Quinto Orazio Flacco: differenze tra le versioni
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{{nota disambigua||Orazio (disambigua)|Orazio}}
{{Bio
|
|Cognome = Orazio Flacco |PostCognomeVirgola = più noto semplicemente come '''Orazio'''
|PreData = {{latino|Quintus Horatius Flaccus}}
|Sesso = M
|LuogoNascita = Venosa
|GiornoMeseNascita = 8 dicembre
|AnnoNascita = 65 a.C.
|LuogoMorte = Roma
|GiornoMeseMorte = 27 novembre
|AnnoMorte = 8 a.C.
|Attività = poeta
|Nazionalità = romano
|Immagine = Horatius Flaccus.jpg
|Didascalia = Orazio in un'[[incisione]] settecentesca
}}
== Biografia ==
[[File:Venosa Piazza Orazio - statua.jpg|thumb|left|Statua di Orazio a Venosa, opera di [[Achille D'Orsi]] (1898)]]
Orazio nacque l'8 dicembre del 65 a.C. a [[Venosa]], una [[colonia romana]] fondata in posizione strategica tra l'[[Apulia]] e la [[Lucania]], allora in territorio [[Daunia|dauno]] e attualmente in [[Basilicata]]. Era figlio di un fattore [[liberto]] che si trasferì successivamente a [[Roma]] per fare l'esattore delle aste pubbliche (''coactor auctionarius''), compito poco stimato, ma redditizio; il poeta era dunque di umili origini, ma di buona condizione economica.
Recepì le prime nozioni di favolistica dalla nutrice Pullia, che amava raccontare le fiabe. Dopo aver trascorso la fanciullezza nella terra natia,<ref>{{Cita web|url=https://consiglio.basilicata.it/archivio-news/files/docs/10/41/41/DOCUMENT_FILE_104141.pdf|titolo=I luoghi della memoria in Orazio|sito=consiglio.basilicata.it|accesso=7 novembre 2020}}</ref> Orazio seguì un regolare corso di studi a Roma, sotto l'insegnamento del grammatico [[Lucio Orbilio Pupillo|Orbilio]] e poi ad [[Atene]], all'età di circa vent'anni, dove studiò [[Lingua greca|greco]] e [[filosofia]] presso [[Cratippo di Pergamo]]. Qui entrò in contatto con la lezione epicurea, ma, sebbene se ne sentisse particolarmente attratto, decise di non aderire alla scuola. Sarà all'interno dell'ambiente romano che Orazio aderirà alla corrente, la quale gli permise di trovare un rifugio nell{{'}}''otium contemplativo''. Il poeta espresse la sua gratitudine verso il padre in un tributo nelle ''Satire'' (I, 6).
Dopo la morte di [[Gaio Giulio Cesare|Giulio Cesare]], quando scoppiò la [[guerra civile romana (44-31 a.C.)|guerra civile (44 a.C- 31 a.C.)]], Orazio si arruolò nell'esercito di [[Marco Giunio Bruto|Bruto]], nel quale il poeta incarnò il proprio ideale di libertà in antitesi alla tirannide imperante. Combatté come [[tribuno militare]]<ref>Satira sesta</ref> nell'esercito repubblicano comandato da Bruto nella [[battaglia di Filippi]] ([[42 a.C.]]), persa dai sostenitori di Bruto e vinta da [[Marco Antonio]] e [[Augusto|Ottaviano]]. In questa battaglia Bruto e Cassio perirono, mentre Orazio si diede alla fuga dopo il secondo combattimento, come confessa egli stesso in una delle sue odi, nella quale dice che si era di già trovato in alcune altre azioni molto pericolose. Una lettura innovativa sulla sua partecipazione alla battaglia è stata proposta da [[Giuliano Pisani]], un filologo classico della seconda metà del [[XX secolo|novecento]], il quale sostiene che Orazio sia rimasto fedele agli ideali della [[Res publica|Res Publica]], contrapposto ai [[populares]] di Cesare.<ref>{{Cita pubblicazione|autore=[[Giuliano Pisani]]|titolo=Orazio: la parmula di Filippi e l'Epicuri de grege porcum|url=https://www.academia.edu/43366402/Orazio_la_parmula_di_Filippi_e_l_Epicuri_de_grege_porcum|rivista=Atti e Memorie dell'Accademia Galileiana di scienze, lettere ed arti in Padova. Memorie della classe di scienze morali, lettere ed arti|anno=2018-2019|volume=131|pp=291-310|issn=1592-1751}}</ref>
Nel [[41 a.C.]] riuscì a ritornare in Italia grazie ad un provvedimento di amnistia e, appresa la notizia della confisca del podere paterno, si mantenne economicamente divenendo segretario di un [[questore (storia romana)|questore]] (''[[scriba quaestorius]]''). In questo periodo cominciò a scrivere alcuni [[verso|versi]] e satire che riuscirono a conferirgli nell'ambiente culturale romano anche una certa notorietà.
Nel [[38 a.C.]] venne presentato a [[Gaio Cilnio Mecenate]] da [[Publio Virgilio Marone|Virgilio]] e [[Vario Rufo|Vario]], probabilmente incontrati nel contesto delle scuole [[Epicuro|epicuree]] di [[Sirone (filosofo)|Sirone]], presso [[Napoli]] ed [[Ercolano antica|Ercolano]]. Dopo nove mesi Mecenate lo ammise nel suo circolo e da allora il poeta poté dedicarsi interamente alla letteratura, non si sposò mai e non ebbe figli. Già in questo periodo Orazio risulta debole a livello visivo, avendo nel frattempo contratto anche una congiuntivite.<ref>[[Orazio]], [[Satire (Orazio)|Satire]], I, 5, vv. 30 e 49. Il periodo in questione è il 38-37 a.C., vd. Orazio, Satire, Corriere della Sera, I Classici del pensiero libero greci e latini, nº 50, 2012, n. 8 a pag. 63.</ref>
Mecenate gli donò nel [[33 a.C.]] un piccolo [[Villa di Orazio|possedimento]] in [[Sabina]], regione storica coincidente con l'attuale [[provincia di Rieti]], le cui rovine sono ancora oggi visitabili nei pressi del comune di [[Licenza (Italia)|Licenza]] (RM). Il dono fu cosa molto gradita al poeta il quale, in perfetta osservanza del ''modus vivendi'' predicato da Epicuro, non amava particolarmente la vita cittadina, prediligendo anche in questo caso l'[[Aurea mediocritas|aura mediocritas]], ovvero il giusto mezzo.
Con la sua poesia Orazio sostenne la figura e la politica dell'imperatore [[Augusto|Ottaviano Augusto]], il quale peraltro durante questo periodo lasciava una grande libertà compositiva ai suoi poeti (tendenza che sarebbe però stata invertita dopo la scomparsa di Mecenate: lo testimonia la vicenda biografica di [[Ovidio]], il quale fu vittima di un provvedimento di esilio a [[Tomi]], nell'odierna [[Costanza (Romania)|Costanza]], in [[Romania]], a causa, probabilmente, di un [[Carmina|Carmen]] e di un error). Esempi di propaganda augustea e di elogio della pax conseguente, sono, a ogni modo, alcune ''[[Odi (Orazio)|Odi]]'' ed un importante ''[[Carmen saeculare]]'', composto nell'anno [[17 a.C.]] in occasione della ricorrenza dei ''Ludi Saeculares.''
Quinto Orazio Flacco morì il 27 novembre dell'[[8 a.C.]] all'età di 57 anni per un peggioramento delle condizioni di salute e fu successivamente sepolto sul colle [[Esquilino]], accanto alla tomba del suo amico Mecenate, morto solo due mesi prima, nel settembre dello stesso anno.
== Il mondo poetico e concettuale di Orazio ==
[[File:Horace Taranto Plate.jpg|thumb|Placca a [[Taranto]] che reca inciso il verso di un'ode che Orazio dedicò alla città|222x222px]]
Considerato uno dei maggiori [[Letteratura latina classica|poeti dell'età antica]], nonché maestro di eleganza stilistica e dotato di inusuale [[ironia]], Orazio seppe affrontare le vicissitudini politiche e civili del suo tempo da placido [[Epicuro|epicureo]] amante dei piaceri della vita, dettando quelli che per molti sono ancora i canoni dell{{'}}''[[Carpe diem|ars vivendi]]''.
{{Citazione|Mentre parliamo, il tempo invidioso sarà già fuggito:<br />Assapora ogni istante, confidando il meno possibile nel domani. |Orazio, ''[[Odi (Orazio)|Odi]]'', I, 11, 7-8|Dum loquimur, fugerit invida<br />aetas: carpe diem, quam minimum credula postero.|lingua=la}}
{{Citazione|Almo Sole [...] che tu possa contemplare nulla di più grande della città di Roma.|''Orazio'', ''[[Carmen saeculare]]''.|Alme Sol [...] possis nihil urbe Roma visere maius.|lingua=la}}
Si può riconoscere in molte delle occasioni, da cui Orazio trae spunto per i suoi componimenti, una funzione comunicativa: ma difficilmente essa si traduce in un mero fine encomiastico, nei confronti del circolo dei suoi potenti protettori, perché assai più spesso essa svolge la funzione di trasmettere al lettore (e ai posteri) un'esperienza concreta di socievolezza e di rapporti umani, da cui trarre un insegnamento o semplicemente una riflessione<ref>Mario Citroni, ''Occasione e piani di destinazione nella lirica di Orazio'', Materiali e discussioni per l'analisi dei testi classici, No. 10/11 (1983), pp. 133-214.</ref>.
Convertitosi all'[[epicureismo]]<ref>[https://books.google.it/books?id=AzvXQdAqEmwC&pg=PA136&lpg=PA136&dq=virgilio%20epicureismo&source=bl&ots=oXessiuRiX&sig=W-URSfAIGc8QO1ceptRZ2ngiS74&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwi7tLT9iqnbAhVIqaQKHbPdAfo4ChDoAQhBMAI#v=snippet&q=epicureismo&f=false Book.google.it]</ref>, anch'egli alla ricerca di risposte sui grandi temi esistenziali, risposte che di fatto non troverà mai: il poeta sembra infatti non essere mai sfuggito all'[[angoscia]] della [[morte]], percepita sempre come imminente. È interessante analizzare la visione che il poeta latino aveva dell'aldilà, in quanto è indubbiamente molto sincera: sebbene velata da una certa sicurezza, propria di quella "[[aurea mediocritas]]" di cui Orazio voleva essere esempio, in molteplici occasioni traspare una vena di malinconia, accompagnata da cupe note di lirismo e di elegia, che tradisce il suo reale stato interiore.
Orazio appare, a sprazzi, come quello che forse veramente era: un uomo che ha trovato nella vita il rifugio dalla morte, ma che in verità non è mai riuscito a curare del tutto la paura di essa, che preferisce fuggire piuttosto che combattere stoicamente. La sua personalità può quindi risultare, a una prima lettura, ambigua: tale ambiguità nasce dalla discordanza che talvolta si viene a creare tra l'immagine che Orazio voleva dare di sé, e la vera personalità del poeta che inevitabilmente trapela dalle righe: non a caso, come sostiene [[Ugo Enrico Paoli]], "nulla [...] appare così difficile come penetrare nell'animo di Orazio". La rappresentazione dell'aldilà oraziano è comunque di forte stampo epicureo, e viene suggellata nel modo migliore nell'affermazione, non priva di una nota malinconica, espressa nell'Ode 7 del Libro IV (v. 16):
{{Citazione|''Pulvis et umbra sumus''}}
[[File:Quinto Orazio Flacco.jpg|thumb|Quinto Orazio Flacco in un ritratto immaginario di [[Giacomo Di Chirico]]]]
In questa affermazione Orazio riesce a esprimere non solo il suo punto di vista sulla morte, ma anche l'angoscia che lo investe in vita, proprio in funzione del prossimo e certo annullamento dell'esperienza terrena. Dai versi di Orazio, quando il poeta parla della morte, risulta davvero difficile cogliere una nota di serenità, di gioia: il sentimento che invece predomina e che si identifica nella reazione psicologica del poeta di fronte alla morte, è una triste accettazione di un fatto naturale. In particolare questo sentimento viene espresso nell'Ode 14 del II libro, nella quale afferma (vv. 8 -12):
{{Citazione|''...tristi<br />[...] unda, scilicet omnibus,<br />quicumquae terrae munere vescimur,<br />enaviganda, sive reges<br />sive inopes erimus coloni''.}}
Questi versi ci esprimono quanto Orazio percepisse la morte cupa e fonte di grande turbamento: viene qui rappresentata come una palude (''unda'', parola che già nel suono anticipa il concetto che sta per essere espresso, e rafforza il simbolismo di cui è oggetto: palude=morte), a cui accosta l'aggettivo "triste" (''tristi''), che reca con sé anche un profondo senso di inevitabilità. La palude a cui allude Orazio è lo [[Stige (fiume)|Stige]]: in questo caso, il riferimento mitologico ha valore simbolico, ed è funzionale non solo a esprimere il concetto della morte, ma anche a rendere più vivida ed espressiva la poesia. Invece ''scilicet'' (come è naturale) afferma un dato di fatto: l'inevitabilità della morte, alla quale non vi è modo di sfuggire. Questo concetto in realtà viene qui ripetuto, ma era già stato espresso all'inizio dell'ode:
{{Citazione|''...nec pietas moram<br />Rugis et instanti senectae<br />Adfert indomitaeque morti''.}}
[[File:Casa di Orazio Flacco.jpg|thumb|[[Venosa]], interno della casa di Orazio]]
Inutile e vana è la religione, incapace di porre un rimedio (''moram'') all'incalzante vecchiaia e alla morte: questo è il punto di vista del poeta riguardo alla religione, e traduce un sentimento diffuso ed esteso a tutta la romanità del secolo. La religione è ormai incapace di dare spiegazioni sufficienti riguardo alla vita dopo la morte, il fervore religioso (''pietas'') non potrà salvare l'uomo dalla sua naturale condizione di mortale.
È davvero grande la differenza che corre tra l'attacco e la critica che [[Lucrezio]] aveva fatto nei confronti della ''religio'', accusata di offuscare la ragione e di far nascere inutili tribolazioni e angosce, e questa, che suona più come una triste constatazione dell'incapacità di essere rasserenati da una religione nella quale non si riesce più a credere. Centrale nei versi 8-12 è il [[gerundivo]] ''enaviganda'', che esprime pienamente l'inevitabilità e la certezza della morte, non senza una nota di cupa e profonda malinconia, già anticipata da ''tristi unda''. Risulta già chiara da questi pochi versi la percezione che Orazio aveva della morte, percezione che spiega e motiva la sua scelta di vita: una vita caratterizzata dal godere del presente e delle poche gioie che la vita ci offre (identificabili principalmente nell'amicizia, nel convivio, nella pace interiore) e che ci consentono di vivere con serenità e stabilità. Orazio appare a tratti molto pessimista: la morte è sempre in agguato e la vita potrebbe finire in ogni momento; è meglio, quindi, non riporre le proprie speranze nel domani. Questa idea di brevità della vita (che ritroviamo anche in [[Catullo]]: ''brevis lux'') è un ulteriore invito a godersi la vita il più possibile, concetto che ritroviamo in numerosi versi, come nell'Ode 11 del libro I:
{{Citazione|''...Dum loquimur fugerit invida<br />Aetas: carpe diem, quam minimum credula postero''.<ref>Tante le traduzioni di questa celebre poesia, da [[Tommaso Gargallo]], a [[Giosuè Carducci]] (in ''Opere'', ed. naz., Bologna, Zanichelli, 1962, vol. XXIX, p. 47), a [[Giovanni Pascoli]] (in ''Poesie. Poesie varie. Traduzioni. Riduzioni'', a cura di [[Augusto Vicinelli]], Milano, Mondadori, 1968, p. 1657), a [[Alberto Caramella]] (in ''[[I viaggi del Nautilus]]'', Firenze, Le Lettere, 1997, p. 1).</ref>}}
Il tempo è in una fuga perpetua, che non lascia adito a speranze future: occorre sfruttare al massimo il tempo che ci è concesso, e considerare ogni momento che ci è dato come un dono, così come afferma nell'Ode 9, del libro I (vv.14-15: "''...Quem Fors dierum cumque dabit, lucro/Adpone...''"); la sua concezione della ''fuga temporis'' sarà un perfetto modello per un grande poeta italiano come [[Francesco Petrarca]], che, dopo aver letto classici come Orazio, [[Seneca]] e [[Agostino d'Ippona|Agostino]], lamenterà, nel ''[[Canzoniere (Petrarca)|Canzoniere]]'', la caducità del tempo e la sua essenza fuggitiva in liriche come ''La vita fugge, et non s'arresta un'ora'', molto vicina alla poetica oraziana. È chiaro dai suoi versi quanto la visione della morte condizioni in modo netto l'esperienza di vita del poeta, che ci viene vivacemente descritta dalla sua poesia: la morte non è, al contrario di quanto si crede, un evento che ci attende alla fine del nostro percorso vitale, ma è qualcosa che ci lasciamo dietro ogni giorno e dietro ogni momento, che estingue e brucia, attraverso il tempo, tutto ciò che è.
== Opere ==
{{Vedi anche|Storia della letteratura latina (31 a.C. - 14 d.C.)}}
[[File:Le Odi di Orazio.gif|thumb|Le ''Odi'' di Orazio tradotte da [[Mario Rapisardi]]]]
[[File:Horatii Flacci Sermonum.tif|thumb|''Horatii Flacci Sermonum'', 1577|375x375px]]
* [[Epodi]] (''Epodon libri'' o ''Iambi'', come li definisce l'autore), 17 componimenti, composti a partire dal [[42 a.C.]] e pubblicati nel [[30 a.C.]]
* [[
* [[Odi (Orazio)|Odi]] (''Carmina'', come li definisce l'autore), in tre libri con 88 componimenti, pubblicati nel [[23 a.C.]] Un quarto libro con altri 15 componimenti venne pubblicato intorno al [[13 a.C.]]
* [[Epistole (Orazio)|Epistole]], in due libri. Il I libro comprende 20 lettere composte a partire dal [[23 a.C.|23]] e pubblicate nel [[20 a.C.]], con dedica a Mecenate, mentre il II libro, con tre lettere, scritto tra il [[19 a.C.|19]] e il [[13 a.C.]], comprende l'[[epistola ai Pisoni]], o ''[[Ars Poetica]]'' in 476 esametri, che fu presa a canone per la composizione poetica nelle epoche successive.
* [[Carmen saeculare|Carme secolare]] (''Carmen saeculare''), del [[17 a.C.]], scritto per incarico di [[
== Eredità ==
Orazio è considerato dal [[classicismo (letteratura)|classicismo]] uno dei più importanti poeti latini, citato ad esempio anche nell{{'}}''[[Inferno (Divina Commedia)|Inferno]]'' di [[Dante]] nel [[Limbo]], al [[verso]] 89 del [[Inferno - Canto quarto|canto IV]].
Molte delle sue frasi sono diventate modi di dire ancora in uso: esempi sono ''[[carpe diem]]'', ''[[nunc est bibendum]]'' e ''[[aurea mediocritas]]'', oltre che ''[[Odi profanum vulgus, et arceo]]'', e, recentemente, gli è stato intitolato anche un cratere sulla [[superficie di Mercurio]].
== Edizioni ==
=== Opere in latino ===
* {{Cita libro|lingua=la|editore=Ex officina typographica Andreae Wecheli|cognome=Quinto Orazio Flacco|titolo=[Opere]|città=Francofurti ad Moenum|data=1577|url=https://gutenberg.beic.it/webclient/DeliveryManager?pid=9520195&custom_att_2=simple_viewer&search_terms=DTL5&pds_handle=}}
* {{Cita libro|lingua=la|editore=Ex officina typographica Andreae Wecheli|cognome=Quinto Orazio Flacco|titolo=[Opere. Poesia]|città=Francofurti ad Moenum|data=1577|url=https://gutenberg.beic.it/webclient/DeliveryManager?pid=9519490&custom_att_2=simple_viewer&search_terms=DTL5&pds_handle=}}
=== Opere tradotte in italiano ===
* {{Cita libro | curatore=Enzo Mandruzzato | titolo=Odi ed epodi. Testo latino a fronte | editore=[[Biblioteca Universale Rizzoli|BUR]] | collana=Classici greci e latini | città=[[Milano]] | anno=1985 | isbn=978-88-17-16513-6}}
* {{Cita libro | curatore=Gavino Manca | titolo=Cinque satire sulla saggezza del vivere | editore=[[Giulio Einaudi Editore|Einaudi]] | collana=Collezione di poesie | città=[[Torino]] | anno=1991 | isbn=978-88-17-16513-6}}
* {{Cita libro | curatore=Tito Colamarino | curatore2=Domenico Bo | titolo=Opere. Testo latino a fronte | editore=[[UTET]] | collana=Classici latini | città=[[Torino]] | anno=2015 | isbn=978-88-51-12756-5}}
* {{Cita libro | curatore=Ugo Dotti | titolo=Epistole-Ars poetica. Testo latino a fronte | editore=[[Giangiacomo Feltrinelli Editore|Feltrinelli]] | collana=Universale economica. I classici | città=[[Milano]] | anno=2015 | isbn=978-88-07-90211-6}}
* Donatella Puliga (a cura di), con introduzione di Maurizio Bettini, ''Poesia classica latina''. Testo latino a fronte, La biblioteca di Repubblica, Einaudi, Torino, 1990, rist. 2004, pp. 331–367.
* Enzio Cetrangolo, ''Carmi'', Sansoni, Firenze, 1960.
== Note ==
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== Bibliografia ==
* {{Cita libro|autore=[[Antonio La Penna]]|titolo=Orazio e l'ideologia del principato|città=Torino|editore=Einaudi|anno=1963}}
* {{Cita libro|autore=Antonio La Penna|titolo=Saggi e studi su Orazio|città=Firenze|editore=Sansoni|anno=1993|isbn=88-383-1483-7}}
* {{Cita libro|autore=[[Giorgio Pasquali]]|titolo=Orazio lirico. Studi|città=Firenze|editore=Felice Le Monnier|anno=1920}}
* {{Cita libro|autore=[[Augusto Rostagni]]|titolo=Orazio|città=Roma|editore=Edizioni Roma|anno=1937}}
* {{Cita libro|autore=[[Nicola Terzaghi]]|titolo=Orazio|città=Roma|editore=A. F. Formiggini|anno=1930}}
* {{Cita libro|autore=[[Enrico Turolla]]|titolo=Orazio|città=Firenze|editore=Felice Le Monnier|anno=1931}}
== Voci correlate ==
* [[Certamen Horatianum]]
* [[Enciclopedia oraziana]]
* [[Gaio Fundanio]]
* [[Gens Horatia]]
* [[Genus irritabile vatum]]
* [[Atilio Fortunaziano]]
== Altri progetti ==
{{interprogetto}}
== Collegamenti esterni ==
* {{Collegamenti esterni}}
* [https://www.academia.edu/82622993/Una_breve_sintesi_della_ricezione_delle_opere Fabia Zanasi - Academia.edu] ''Una breve sintesi della ricezione delle opere'']
* [http://www.intratext.com/Catalogo/Autori/Aut186.HTM ''Opera Omnia'' di Quinto Orazio Flacco]: testi con concordanze e liste di frequenza
* [
* ''Carmina [http://www.stilus.nl/horatius/index-latine.htm Horatiana]'': Tutti i ''carmi'' di Orazio declamati in lingua latina da Tommaso Bervoets.
* Della fama d'Orazio fino a' dì nostri, in Italia, lezione di [[Mario Rapisardi]], dicembre 1885
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