Elitismo: differenze tra le versioni

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L<nowiki>{{'</nowiki>}}'''elitismo''' è una teoria [[politica]] basata sul principio minoritario, secondo il quale il [[potere politico]] èsarebbe sempre in mano a una minoranza che governa l'intera [[Società (sociologia)|società]].
 
Esso siSi fonda sul concetto di ''[[Élite (sociologia)|élite]]'', dal latino ''eligere'', cioè "scegliere" (quindi "scelta dei migliori").; Asecondo secondatale delimpostazione sistemale diverse [[forme di valorigoverno]] dominantesebbene ebasate dellasu formaprincipi di governo, volta ain volta storicamentediversi, e solo apparentemente contraddittori sotto diversi riscontrabiliaspetti, sonolasciano interscambiabiliintatta conla ilstruttura sintagmadella ''élite''società terminiche comevede [[partitocrazia]],una ''[[aristocrazialeadership]]'' econcentrata [[oligarchia]]sul potere di una minoranza organizzata.
 
== Presupposti dell'elitismoideologici ==
Il punto di forza dell<nowiki>{{'</nowiki>}}''élite'' è nell'atomizzazione della [[massa (sociologia)|massa]]. Secondo l'elitismo la massa è confusa, dispersa e incapace di organizzarsi. Su questo caos si fonda la forza dell<nowiki>{{'</nowiki>}}''élite'', che è invece organizzata e in questo modo ottiene e mantiene il suo potere. C'è dunque una critica verso la [[democrazia]], ma non è una critica che scaturisce da un giudizio di valore, bensì una critica quasi ontologica: la democrazia, semplicemente, non può esistere, poiché il popolo non ha le capacità di autogovernarsi e nel momento in cui si organizza esso porta automaticamente un{{'}}''élite'' a prendere il potere. Si parla di a-democraticità dell'elitismo, non di anti-democraticità.
Il punto di forza dell<nowiki>'</nowiki>''élite'' è nell'atomizzazione della [[massa (sociologia)|massa]]. Secondo l'elitismo la massa è confusa, dispersa e incapace di organizzarsi. Su questo caos si fonda la forza dell<nowiki>'</nowiki>''élite'', che è invece organizzata e in questo modo ottiene e mantiene il suo potere. C'è dunque una critica verso la [[democrazia]], ma non è una critica che scaturisce da un giudizio di valore, bensì una critica quasi ontologica: la democrazia, semplicemente, non può esistere, poiché il popolo non ha le capacità di autogovernarsi e nel momento in cui si organizza esso porta automaticamente un'''élite'' a prendere il potere. Si parla di a-democraticità dell'elitismo, non di anti-democraticità.
 
Per forza di cose, gli elitisti criticano anche la visione del [[liberalismo]] basato sulla [[separazione dei poteri]] (appunto perché il potere è invece monopolizzato) e criticano il [[socialismo]] perché ritengono che la società – ben lungi dall'essere divisa in [[Classe (sociale)|classi]] – sia frammentata e atomizzata. La visione elitista si contrappone infine radicalmente a quella del [[pluralismo]]: quest'ultimo infatti ritiene che il potere sia largamente distribuito (e non monopolizzato) tra gruppi che si equilibrano (senza quindi formare ''élite'').
 
Al momento della sua nascita la teoria dell'elitismo (seppur di matrice scientifica) {{senza fonte}}era connotata da una forte valenza ideologica, in contrapposizione con le teorie della democrazia radicale e con il [[marxismo]]. Il fatto che i governanti fossero minoranza e i governati maggioranza non è una cosa nuova (lo stesso [[Henri de Saint-Simon|Saint-Simon]] lo afferma); l'elitismo però conferisce dignità scientifica a questa costante storica già osservata. Il fenomeno è proposto come qualcosa di ineluttabile nella storia della politica: i vecchi modi di considerare il governo (tripartizioni di [[Aristotele]] e [[Montesquieu]] e bipartizione di [[Niccolò Machiavelli|Machiavelli]]) sono considerati, secondo questa visione, obsoleti: sostanzialmente il [[sistema politico]] si fonda sempre sulla [[dicotomia]] massa-''élite'' ed il suo metodo di governo andrebbe declinato secondo i dettami della [[Realismo (politica)|scuola realista]].
 
== La "scuola italiana" ==
=== Gaetano Mosca e Vilfredo Pareto ===
Gli studiosi italiani del primo [[XX secolo|Novecento]], come [[Gaetano Mosca]] e [[Vilfredo Pareto]], furono i fondatori dell'elitismo (si parla di scuola elitista italiana).
 
Mosca, che usava il termine "classe politica" per riferirsi all{{'}}''élite'', propose il "criterio delle tre C" per descrivere il funzionamento dei detentori del potere:
* consapevolezza; i membri della classe politica sono infatti consapevoli delle loro comuni posizioni politiche, sociali ed economiche e dello Statostato frammentato della massa;
* coesione; a differenza delladelle masse, i membri della classe politica si alleano e si organizzano;
* cospirazione; i membri della classe politica mascherano il loro governo sulla massa, nascondono il fatto che vi sia un{{'}}''élite'' al potere.
 
La riflessione di Mosca condotta in ''Elementi di scienza politica''([[1896]]) descrive il fenomeno elitista in questo modo:
Pareto, che operazionalizzò la teoria elitista anche in [[logica]] e in [[matematica]], riteneva che i membri delle ''élite'' fossero davvero i membri migliori di una società e fossero quindi legittimati a governarla. Per questo egli utilizza il termine "aristocrazia". A differenza di Mosca ritiene che il potere non sia monopolizzato da una sola ''élite'', ma che in ogni ambito della società (in ogni sua sotto-struttura) vi sia un'''élite'': in ambito economico, culturale, militare e così via. Pareto, riprendendo una differenziazione già compiuta dal Machiavelli, distingue inoltre tra un<nowiki>'</nowiki>''élite'' di leoni e un<nowiki>'</nowiki>''élite'' di volpi. I primi usano la coercizione, la forza (la ''macht'') per comandare; i secondi usano la persuasione e il mascheramento (la ''herrschaft''). Alla lunga sono le ''élite'' di volpi a perdurare, perché il loro potere poggia su una legittimità più stabile e duratura. Più che dai problemi di formazione e di costituzione delle ''élite'', Pareto è tuttavia interessato a come le ''élite'' vengono sostituite da altre ''élite''. A suo parere esse non sono infatti destinate a durare nel tempo, ma a essere sostituite; la storia è "cimitero di ''élite''".
{{Citazione|Fra le tendenze e i fatti costanti, che si trovano in tutti gli organismi politici, uno ve n'è la cui evidenza può essere a tutti manifesta: in tutte le società, a cominciare da quelle più mediocremente sviluppate e che sono arrivate appena ai primordi della civiltà, fino alle più colte e più forti, esistono due classi di persone, quella dei governanti e l'altra dei governati. La prima, che è sempre la meno numerosa, adempie a tutte le funzioni politiche, monopolizza il potere e gode i vantaggi che ad esso sono uniti; mentre la seconda, più numerosa, è diretta e regolata dalla prima in modo più o meno legale, ovvero più o meno arbitrario e violento, e ad essa fornisce, almeno apparentemente, i mezzi materiali di sussistenza e quelli che all'utilità dell'organismo politico sono necessari}}
 
Pareto, che operazionalizzòrazionalizzò la teoria elitista anche in [[logica]] e in [[matematica]], riteneva che i membri delle ''élite'' fossero davvero i membri migliori di una società e fossero quindi legittimati a governarla. Per questo egli utilizza il termine "aristocrazia". A differenza di Mosca ritiene che il potere non sia monopolizzato da una sola ''élite'', ma che in ogni ambito della società (in ogni sua sotto-struttura) vi sia un{{'}}''élite'': in ambito economico, culturale, militare e così via. Pareto, riprendendo una differenziazione già compiuta dal Machiavelli, distingue inoltre tra un<nowiki>{{'</nowiki>}}''élite'' di leoni e un<nowiki>{{'</nowiki>}}''élite'' di volpi. I primi usano la coercizione, la forza (la ''macht'') per comandare; i secondi usano la persuasione e il mascheramento (la ''herrschaft''). Alla lunga sono le ''élite'' di volpi a perdurare, perché il loro potere poggia su una legittimità più stabile e duratura. Più che dai problemi di formazione e di costituzione delle ''élite'', Pareto è tuttavia interessato a come le ''élite'' vengono sostituite da altre ''élite''. A suo parere esse non sono infatti destinate a durare nel tempo, ma a essere sostituite; la storia è "cimitero di ''élite''".
 
=== Robert Michels ===
[[Robert Michels]] fu il più controverso tra gli elitisti, ma i suoi studi diedero anche la prova dell'esattezza della tesi elitista. Allievo di [[Max Weber]], fu socialista e membro del [[Partito Socialdemocratico di Germania]], nella corrente [[Anarchia|anarco]]-[[Sindacalismo|sindacalista]]. Tuttavia, nel suo studio ''Sociologia del partito politico'' (1912), egli afferma che persino nel [[Partito politico|partito]] [[Socialdemocrazia|socialdemocratico]] ci sono ''élite'' che comandano, perché ovunque vi sia organizzazione vi è anche oligarchia. È l'organizzazione stessa che produce oligarchia, è nel momento stesso in cui si tenta di dare ordine sociale al caos della massa che tende a prevalere un{{'}}''élite''. Lo studio di Michels, riscontrabile poi in molti altri partiti storici (anche se è stato poi criticato e rivisto in seguito) mostra poi come le oligarchie partitiche finiscono per diventare più moderate delle masse che rappresentano, diventano classiste e gelose del loro potere, si imborghesiscono e portano il partito alla moderazione e all'allontanamento dalle [[Ideologia|ideologie]] radicali di partenza. Michels si avvicinò poi al [[fascismo]] nell'ultima parte della sua vita, che trascorse in [[Italia]]. La tesi di Michels è stata denominata "[[legge ferrea dell'oligarchia]]": "''L'organizzazione è la madre del predominio degli eletti sugli elettori. Chi dice organizzazione dice [[oligarchia]]''".
{{Approfondimento
|allineamento = sinistra
|larghezza = 300px
==|titolo = Elitismo e fascismo ===
Traspare|contenuto da= questiTraspare dagli autori dell'elitismo della prima metà del Novecento un certo timore per il socialismo egualitario; si ha il sentore che la società stia correndo verso l'egualitarismo (percepito perciò da questi come un valore negativo) e si sente il bisogno di porre un freno all'iperdemocraticismo. Nella società si stanno affermando le istanze del [[Evoluzione|darwinismo]] politico che inducono a considerare la politica secondo una visione ristretta. Le stesse rivoluzioni vengono spiegate e interpretate in chiave elitista: esse non sono altro che la sostituzione della classe dirigente; il popolo è solo strumentale a questa dinamica, le masse sono uno strumento di manovra in mano alle élite politiche in ascesa. Si vuole ribaltare la [[filosofia della storia]] la quale affermava che le masse stessero andando verso il potere ([[Rivoluzione (politica)|rivoluzione]], [[moti del 1848]] e così via): le rivoluzioni non sono l'avvicinamento delle masse al potere, bensì lo strumento per il ricambio dirigenziale utilizzato dalle ''élite''.
 
Si vuole ribaltare la [[filosofia della storia]] la quale affermava che le masse stessero andando verso il potere ([[Rivoluzione (politica)|rivoluzione]], [[moti del 1848]] e così via): le rivoluzioni non sono l'avvicinamento delle masse al potere, bensì lo strumento per il ricambio dirigenziale utilizzato dalle ''élite''.
=== Elitismo e fascismo ===
 
Da molti, soprattutto in seguito alla [[seconda guerra mondiale]], l'elitismo è stato criticato per una sua vicinanza ideologica ai fascismi. In realtà l'elitismo è una teoria politica descrittiva più che prescrittiva, cioè si limita a descrivere la realtà sociale che si delinea con la presenza dell'elitismo, senza proporre una sua visione, un metodo e delle regole da seguire. È innegabile tuttavia una vicinanza di pensiero. Michels, ad esempio, ebbe molti rapporti con [[Benito Mussolini|Mussolini]], esaltandolo anche in alcuni suoi scritti più tardi. Tuttavia Gaetano Mosca non aderì al fascismo, pur essendo un [[Conservatorismo|conservatore]], e anzi l'esperienza mussoliniana lo portò a moderare la teoria elitista. Tuttavia nel secondo dopoguerra l'elitismo classico fu sommerso da critiche di vicinanza al fascismo e rinacque in una corrente più moderata negli [[Stati Uniti d'America|Stati uniti]].
Tuttavia Gaetano Mosca non aderì al fascismo, pur essendo un [[Conservatorismo|conservatore]], e anzi l'esperienza mussoliniana lo portò a moderare la teoria elitista.
}}
 
Da molti, soprattutto in seguito alla [[seconda guerra mondiale]], l'elitismo è stato criticato per una sua vicinanza ideologica ai fascismi. In realtà l'elitismo è una teoria politica [[Giudizio di valore#Avalutatività|descrittiva più che prescrittiva]], cioè si limita a descrivere la realtà sociale che si delinea con la presenza dell'elitismo, senza proporre una sua visione, un metodo e delle regole da seguire. È innegabile tuttavia una vicinanza di pensiero. Michels, ad esempio, ebbe molti rapporti con [[Benito Mussolini|Mussolini]], esaltandolo anche in alcuni suoi scritti più tardi. Tuttavia Gaetano Mosca non aderì al fascismo, pur essendo un [[Conservatorismo|conservatore]], e anzi l'esperienza mussoliniana lo portò a moderare la teoria elitista. Tuttavia nel secondo dopoguerra l'elitismo classico fu sommerso da critiche di vicinanza al fascismo e rinacque in una corrente più moderata negli [[Stati Uniti d'America|Stati unitiUniti]].
 
{{Citazione|In tutti i sistemi politici, compresi quelli democratici, i pochi domineranno sui molti: questa è, secondo la celebre formula di Michels, la «legge ferrea dell’oligarchia». (...) Tale minoranza si costituisce in una classe politica che si ricambia essenzialmente per cooptazione. Nei sistemi politici che utilizzano il suffragio, la classe politica, secondo [[Max Weber]], è prevalentemente di estrazione partitica. Come rileva Michels, non senza amarezza, persino nei partiti di sinistra – vale a dire in quei partiti che dovrebbero desiderare in maggior misura la democrazia – la logica organizzativa produce e riproduce in maniera ferrea una oligarchia, e se la democrazia politica risulta inattingibile all’interno dei [[partiti]] che a lei si ispirano, appare irrealistico attendersi che possa affermarsi nei sistemi politici. Ma il salto dalla mancanza di democrazia nei partiti alla mancanza di [[democrazia]] nei sistemi politici è, probabilmente, troppo lungo|[[Gianfranco Pasquino]], ''Partiti, istituzioni, democrazie'', Bologna, Il Mulino, 2014, pp. 307-308}}
In effetti, "diversi partiti hanno continuato (anche dopo aver ceduto alla realtà dell’oligarchia) ad aggrapparsi ad importanti simboli della più democratica formula del [[partito di massa]]. Probabilmente è accaduto principalmente più per motivi pratici che non idealistici. Nonostante i ''mass media'' abbiano ricoperto quei ruoli che avrebbero potuto richiedere altrimenti una militanza più profonda e attiva, i partiti pigliatutto hanno avuto bisogno di un gran numero di iscritti non solo per una questione di status, ma anche per il supporto finanziario e più in generale, con le parole di Katz e Mair, come ''cheerleader''. Tuttavia, abbandonati gli obblighi vicendevoli che legavano i partiti di massa coi loro iscritti, i partiti in generale stavano facendo un altro passo verso quello Stato naturale immaginato da Michels"<ref>L. Bardi (a cura di), ''Partiti e sistemi di partito. Il "cartel party" e oltre'', Bologna, Il Mulino, 2006, p. 140.</ref>.
 
Traspare da questi autori un certo timore per il socialismo egualitario; si ha il sentore che la società stia correndo verso l'egualitarismo (percepito perciò da questi come un valore negativo) e si sente il bisogno di porre un freno all'iperdemocraticismo. Nella società si stanno affermando le istanze del [[Evoluzione|darwinismo]] politico che inducono a considerare la politica secondo una visione ristretta. Le stesse rivoluzioni vengono spiegate e interpretate in chiave elitista: esse non sono altro che la sostituzione della classe dirigente; il popolo è solo strumentale a questa dinamica, le masse sono uno strumento di manovra in mano alle élite politiche in ascesa. Si vuole ribaltare la [[filosofia della storia]] la quale affermava che le masse stessero andando verso il potere ([[Rivoluzione (politica)|rivoluzione]], [[moti del 1848]] e così via): le rivoluzioni non sono l'avvicinamento delle masse al potere, bensì lo strumento per il ricambio dirigenziale utilizzato dalle ''élite''.
=== Elitismo democratico ===
A partire dagli [[Anni 1920|anni venti]], con la pubblicazione della seconda edizione ampliata degli ''Elementi di scienza della politica'' di Mosca, la teoria della classe politica viene imponendosi per il suo valore scientifico e non per la sua connotazione ideologica: non è più una teoria destinata a circoli ultraconservatori, ma è avvicinata anche da sinceri democratici.
In seguito alla seconda stesura degli ''Elementi di scienza politica'' di Mosca prende via un nuovo approccio all'elitismo. Nella seconda edizione dell'opera moschiana si evidenzia come le classi politiche possano trarre alimento dalle classi inferiori: la teoria delle élite si può perciò conciliare con una visione democratica; il potere si configura cioè come [[Democrazia liberale|liberal-democratico]] (dal basso all'alto: classe politica allargata) e non come autocratico (dall'alto al basso).
 
La teoria elitista è un prodotto della [[scienza politica]] italiana, come sostenuto da [[Norberto Bobbio]]<ref>N. Bobbio, ''Mosca e la teoria della classe politica'', in Saggi sulla scienza politica in Italia, Bari 1969, pp. 199-218.</ref>; italiani sono anche i due maggiori interpreti democratici e liberali della teoria: [[Guido Dorso]] e [[Filippo Burzio]]. Dorso sostiene che in ogni società esista un'élite e descrive quali rapporti debbano intercorrere tra classe politica e resto della popolazione. La classe politica deve essere sempre pronta ad accogliere in sé nuovi elementi, essa deve essere scelta dal basso e l'autogoverno locale deve contribuire a questa selezione. Burzio esalta il ruolo delle minoranze, le quali però, secondo lui, si devono proporre e non imporre<ref>A partire da "quel che [[Max Weber|weberianamente]] è stato definito da [[Filippo Burzio]], in ''Politica demiurgica'' (1923), il «politeismo delle élites», (...) è d’ascendenza paretiana la considerazione che «[[Oligarchia|oligarchie]] reggono la politica, l’economia, perfino la cultura umana; ed esse [...] sono addirittura elette, fino a quando coincidono con l’interesse della collettività, contribuiscono al benessere collettivo, adempiono, cioè, una funzione sociale». Tutto ciò accade perché «democrazia» significa che «il potere politico è nelle mani del popolo non direttamente (perché è assurdo), ma indirettamente attraverso una classe politica di governo controllata da una classe politica di opposizione selezionata attraverso la formula democratica»": [[Sabino Cassese]] (a cura di), ''Lezioni sul meridionalismo. Nord e Sud nella storia d'Italia'', Bologna, [[Il Mulino]], 2016, pp. 221-223.</ref>.
 
Quando si diffuse nella [[politologia]] internazionale, furono riuniti sotto l'etichetta di "elitisti democratici" David Truman, John Plamenatz, [[Robert Dahl]] e [[Giovanni Sartori]]<ref>P. Bachrach, The Theory of Democratic Elitism : a Critique (1967), Lanham, University Press of America, 1980, p. 93.</ref>.
 
== Neo-elitismo ==
Centrale rispetto alla teoria elitista è anche la figura di [[Harold Lasswell]], il quale introduce la teoria all'interno del dibattito politologico statunitense. Egli pubblica nel 1936 ''Chi ottiene che cosa, quando e come''; in questo libro sostiene che chi studia la politica si deve occupare esclusivamente delle ''élite''. La massa non è di nessun interesse per uno studioso della politica<ref>Al più, la sua rilevanza va inquadrata nella concezione dello "scambio politico", secondo la critica (immortalata da [[Joseph A. Schumpeter]] in ''Capitalismo, socialismo e democrazia'') alla nozione [[Jean-Jacques Rousseau|rousseauviana]] della [[volontà generale]], "che annega i moventi del rapporto tra [[classe dirigente|ceti dirigenti]] e [[Teoria delle classi politiche|classe politica]] in un'indistinta notte nera in cui tutte le vacche sono nere": così [{{cita testo|url=http://www.mondoperaio.net/la-legge-sulle-lobbies/ |titolo=Giampiero Buonomo, ''La legge sulle lobbies'']|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20150622092429/http://www.mondoperaio.net/la-legge-sulle-lobbies/ }}, [[Mondoperaio]], 22 maggio 2014.</ref>. In ''Potere e società'' egli formula una scala gerarchica delle ''élite'': l<nowiki>{{'</nowiki>}}''élite'' più importante è quella che detiene il potere, esiste però anche un<nowiki>{{'</nowiki>}}''élite'' di tecnici e probabilmente, visto che il mondo si sta sviluppando tecnologicamente, essa andrà ad acquisire sempre più importanza.
=== Nella sociologia politica ===
Una nuova versione dell'elitismo si è sviluppata dal secondo dopoguerra negli Stati Uniti. Il neo-elitismo parte dal saggio di [[James Burnham]] ''La rivoluzione dei manager'' (''The Managerial Revolution'', 1941) in cui egli riprende la teoria delle ''élite'' e prefigura che la futura classe al comando sarà la classe dei [[manager]]: i detentori del potere saranno coloro che hanno le capacità intellettuali per mandare avanti le industrie e non più i proprietari<ref>Si tratta di una tesi ripresa e divulgata da [[John Kenneth Galbraith]] nel suo libro [[John_Kenneth_GalbraithJohn Kenneth Galbraith#Il_nuovo_Stato_industrialeIl nuovo Stato industriale|Il nuovo Stato industriale]].</ref>. In seguito egli scrive ''I neo-machiavellici'' (''The Machiavellians'', 1943) proponendo una visione anti-[[Statalismo|statalista]].
 
Altri studiosi hanno invece parlato di una ''power élite'' che usa i [[mezzi di comunicazione di massa]] per affermare e mantenere il proprio potere sulla massa passiva e confusa. Uno degli studi più brillanti del neo-elitismo fu svolto nel 1953 da [[Floyd Hunter]] nella città di [[Atlanta]]. Per scoprire chi fosse realmente al potere nella città Hunter svolse un'analisi reputazionale, cioè andò a chiedere ai cittadini chi secondo loro fosse al potere. Ne emerse un quadro in cui le istituzioni locali, i posti di lavoro e le scuole facevano tutte in qualche modo riferimento a un{{'}}''élite'' economica dominante.
 
Fondamentale è anche l'apporto di [[Charles Wright Mills]], il quale scrive ''Le élite del potere'' (1956), in cui muove contro l'idea degli Stati Uniti come paradiso dell'uomo comune. La società statunitense è in realtà estremamente chiusa e i poteri reali sono nelle mani di poche persone. Esistono tre ''élite'': quella politica, quella economica e quella militare. Esse si coalizzano per impedire l'accesso al potere a persone estranee a questa cerchia. Ad esempio: la figlia di un generale sposerà il figlio di un grande industriale; da un{{'}}''élite'' si passa quindi a un'altra (lampante è il caso di [[Eisenhower]] che da generale diventa [[presidente degli Stati Uniti d'America]]). Quindi Mills afferma che i rappresentanti della ''élite'' non giustificano la loro posizione per il possesso di capacità superiori, ma solo perché si sono installati in posti istituzionali di comando, e porta come esempio la scarsa importanza assunta dagli ex presidenti statunitensi.<ref>''Sociologia dell'economia e del lavoro'', di Luciano Gallino, Utet, Torino, 1989, pag.184-185, voce "''élite''".</ref> .
 
Per Mills l'elitismo indica inequivocabilmente il segnale di una degenerazione della democrazia, in quanto lede le garanzie istituzionali.
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All'elitismo democratico<ref>P. Bachrach, ''La teoria dell’elitismo democratico'', Napoli 1974.</ref> sotteso alla teoria delle moderne società "poliarchiche" ([[Robert Dahl]]), è collegata anche la concezione non teleologica del potere politico: essa spiega le alternanze del ceto politico non già come dati patologici, dovuti alla "decadenza" della Costituzione, ma come elementi fisiologici in un sistema politico in cui la selezione deriva da una competizione aperta; è questo il ritratto più proprio della "democrazia dei moderni", caratterizzata dall'attrazione nella contesa politica di sempre nuovi interessi al cui soddisfacimento si candidano volta a volta nuovi soggetti politici; il voto popolare, mediante le elezioni, è la regola procedurale che decide volta a volta quale soggetto politico garantisce un più esteso fronte di interessi emergenti dalla società<ref>Così [[Joseph A. Schumpeter]], "Un'altra dottrina della democrazia", in ''Socialismo, Capitalismo, Democrazia'', Etas ed., p. 257. Per un commento, v. [[Giuliano Urbani]], ''Schumpeter e la scienza politica, in Rivista italiana di scienza politica'', 1984, 3, p. 396, secondo cui la condizione di vitalità e di sviluppo delle democrazie è «responsabilizzare al massimo il cittadino, avvicinandolo — per così dire - alla diretta comprensione delle scelte politiche e delle poste (o risorse) che queste implicitamente mettono in palio per ogni soggetto della comunità politica».</ref>.
 
[[Giovanni Sartori]] conclude la diatriba teorica, affermando che una teoria della [[democrazia]] è davvero tale solo se ricomprende, al suo interno, sia la teoria "variamente detta competitiva, pluralista o [[Joseph A. Schumpeter|schumpeteriana]]", sia la teoria classica o partecipativa o [[Jean-Jacques Rousseau|rousseauviana]]: "ciò che la democrazia è non può essere disgiunto da ciò che la democrazia dovrebbe essere"<ref>Giovanni Sartori. ''Democrazia. Cosa è''. Rizzoli, 1994, pp. 12-17.</ref>. Nel suo ''Democrazia e definizioni'' (pubblicato originariamente dal Mulino nel 1957) "Sartori riprende e rinnova una tradizione di studi che risale a Max Weber e a Joseph Schumpeter: propone una teoria del funzionamento della democrazia pluralista che tiene insieme il realismo (descrive la democrazia come essa è effettivamente, inevitabilmente controllata e influenzata da élite in competizione fra loro) e la considerazione — un elemento che era stato sottovalutato da Weber e da Schumpeter — di quella che Sartori chiama la «pressione assiologica», il peso che sugli attori esercitano i [[Valore morale|valori]] democratici"<ref>[[Angelo Panebianco]], ''Sartori, maestro della politica'', [[Corriere della seraSera]], 5 aprile 2017.</ref>.
 
== Note ==
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* Sean Ingham, ''Popular Rule in [[Schumpeter]]’s Democracy'', Political Studies December 2016 64: 1071-1087, first published on December 11, 2015 doi:10.1111/1467-9248.12216.
* Heinrich Best, John Higley (Editors), ''Democratic Elitism: New Theoretical and Comparative Perspectives'' (International Studies in Sociology and Social Anthropology), 9004179399, 9789004179394 BRILL 2010.
*G.Giorgio Sola, ''La teoria delle élite'', Bologna, Il Mulino, Bologna 2000.
*Giorgio Volpe, ''We, the Elite. Storia dell'elitismo negli Stati Uniti dal 1920 al 1956'', Napoli, FedOA - Federico II University Press, 2019 [link: http://www.fedoabooks.unina.it/index.php/fedoapress/catalog/book/112]
*Claudia Mariotti, ''Elite Theory'', in Harris, P., Bitonti, A., Fleisher, C.S., Binderkrantz, A.S. (eds) ''The Palgrave Encyclopedia of Interest Groups, Lobbying and Public Affairs''. Palgrave Macmillan, Cham, 2020 [link: https://doi.org/10.1007/978-3-030-13895-0_67-1]
 
== Voci correlate ==
* [[Élite (sociologia)|''Élite'' (sociologia)]]
* ''[[Divide et imperaAristocrazia]]''
* [[Oligarchia]]
* [[Divide et impera]]
* [[Partitocrazia]]
* [[Postdemocrazia]]
 
== Collegamenti esterni ==
[[Categoria:Teorie politiche]]
*{{Collegamenti esterni}}
*{{Treccani|teoria-delle-elites_(Enciclopedia-delle-scienze-sociali)|Elites, teoria delle|v = |accesso = 11 gennaio 2023|autore = Giorgio Sola|data = 1993}}
 
{{Portale|politica|filosofia|storia}}
 
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