literature'' (New York, 1970), 16–19.</ref>
L'interpretazione di Bailly della storia di Atlantide come fatto storico riflette un forte approccio [[evemerismo|evemeristico]] verso la mitologia classica. Lo storico Frank E. Manuel definisce questo approccio "[[Evemerismo|evemerista]]" (dal nome del filosofo tardoantico [[Evemero]]) come «l'idea che in origine gli dei avessero una loro esistenza sulla terra, che erano comuni esseri umani, e che i miti erano commemorazioni dei loro atti in questo mondo».<ref>Frank Manuel, ''The Eighteenth Century Confronts the Gods'' (New York, 1967), 105.</ref> [[Anthony Grafton]] ha osservato invece che «l'interpretazione evemeristica dei miti classici come rielaborazioni di eventi veri e propri» servì come «un coltellino svizzero interpretativo per legioni di interpreti pagani e cristiani», e che fu ampiamente utilizzato dagli autori classici stessi e dai loro eredi umanisti del Rinascimento.<ref>Grafton, ''Defenders of the Text'', 87</ref>
Molti studiosi della prima età moderna, come [[Joseph Scaliger]], pioniere della cronologia comparata cinquecentesca, fece uso della mitologia classica per ricostruire la storia più antica dell'umanità, ritenendo, come scrive Grafton, «che i miti non erano storie velate di dottrine filosofiche, ma racconti confusi di eventi storici».<ref>''Ibid.'', 37.</ref>
Di conseguenza, sebbene [[Nicolas Fréret]], il più famoso storico classicista francese del primo Settecento, aveva concluso che Atlantide era un «romanzo filosofico»<ref>Citato in Vidal-Naquet, ''The Atlantis Story'', 87.</ref> Bailly sosteneva che gli dei degli antichi Greci, Fenici, ed egiziani erano in realtà re ed eroi di [[Atlantide]], rilevano inoltre che le leggende su regni preistorici di giganti, semidei, fate e geni non potevano che rappresentare una sorta di memoria ancestrale della grandezza degli Atlantidei.
Bailly poi si rivolse a [[Diodoro Siculo]], che presentava gli Atlantidei di Platone come il primo popolo della Terra, dicendo inoltre che era stato unito insieme e civilizzato da [[Urano (mitologia)|Urano]]. Discutendo poi la successiva storia mitologica relativa alle guerre di successione tra gli dei e i Titani, fino alla sconfitta da parte di Giove del padre Saturno, Bailly ipotizzò che questa narrativa mitologica aveva in realtà radici nella reale storia dinastica di questa prima civiltà umana.<ref>Jean Sylvain Bailly, ''Letters sur l'Atlantide de Platon'', 60–62.</ref> Poi, ritenendo che con il passare del tempo e con la ovvia perdita di contatto diretto con gli Atlantidei le leggende delle loro grandi gesta si siano sempre di più "mitizzate", Bailly suggerì un ipotetico parallelo moderno: «Lei sa, signor Voltaire, tutto ciò che la verità e l'adulazione hanno detto del grande secolo di [[Luigi XIV]]. Immaginiamo una colonia di francesi, stabilitasi oggi in qualche paese lontano e senza comunicazione [con la Francia], che si mescola con gli abitanti nativi lì, narrando loro delle meraviglie di questo famoso regno, della magnificenza di Versailles, degli oceani uniti, delle acque che attraversavano le montagne per portare le barche, del re glorioso che domina l'Europa con la sua ascesa [...] se queste storie poi passassero di bocca in bocca e di generazione in generazione, non ci vorrebbe molto tempo per far diventare gli europei un popolo di giganti, e di farli apparire come esseri dalla natura potente, superiori a quella dell'uomo. Luigi XIV sarebbe stato il re di questi "geni", Caterina II invece sarebbe stata una fata che animava il Nord con una torcia accesa in mezzo al ghiaccio.»<ref>''Ibid.'', 188–9.</ref>
Postulando l'ipotesi che Atlantide fosse un vero e proprio luogo, anche se ormai scomparso, Bailly ha poi cominciato a raccogliere gli indizi lasciati da Platone e dagli altri autori antichi sulla sua posizione, sostenendo che gli studiosi precedenti aveva commesso un errore cercandola in occidente, piuttosto che a nord.<ref>''Ibid.'', 83–4; e Bailly, ''Histoire de l’astronomie'', 285–286.</ref> Bailly inoltre paragonò il mito greco di [[Prometeo]] – che era stato legato alle montagne del [[Caucaso]] per aver commesso il crimine di aver dato il fuoco agli uomini – al culto [[Zoroastro|zoroastriano]] del fuoco sacro, sostenendo che le due storie riflettevano una comune origine nel freddo nord, dove il mantenimento di una fiamma eterna era essenziale per la conservazione della vita. Egli scrisse che «poiché il clima ci domina, gli uomini dimostrano con le loro abitudini le terre in cui sono nati» e sostenne, per questo motivo, che la venerazione del fuoco non poteva essere originaria delle terre calde del sud dove non aveva senso di esistere.<ref>Bailly, ''Lettres sur l'Atlantide de Platon'', 199.</ref> Bailly scrisse inoltre che il sole, che «regnava come un despota» ai tropici, poteva essere un oggetto di venerazione solo per i popoli del nord, dove la sua scomparsa minacciava la distruzione della vita mentre il suo ritorno segnava il rinnovamento della speranza, e citò [[Apollo]] come una «divinità di queste terre fredde, un Dio straniero, successivamente adottato dai Greci».<ref>''Ibid.'', 211, 132.</ref>
Lo spostamento di Atlantide, fatto da Bailly, dall'Occidente e a sud dell'Europa, verso Oriente e a nord, e la attribuzione di un suo ruolo centrale per il [[Caucaso]] nella remota preistoria del genere umano, non erano comunque le riflessioni isolate di un pensatore solitario, ma riflettevano le assunzioni storiche, estetiche, e le ipotesi geografiche del suo tempo.
===Atlantide Iperborea===
Ciò che interessava Bailly relativamente ai [[Mitologia del Sole|miti solari]] era il loro collegamento con gli [[Ade (regno)|Inferi]]: l'ultima delle [[dodici fatiche di Ercole]] (nella sequenza tradizionale) lo aveva portato sottoterra per catturare [[Cerbero]] che, proprio come [[Persefone]], un'altra figura "solare", rimaneva negli Inferi per metà dell'anno. Questi episodi e altri, come Bailly ipotizzava, non potevano che simboleggiare la completa scomparsa del sole; gli inventori di tali miti dovevano quindi aver vissuto ad una latitudine tale per cui il sole periodicamente scompariva dal cielo. Respingendo le teorie precedenti sulla posizione di [[Atlantide]], Bailly reputò di aver raggiunto la sorprendente conclusione che [[Atlantide]] si trovasse vicino al [[Polo Nord]], all'incirca vicino all'arcipelago delle [[Novaja Zemlja]] (anche perché Atlantide era un'isola). Bailly procedette quindi identificando il popolo degli Atlantidei con quello degli [[Iperborei]], popolo mitico - di cui parla anche [[Erodoto]] - che viveva al di là (''iper''-) del vento del nord (''Boreas''). Poco si sapeva su di loro, tranne il fatto che adoravano [[Apollo]], il Dio del sole. Naturalmente, come Bailly riconosceva, [[Iperborea]] ormai era inabitabile, ma in passato, quando invece il clima era diverso, e ai poli faceva più caldo. L'Atlantide Iperborea diventava quindi un candidato ideale, agli occhi di Bailly, come civiltà originaria; questa civiltà, comunque troppo presto abbandonata a causa del raffreddamento terrestre, testimoniò, agli occhi di Bailly, la vera [[età dell'oro]]: «l'età d'oro, questo affascinante racconto, non è che il ricordo di una terra abbandonata, ma ancora cara».<ref>Bailly, ''Lettres sur l'origine des sciences'', 95-103</ref>
===Bailly e il termine "caucasico"===
(9) L'invenzione del termine "caucasico" come categoria per descrivere i popoli dalla pelle chiara dell'[[Europa]] e dell'[[Asia occidentale]] si basava su teorie illuministe della diversità umana, così come su valori estetici neoclassici comuni per l'élite europea del XVIII secolo. Lo storico Bruce Baum ha notato che «gli antichi greci [...] vedevano la catena del Caucaso come il luogo della sofferenza di Prometeo» e come «la terra della Colchide» da cui [[Giasone]] e gli [[Argonauti]] salparono alla ricerca del [[vello d'oro]]. Baum ha osservato inoltre che «nell'Europa cristiana, la fonte più importante per le convinzioni sulle origini dell'umanità nel Caucaso è stata il racconto, allora prevalente, secondo cui Noè approdò lì dopo il diluvio».<ref>Bruce Baum, ''The Rise and Fall of the Caucasian Race: A Political History of Racial Identity'' (New York, 2006), 82.</ref>
Baum ha osservato anche che il primo autore a utilizzare il termine "caucasico" come categoria razziale fu il tedesco Christoph Meiners nel [[1785]], e che il termine entrò nel mainstream del discorso scientifico con la terza edizione della tesi di [[Johann Friedrich Blumenbach]] ''De generis humani varietate nativa liber'' ("Della naturale varietà dell'Umanità"), pubblicato nel 1795. Blumenbach spiegava la scelta del termine dichiarando che il [[Caucaso]] «produce la più bella razza di uomini [...] e perché [...] in quella regione, semmai, a quanto pare dovremmo poter posizionare con molta probabilità gli autoctoni del genere umano».<ref>''Ibid.'', 5–6.</ref> Dati i fattori estetici, religiosi, storici e politici in gioco, la designazione del Caucaso come il luogo di nascita del genere umano è stata forse sovradeterminata.
(10) A differenza dei suoi contemporanei tedeschi Meiners and Blumenbach, e questo va notato, Bailly non ha mai usato la parola "caucasico" come termine descrittore di una razza; per lui, inoltre, il [[Caucaso]] non era neanche la dimora originaria degli Atlantidei, ma la posizione da cui diffusero la civiltà agli antichi greci. Queste distinzioni sottili, tuttavia, furono facilmente trascurate mentre la nozione di "razza caucasica" a poco a poco metteva le proprie radici nell'immaginario europeo.
===La problematica del clima===
(12) La teoria di un Atlantide settentrionale di Bailly, tuttavia, sollevato più difficoltà di quante ne risolvesse. Infatti, riflettendo l'ipotesi aristotelica dell′''aurea mediocritas'' (una giusta via di mezzo), la teoria illuministica del clima, come essa era stata sviluppata da Montesquieu e Buffon, presentava entrambi i climi, sia quello polare che quello equatoriale, come barriera allo sviluppo umano.<ref>Minuti, ''Oriente barbarico e storiografia settescentesca''.</ref>
Nella sua risposta a Bailly, Voltaire espresse dubbi sul fatto che l'astronomia sarebbe potuto essere stata inventata in «un clima coperto di neve e gelate orribili», concludendo che «la terra con delle notti incantevoli è l'unica in cui l'astronomia sarebbe potuto essere nata».<ref>''Letter of Voltaire to Bailly'', 9 Feb. 1776, riprodotta in Bailly, ''Lettres sur l'origine des sciences'', 12–14.</ref> Il duro clima dell'Asia settentrionale rappresentava quindi una barriera concettuale per le teorie di Bailly che necessitava di essere spiegata.
Al fine di affrontare queste obiezioni e per spiegare la migrazione verso sud degli antichi Atlantidei, Bailly adottò il modello del raffreddamento globale proposto precedentemente da Buffon, che cercava di spiegare la presenza degli elefanti (in realtà dei [[mammut]]) nel Nord Europa, sostenendo che la terra in passato fosse stata molto più caldo di quanto lo fosse invece allo stato attuale, e che le zone adesso fredde fossero una volta temperate e piacevole da abitare. «Non è strano − sottolineava Bailly − che il signor Buffon, ipotizzando il raffreddamento del globo, immaginava che gli uomini avevano dovuto originariamente abitare l'altopiano della [[Siberia]], zone pianeggianti più elevate rispetto alla maggior parte delle montagne del mondo, in quanto furono le prime ad essersi raffreddate, e quindi le prime terre abitabili».<ref>Bailly, ''Lettres sur l'origine des sciences'', 266.</ref>
Spiegando che il «fuoco centrale» al centro della terra conservava calore sufficiente sul pianeta per renderlo abitabile anche in inverno, Bailly citò l'ipotesi di Buffon secondo cui la Terra fosse inizialmente un globo «riscaldato a incandescenza, che poi si è raffreddato, come risultato della sua grande massa, molto lentamente» nel corso di numerosi secoli in moda da «discendere dallo stato d'incandescenza fino ad una temperatura abitabile». Ovviamente questo processo di raffreddamento, per Bailly sarebbe continuato e quindi la Terra sarebbe stata destinata «ad evolversi, dalla temperatura di cui godiamo oggi, fino alla cessazione del calore, ovvero allo stato di ghiaccio e di morte, che dovrà essere la fine di ogni cosa».<ref>''Ibid.'', 270, 308.</ref>
Osservando che «vi è quindi una causa costante che, nel lungo periodo, ha prodotto questi cambiamenti» Bailly suggerì che la dimora originaria del genere umano si trovava molto a nord, all'interno del [[circolo polare artico]], che, poiché la Terra si era gradualmente raffreddata, fu la prima regione del mondo a diventare abitabil. Però l'uomo in seguito dovette fuggire da questa culla originaria dell'umanità quando questa, a causa del raffreddamento, fu ricoperta da un muro di ghiaccio. Come il paradiso biblico, questo Eden artico diventava inaccessibile: «La natura l'ha bloccato. Il mare lì è solido come lo sono i nostri fiumi durante un inverno rigido; una cintura di ghiaccio avvolge il polo, e questo antico mondo è morto per il freddo».<ref>Bailly, ''Lettres sur l'Atlantide'', 251, 435.</ref>
Il modello di Buffon di un cambiamento climatico globale, offriva a Bailly una spiegazione plausibile per l'ascesa macro-storica e la successiva scomparsa di una civiltà primordiale nel lontano nord. Chiamando la [[Tartaria]] come «la culla di tutti i popoli, il "palco" in cui sono state interpretate grandi scene antiche» Bailly dichiarò che: «Se anche è stata devastata dalle guerre, se anche la costituzione della sua aria è cambiata, se anche i suoi abitanti l'hanno ormai quasi abbandonata per paesi più ricchi e desiderabili, non dobbiamo comunque essere ingiusti, cerchiamo di non avere l'ingratitudine e l'orgoglio dei ''parvenus'', e nella nostra opulenza, dobbiamo comunque ricordare la nostra origine».<ref>''Ibid.'', 273.</ref>
Bailly concluse con un appello a Voltaire, «Mi permetto di pregarla, signore, a credere nel raffreddamento della terra, come lei ha creduto nell'attrazione di Newton. Lei è in Francia un apostolo di questa grande verità; offro a lei un'altra verità che merita lo stesso omaggio».<ref>''Ibid.'', 440.</ref>
===Il metodo di Bailly===
(14) L'eclettica metodologia di Bailly si basava non solo sulla mitologia, sulla geologia, e sulla teoria del clima, ma faceva anche uso della [[filologia]]. Ciò non è affatto sorprendente, in quanto l'etimologia era centrale alla moderna "geografia sacra", che cercava di ricavare le origini dei popoli contemporanei progenitori dalla [[Bibbia]], mentre, nel [[XIX secolo]], una molto più rigorosa scienza della filologia sarebbe diventata centrale per la ricostruzione degli alberi genealogici delle civiltà mondiali.<ref>Maurice Olender, ''The Languages of Paradise: Race, Religion, and Philology in the Nineteenth Century''</ref>
Bailly stesso non era un linguista (infatti, la sua limitata padronanza delle lingue classiche fu citata da coloro che si opposero alla sua entrata nell'[[Académie des inscriptions et belles lettres]]<ref>Smith, ''Jean-Sylvain Bailly: Astronmer, Mystic, Revolutionary'' 497</ref>), ma in una delle sue prime opere, l′''[[Elogio di Leibniz (Bailly)|Éloge de Leibniz]]'', composto un decennio prima per l'[[Accademia di Berlino]], Bailly aveva lodato il filosofo tedesco per aver riconosciuto l'importanza dello studio comparativo del linguaggio nella ricostruzione della preistoria dei popoli, notando che proponeva «di scavare dalle stesse lingue dei popoli la tanto ricercata conoscenza delle proprie origini e i legami di parentela con gli altri popoli».<ref>Bailly, ''Discours et mémoires'' (Parigi, 1790), 181–235, 197</ref>
Bailly ritornò su questo tema nella sua corrispondenza con Voltaire, scrivendo: «La struttura del linguaggio riflette l'accento del clima. [...] Le lingue, se ben comprese e ben studiate, possono quindi rivelare l'origine dei popoli, la loro parentela, le terre che un tempo abitavano, il livello di conoscenza che essi hanno raggiunto e il grado di maturità del loro spirito».<ref>Bailly,''Lettres sur l'Atlantide de Platon'', 293.</ref>
In risposta all'obiezione di [[Voltaire]] che nessuna solida evidenza storica aveva dimostrato l'esistenza di questa civiltà settentrionale primordiale, Bailly insistette: «In realtà è rimasto un bel monumento a questi educatori stranieri [...] è il sanscrito, è questa lingua dotta, abbandonata da coloro che la parlavano a persone che ormai non la capiscono più. [...] Quale più grande prova può essere data ad un filosofo come te, signore? Una lingua morta presuppone un popolo distrutto, questa è una verità inconfutabile».<ref>''Ibid.'', 17, 19.</ref>
Bailly paragonò la conservazione del sanscrito tra l'élite [[Brahmani|Brahmanica]] con l'uso continuato del latino tra gli eruditi francesi, e suggerì che, proprio come i francesi erano stati originariamente civilizzati dai Romani, questa evidenza linguistica dimostrava che gli Indiani in passato sono stati civilizzati da un popolo straniero che parlava il [[sanscrito]].<ref>Bailly, ''Lettres sur l'origine des sciences'', 85.</ref>
Anche se Bailly non sapeva né poteva leggere il sanscrito, né qualsiasi altra lingua asiatica antica o moderna, egli anticipò il ruolo che la filologia avrebbe giocato nella ricostruzione delle rotte migratorie e nella costruzione del mito ariano nei decenni successivi.
Egli ha poi discusso gli sforzi storico-linguistici di Leibniz, de Brosses, e Court de Gebelin, notando con approvazione la classificazione di Leibniz in lingue del nord come "Iafetiche" (dopo che il figlio di Noè, i cui discendenti si credeva che avessero colonizzato l'Europa), e in quelle del sud come "Aramee", una divisione che Bailly associava ai due lati del [[Caucaso]].<ref>Bailly, ''Lettres sur l'Atlantide de Platon'', 302.</ref> Come vedremo, i filologi e filosofi successivi avrebbero costruito una nuova scienza dell'uomo su questa distinzione linguistica, che descrive il primo gruppo indo-tedesco, [[indoeuropeo]] o [[ariano]] e il secondo come semitico.<ref>Poliakov, ''The Aryan Myth'', 193.</ref>
==Le ''Lettres'' a Voltaire==
(19) Uno dei primi destinatari del lavoro di Bailly, quando questi era ancora in fase di definizione, fu Voltaire stesso, che riconobbe la plausibilità delle sue tesi con una lettera incoraggiante (anche se leggermente sarcastica), che Bailly pubblicò assieme alla loro conseguente corrispondenza epistolare nella prefazione del libro del [[1777]], ''Lettres sur l'origine des sciences, et sur celle des Peuples de l'Asie'', destinato proprio a Voltaire.<ref name="Dan Edelstein" /><ref name="Dan2" /> In questo testo, Bailly cercò di confutare la convinzione di Voltaire sul fatto che i [[brahmani]] fossero il più antico popolo del mondo e che, come Voltaire sosteneva, c'era ancora un grande paese, vicino a [[Benares]], dove l'età dell'oro di Atlantide continuava ad esistere (Voltaire aveva sviluppato questa idea nella sua breve storia ''La princesse de Babylone'').
Anche se intanto Voltaire era morto prima che potesse rispondergli dopo la pubblicazione, Bailly comunque pubblicò un ulteriore libro per difendere la sua tesi, le ''Lettres sur l'Atlantide de Platon et sur l'histoire de l'ancienne Asie'' (1779).<ref name="Dan Edelstein" /><ref name="Dan2" />
(4) Queste tesi richiamarono l'attenzione di [[Voltaire]] negli ultimi anni della sua vita, e portarono ad una lunga corrispondenza epistolare tra l'astronomo e il filosofo di [[Ferney]]. L'interesse di Voltaire verso l'India era cresciuto durante i decenni finali della sua vita, in quanto, come già antecedentemente detto, gli appariva come il luogo più plausibile in cui trasportare la "terra santa" biblica, intesa come culla della civiltà.
(5) Secondo Harvey, «sebbene colpito dalla storia dell'astronomia di Bailly, Voltaire era ben poco convinto dalla sua pretesa delle origini nordiche della scienza».<ref>David Allen Harvey, ''The lost Caucasian civilization: Jean-Sylvain Bailly and the roots of the Arian myth'', p. 6.</ref> Dichiarando di essere «convinto che ogni cosa sia giunta a noi dalle sponde del Gange» Voltaire rispose che i Brahmani «dimorando in un clima incantevole e al quale la natura aveva donato tutti i suoi doni, dovevano, mi sembra, avere più tempo libero per contemplare le stelle rispetto ai Tartari e agli Uzbeki» facendo riferimento ai territori, quelli della [[Scizia]] e del [[Caucaso]], che secondo Bailly avevano ospitato quella sconosciuta civiltà avanzata chi cui parlava.<ref>Jean Sylvain Bailly, ''Lettres sur l’origine des sciences et sur celle des peuples de l’Asie'' (Paris, 1777), 4.</ref> Al contrario, sosteneva che «la Scizia non ha mai prodotto nulla, se non le tigri, capaci solo di divorare i nostri agnelli» e chiese ironicamente a Bailly: «È credibile che queste tigri siano partite dalle loro terre selvagge con quadranti e astrolabi?».<ref>Jean Sylvain Bailly, ''Lettres sur l'origine des sciences'', 6.</ref> Lo storico Rolando Minuti ha notato che le «metafore zoomorfe» erano centrali nella rappresentazione di Voltaire dei popoli "barbari" del [[Asia centrale]], e gli servivano all'interno della sua macro-narrativa sull'origine della civiltà per giustapporre la natura distruttiva e animalesca dei popoli nomadi con la coltivazione delle arti e delle scienze dalla civiltà urbane, dipingendo le prime come «le antagoniste storiche della civilizzazione».<ref>Rolando Minuti, ''Oriente barbarico e storiografia settescentesca: Rappresentazione della storia dei Tartari nella cultura francese del XVIII secolo'' (Venezia, 1994), 102, 41.</ref>
Conseguentemente, sebbene Voltaire abbia lodato come «ingegnosa e probabile» l'asserzione di Bailly che la differenza nella durata del giorno tra l'estate e l'inverno possa aver ispirato le prime osservazioni astronomiche, suggerì però, ribaltando le prove di Bailly a suo favore, che questo contrasto sarebbe potuto essere sufficientemente visibile nel lontano nord dell'[[India]], al 36° parallelo.
Voltaire osservava che i Greci accreditavano l'India come fonte di saggezza antica, e chiese a Bailly: «Qualcuno ha mai conosciuto un filosofo greco che abbia cercato le scienze nella terra di [[Gog e Magog]]?». E pur riconoscendo che i Brahmani dell'India contemporanea non sembravano essere all'altezza della loro antica reputazione, Voltaire dice astutamente a Bailly: «Considera, ti prego, che non c'è più né un [[Platone]] ad [[Atene]] né un [[Cicerone]] a [[Roma]]».<ref>Jean Sylvain Bailly, ''Lettres sur l’origine des sciences et sur celle des peuples de l’Asie'' (Paris, 1777), 7-8.</ref> Ciononostante, Voltaire è stato gentile e generoso con Bailly, gratificando il suo libro come un «capolavoro della scienza e del genio».<ref>''Ibid.''; 12-14.</ref>
==Pareri e critiche contemporanee a Bailly==
Il lavoro di Bailly fu applaudito da alcuni dei suoi contemporanei. Il filosofo tedesco [[Johann Gottfried Herder]], ad esempio, parlò con approvazione delle «ipotesi audaci di Bailly», ed espresse la speranza che queste ricerche avrebbero offerto nuove intuizioni sulla remota preistoria remota dell'umanità.<ref>Johann Gottfried Herder, ''General Reflections on the History of the Asian States'', tradotto da Ernest Menze in ''Herder, On World History'' (London, 1996), 245.</ref>
Il periodico ''Correspondance littéraire'' offrì una vaga, ma generalmente favorevole, valutazione dei volumi di Bailly, concludendo che: «Il signor Bailly porta i suoi lettori in un tour globale; li porta a viaggiare [...] attraverso tutti i deserti dello spazio e del tempo, nella speranza di scoprire alcuni resti, qualche ricordo del popolo e della terra di Atlantide, ed apre questo lungo percorso con tante interessanti ricerche ed osservazioni ingegnose che rendono piacevole seguirlo».<ref>Review of Bailly, ''Lettres sur l’Atlantide de Platon, Correspondance littéraire'', November 1778, 114–15.</ref> [[Friedrich Melchior Grimm]], che curava la pubblicazione della ''Correspondance littéraire'', inviò addirittura una copia dell′''Histoire de l'Astronomie ancienne'' di Bailly a [[Caterina II di Russia]], che fu così soddisfatta dall'ipotesi dell'astronomo secondo cui le arti e le scienze sarebbero potute essere nate in [[Siberia]] da inviargli una scatola di gioielli come regalo.<ref>Smith, ''Jean-Sylvain Bailly: Astronomer, Mystic, Revolutionary (1736-1793)''; 460.</ref>
Mentre l'imperatrice di Russia era lusingata all'idea che la prima civiltà mondiale forse provenisse dai suoi domini, alcuni dei compatrioti francesi di Bailly si scandalizzarono per il fatto che la sua teoria non riconoscesse alcun contributo ai propri antenati, i [[Galli]]. L'abate [[Nicolas Baudeau]] sostenne nella sua ''Mémoire à consulter pour les anciens Gaulois'' che in realtà furono gli antichi Galli, antenati dei francesi, i veri pionieri dell'astronomia, citando l'affermazione di Bailly secondo cui la scienza si sviluppò intorno al quarantanovesimo parallelo di latitudine. Bailly respinse le esaltazioni patriottiche di Baudeau, pur riconoscendo che «anche i nostri buoni Galli discendono dalla stessa patria comune come tutti gli altri popoli».<ref>Bailly, ''Lettres sur l'Atlantide de Platon'', 326–7, 332.</ref>
L'ipotesi di Bailly trovò un paio di difensori coraggiosi in [[Francia]], in particolare tra i circoli esoterici e illuministi in cui lui stesso si dilettava. Un ''philosophe'' minore, Jean-Baptiste Delisle di Sales, successivamente suo biografo, riecheggiò molte delle teorie che Bailly sosteneva sulle origini della civiltà nella sua opera a più volumi ''Histoire philosophique du monde primitif'', in cui dichiarava che la civiltà originaria del genere umano fosse localizzata nel [[Caucaso]], ma che si era successivamente spostata per le invasioni barbariche e le sue tracce si erano cancellate a causa del raffreddamento della Terra. Un'altra figura oscura, il mistico [[Antoine Fabre d'Olivet]], in seguito sviluppò lo stesso tema nell′opera ''Histoire philosophique du genre humain''. Fabre d'Olivet prese in prestito varie idee sia da Baudeau che da Bailly, parlando nella sua opera della presunta conquista [[ariana]] dell'India ed identificando il suo protagonista, Rama, come un druido celtico espulso dalla sua terra ancestrale per aver respinto la tradizione dei sacrifici umani. Fabre d'Olivet diede una colorazione fortemente razziale alla sua preistoria, narrandola come lotta per il dominio globale tra le diverse razze umane, ciascuna associata ad un continente diverso e con origini separate; nell'opera inoltre la conquista da parte dei (bianchi) Ariani dei (neri) Indiani viene considerata il primo punto di svolta nella storia dell'umanità.<ref>David Allen Harvey, ''Beyond Enlightenment: Occultism and Politics in Modern France'' (De Kalb, IL, 2005).</ref>
I colleghi scienziati di Bailly, ammiratori del suo lavoro sulla storia dell'astronomia, che aveva basi empiriche un po' più solide, si divisero per quanto riguarda invece le sue speculazioni più audaci sulla preistoria. Uno dei suoi più ferventi sostenitori, almeno all'inizio, fu, ad esempio, il suo protettore [[Georges-Louis Leclerc de Buffon|Buffon]].
Però Bailly ricevette comunque da più parti numerose critiche, sia dal mondo accademico (ad esempio da [[Jean Baptiste Le Rond d'Alembert|d'Alembert]] o [[Nicolas de Condorcet|Condorcet]]), sia dall'ambiente clericale (l'[[Thomas-Marie Royou|abate Royou]]) sia da vari orientalisti ([[William Jones (filologo)|William Jones]] e [[Joseph de Guignes]]).
Ironia della sorte, fu l'approvazione di Bailly alla teoria del cambiamento climatico globale, forse «una delle poche solide travi nel castello di carte che Bailly aveva costruito» secondo lo storico David Harvey<ref>David Allen Harvey, ''The lost Caucasian civilization: Jean-Sylvain Bailly and the roots of the Arian myth'', p. 21.</ref>, il punto più attaccato dai suoi contemporanei.
Come risultato di tali critiche, Bailly fece, almeno parzialmente, marcia indietro, almeno dalle sue affermazioni più avventurose, nei suoi scritti successivi. Nel suo ''Traité de l’astronomie indienne et orientale'' (pubblicato nel [[1787]]), Bailly continuò ad insistere sul fatto che i [[brahmani]] che compilarono le antiche [[carta celeste|tavole astronomiche]] [[India|indiane]] fossero in realtà nuovi arrivati che migrarono in India da una patria più a nord (che adesso lui situava nelle vicinanze del [[Tibet]]), ma caddero nel silenzio tutti i riferimenti espliciti a Atlantide.<ref>Jean-Sylvain Bailly, ''Traité de l’astronomie indienne et orientale'' (Parigi, 1787).</ref>
Lo stesso Delisle di Sales riferì che la teoria di Bailly generò un «entusiasmo effimero», ma fu presto dimenticata perché «il viaggio del nuovo Montesquieu [Bailly] verso Atlantide a [[Spitzbergen]] non aveva maggiore autorità del viaggio verso la luna di [[Cyrano de Bergerac]]».<ref>Delisle de Sales, "Vie littéraire et politique de Bailly", 24.</ref>
===I pareri di Buffon, d'Alembert e Condorcet===
Uno dei più favorevoli fu il suo protettore [[Georges-Louis Leclerc de Buffon|Buffon]], collega nell'[[Académie des Sciences]], che citò i primi lavori di Bailly, le ''Histoires'' sulla storia dell'astronomia e della scienza nel suo lavoro ''Des époques de la nature'' pubblicato nel [[1778]]. In questo lavoro, Buffon concordava con Bailly che la «civiltà primordiale» del genere umano doveva essere esistita sulle alte montagne e sugli gli altipiani dell'[[Asia centrale]], scrivendo «è dunque nelle regioni settentrionali dell'Asia che la radice della conoscenza umana è sorta; è su questo tronco dell'albero della scienza che il trono del suo potere è stato sollevato». La conoscenza scientifica non poteva che emergere, proseguiva Buffon, tra «uomini attivi in un clima felice, sotto un cielo chiaro da osservare e su un terreno fertile da coltivare». Sostenne inoltre che, quando si raffreddò la Terra e le acque del diluvio si abbassarono, queste condizioni favorevoli emersero prima «nel mezzo dell'Asia, tra il 40° e il 50° grado di latitudine [...] in questa terra più elevata, più solida rispetto alle altre [...] ad oltre cinquecento leghe dagli oceani». Questa regione, ha concluso, ha visto l'emergere «del primo popolo degno di questo nome, [...] creatore delle arti, delle scienze, e di tutta la conoscenza utile».<ref>Georges-Louis Leclerc, comte de Buffon, ''Des époques de la nature'' (1778), in ''Chefs d’oeuvres de Buffon'' (Paris, 1864), 507–8.</ref> Buffon non approvò, però, tutte le affermazioni di Bailly, perché egli affermava, diversamente da Bailly, che l'Atlantide di cui narravano gli antichi non era altro che un continente perduto nell'Atlantico il quale, un tempo, univa l'Europa e l'America, rendendo possibile la migrazione sia degli uomini che degli animali da un continente all'altro.<ref>''Ibid.'', 477.</ref>
Tuttavia, Buffon elogiò l′''Histoire de l'astronomie ancienne'' di Bailly come esempio di «furbizia di intuizione e profondità di erudizione», e più volte sponsorizzò l'astronomo come candidato per l'ammissione al [[Académie française]]. A questa nomina pose il veto l'insigne matematico [[Jean Baptiste Le Rond d'Alembert]], grande nemico di Buffon e Bailly, che scrisse a Voltaire che «il sogno di Bailly circa un antico popolo che ci avrebbe insegnato tutto tranne il proprio nome e la propria esistenza, mi sembra una delle cose più vuote che l'uomo abbia mai sognato».<ref>Kelly, ''Victims, Authority, and Terror'', 163</ref> Bailly fu finalmente ammesso all'Accademia francese nel 1783, un anno dopo la morte di d'Alembert.
Nel suo discorso in occasione della ammissione di Bailly all'Accademia, il marchese [[Nicolas de Condorcet]], lacchè di d'Alembert, altro grande avversario di Bailly all'[[Accademia francese delle scienze]], condannò le speculazioni preistoriche dell'astronomo attraverso un debole elogio, che mascherava la sua disapprovazione. Ad esempio paragonando lo stile elegante di Bailly ai «romanzi e alle opere teatrali» gli disse satiricamente: «Se mai il suo sistema incontrerà il destino di tante altre opinioni, i nomi e il genio dei cui autori non sono stati sufficienti a garantirne la conservazione, il suo lavoro sarà più fortunato e i posteri vi perdoneranno il vostro popolo iperboreo, come si sono perdonati gli atomi a [[Lucrezio]] e come si è perdonata la teoria dei vortici all'autore dell′''Entretiens sur la pluralité des mondes'' [ovvero [[Bernard le Bovier de Fontenelle|Fontenelle]]]» (all'epoca la [[atomo|teoria atomica]] di [[Democrito]] e [[Lucrezio]] non era accettata dalla comunità scientifica e fu risollevata solo nel [[XIX secolo]] da [[John Dalton]]).<ref>Condorcet, ''Discours prononcés dans l’Académie française le jeudi 26 f´evrier 1784'', à la réception de M. Bailly'' (Parigi, 1784), 18.</ref>
Condorcet respise in seguito le ''Lettres sur l'Atlantide'', con le stesse parole con cui Bailly a volte le aveva descritte, ovvero come un «''roman philosophique''» (ovvero un "romanzo filosofico").
===Il boicottaggio clericale: la disputa con Royou===
I classicisti e i commentatori clericali furono estremamente negativi nelle loro valutazioni sulle speculazioni preistoriche di Bailly. Questa opposizione non fu sorprendente, in quanto, come osservava lo storico [[Pierre Vidal-Naquet]], l'Atlantide di Bailly «svolse un duplice ruolo: era sia un sostituto per la Giudea che una vera e propria controparte del Eden biblico».<ref>Vidal-Naquet, ''The Atlantis Story'', 86.</ref> Allo stesso modo, la storica Chantal Grell scrive che nel «sistema deista di Bailly» gli Atlantidei «andavano ad occupare il posto riservato in precedenza al popolo ebraico» come «unico attore della storia primitiva».<ref>Chantal Grell, ''L’histoire entre ´erudition et philosophie'' (Parigi, 1993), 109.</ref>
Un critico cattolico lamentò che nel lavoro di Bailly «al popolo ebraico è totalmente negata la prerogativa di aver illuminato le nazioni, come quasi tutti gli studiosi rispettabili hanno finora creduto».<ref>Vidal-Naquet, ''The Atlantis Story'', 86.</ref>
Inoltre, un anonimo recensore delle ''Lettres sur l'Atlantide de Platon'' nel ''[[Journal des sçavans]]'' evidenziò le numerose discrepanze tra la rappresentazione di Atlantide fatta da Bailly e quella presentata nel ''[[Timeo (dialogo)|Timeo]]'' e nel ''[[Crizia (dialogo)|Crizia]]'' di [[Platone]], attirando l'attenzione sulla dipendenza delle ipotesi dell'astronomo francese dal tanto deriso ''Atlantica'' di [[Olaus Rudbeck]]. Egli suggerì che la mitologia classica si sarebbe compresa meglio se letta allegoricamente, piuttosto che come una rappresentazione distorta di eventi preistorici reali. Il recensore concluse che Bailly «avrebbe fatto meglio ad occupare il suo tempo a far progredire l'astronomia [...] piuttosto che in ricerche laboriose sulle sue oscure origini».<ref>''[[Journal des sçavans]]'', gennaio 1779, 23.</ref>
Una revisione ampia e graffiante delle ''Lettres sur l'Atlantide de Platon'' apparso nella ''Année littéraire'' nel [[1779]], scritta dall'abate [[Thomas-Marie Royou]], cognato di Élie Fréron (nemesi di lunga data di Voltaire), e successore dello stesso Fréron come redattore della rivista. Criticando Bailly per aver adottato un «''esprit de système''» (ovvero uno "spirito di sistema") e per aver «trasformato la storia in un romanzo» Royou dichiarò che nel lavoro di Bailly «la chimera ha detronizzato realtà, e il paradosso è sorto sopra le macerie della verità».<ref name="royou">Thomas-Marie Royou, ''Review of Bailly, Lettres sur l’Atlantide de Platon'', negli ''Année littéraire'', 1 (1779), 217–46, 217–20, 225.</ref> Lamentò inoltre che: «Bailly, che con la sua conoscenza e la sua intelligenza era stato precedentemente in grado di estendere i limiti della scienza [...] ha preferito la frivola gloria di ricercare accuratamente le origini dell'astronomia alla più solida gloria di estendere il progresso della scienza attraverso opere utili. [...] Invece di aggiungere i propri ''lumières'' a quelli del suo secolo, è corso a perdersi nel buio impenetrabile della più remota antichità».<ref name="royou" />
Il risultato di questi sforzi, come scrisse Royou, fu «un immenso ma fragile edificio, un'opera di pura immaginazione, al punto che anche il soffio leggero di una critica potrebbe distruggerlo da cima a fondo».<ref name="royou" /> Anche se «fino ad ora tutti gli studiosi hanno concordato nel considerare gli abitanti dei paesi del sud come gli inventori delle arti e delle scienze» Bailly «sospetta l'esistenza di un popolo antico, che molto prima del [[diluvio universale]], avrebbe coltivato e fatto avanzare la scienza dell'astronomia», anche se «non conosceva ancora il nome di questo popolo famoso, né i luoghi che abitavano, né l'epoca che ha visto la sua nascita». Royou quindi colpevolizzava Bailly per «aver trasportato a [[Spitzbergen]] la culla del mondo, delle scienze e delle arti», anche se «tutti gli storici, tutti i geografi antichi e moderni collocano l'isola di Atlantide nell'oceano omonimo, di fronte alle [[colonne d'Ercole]], che non sono altro che (le montagne che fiancheggiano) lo stretto di Gibilterra».<ref name="royou" />
Royou incolpava Bailly per errori sia d'erudizione classica sia di logica scientifica, notando che gli antichi sostenevano che gli Atlantidei non adorassero il sole, ma piuttosto lo evitassero e odiassero, in quanto vivevano in un clima molto caldo, mentre gli stessi autori riferivano che la dimora degli [[Sciti]] era quasi deserta a causa del freddo estremo del suo clima. L'abate inoltre osservava che la storia di Bailly distruggeva la cronologia sacra inventando un popolo preesistente agli indiani e ai cinesi, e ha criticato Bailly per aver sostituito la Bibbia con «tradizioni orientali, [...] la più assurda collezione di favole [...] che l'immaginazione dell'uomo abbia mai creato».<ref>Royou, ''Review of Bailly, Lettres sur l’Atlantide de Platon'', negli ''Année littéraire'', 2
(1779), 39–72, 55–6, 59.</ref>
La denuncia di Royou dell'ipotesi Atlantidea di Bailly diede luogo a uno scandalo che, in ultima analisi, attirò i censori del Vecchio Regime e l'[[arcivescovo di Parigi]]. Lo scrittore Louis Petit de Bachaumont (1690–1771) osservò che «l'astronomo affermava di essere molto religioso; fece appello al signor [[guardasigilli]] contro un'accusa così grave».<ref>Edwin Burrows Smith, ''Jean-Sylvain Bailly: Astronomer, Mystic, Revolutionary (1736-1793)'' 477.</ref> La dichiarazione di ortodossia religiosa fatta da Bailly non fu in verità molto convincente, e del resto lo storico George Armstrong Kelly lo descrive come «un deista senza una religione personale», mentre un ammiratore a lui contemporaneo, Delisle de Sales, osservò che Bailly «voleva essere un ''philosophe'' nelle sue opinioni, ma non voleva sopportare il timbro».<ref>Kelly, ''Victims, Authority, and Terror'', 153.</ref><ref>Jean-Baptiste Delisle de Sales, “Vie littéraire et politique de Bailly" in ''Sylvain Bailly, maire de Paris et membre de ses trois académies: Homage à sa mémoire'' (Parigi, 1809), 13–104, 24.</ref> Allo stesso modo, lo storico Edwin Burrows Smith nota che Bailly in quella circostanza fu solo un uomo prudente che preferiva evitare le polemiche che invece alcuni dei suoi contemporanei più audaci sembravano voler assaporare. Le dichiarazioni di buona fede fatte da Bailly, tuttavia, soddisfarono i censori, che non solo non vietarono le ''Lettres sur l'Atlantide'', ma costrinsero anche l'abate Royou a rilasciare delle scuse, anche se timide, a Bailly.<ref>On the dispute between Bailly and Royou and its resolution, see Smith, “Jean-Sylvain Bailly,” 477–8.</ref>
===Critiche degli orientalisti: la critica di Jones===
Lo studioso orientalista [[Joseph de Guignes]] criticò Bailly per aver situato la sua civiltà «in Siberia, vicino Selinginskoi e vicino al lago Baikal, una regione dove la natura sembra muta e dove gli abitanti erano anticamente immersi nella più grande barbarie».<ref>Urs App, ''The Birth of Orientalism'', 239.</ref>
Negli ultimi decenni del [[XVIII secolo]], degli studiosi inglesi nella colonia del [[Bengala]] iniziarono la ricostruzione scientifica dell'antica civiltà indiana che lo studioso Raymond Schwab ha etichettato come «Rinascimento Orientale».
Uno tra i più famosi e talentuosi tra questi primi orientalisti, il filologo britannico [[William Jones (filologo)|William Jones]], le cui ricerche in sanscrito avrebbero plasmato il successivo sviluppo del mito ariano, criticò Bailly per aver collocato la culla dell'umanità «non in una qualsiasi normale condizione climatica che il senso comune considererebbe come sede di delizie, ma al di là della [[Fiume Ob|foce del Ob]], nel mare ghiacciato, in una regione eguagliata solo da quella in cui la fervida immaginazione di Dante lo portò a posizionare i peggiori criminali dopo la morte».<ref>William Jones, ''Dissertations and Miscellaneous Pieces Relating to the History and Antiquities, the Arts, Sciences, and Literature of Asia'' (Dublino, 1793), 108–9.</ref>
[[William Jones (filologo)|William Jones]], pur avendo criticato negativamente le opere di Bailly, avrebbe involontariamente dato nuova vita alla teoria dei popoli primordiali e alle migrazioni preistoriche dello stesso Bailly. Linguista molto più bravo di Bailly e dipendente della [[Compagnia Inglese delle Indie orientali]], con accesso diretto ai testi sanscriti e ai [[Paṇḍit]] indù, Jones fece delle scoperte linguistiche che trasformarono la comprensione europea della preistoria nel secolo successivo. Jones presentò questa scoperta nel suo saggio del [[1786]] ''On the Indus'', dove scrisse: «La lingua sanscrita, qualunque sia la sua antichità, ha una struttura meravigliosa, più perfetta di quella greca, più copiosa rispetto al latino, e più squisitamente raffinata di entrambe, pur tenendo con ciascuna di esse un'affinità molto forte [...] che potrebbe essere stata prodotta da un incontro; è così forte infatti, che nessun filologo potrebbe esaminarle tutte e tre senza credere che derivino da qualche fonte comune».<ref>William Jones, ''Dissertations and Miscellaneous Pieces'', 77–8.</ref>
L'archeologo indiano contemporaneo B. B. Lal ha notato che, sebbene le osservazioni di Jones sono stati inizialmente confinate al campo della linguistica, hanno ispirato: «Una teoria sull'esistenza di una "razza", che era stata il vettore di queste lingue verso ovest, in Europa e verso est in India. E si pensò che una qualche zona in [[Asia centrale]] fosse la "casa originale" di questi indoeuropei, anche se molti studiosi preferivano localizzarli in Russia o nel Nord Europa».<ref>B. B. Lal, ''Aryan Invasion of India: Perpetuation of a Myth'', in Edwin Bryant e Laurie Patton, eds., ''The Indo-Aryan Controversy: Evidence and Inference in Indian History'' (New York, 2005), 50–74, 50</ref> Jim Schaffer e Diane Lichtenstein osservano che: «Forse nessuna altra ipotesi degli studiosi del [[XVIII secolo]] [...] ha continuato ad influenzare in modo così forte diverse discipline come la linguistica, la storia, la biologia, l'etnologia e la scienza politica» e argomentano che: «l'eredità degli studiosi occidentali post-illuministi riguardante la storia e la preistoria dell'[[Asia meridionale]] è stata ripetuta così spesso da diventare un dogma».<ref>Jim Schaffer e Diane Lichtenstein, ''South Asian Archaeology and the Myth of Indo-Aryan Invasions'', in Bryant e Patton, ''The Indo-Aryan Controversy'', 75–104, 75–76.</ref>
Ironia della sorte, Jones, sebbene fosse lui stesso abbastanza scettico delle audaci affermazioni di Bailly, finì con il suo lavoro di dare apparente supporto scientifico alla preistoria speculativa di Bailly. Va detto che Jones elogiava Bailly come un «meraviglioso uomo pieno d'ingegno e uno scrittore molto vivace», eppure fu ben lontano dall'essere convinto dell'esistenza di una civiltà perduta nell'estremo nord, così come della trasmissione della civiltà da nord a sud. Anche se aveva accettato la questione del clima, ed infatti era d'accordo con Bailly sul graduale raffreddamento della Terra, Jones sosteneva che la barbarie delle popolazioni dei [[Tartari]] dell'[[Asia centrale]] rendeva di fatto insostenibile la teoria di una trasmissione da nord a sud della cultura. Jones scrisse che l'ipotesi di Bailly ignorava il fatto di «una differenza immemorabile e totale tra i selvaggi delle montagne, come infatti gli antichi cinesi chiamavano giustamente Tartari, e gli studiosi, placidi e contemplativi abitanti delle pianure indiane». Jones respingeva anche l'argomento di Bailly secondo cui il sanscrito, «di cui egli dà un resoconto più che erroneo», «fu la prova dell'esistenza di un'antica civiltà perduta originaria del nord».<ref>Jones, ''Dissertations and Miscellaneous Pieces'', 116–17.</ref>
Lo storico Thomas Trautmann osserva che Jones approcciò lo studio dell'antica [[India]] da ipotesi epistemologiche molto diverse da quelle dei ''philosophes'' francesi [[Voltaire]] e [[Bailly]]. Mentre Voltaire era attratto dall'India per il potenziale che l'antica storia indiana aveva di confutare il racconto della Genesi e mentre Bailly aveva incorniciato la sua Atlantide Nordica alternativa all'Eden biblico, Jones, come la maggior parte dei suoi connazionali britannici fino alla metà del [[XIX secolo]], continuò ad operare all'interno di quello che lo stesso Trautmann chiama «etnologia mosaica», che cercava di conciliare la disciplina nascente dell'[[orientalismo]] con le [[Sacre Scritture]] tracciando la discesa di tutti i popoli del mondo antico dai tre figli di [[Noè]]. Trautmann sostiene che l'interpretazione prevalente di Jones, come pioniere della linguistica comparata e del "mito ariano", oscura il progetto di altri che, prima di lui, «volevano formare una difesa razionale della Bibbia dai materiali raccolti dagli studiosi orientalisti».<ref name="trautmann" /> Per questo motivo, Jones non poteva accettare l'estesa linea temporale di Bailly per la civiltà umana, né il suo rifiuto dell'Eden a favore di Atlantide.<ref name="trautmann">Trautmann, ''Aryans and British India'', 42.</ref>
==Successive speculazioni sulle tesi di Bailly==
Come si è visto, sia Bailly che Voltaire avevano basato le loro argomentazioni riguardanti l'[[antica India]] su informazioni indirette provenienti da fonti non affidabili. La storica Dorothy Figueira ha osservato che la prima articolazione del mito ariano predatava le prove linguistiche in seguito mobilizzate per sostenerlo, scrivendo «La "scoperta" dei [[Veda]], la loro analisi "scientifica", e la loro presenza in Occidente non avrebbe alterato in modo significativo il non-specialistico ritratto degli ariani. Infatti, sembra siano stati gli stessi studiosi orientalisti ad aver fornito la documentazione necessaria per sostenere il l'apparato concettuale dell'Illuminismo».<ref>Figueira, ''Aryans, Jews, Brahmins'', 25–6.</ref> Figueira scrive inoltre che «i pensatori illuministi idealizzarono il passato [[Veda|Vedico]], nel tentativo di trovare un'utopia al di fuori dell'Europa e alternativa alla tradizione biblica» creando una «nuova mitologia del passato».<ref>''Ibid.'', 47, 49.</ref> Lo studioso David Harvey commenta che: «Il dialogo di Bailly con Voltaire fu determinante in questo sforzo di inquadrare una nuova macro-narrativa della preistoria».<ref>David Allen Harvey, ''The lost Caucasian civilization: Jean-Sylvain Bailly and the roots of the Arian myth'', p. 22</ref>
===La civiltà ariana di Schlegel===
La leggenda di una preistorica civiltà, di lingua sanscrita, origine dell'umanità, suggerita dai lavori di Bailly e Jones, fu resa popolare nei primi anni del [[XIX secolo]] dal filosofo tedesco [[Friedrich Schlegel]]. Schlegel, che aveva studiato il [[sanscrito]] a Parigi con l'orientalista britannico [[Alexander Hamilton]] nel periodo tra [[1803]] e il [[1804]], comparando la scoperta degli antichi testi [[Veda]] con la rinascita della cultura classica nel [[XV secolo]] in Italia, sostenne che questo «Rinascimento Orientale [...] non avrebbe avuto minore influenza sulla sfera dell'intelligenza europea [rispetto a quello italano]».<ref>Friedrich Schlegel, “On the Language and Philosophy of the Indians,” trad. E. J. Millington, in ''The Aesthetic and Miscellaneous Works of Friedrich von Schlegel'' (London: George Bell, 1875), 425–526, 427.</ref> Schlegel affermò che il sanscrito non solo era legato al greco e latino, come Jones aveva sostenuto, ma che fosse «di maggiore antichità» rispetto ad entrambi, e confrontò la diffusione delle lingue derivate dal sanscrito in Europa e in Asia alle lingue romanze dal Mediterraneo al contemporaneo nuovo mondo.<ref>Schlegel, ''On the Language and Philosophy of the Indians'', 456, 506.</ref>
Forse, cosa ancora più importante, fu proprio Schlegel a rendere popolare il termine "ariano" per riferirsi a questa civiltà originaria (termine assente del tutto nella riflessione di Bailly e accennato in quella di Jones). Schlegel collegandò etimologicamente questo nome alla moderna parola tedesca ''Ehre'', ovvero "onore".<ref>Stefan Arvidsson, ''Aryan Idols: Indo-European Mythology as Ideology and Science'', trad. Sonia Wichmann (Chicago, 2006), 20–21.</ref> Da questo legame tra la parola "ariano" e ''Ehre'' (che è linguisticamente corretta anche se storicamente fuorviante<ref>David Allen Harvey, ''The lost Caucasian civilization: Jean-Sylvain Bailly and the roots of the Arian myth'', p. 25</ref>), fu piccolo il passo per arrivare ad immaginare un popolo errante e conquistatore, una [[razza superiore]] (''Herrenvolk''), nata nella notte dei tempi, che da sola diede origine a tutte le civiltà avanzate dell'antichità. La studiosa Suzanne Marchand ha osservato che la celebrazione di Friedrich Schlegel di questi antichi "ariani" gettò le basi «per una sorta di filologia dell'esclusione in cui ai madrelingua del sanscrito e delle sue lingue derivate indoeuropee vengono accreditati tutti i grandi successi del genere umano».<ref>Marchand, ''German Orientalism in the Age of Empire'', 62.</ref> Tuttavia, l'emergere del "mito ariano" è stato un processo graduale, e Marchand stessa sostiene che «mentre i gruppi linguistici si stavano coalizzando e le gerarchie e i lignaggi venivano formati utilizzando frammenti di dati linguistici ed etnici, non si possono ancora vedere, nel 1850, le storie umane completamente razzializzate».<ref>''Ibid.'', 129.</ref> Il saggio di Schlegel, infatti, concluse che il collegamento linguistico tra il sanscrito, il greco e il latino dimostrava che «gli europei e gli asiatici formano una sola grande famiglia», e il filosofo stesso espresse la speranza che, alla luce di questa scoperta, «tutte le idee strette e preconcette scompariranno inconsciamente».<ref>Schlegel, ''On the Language and Philosophy of the Indians'', 526.</ref> Marchand sostiene, tuttavia, che nei decenni centrali del [[XIX secolo]] «le linee disegnate dai filologi si erano [...] irrigidite in duri stereotipi culturali con qualcosa come la forza dei confini biologici» e che «dall'epoca romantica in avanti, lo studio del sanscrito e le sue relative lingue e culture era costantemente, se non principalmente, legato alla discendenza germanica in un modo facilmente razziale».<ref>Marchand, ''German Orientalism in the Age of Empire'', 130, 293.</ref> L'orientalista più illustre della fine del [[XIX secolo]], [[Friedrich Max Müller]], mise in guardia da tale slittamento analitico, scrivendo che «ci sono lingue ariane e semitiche, ma va contro tutte le regole della logica parlare [...] di una razza ariana, di un sangue ariano, o di teschi ariani».<ref>Citato da Shaffer e Lichtenstein, ''South Asian Archaeology and the Myth of Indo-Aryan Invasions'', 78.</ref> Troppo spesso, comunque, questo avvertimento preveggente fu ignorato da studiosi e polemisti che cercavano prove "scientifiche" della superiorità europea.
Quando il mito ariano guadagnò terreno nelle teorie linguistiche, storiche e filosofiche del [[XIX secolo]], i nobili ariani furono giustapposti contro una varietà di "altri" meno esaltati. I linguisti e gli studiosi orientalisti nell'India coloniale snocciolarono gli Ariani del Nord contro i "[[Dravida|Dravidi]]", madrelingua di lingue scollegate nella parte meridionale del subcontinente. In [[India]], infatti, sotto l'[[Impero britannico]], i [[Regno Unito|britannici]] usarono l'idea della [[razza ariana]] conquistatrice per fondere il loro dominio con il sistema delle [[Casta|caste]] indiano. Si ribadiva che gli Ariani erano gente "bianca" che aveva invaso l'India in periodi molto antichi, sottomettendo i [[Dravidi]], indigeni più scuri, che erano poi stati spinti verso sud. Così la fondazione dell'[[Induismo]] è stata attribuita agli invasori "bianchi" che si erano stabiliti come casta dominante e che avevano scritto i testi [[Veda]]. È facile vedere in queste teorie l'impronta, pur molto modificata, delle ipotesi di Bailly. Nonostante le evidenti differenze (Bailly, ad esempio, non ha mai fatto riferimento al "colore" della sua civiltà originaria) gli Atlantidei di Bailly (qui trasformati in "razza ariana") colonizzarono l'[[India]], "educandola" e "civilizzandola" proprio come propugnavano le moderne teorie razziste ottocentesche portate avanti dai coloni britannici. Il divario Ariani/Dravidi fu naturalizzato nel discorso indiano proprio durante l'epoca coloniale con, ad esempio, il tradizionalista indù [[Bal Gangadhar Tilak|Bal Tilak]] che citò il mito ariano d'Europa - tra cui la teoria delle origini siberiane di Bailly - nell'opera ''The Arctic Home of the Vedas'', mentre i critici dell'autorità [[Brahmani|Brahamana]], come il portavoce [[Paria (casta)|dalit]] [[B. R. Ambedkar]], respingevano sia il mito che la società di casta.<ref>Figueira, ''Aryans, Jews, Brahmins; Bryant and Patton, The Indo-Aryan Controversy''</ref><ref>Bal Gangadhar Tilak, ''The Arctic Home in the Vedas'' (Poona, 1971; pubblicato nel 1903).</ref>
Müller mise in contrasto gli Ariani, che lui immaginava come una civilizzata società agricola, con i nomadi "[[Tūrān|Turaniani]]" che si muovevano nelle steppe dell'[[Asia centrale]]. Comunque, dagli inizi del [[XIX secolo]], ancora una volta, attraverso la mediazione della linguistica, gli Ariani iniziarono molte volte ad essere comparati con i madrelingua delle lingue "semitiche", un termine reso popolare da [[August Ludwig von Schlözer]] e più tardi da [[Ernest Renan]].<ref>Arvidsson, ''Aryan Idols''</ref><ref>Poliakov, ''The Aryan Myth''</ref><ref>George Mosse, ''Toward the Final Solution: A History of European Racism''</ref><ref>Schorske, ''Fin de
Siècle Vienna'' (New York: Vintage, 1980)</ref>
===Le speculazioni di Blavatsky===
L'eredità lasciata da Bailly quindi continuò a vivere anche dopo la sua morte, sebbene la sua tesi di una "Atlantide Iperborea" fosse stata sonoramente respinta in un primo momento. Ad esempio lo stesso [[Jules Verne]] in qualche modo voleva prendere in giro anche Bailly in ''[[20.000 leghe sotto i mari]]'' (1869), quando i suoi personaggi scoprirono la "vera" Atlantide nell'Oceano Atlantico. Ma una donna, [[Helena Blavatsky]], prese molto sul serio le idee di Bailly. Blavatsky, aristocratica [[Russia|Russa]] e mistica, fu una delle teorizzatrici della [[teosofia]], una dottrina mistico-filosofica, il cui credo fu precisato nel suo libro ''La dottrina segreta'' (1888). In questo lavoro ermetico, Blavatsky rispolverò la teoria di Bailly, e incorporò l'ipotesi di un "Atlantide Iperborea" all'interno di una storia fantastica che coinvolgeva i vari continenti e varie razze umane e semi-umane. Atlantide era rappresentata come un continente polare che si estendeva dall'attuale [[Groenlandia]] fino alla [[Kamčatka]] e il suo destino si legò a quello di una razza particolarmente controversa: gli ariani, una razza superiore, seconda in ordine di tempo, costituita da giganti androgini dalle fattezze mostruose. Quando gli ariani migrarono a sud verso l'India, scaturì da loro una "sub-razza", quella dei semiti. Il mito di un "Atlantide Iperborea" fece così ingresso all'interno delle ideologie ariane ed antisemite della fine del XIX secolo.<ref name="Dan Edelstein" /><ref name="Dan2" />
Un ulteriore libro, ''[[Le stanze di Dzyan]]'', costituito da una serie di lunghe glosse e commenti su un presunto libro antico (consultabile solo attraverso la chiaroveggenza), narra dell'ascesa e della caduta anti-darwiniana di sette "razze-radice", cioè razze o evoluzioni umane che si sono succedute nel tempo, dalla più antica alla più recente (secondo la Blavatsky quella attuale sarebbe la quinta, ovvero la "razza ariana" e ci muoviamo verso la sesta). Ognuna di queste razze-radici è diviso in sette sub-razze, ognuna delle quali è associata ad un continente diverso - anche se con la deriva dei continenti, e dunque con la "scomparsa" di alcuni continenti, questi non corrispondono più a quelli che conosciamo.49
Non sorprende che uno di questi continenti perduti sia [[Atlantide]]. Sebbene scrisse poco dopo [[Ignatius Donnelly]], il cui ''Atlantis: The Antediluvian World'' lanciò una sorta di mania di Atlantide verso la fine del [[XIX secolo]], Blavatsky non pose Atlantide tra l'Europa e l'America, come aveva fatto Donnelly, ma piuttosto nel lontano nord, vicino al [[Polo Nord]].50 In qualche modo Bailly aveva finalmente trovato, attraverso Blavatsky, una sostenitrice. Lei, infatti, cita le opere di Bailly estesamente (citandolo ben ventidue volte<ref name="Dan Edelstein" />), e gli attribuisce il merito di aver scoperto la verità, o almeno parte di essa, circa Atlantide.51
Un'Atlantide nordica o meglio, un'Atlantide Iperborea era la dimora degli abitanti di Atlantide, ma vide anche la nascita di un'altra razza-radice, gli ariani: «La razza ariana nasce e si sviluppa nel lontano nord, anche se dopo l'affondamento del continente di Atlantide le sue tribù emigrarono più a sud, verso l'Asia».52 Per molto tempo, i restanti Atlantidei e gli ariani vissero insieme. Essi portarono la civiltà in India, in Egitto, in Grecia e a Roma, e sarebbero gli antenati degli attuali Europei.53 Gli Atlantidei trasmisero agli ariani tutte le scienze conosciute e persino delle tecnologie altamente sofisticate, come l'aeronautica (ovvero «la conoscenza del volare attraverso veicoli in aria» come Blavatsky scrive). Ma nel corso del tempo, la razza-radice ariana si è anche suddivisa. Uno dei risultati più sfortunati di questa divisione, secondo Blavatsky, è stata la creazione della sub-razza semitica, «una razza ariana artificiale».54 I Semiti erano sì una delle sub-razze ariane, eppure lei descrive le forti distinzioni tra questi e gli altri:
With the ancient Aryans the hidden meaning was grandiose, sublime, and poetical, however much the external appearance of their symbol may now militate against the claim... With the Semite, that stooping man meant the fall of Spirit into matter, and that fall and degradation were apotheosized by him with the result of dragging Deity down to the level of man.55
C'è dunque, conclude Blavatsky, un «immenso abisso tra gli ariani e il pensiero religioso semitico»; essi appartengono a «due poli opposti - Sincerità
e Dissimulazione... Chi può mai scandagliare le profondità paradossali della mente semitica?».56 Blavatsky degrada ulteriormente l'ebraismo descrivendolo come un culto egoista e ossessionato dal sesso: «L'Ebraismo, costruito esclusivamente sul culto fallico, è diventato uno dei più recenti credi in Asia, e teologicamente una religione di odio e cattiveria verso tutti e tutto al di fuori di essi». I veri Ariani, al contrario, sono «le persone più metafisiche e spirituali sulla terra».57
C'era, naturalmente, una forte corrente di antisemitismo in Europa al momento in cui Blavatsky stava scrivendo, e il contrasto ostile tra Ariani e
Semiti era diventato di routine.58 In larga misura, quindi, ella stava esprimendo la mentalità della sua epoca. Eppure aggiunse una nuova dimensione al discorso antisemita standard: con ''La dottrina segreta'', l'antisemitismo acquisì quasi una dimensione cosmologica. Gli ebrei improvvisamente erano sorti nella via del grande preordinato progresso delle razze. Ci poteva essere una battaglia tra gli ariani e i semiti, come c'era stata tra gli Ariani e gli ultimi Atlantidei.59 Questo opposizione ariana/non-ariana (e in particolare ariani/semiti) sarebbe diventato il grande paradigma storico della destra razzista, sostituendo la legge storiografica marxista della lotta di classe.60
Blavatsky sollevò inoltre lo spettro di una nuova razza, scelta tra i più selezionati membri della razza-radice ariana. Questa razza successiva avrebbe dei poteri ancora maggiori rispetto a quella attuale, e avrebbe davvero prodotto l′''Übermenschen'', ovvero il [[Oltreuomo|superuomo]] del futuro. Con la diffusione delle idee teosofiche, la teoria di un'Atlantide Iperborea, attirò sempre più sostenitori.61 Il razzista occultista austriaco Adolf Lanz collocò il luogo di nascita degli Ariani in una terra artica chiamata "Arktogäa". Nel suo libro "La Vérité sur l'Atlantide", pubblicato nel [[1923]], René-Maurice Gattefossé sostenne similmente che Atlantide fosse un continente polare, che, seguendo Bailly, chiamò Iperborea.
[[Hermann Wirth]], un [[Etnologia|etnologo]] che avrebbe lavorato per l'[[Ahnenerbe]], un istituto delle [[SS]] naziste con l'obiettivo di ricercare la razza ariana, pose Atlantide nel lontano Nord, definendola "[[Thule (mito)|Thule]]", come il nome della mitica capitale degli Iperborei.62 E Atlantide figurava sotto questo nome anche nel ''Welteislehre'' (ovvero la ''La teoria del Ghiaccio Cosmico'') di [[Hanns Hörbiger]], una teoria della scienza "tedesca" che stava per diventare fede sotto il [[Nazismo]].63
===Il mito ariano del Nazismo===
[[File:Bundesarchiv Bild 146-2005-0168, Alfred Rosenberg.jpg|thumb|left|upright|[[Alfred Rosenberg]]]]
Blavatsky's Atlanto-Aryans also found supporters in the twentieth century.
The Viennese nationalist and occultist Guido von List incorporated her
Atlantean genealogy in his own writings on "Ariosophy," and in 1922, Karl
Georg Zschaetzsch published a book entitled Atlantis: die Urheimat der
Arier. The racial differences between Aryans and Semites in these reworkings
were often greatly exaggerated: in Lanz von Liebenfels 's reformulation of
The Secret Doctrine, for instance, "the fourth root-race of Atlanteans had
divided into pure and bestial sub-species, corresponding to the early
anthropoids and the anthropomorphic apes."64 As these many examples
illustrate, the Bailly-Blavatsky hypothesis was given a particularly warm
welcome in proto-Nazi Germanic circles.
The role that the Atlantis myth played in the genesis of Nazi ideology can
be defined much more precisely than by sampling the period's mentalité. To
appreciate this role fully, however, we must return briefly to Bailly's time to
consider a second political attribute that the Atlantis myth had acquired. This
quality derived from the resemblance between Atlantis and another myth, the
myth of the Golden Age. As noted above, the two had already been fused by
Bailly, who summoned the Golden Age myth as proof of Atlantis's past
existence. Although the traditional version of the Golden Age myth seemingly
contradicts the Atlantean myth of a super-sophisticated Ur-culture, they
nonetheless share a number of features: both describe an ideal form of social
organization, and both situate this society at the beginning of human history.
The vogue for Indian Orientalism, furthermore, had contributed to merge the
two myths. When Voltaire expressed his belief that, "il y a encore un grand
païs voisin [de Benarès], où ce qu'on appelle l'âge d'or s'est conservé," he did
not have Rousseau's state of nature in mind, but rather his own highly-civilized,
Atlantean "Gangarides."65
This ready identification of Atlantis with the Golden Age is telling, as the
latter myth became, with the French Revolution, a powerful political
representation. Not only was the "return of the Golden Age" one of the most
common contemporary representations of the historical events underway, but
it turned into an ideological blueprint for "regenerating" France and the world.66
Most importantly for our present concerns, the French Revolution also
reversed the temporal dynamics of the Golden Age myth: from representing
an irretrievably lost moment of past perfection (in the Rousseauist model), it
came to stand for an ideal and imminent/wtare. Its nostalgic expression was
transformed into miUenarian promise; the Virgilian version merged the Ovidian
one. With the fall of Robespierre, this forward-looking dynamic was
accentuated, as the expected return of the Golden Age withdrew into the
future—witness the commonplace nineteenth-century lament about how "tout
ce qui sera n'est pas encore" (Alfred de Musset). Nevertheless, the myth's
miUenarian portent was undiminished, and it remained a central tenet of
socialist, communist, and anarchist ideologies until the twentieth century.67
But the Golden Age myth did not always assume a primitivist form: when
Henri de Saint-Simon pronounced his famous phrase, "L'Ãge d'or du genre
humain n'est point derrière nous, il est au-devant," he obviously had a less
nostalgie, more Voltairean Golden Age in mind.68 By the mid-nineteenth
century, this vision of a technological future was slowly becoming a reality:
in his 1855 Chants modernes, Maxime du Camp repeated Saint-Simon's
slogan to celebrate the advent of the locomotive. The longed-for Golden Age
became Atlanticized: Auguste Villiers de l'Isle-Adam, in a satirical short story
about useless modern inventions, sarcastically remarked, "[c]'est à se
demander, en un mot, si l'Age d'or ne revient pas."69 This Atlanticized Golden
Age myth did not necessarily lose its revolutionary power: the utopia described
in Emile Zola's Les Quatre évangiles, for instance, is a sophisticated city,
not unlike Voltaire's Eldorado.70 Tellingly, it was at this time of real
technological innovation that the scholarly and popular Atlantis craze took
off, with the publication of Donnelly's work. After the Wright brothers
perfected their own "knowledge of flying in air-vehicles," Blavatsky's Atlantean
Age truly seemed to be returning.
By the early twentieth century, then, the myth of Atlantis had become a
hazardous representation, mixing miUenarian and racial fantasies. List and
Lanz von Liebenfels's theosophical anti-Semitism found a ready reception in
both pre- and post-WWI Germany, providing the ideological foundations for
the nascent Germanenorden. After the war, this para-Masonic and paramilitary
organization used the cloak of secrecy surrounding its "Aryan" rituals to plot
the assassination of prominent Jewish and republican politicians.71 It also fed
into another pro-Aryan, murderous group—the National Socialist German
Worker's Party (N.S.D A.P.), or Nazi party.
The connection between the Germanenorden and the Nazis arguably passes
through one man, the Baron Rudolf von Sebottendorff, although there are
many divergent accounts about his role in the genesis of Nazism, and his
influence is often exaggerated.72 What is certain about his involvement is that
Sebottendorff founded the Bavarian chapter of the Germanenorden in Munich,
in July 1918. He named his chapter the "Thule society," ostensibly to hide its
extremist agenda under the benign cover of antiquarian studies, yet as we know
"Thule" was not a random choice of name. Indeed, Sebottendorff belonged to
the long line of Aryan theosophists, stretching from Blavatsky to Lanz von
Lebenfels. And with the Thule society, the myth of a Hyperborean Atlantis
became part of the history and ideology of Nazism.
In a mixture that would prove explosive and effective, Sebottendorff's
society combined occult speculations with violent political action. During
the rapid succession of socialist and Soviet revolutionary governments in postWWI
Munich, the Thule society was at the center of the "white," or reactionary,
counter-offensive. Its antiquarian cover may have facilitated this role: while
the authorities cracked down on more visible nationalist groups, the Thule
society's headquarters at the fancy Vierjahrzeiten Hotel became a haven for
the resistance.73 Throughout the turbulent period between 1918 and 1920,
the society thus functioned as an umbrella group for various far-right,
paramilitary organizations, communally known as the "Free Corps."
One of the far-right groups that came under the sway of the Thule Society
was the German Worker's Party, or D.A.P, soon to become the N.S.DA.P.
under the leadership of Adolf Hitler. The precise connections between the
D.A.P. and the Thule society are still debated: Sebottendorff affirmed that it
was created by Thule members, but Reginald Phelps has cast doubt on his
claims. Whatever the administrative rapport between the two groups may
have been, the personal contacts between Thule members and the Nazis are
undeniable.74 As Ian Kershaw observed, the Thule society's "membership list
... reads like a Who's Who of early Nazi sympathizers," and one might add, of
future Nazi cadres.75 Rudolf Hess, Alfred Rosenberg, Dieter Eckart, and Hans
Frank (the future governor of Poland), among others, all attended or lectured
at Thule society meetings. Anton Drexler, the founder of the D.A.P., frequented
Thule meetings, and another Thule adherent, Friedrich Krohn, devised the
official emblem of the N.S.DA.P., the black swastika in a white circle against
a red backdrop.76 Although there are no records of Hitler ever participating in
Thule activities, it is most likely that he discussed its Ariosophic theories
with his avowed "mentor," Eckart, with his Landsberg prison companion, Hess,
or with his Munich companion, Rosenberg.77 Scholars often invoke Hitler's
dismissal of "völkisch wandering scholars" in Mein Kampf'to argue that he
paid little heed to mythological and occult theses, but as Jackson Spielvogel
and David Redles remark, his private conversations reveal a keen interest in
such matters, including the myth of Atlantis.78
The real importance of the Atlantis myth in the genesis of Nazism, however,
may best be measured in the work of another Thule adherent and future Nazi
official, Alfred Rosenberg. Not only was The Myth of the Twentieth Century
(1930), his major work, the second best-selling book in Nazi Germany (the
first, of course, being Mein Kampf), but Rosenberg is widely viewed as having
exerted a profound influence on Hitler in his formative Munich years.79 As
much as anyone, then, he can be credited with having shaped the Nazi
Weltanschauung (to employ one of his favored terms) and crystallized Hitler's
own anti-Semitic ideas.
The Myth of the Twentieth Century makes very clear that the keystone of
this worldview was the myth of a Hyperborean Atlantis. Rosenberg began his
lengthy tome by positing the reality of (i.e., by naturalizing) this myth:
All in all, the old legends of Atlantis may appear in new light. It
seems far from impossible that in areas o ver which the Atlantic waves
roll and giant icebergs float, a flourishing continent once rose above
the waters and upon it a creative race produced a far-reaching
culture and sent its children out into the world as seafarers and
warriors. But even if this Atlantis hypothesis should prove untenable,
a prehistoric Nordic cultural center must still be assumed.™
This "prehistoric Nordic cultural center" was indeed the fundamental premise
needed to justify all of Rosenberg's subsequent statements about Aryans and
Jews. Although rejecting the doctrine of radical difrusionism ("We have long
since been forced to abandon the theory of an identical origin of myths, art,
and religious forms among all peoples"), Rosenberg credits periodical impulses
of Nordic-Aryan blood for the rise of successive civilizations across the globe.
A primeval Atlantis was thus the prerequisite for exalting the Aryan genius: if
the Aryans did not originate in the far North, they could not have both Germanic
features and colonized (at different epochs) the entire world. Only by positing
a northern Atlantis could Rosenberg declare, as had Bailly, that "the march of
world history has radiated from the North over the entire planet."81 Bailly's
use of solar mythology to prove the Nordic origin of Atlantis would also be
recuperated to validate Aryan superiority: the cult of the sun, Rosenberg
claims, celebrates the "life-renewing, primal creative substance of the world,"
and figures as such in the very emblem of the Nazi party, the swastika.82 Atlantis
can thus truly be called the foundational myth of Nazism, "the myth of myths,"
in Lacoue-Labarthe and Nancy's words, that enabled the Aryans to replace the
Jews as the chosen people of universal history.83
Atlantis was also a myth that encouraged the Nazis in their genocidal
projects. In the nineteenth century, anti-Semitic discourses had generally
been based on a hierarchy of races, with the Aryan race destined to master all
others. In this vision, lower races were not destined to be annihilated, but
rather enslaved, since a hierarchy requires more than one race. Although the
La teoria di Bailly-Blavatsky trovò sostegno tra alcuni degli ideologi ariani [[Vienna|viennesi]] più fantasiosi.<ref name="NGC">{{Cita libro|titolo=The Occult Roots of Nazism: Secret Aryan Cults and Their Influence on Nazi Ideology|nome1=Nicolas|cognome1=Goodrick-Clarke|lingua=Eng|data=1985}}</ref> Furono proprio questi circoli, come la società "[[Thule (mito)|Thule]]" (che prendeva il nome della mitica capitale di Iperborea), che fecero derivare molte teorie antisemite e ariane dal lavoro mitologico di Blavatsky, e indirettamente da Bailly. I membri della società Thule, in particolare, sono stati fondamentali nell'aiutare [[Adolf Hitler]] (che probabilmente aveva letto alcuni libri dei teosofi ariani viennesi quando viveva in Austria) nel fondare il [[NSDAP]], il partito nazista. Uno di loro, [[Alfred Rosenberg]], compagno vicino a Hitler durante gli anni in cui questi stette a [[Monaco di Baviera]], aveva posto il mito di un Atlantide Iperborea al cuore di un suo voluminoso tomo dottrinale, ''[[Il mito del XX secolo|Der Mythus des 20. Jahrhunderts]]'' (''Il mito del XX secolo'') del 1930.<ref name="NGC" /> Rosenberg iniziò questo lavoro assumendo come vera la passata esistenza di Atlantide nel lontano nord, riproponendo la tesi baillyiana:
{{citazione|Tutto sommato, le antiche leggende su Atlantide possono apparire in una nuova luce. Sembra tutt'altro che impossibile che nelle zone in cui scorrono le onde dell'Atlantico e in cui fluttuano iceberg giganti, un continente fiorente sia salito una volta al di sopra delle acque e su di esso, una razza creativa abbia prodotto una cultura lungimirante e abbia inviato i suoi figli nel mondo, come marinai e guerrieri. Ma se anche questa ipotesi di Atlantide dovesse rivelarsi insostenibile, un preistorico centro culturale nordico comunque dovrebbe essere ancora supposto.| Alfred Rosenberg nel ''[[Il mito del XX secolo|Der Mythus des 20. Jahrhunderts]]''<ref name="Dan Edelstein" />|All in all, the old legends of Atlantis may appear in new light. It seems far from impossible that in areas over which the Atlantic waves roll and giant icebergs float, a flourishing continent once rose above the waters and upon it a creative race produced a far-reaching culture and sent its children out into the world as seafarers and warriors. But even if this Atlantis hypothesis should prove untenable, a prehistoric Nordic cultural center must still be assumed.|lingua=en}}
Il mito di un "centro culturale nordico" ha permesso poi a Rosenberg, a partire da questa ipotesi, di accreditare la razza ariana come artefice tutte le grandi conquiste culturali nella storia umana: in momenti diversi nel tempo (in coincidenza con le più grandi fioriture della civiltà), gli ariani discesero dalla loro madrepatria nordica per realizzare le loro prospettive di vita nei climi meridionali.<ref name="NGC" /> La "prova" della superiorità ariana così poggiava su questa situazione geografica chiave: solo se posizionati nel Circolo Polare Artico gli Ariani avrebbero potuto reclamare plausibilmente ogni responsabilità sia per le realizzazioni orientali sia per quelle occidentali.<ref name="Dan Edelstein" /><ref name="Dan2" /><ref name="NGC" />
Vi sono notevoli differenze tra Bailly e le interpretazioni di Rosenberg del mito di Atlantide Iperborea, e chiaramente non ha senso considerare Bailly un precursore del nazismo, tanto più viste le posizioni chiaramente antirazziste espresse da Bailly nelle sue opere. Va però detto che egli non fu nemmeno totalmente innocente, pur muovendosi in un'ottica tipicamente illuministica.<ref name="Dan Edelstein" /><ref name="Dan2" /> Uno dei pochi storici contemporanei ad aver analizzato la preistoria speculativa di Bailly, Dan Edelstein, ha commentato: «Senza razionalizzare con esattezza la sua teoria, Bailly ha comunque cercato di dare il merito del progresso culturale orientale, all'Europa». Costruendo l'ipotesi di un popolo nordico responsabile per i successi culturali e tecnici dell'India e dell'Oriente, secondo Edelstein Bailly «ha con ultimo fine onorato il progresso e la superiorità occidentale, pur lodando i brahamani». L'Europa e soprattutto quella illuminata, insomma, è stata - per Bailly - il vero successore di Atlantide.<ref name="Dan2" /><ref name="NGC" /> Con queste teorie, pur con tutte le successive differenze e i travisamenti, paradossalmente l'antirazzista Bailly aveva inconsapevolmente fornito ai movimenti nazionalisti più tardi, una potente narrazione e un valido materiale teorico che autorizzò in qualche modo un certo numero di ideologie razziste.<ref name="Dan Edelstein" /><ref name="Dan2" /><ref name="NGC" />
==L'antirazzismo di Bailly==
Lo storico contemporaneo Edelstein ha sostenuto che la teoria storica di Bailly sulla migrazione degli Atlantidei, dovuta alle variazioni climatiche, aveva «mobilitato il mito» di [[Atlantide]], rendendolo un «significante fluttuante, un indicatore di superiorità culturale e di originalità che si sarebbe poi potuto apporre a qualsiasi luogo e a qualsiasi popolo con cui i migranti Atlantidei sarebbero potuti entrare in contatto». Di conseguenza, Edelstein conclude dicendo che «piuttosto che orientalizzare Atlantide, [Bailly] ha Atlantizzato l'Oriente», rendendo «la gente bianca del nord Europa, gli [[Iperborei]], responsabili delle conquiste culturali e degli splendori dell'Oriente».
Non è d'accordo lo storico David Harvey secondo cui, sebbene Edelstein sia nel giusto nell'abbozzare una genealogia che colleghi Bailly alle successive speculazioni storico-razziali (anche degli ideologi razziali del [[nazionalsocialismo]]), suggerisce che «questa geneologia» porterebbe «a leggere nelle opere di Bailly un determinismo biologico razzista che in realtà è assente nel suo lavoro». Mai nelle ''Lettres sur l’Atlantide'' Bailly infatti identifica gli [[Atlantide|Atlantidei]] come una razza bianca; da nessuna parte nelle sue opere egli discute il colore della pelle, né ha la minima intenzione di dividere l'umanità in razze distinte con caratteristiche biologiche fissate. Harvey conclude che: «Piuttosto che le rigide gerarchie razziali del XIX secolo, l'opera di Bailly vuole riecheggiare con forza solo il determinismo climatico di [[Montesquieu]] e Buffon».
[[Marvin Harris]] ha notato che il determinismo climatico è rimasto il paradigma dominante nelle teorie illuministe sulla differenza umana, sostenendo che «il razzismo scientifico è rimasto un punto di vista di minoranza fino a dopo la rivoluzione francese».<ref>Marvin Harris, ''The Rise of Anthropological Theory''(Lanham, MD, 2001), 82.</ref> Pertanto il racconto di Bailly sugli antichi Atlantidei, in contrasto con la successiva elaborazione del «mito ariano», non voleva "razzializzare" i diversi popoli preistorici di cui discute nella sua storia speculativa, ma attribuisce loro quei caratteri dovuti a quello che Montesquieu chiamava «l'impero del clima». In altre parole le differenze sociali, fisiche e mentali tra le varie popolazioni, secondo Bailly, piuttosto che dipendere da differenze razziali non meglio specificate, non erano altro che variazioni dovute alle differenti fenomenologie climatiche dei luoghi in cui vivevano.
Bailly non ha bisogno di costruire una gerarchia delle razze umane perché, semplicemente, non si esprime mai sull'esistenza stessa delle razze. L'unico appunto a ciò è che per Bailly sia esistita una popolazione antichissima, di cui ormai si sono perse completamente le tracce, che aveva civilizzato sia gli antichi popoli orientali Indiani e Cinesi, sia il Mediterraneo, entrando in contatto con gli Egizi, i Fenici e i Greci e passando loro tutta la propria cultura scientifica, in qualche modo "istruendoli". Non c'è alcun dubbio per Bailly che questa antica popolazione Atlantidea fosse superiore alle altre da un punto di vista scientifico e tecnico, ma nulla lascia presagire che lo fosse anche da un punto di vista biologico né, filosoficamente, "essenziale". E soprattutto se gli altri popoli, come quelli orientali, per Bailly erano «cullati e appesantiti dalla pigrizia» oppure privi di «spirito d'inventiva» e «senza energia o movimento, incapaci quindi di produrre nuove conoscenze scientifiche, non era perché questi fossero effettivamente inferiori agli Atlantidei, ma solo perché l'ambiente climatico eccessivamente caldo in cui vivevano li aveva resi così. In questo senso le differenze esistevano, secondo il [[determinismo geografico]] di Bailly, solo per motivi climatici ed assolutamente non razziali.
Nonostante ciò comunque, secondo Harvey «Edelstein ha ragione nell'osservare che il progetto di Bailly si appropriò in modo efficace delle conquiste culturali dell'antica Asia per attribuirle ad una civiltà primordiale ancora più antica, che era legata per lingua, prospettiva scientifica e dinamismo all'Europa a lui contemporanea». Anche lo storico indiano Dhruv Raina concorda con questa valutazione, scrivendo che le «ipotesi antidiluviane [di Bailly] possono essere viste retrospettivamente come un tentativo di deprivare i popoli non europei dell'invenzione della scienza».<ref>Dhruv Raina, ''Betwixt Jesuit and Enlightenment Historiography'', 273</ref>
La teoria di Bailly sull'Atlantide nordica, dopo tutto, emerse dal suo progetto, inizialmente ben più ampio, di studiare le origini e l'antica storia dell'astronomia. Nella sua ''Histoire de l'Astronomie ancienne'', Bailly in primo luogo aveva ipotizzato l'esistenza di un popolo antidiluviano illuminato, «maestro di tutti i popoli d'Oriente, popoli che erano i depositari [di queste conoscenze], fino a che il genio dell'Europa è venuto a riprendere il filo delle idee astronomiche».<ref>Bailly, ''Histoire de l’astronomie ancienne'', 71.</ref>
Le opere macro-storiche di Bailly esemplificano ciò che Karen O'Brien ha definito «narrazioni illuminate», racconti secolari che sbandieravano la scienza e il progresso sulla superstizione e il barbarismo.<ref>O’Brien, ''Narratives of Enlightenment''.</ref> L'Atlantide artica di Bailly sposta l'[[Eden]] biblico come culla dell'umanità, e lo studio sistematico della natura, piuttosto che la [[Rivelazione|rivelazione divina]], diventava la fonte di ogni sapienza. La «narrazione illuminata» di Bailly, tuttavia, si fondò su una distinzione profondamente problematica tra i popoli cosiddetti attivi e quelli passivi, anche se Bailly attribuisce questa dicotomia solo alla causalità del clima piuttosto che a presunte ed intrinseche caratteristiche "razziali".
Tuttavia gli storici sono concordi nel dire che, in ultima analisi, Bailly abbia voluto negare alle antiche civiltà dell'Asia l'onore di essere stati i primi maestri del genere umano, e diede tale titolo ad un popolo perduto preesistente che abitava molto più a nord, e che era entrato nella storia travalicando il [[Caucaso]], un luogo che molti dei suoi contemporanei e numerosi suoi immediati successori celebrarono come la culla della razza dei bianchi europei. Bailly aveva ulteriormente contrapposto la libera e vigorosa Europa ad un indolente e dispotica [[Asia]], in un'opposizione binaria con la quale, come ha sostenuto Edward Said, gli europei moderni sono arrivati ad autodefinirsi in relazione ad un «Oriente stereotipato».<ref>[[Edward Saïd]], ''Orientalism''.</ref> Eppure la critica di Bailly esiste solo ad un livello sociopolitico e di progresso culturale mentre non c'è alcun riferimento razziale; c'è però in questo suo tentativo di «Atlantizzare l'Oriente» una manifestazione della superiorità culturale europea su quella orientale, basata però soltanto sulla causalità climatica propugnata dalle contemporanee teorie del [[determinismo geografico|determinismo climatico]].
Va comunque specificato che lo stesso Bailly mostrò a più riprese nella sua azione politica posizioni fortemente antirazziali. Ad esempio fu uno dei membri di quel gruppo di politici liberali che volevano [[emancipazione|emancipare]] gli [[ebrei]]; ottenendo il passaggio del decreto il [[27 settembre]] [[1791]] (confermato poi dall'[[Assemblea legislativa (Rivoluzione francese)|Assemblea legislativa]] il [[30 novembre]] dello stesso anno), si dichiarò definitivamente che essi erano cittadini francesi a tutti gli effetti, con gli stessi diritti e gli stessi privilegi. Questo decreto inoltre abrogava le imposte speciali che erano state imposte agli ebrei, così come tutte le ordinanze esistenti contro di loro. Né le minacce né le caricature che lo ridicolizzavano dissuasero Bailly ad appoggiare questo provvedimento. La sua adesione fu incrollabile a quello che egli considerava come dovere di un magistrato giusto e retto, e ciò gli provocò anche un certo rischio personale.<ref>[http://www.jewishencyclopedia.com/articles/2373-bailly-jean-sylvain Jean Sylvain Bailly], Jewish Encyclopedia, 1906.</ref>
Il sentimento antirazziale di Bailly viene mostrato anche nel suo endorsement al piano del deputato Garat. Esso prevedeva che, per le colonie francesi di [[Santo Domingo]], venisse eletto - nell'assemblea parlamentare - un numero di rappresentanti proporzionale solo alla popolazione bianca e non al totale degli abitanti (che per la maggior parte era gente di colore). Nelle sue ''Mémoires di un témoin de la révolution'' Bailly infatti scrisse:
{{citazione|...contro ogni giustizia, le persone di colore sono state escluse dalle elezioni, perché i neri sono [considerati] degli schiavi e non degli uomini nelle colonie. Ma M. Garat non dissimula che questa grande operazione di giustizia e di umanità, la cessazione della schiavitù, tendenza del secolo, deve essere preparata con molto anticipo prima di essere completata.|Bailly nelle sue ''Mémoires di un témoin de la révolution''.<ref name="review">Edwin Burrows Smith, ''Review of Jean-Sylvain Baily, Revolutionary Mayor of Paris by Gene A. Brucker''.</ref>|...contre toute justice, les gens de couleur ont été exclus des élections, puisque les nègres sont des esclaves et ne sont pas des hommes dans les colonies. Mais M. Garat ne dissimule pas que cette grande operation de justice et d'humanité, la cessation de l'esclavage, la ''motion du siècle'', doit être préparée longtemps avant d'être accomplie.|lingua=fr}}
Bailly pensava che fosse del tutto ingiusto che le persone di colore venissero escluse dalle elezioni, non potendo né votare né ovviamente candidarsi.<ref name="review" /> Lungi dal voler rifiutare delle concessioni ai popoli di colore, con questo atto, accettato da Bailly, si voleva semplicemente approvare un provvedimento che limitava ''ad hoc'' la rappresentanza della popolazione bianca di [[Santo Domingo]] proprio perché i neri, ancora trattati ingiustamente come schiavi, non erano ammessi alle urne e perciò non potevano eleggere dei delegati che li rappresentassero.<ref name="review" /> Altrettanto evidente è la convinzione di Bailly che l'abolizione della schiavitù e la successiva estensione del diritto di voto ai neri saranno la tendenza inevitabile del secolo (la ''motion du siècle''), una «grande operazione di giustizia e umanità», pur nella consapevolezza che essa dovrà «essere preparata con molto anticipo prima di essere completata». L'atto di Garat voleva quindi essere - nella visione di Bailly - un piccolo passo in avanti verso il futuro raggiungimento degli eguali diritti nei confronti delle popolazioni di colore.<ref name="review" />
Insomma, alla vigilia dell'espansione del [[colonialismo]] europeo in tutta l'[[Asia meridionale]], l'opera di Bailly sottolineava la presunta incapacità del decadente Oriente di aver potuto inventare la scienza dell'astronomia per conto proprio. Le sue teorie preistoriche erano dunque mature per una eventuale appropriazione e trasformazione da parte di successivi teorici con diverse ipotesi epistemologiche e con punti di vista molto più esplosivi e pericolosi sulle cause e sul significato delle differenze umane. «Bailly non creò il "mito ariano" – afferma lo storico Harvey – e avrebbe sicuramente ripudiato le sue conclusioni finali, ma in fin dei conti ha fornito alcuni dei materiali chiave da cui poi questo fu costruito».<ref>David Allen Harvey, ''The lost Caucasian civilization: Jean-Sylvain Bailly and the roots of the Arian myth'', p. 8.</ref>
==Riferimenti==
<references />
|