Critica della ragion pratica: differenze tra le versioni

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Nella "Critica della ragion pratica" Kant fornisce una sola formula dell'imperativo categorico, che è definita fondamentale.
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{{Libro
|titolo = Critica della ragion pratica
|titolo origtitoloorig = Kritik der praktischen Vernunft
|immagine = Kant's Critique of Practical Reason (1899 translation - bookGerman coveredition).jpg
|didascalia = frontespizioFrontespizio didella prima un'edizione inglese del [[1898]]
|autore = [[Immanuel Kant]]
|annoorig = 1788
|genere = saggio
|sottogenere = [[filosofia]]
|lingua = tedesco
|preceduto = [[Critica della ragion pura]]
|seguito = [[Critica del Giudizio]]
}}
La '''''Critica della ragion pratica''''' (intitolo originale ''{{tedesco|Kritik der praktischen Vernunft''}}) è un'opera di [[Immanuel Kant]] pubblicata nel [[1788]]; è la seconda per ordine cronologico delle tre celebri ''Critiche'' didel filosofo [[Immanuel Kant]], dipubblicata cuinel fanno1788. parteFa ancheseguito laalla ''[[Critica della ragion pura]]'' ([[1781]]) eed laè ''[[Criticauno deldei Giudizio]]''suoi ([[1790]])maggiori lavori sulla filosofia morale.
{{citazione
|Due cose riempiono l'animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto più spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale dentro di me.
|Epitaffio di I. Kant, estratto dalla ''Critica della ragion pratica'', cap. 34<ref>La citazione è tratta dalla conclusione della Critica della ragion pratica: «Due cose riempiono l'animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto più spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me. Queste due cose io non ho bisogno di cercarle e semplicemente supporle come se fossero avvolte nell'oscurità, o fossero nel trascendente, fuori del mio orizzonte; io le vedo davanti a me e le connetto immediatamente con la coscienza della mia esistenza. La prima comincia dal posto che io occupo nel mondo sensibile esterno, ed estende la connessione in cui mi trovo, a una grandezza interminabile, con mondi e mondi, e sistemi di sistemi; e poi ancora ai tempi illimitati del loro movimento periodico, del loro principio e della loro durata. La seconda comincia dal mio io invisibile, dalla mia personalità, e mi rappresenta in un mondo che ha la vera infinitezza, ma che solo l'intelletto può penetrare, e con cui (ma perciò anche in pari tempo con tutti quei mondi visibili) io mi riconosco in una connessione non, come là, semplicemente accidentale, ma universale e necessaria. Il primo spettacolo di una quantità innumerevole di mondi annulla affatto la mia importanza di natura animale che deve restituire nuovamente al pianeta (un semplice punto nell'universo) la materia della quale si formò, dopo essere stata provvista per breve tempo (e non si sa come) della forza vitale. Il secondo, invece, eleva infinitamente il mio valore, come [valore] di una intelligenza, mediante la mia personalità in cui la legge morale mi manifesta una vita indipendente dall'animalità e anche dall'intero mondo sensibile, almeno per quanto si può inferire dalla determinazione conforme a fini della mia esistenza mediante questa legge: la quale determinazione non è ristretta alle condizioni e ai limiti di questa vita, ma si estende all'infinito.» (''Critica della ragion pratica'', Bari, Laterza, 1966, pp. 201-202)</ref>
|Zwei Dinge erfüllen das Gemüt mit immer neuer und zunehmender Bewunderung und Ehrfurcht, je öfter und anhaltender sich das Nachdenken damit beschäftigt: Der bestirnte Himmel über mir, und das moralische Gesetz in mir.
|lingua=de
|lingua2=it
}}
La '''''Critica della ragion pratica''''' (in originale ''Kritik der praktischen Vernunft'') è un'opera di [[Immanuel Kant]] pubblicata nel [[1788]]; è la seconda per ordine cronologico delle tre celebri ''Critiche'' di Kant, di cui fanno parte anche la ''[[Critica della ragion pura]]'' ([[1781]]) e la ''[[Critica del Giudizio]]'' ([[1790]]).
 
Sebbene Kant avesse già pubblicato un'opera significativa, ''[[Fondazione della metafisica dei costumi]]'' (1785), la ''Critica della Ragion pratica'' intendeva sviluppare la sua teoria della volontà come determinabile (o in grado di agire) solo dalla legge morale, collocare le sue visioni etiche nel quadro più ampio del suo sistema di filosofia critica e approfondire alcuni temi della sua filosofia morale, come il sentimento di rispetto per la legge morale e il concetto del bene supremo.
Nella ''Ragion pratica'', il filosofo conduce l'analisi critica della ragione nel caso in cui essa sia indirizzata all'azione ed al comportamento, alla pratica per l'appunto. Lo scritto è affine ad altre due opere kantiane, la [[Fondazione della metafisica dei costumi]] ([[1785]]) e [[La metafisica dei costumi]] ([[1797]]): in questi tre scritti, Kant espone sostanzialmente la sua concezione della [[morale]].
Affine è la successiva ''[[La metafisica dei costumi]]'' (1797): nella ''Fondazione'' e nella ''Critica'' Kant pone il problema della fondazione e dei principi della "critica", in una parte de ''La Metafisica dei costumi'' (dal titolo ''Dottrina della virtù'', l'altra parte dell'opera è la ''Dottrina del diritto''), Kant passa dalla "critica" al "sistema", ovvero espone i "doveri" e la sua etica.
 
Come nella ''Ragion pura'', il filosofo si proponeva di mostrare non cosa l'uomo conosce, ma il "come" egli conosce, ovvero evidenziare i "meccanismi"principi della [[conoscenza]] umana, allo stesso modo ora si pone di fronte al problema della morale: egli non vuole definire quali precetti etici debbano essere seguiti dall'uomo, bensì "come" quest'ultimo debba comportarsi per compiere un'azione autenticamente morale, e quindi in cosa consiste realmente la morale. LaIn suaquesto insenso definitival'opera è una[[Deontologia|deontologica]], o [[Prescrittivismo linguistico|prescrittiva]]. La morale della ''formaleCritica della ragion pratica'': Kantvuole essere, infatticome già chiarisce la "Prefazione" all'opera, illustrauna morale ''formale'', vuole indicare una "formula della moralità", la [[Forma (filosofia)#La forma kantiana|forma]] della morale, ma non il suo contenuto (le norme morali). Le norme della moralità, i singoli doveri, non sono in contrasto con l'intento della morale kantiana nel suo complesso, ma rientrano nei compiti non della ''Critica della ragion pratica'' bensì della ''Dottrina della virtù'' della ''Metafisica dei costumi'' (1797), che contiene il sistema dei doveri che derivano dalla ragione pratica.
 
== Analisi del titolo ==
La ragione, intesa genericamente come il complesso delle nostre facoltà mentali, non solo è il fondamento della conoscenza ma serve come "ragione pratica" ( come volontà) anche a dirigere l’azione, il comportamento dell'uomo.
 
Vi sono però due tipi di ragione pratica:
*la ragione "empirica" pratica, che si forma con l'esperienza e;
*la ragione "pura" pratica, che non dipende dall'esperienza (pura), ed è innata e perfetta.
 
La denominazione dell'opera data da Kant si rifà sempre al concetto di'' "critica"'': la ''"ragione pratica"'' deve essere analizzata in quanto essa, essendo "empirica pratica" (e non "pura"), ha a che fare con elementi fenomenici, vale a dire i concreti comportamenti morali che variano da individuo a individuo.
«''La critica della ragion pratica si presenta in qualche modo come l'opposto della critica della ragion pura: infatti la ragion pura cerca di raggiungere la conoscenza senza basarsi sull'esperienza (è il caso della metafisica) mentre la ragione pratica tenta di rimanere troppo legata all'esperienza e in base ad essa determinare la volontà, cioè staccarsi dalla ragione pura pratica e rimanere legata solo a quella empirica''» <ref>[http{{cita testo|url=https://doc.studenti.it/vedi_tutto/index.php?h=d58ab23e&pag=1|titolo=Appunti delle lezioni di filosofia morale|postscript=nessuno}} tenute dal professore Andrea Poma dell''StudentiUniversità di Torino anno accademico 2016/2017 sul testo di Immanuel Kant "Critica della Ragion Pratica".it''</ref>.
 
L'obiettivo dell'autore, invece, è la determinazione delle condizioni di possibilità per cui il principio regolatore di un'azione sia buono indipendentemente dall'esperienza sensibile individuale: per questo è necessario ed indispensabile sottoporre la'' "ragion empirica pratica"'' ada una'' "critica"'', ad unaa un'analisi che determini quali siano gli elementi essenziali, necessari ed universali, validi per tutti allo stesso modo per giungere così a una morale "formale", che prescinda da ogni contenuto sensibile.
 
== Il debito con Rousseau ==
Kant stesso ci dice che per un certo tempo fu attratto dalle concezioni morali dei sentimentalisti inglesi, che in seguito abbandonò insoddisfatto in quanto il loro [[Metodo (filosofia)|metodo]] d'indagine si riduceva ada una semplice [[analisi e sintesi|analisi]] [[psicologia|psicologica]]; inoltre il loro eccessivo [[ottimismo]] non faceva loro prendere in considerazione ciò che per Kant costituisce l'elemento essenziale della morale: l'''obbligatorietà''.
 
Apparentemente vicino alle posizioni dei sentimentalisti sembrava anche [[Jean-Jacques Rousseau|Rousseau]], il quale basava la morale sul [[sentimento]]: Kant, però, comprese che il sentimento di cui parlava Rousseau aveva un significato ben diverso, in quanto andava inteso come il sentimento della dignità umana. Rousseau, cioè, intendeva dire che ciò che rende l'uomo degno di essere considerato tale è proprio il senso morale.
 
Kant, come aveva fatto nei confronti di [[David Hume]] riguardo alla conoscenza, così riconobbe il suo debito nei confronti di Rousseau riguardo alla morale: ''"Io sono uno studioso e sento tutta la sete di conoscere che può sentire un uomo. Vi fu un tempo nel quale io credetti che questo costituisse tutto il valore dell'umanità; allora io sprezzavo il popolo che è ignorante. È Rousseau che mi ha disingannato. Quella superiorità illusoria è svanita, ho imparato che la [[scienza]] è inutile, se non serve a mettere in valore l'umanità."''<ref>Questa e tutte le altre citazioni nella voce sono tratte da I.Kant, "Critica della Ragion pratica", Bari 1970)</ref>
 
In tal modo, viene quindi affermata l'indipendenza dell'atto morale dalla scienza e la sua irriducibilità al sentimento, il quale non potrà mai essere confuso con la moralità. Il sentimento è qualcosa di impulsivo, debole, incostante, su cui la morale non può fare affidamento: ''"una certa dolcezza d'animo che passa facilmente in un caldo senso di pietà, è cosa bella ed amabile, perché rivela una certa partecipazione alle vicende altrui...ma questo sentimento bonario è debole e cieco."''
 
== La legge morale ==
Kant afferma con fermezza l'esistenza di una legge morale assoluta, libera da ogni condizionamento, caratterizzata da due particolarità fondamentali:
* Incondizionatezza: come conseguenza ineludibile del postulato della libertà della vita etica, la scelta morale non può che essere libera e fine a sé stessa ([[autonomia]]);
* Necessità ed universalità: non può e non deve dipendere in alcun modo dalla situazione contingente e particolare, ma è uguale per tutti alla medesima maniera.
La morale è considerata la "praxis", ossia un agire volto alla realizzazione di un preciso scopo interno al soggetto; in secondo luogo essa prende la forma del dovere in un soggetto morale. Tale comportamento morale è insito in modo assoluto nella volontà del soggetto che diventa causa prima e libera della propria decisione e quindi del proprio agire. Viene sottolineata comunque la difficoltà che caratterizza tale libertà: spesso il soggetto è condizionato dal mondo esterno nel momento in cui egli sceglie.
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== Il dovere ==
{{citazione
|Due cose riempiono l'animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto più spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale dentro di me.
|Epitaffio di I. Kant, estratto dalla ''Critica della ragion pratica'', Conclusione ({{cita testo|url=https://korpora.zim.uni-duisburg-essen.de/kant/aa05/161.html|titolo=Akademie Ausgabe|postscript=nessuno}} V, 161.<ref>La citazione è tratta dalla conclusione della Critica della ragion pratica: «Due cose riempiono l'animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto più spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me. Queste due cose io non ho bisogno di cercarle e semplicemente supporle come se fossero avvolte nell'oscurità, o fossero nel trascendente, fuori del mio orizzonte; io le vedo davanti a me e le connetto immediatamente con la coscienza della mia esistenza. La prima comincia dal posto che io occupo nel mondo sensibile esterno, ed estende la connessione in cui mi trovo, a una grandezza interminabile, con mondi e mondi, e sistemi di sistemi; e poi ancora ai tempi illimitati del loro movimento periodico, del loro principio e della loro durata.
 
|Epitaffio di I. Kant, estratto dalla ''Critica della ragion pratica'', cap. 34<ref>La citazione è tratta dalla conclusione della Critica della ragion pratica: «Due cose riempiono l'animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto più spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me. Queste due cose io non ho bisogno di cercarle e semplicemente supporle come se fossero avvolte nell'oscurità, o fossero nel trascendente, fuori del mio orizzonte; io le vedo davanti a me e le connetto immediatamente con la coscienza della mia esistenza. La prima comincia dal posto che io occupo nel mondo sensibile esterno, ed estende la connessione in cui mi trovo, a una grandezza interminabile, con mondi e mondi, e sistemi di sistemi; e poi ancora ai tempi illimitati del loro movimento periodico, del loro principio e della loro durata. La seconda comincia dal mio io invisibile, dalla mia personalità, e mi rappresenta in un mondo che ha la vera infinitezza, ma che solo l'intelletto può penetrare, e con cui (ma perciò anche in pari tempo con tutti quei mondi visibili) io mi riconosco in una connessione non, come là, semplicemente accidentale, ma universale e necessaria. Il primo spettacolo di una quantità innumerevole di mondi annulla affatto la mia importanza di natura animale che deve restituire nuovamente al pianeta (un semplice punto nell'universo) la materia della quale si formò, dopo essere stata provvista per breve tempo (e non si sa come) della forza vitale. Il secondo, invece, eleva infinitamente il mio valore, come [valore] di una intelligenza, mediante la mia personalità in cui la legge morale mi manifesta una vita indipendente dall'animalità e anche dall'intero mondo sensibile, almeno per quanto si può inferire dalla determinazione conforme a fini della mia esistenza mediante questa legge: la quale determinazione non è ristretta alle condizioni e ai limiti di questa vita, ma si estende all'infinito.» (''Critica della ragion pratica'', Bari, Laterza, 1966, pp. 201-202)</ref>
|Zwei Dinge erfüllen das Gemüt mit immer neuer und zunehmender Bewunderung und Ehrfurcht, je öfter und anhaltender sich das Nachdenken damit beschäftigt: Der bestirnte Himmel über mir, und das moralische Gesetz in mir.
|lingua=de
|lingua2=it
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La morale deve basarsi su qualcosa di assolutamente certo e saldo: il [[dovere]]. Ognuno infatti percepisce la morale, in modo sicuro e consapevole, come un dovere. L'uomo, quello dotato di ragione, sente di fronte a determinate situazioni di dover compiere una [[scelta]], a cui seguirà il comportamento morale. Anche gli uomini più malvagi, che ancora conservano almeno in parte la razionalità, sentiranno di doversi porre il problema della scelta morale, ovvero di come comportarsi. Questo è il momento che ''precede'' ogni reale azione morale.
 
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La scelta, quindi, è assolutamente libera ed è espressione, come dice Kant, di una ''volontà pura'', nel senso che non vi rientra in nessun modo le condizioni della materialità (che svolgerà il suo ruolo necessitante quando la morale si sarà già manifestata e sarà trasformata in azione).
 
Ma se la morale è dovere, allora come potrà l'obbligatorietà conciliarsi con l'assoluta libertà formale della scelta? La risposta è nel concetto (e nel significato terminologicoetimologico: αὐτονομία; αὐτόνομος, autònomos, parola composta da αὐτο-, auto- e νόμος, nomos, "legge", ovvero "legge in se stessa") di ''autonomia''. La morale dell'essere razionale è tale che egli deve obbedire ada un comando (obbligatorietà) che egli stesso si è liberamente dato (libertà), in modo conforme alla sua stessa natura razionale.
 
L'uomo che compie una determinata azione secondo il dovere morale sa che, per quanto la sua decisione possa essere spiegata naturalisticamente (anche con motivazioni psicologiche), la vera sostanza della sua morale non risiede in questa concatenazione causale ma in una libera volontà che corrisponde all'essenza razionale del suo essere<ref>[{{cita web|url=http://www.conoscenza.rai.it/site/it-IT/?ContentID=572&Guid=679200777cd04396ab9066aef98bddf7]|titolo=|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20160304135809/http://www.conoscenza.rai.it/site/it-IT/?ContentID=572&Guid=679200777cd04396ab9066aef98bddf7}} Sulla dicotomia tra mondo della morale e mondo naturale in Kant e nelle scienze biologiche, si veda: quest'intervistaDieter aHenrich, Giovanni''Between FeliceKant Azzone,and compresaHegel. nellaLectures serieon dellGerman Idealism'Enciclopedia'. MultimedialeEdited delleby ScienzeDavid FilosoficheS. Pacini, Harvard University Press, 2008.</ref>.
L'uomo, in definitiva, è un essere appartenente a due mondi: in quanto dotato di [[Organi di senso|capacità sensoriali]] appartiene a quello [[natura]]le, e pertanto è sottoposto alle leggi fenomeniche; in quanto creatura razionale, però, appartiene a ciò che Kant chiama il mondo "intelligibile" o [[noumeno]], cioè il mondo com'è in sé indipendentemente dalle nostre sensazioni o dai nostri legami conoscitivi, e perciò in esso egli è assolutamente libero (autonomo), di una libertà che manifesta nell'obbedienza alla legge morale, all<nowiki>'</nowiki>"[[imperativo categorico]]".
 
L'uomo, in definitiva, è un essere appartenente a due mondi: in quanto dotato di [[Organi di senso|capacità sensoriali]] appartiene a quello [[natura]]le, e pertanto è sottoposto alle leggi fenomeniche; in quanto creatura razionale, però, appartiene a ciò che Kant chiama il mondo "intelligibile" o [[noumeno]], cioè il mondo com'è in sé indipendentemente dalle nostre sensazioni o dai nostri legami conoscitivi, e perciò in esso egli è assolutamente libero (autonomo), di una libertà che manifesta nell'obbedienza alla legge morale, all<nowiki>'</nowiki>"[[imperativo categorico]]".
 
== La massima ==
I principi pratici che regolano la volontà libera di un soggetto razionale sono la massima e l'imperativo:
{{Citazione|''La massima [che] è il principio soggettivo dell'agire ...[che] contiene la regola pratica che la ragione determina in base alle condizioni del soggetto (sovente in dipendenza della sua ignoranza o anche delle sue inclinazioni) ed è quindi il principio secondo il quale il soggetto agisce: la legge invece è il principio valido per ogni essere ragionevole, secondo cui deve agire, cioè un imperativo.'' <ref>I. Kant, ''Fondazione della metafisica dei costumi'', Laterza, Roma-Bari 1985, pp. 49-50</ref>}}
La massima quindi è una regola di carattere puramente soggettivo che il soggetto stabilisce di osservare solo per se stesso, gli permette di unificare il senso del suo agire e riconoscerlo in quel tipo di uomo che egli vuole divenire. La massima può essere definita perciò come un orientamento che l'uomo si pone in assoluta libertà.
 
L'imperativo categorico è invece una prescrizione che è valida per tutti universalmente: esso detta il dovere in modo incondizionato, assoluto e necessario ed è indipendente dagli impulsi del mondo esterno. Vi sono tre formulazioni relative all'imperativo categorico.
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== L'imperativo categorico ==
Le condizioni di necessità e universalità si realizzano invece con la legge morale intesa come imperativo categorico, un comando a cui non si può sfuggire, che si distingue dall'"[[imperativo ipotetico]]" che consiste nel pronunciare un comando in vista del conseguimento di un fine. Gli imperativi ipotetici si possono riassumere nella formula: se vuoi A faidevi fare B; per esempio: "se vuoi andare in Paradiso obbediscidevi obbedire alla legge di Dio".
Questo tipo di comandi configurano cioè un'ipotesi (se vuoi andare in Paradiso) la cui realizzazione è condizionata dal mettere in atto forzatamente un comportamento (obbediscidevi obbedire alla legge di Dio).
 
Nell'ambito dell'imperativo ipotetico rientrano anche quei comportamenti che obbediscono al principio della [[legalità]]: per esempio, se io mi trattengo dall'uccidere un uomo per il timore di andare in galera, sto rispettando il principio di legalità (non sto uccidendo perché lo prescrive la legge) ma non quello di moralità (sto agendo per fini egoistici, non per rispetto del dovere morale). La volontà è conforme al dovere ma non segue il dovere per il dovere.<ref>I. Kant, ''op. cit.'', Analitica, Cap. III, p. 89</ref>
 
I caratteri dell'imperativo categorico invece sono tali per cui la sua ''imperatività'':
: -* ''non è condizionata da nulla''; (l'obbedire non dipende, ad esempio, dal voler andare in Paradiso)
: -* ''vale per tutti gli uomini in tutte le condizioni''; (nell'imperativo ipotetico dell'esempio questo valeva solo per chi crede nel Paradiso)
: -* esprime una ''volontà pura'', non condizionata empiricamente (nell'imperativo ipotetico dell'esempio si metteva in atto la volontà di obbedire ma al fine di conseguire il Paradiso).
 
Quindi l'imperativo morale:
: -* non è formulabile mediante regole particolari miranti a far compiere questa o quell'azione determinata connessa alle particolari condizioni storiche in cui vivono gli individui;
: -* non potrà provenire da nessuna nessun'autorità esterna all'uomo. Se così fosse il comando morale varrebbe solo per chi riconoscesse quella autorità: verrebbe così a mancare il carattere di universalità.
 
Nell'ambito allora della morale formale che esclude tutte le morali contenutistiche, eteronome, che hanno il fondamento di sé nel conseguimento di un fine esterno, l'imperativo categorico kantiano è una legge morale che prescrive "''come la volontà debba atteggiarsi, non quali singoli atti deve compiere''"
 
==La prima formulazione dell'imperativo categorico==
 
La formula<ref>''Fondazione della metafisica dei costumi'', BA 52 [{{cita testo|url=https://korpora.zim.uni-duisburg-essen.de/kant/aa04/421.html |titolo="Akademie Augabe"]|postscript=nessuno|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20180310010431/https://korpora.zim.uni-duisburg-essen.de/Kant/aa04/421.html }} IV, p. 421, 7-8.</ref> fondamentale dell'imperativo categorico prescrive:
{{Citazione|Agisci in modo che la massima della tua volontà possa sempre valere come principio di una legislazione universale.}}
In questo imperativo, che era presente anche nella "Fondazione della metafisica dei costumi" vienee ancheche espressoera stato anche espresso nella formulazione ''«Agisci in modo che tu possa volere che la massima delle tue azioni divenga universale.»''<ref>[http{{Cita web|url=https://www.iisf.it/scuola/kant/pratica.htm|titolo=Antonio IstitutoGargano: ItalianoKant per- Le tre glicritiche|accesso=27 studigiugno filosofici]2025}}</ref> il termine "massima" vuole significare che il principio ''soggettivo'' specifico, la regola estraibile dal mio agire morale, possa assumere un valore oggettivo valido per tutti, divenire cioè una legge universale. «Di qui il criterio secondo cui occorre sempre soltanto domandarsi se la propria massima possa valere allo stesso modo di una legge di natura.» <ref>''Enciclopedia Garzanti di Filosofia'' (1987) p.477</ref> La massima è quindi in questo senso soggettiva e intersoggettiva ed il comportamento del soggetto è morale solo se la sua massima appare universalizzabile. Per esempio colui che mente compie un atto estremamente immorale, poiché se fosse universalizzata i rapporti umani sarebbero infine impossibili.
 
== Il rigorismo kantiano ==
{{Approfondimento
Con l’espressione «rigorismo kantiano» svariati studiosi alludono al fatto che Kant esclude dal campo dell’etica tutti i sentimenti tranne uno, molto particolare, il «rispetto per la legge». A tal riguardo leggiamo nella Critica della ragion pratica: «Questo sentimento (col nome di sentimento morale) è, dunque, prodotto soltanto dalla ragione<ref>{{Cita libro|titolo=Kant, Critica della ragion pratica, Laterza, Roma-Bari, 1997, Libro primo, cap. III.}}</ref>. Ci troviamo così di fronte ad un particolarissimo sentimento: è prodotto dalla ragione (di solito i sentimenti si contrappongono alla ragione). Di esso Kant ci dice:
 
''Il rispetto si riferisce sempre soltanto alle persone, non mai alle cose. Le cose possono far nascere in noi la propensione; e, se sono animali (per es. cavalli, cani ecc.), perfino l’amore; o anche la paura, come il mare, un vulcano, una bestia feroce; ma non mai il rispetto […] Un uomo può essere per me un oggetto d’amore, di paura, o d’ammirazione fino allo stupore, e , con tutto questo, può non essere un oggetto di rispetto […] Fontenelle dice: A un gran signore io m’inchino, ma il mio spirito non s’inchina. Io posso aggiungere: a un uomo di umile condizione e del popolo, nel quale io vedo una integrità di carattere in un certo grado che non sento in me stesso, il mio spirito s’inchina, ch’io voglia o no, e per quanto io vada con la testa alta per non lasciargli dimenticare la mia superiorità. Perché ciò? Il suo esempio mi presenta una legge che abbatte la mia presunzione, se paragono questa legge col mio metodo di procedere e vedo dimostrata mediante il fatto l’osservato a di questa legge, e quindi la possibilità di eseguirla''<ref>{{Cita libro|titolo=Immanuel Kant, Critica della ragion pratica, Laterza, Roma-Bari, 1997, Parte Prima, cap. III}}</ref>
 
Dunque, il rispetto per la legge è il sentimento che viene suscitato in me da qualcuno che si comporta in modo morale. Pertanto è un sentimento che può aiutarmi in senso morale in quanto può spingermi a comportarmi moralmente.{{Approfondimento
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|larghezza = 35%<!-- larghezza del template; può essere espressa in pixel (ad esempio: 200px) oppure in percentuale (ad esempio: 50%). Di default la larghezza è di 350px -->
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In quest'opera la seconda formula recita:
*{{Citazione|Agisci in modo da trattare l'umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro, sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo.<ref>I. Kant, ''Fondazione della metafisica dei costumi'', BA 67-68</ref>}}
L'uomo non deve mai essere solo strumento di un'azione morale, il vero fine di ogni atto buono è l'uomo. Kant non era un illuso e sapeva bene che molte delle relazioni interpersonali usano effettivamente l'uomo come mezzo (assegnare un lavoro ad un'altra persona è a tutti gli effetti usarla come "mezzo" in quanto questa viene assunta per fare qualcosa per noi). La frase va quindi interpretata alla luce della limitazione che Kant pone: usiamo pure l'uomo come mezzo, ma ricordandoci che è il fine di ogni atto buono e dandogli quindi la dignità che gli spetta. Agire bene significa agire secondo un fine interno, secondo l'umanità del soggetto stesso: realizzando tale senso di umanità scegliendo il meglio di se stessi si va a rispettare la dignità umana senza ridurre il prossimo come mezzo delle passioni, dell'egoismo o della contingenza. In virtù di questo, è giusto pagare un muratore affinché ci costruisca la casa ma è sbagliato mandare a morire un'altra persona per salvarci la pelle.
 
Per Kant infatti la morale deve arrivare ad istituire un «regno dei fini», ossia un insieme ideale di libere persone, che vivono secondo le leggi morali e si riconoscono dignità a vicenda.
 
La terza formulazione dell'imperativo categorico afferma:
* {{Citazione|La volontà non è semplicemente, sottoposta alla legge, ma lo è in modo da dover essere considerata autolegislatrice e solo a questo patto sottostà alla legge".<ref>I. Kant, ''Fondazione della metafisica dei costumi'', BA 76</ref>}}
 
Questa formula ripete parzialmente la prima dove però era la legge in primo piano. Qui vi è la preminenza dell'autonomia della volontà, precisando che il comando morale non sia un imperativo proveniente dall'esterno e che renda gli individui come oggetti passivi, ma il risultato spontaneo della propria volontà razionale, la quale, essendo legge a se medesima, fa sì che noi, sottoponendoci ad essa, non facciamo che obbedire a noi stessi. Tant'è vero che nel "regno dei fini", precisa Kant, ognuno è suddito e legislatore al tempo stesso.
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Come si passa, dunque, dal formalismo della moralità (l'imperativo categorico, vuoto di contenuti particolari) all'agire concreto? Secondo Kant, l'individuo dovrebbe domandare a sé stesso se l'azione che ha in mente di compiere (cioè quella massima particolare che ispira la sua volontà individuale in questo momento), la si potrebbe accettare come plausibile quando dovesse accadere per una legge di natura (e dunque questa azione dovesse avvenire necessariamente, senza eccezioni).
 
Ad esempio: ti stai chiedendo se sarebbe moralmente accettabile la tua scelta di dire il falso? Prova ada immaginare che cosa succederebbe se tutte le persone, a prescindere dalla loro volontà, fossero costrette dalla natura a mentire, proprio come sono costrette a respirare, o ada invecchiare, o a muoversi su due gambe e non volando; come sarebbe la vita in un mondo così? Proprio come appare chiaramente che sarebbe impossibile vivere in un mondo così (in cui le persone fossero costrette a mentire da una legge di natura), allo stesso modo appare chiaramente che la scelta da te presa in considerazione (cioè di mentire in questa determinata circostanza) non è riconducibile all'imperativo categorico del bene morale, e quindi non è moralmente accettabile.
 
La "[[natura]]", dunque, diventa il "tipo" della legge morale (e infatti Kant designa questa parte della sua riflessione etica con il sostantivo "''tipica''").
 
Oltre ada una corrispondenza “architettonica” con la ''Critica della Ragion Pura'', vi è comunque un significato più profondo. Che cosa significa affermare che la possibilità di erigere a legge universale una massima, una regola di comportamento individuale, è il "tipo" della moralità, ossia è l'immagine, il riflesso della moralità nel mondo fenomenico? Vuol dire affermare che quel carattere che hanno le azioni moralmente buone, di poter essere oggetto di una legge ugualmente valida per tutti, non è la moralità in sé, bensì il riflesso che la moralità (che è una qualità del mondo noumenico) produce nel mondo fenomenico della realtà umana.
 
Si può perciò riconoscere che un'azione è buona quando ha questo contrassegno: che si possa auspicare che tutti la compiano. La sua moralità, tuttavia, non consiste in questo contrassegno, ma in una qualità intelligibile, che però non si può intuire con una un'esperienza sensibile: se ne possono vedere soltanto le conseguenze, se ne vede soltanto il "tipo" - nel senso originario del greco ''typos'', "impronta, stampo" - nel mondo sensibile, proprio come il [[noumeno]] non può essere raggiunto dalla ragione umana, ma se ne postula l'esistenza quando si sperimenta il [[fenomeno (filosofia)|fenomeno]].
 
== Analogia della ragione pratica con la ragione teoretica ==
Il carattere essenzialmente razionale della morale si rivela, secondo Kant, per la sua [[analogia (filosofia)|analogia]] per quanto riguarda la razionalità nel campo [[conoscenza|teoretico]].
LeEgli ritiene che possano essere assimilate ai giudizi sintetici a posteriori le azioni determinate dagli impulsi infatti[Triebe], egliinclinazioni[Neigungen], ritienebisogni che[Bedrfnisse] possanopratici, essereecc. assimilatei aiquali, giudizise sinteticilasciati a posteriorisé, seguono il criterio del piacere e del dolore. QuiIn questo caso la mia volontà è determinata da una [[Oggetto (filosofia)|oggettività]]materia rappresentata dalla mia sensibilità, da una mia spinta oggettivamentecaratterizzata psicologicaoggettivamente.
 
Le azioni invece dettate dalla ragione ma per fini [[egoismo|egoistici]] (gli imperativi ipotetici) sono assimilabili ai giudizi analitici, tali per cui nel soggetto è già contenuto il predicato ("Il triangolo ha tre angoli"). Infatti, nell'imperativo ipotetico ad es.: "Se vuoi diventare ricco devi agire in un determinato modo", nell'analisi della ipotesi è già contenuta la conclusione.
 
L'imperativo categorico è, infine, analogo ai giudizi sintetici a priori per cui il suo comando è formale, non prescrive alcun'azione determinata, ma nello stesso tempo è reale e oggettivo ([[trascendentale]]).
 
== Il sommo bene ==
Ogni morale non può essere limitata nel conseguimento del [[bene (filosofia)|bene]]. Non posso propormi di conseguire il bene fino ada un certo punto e non oltre. Il fine dell'azione morale quindi deve essere il ''"sommo bene"''. Ma cosa s'intende per sommo bene? Per alcuni semplicemente il sommo bene, inteso come "il bene più alto", consiste nell'obbedire agli imperativi categorici. Prendendo come guida gli imperativi categorici ognuno quindi può raggiungere il sommo bene. Altri intendono il sommo bene come "il bene più completo" considerato come l'insieme di "virtù e "felicità". Ma tale concetti entrano tra loro in contrasto: si parla di un'antinomia. L'unico modo per risolvere quest'ultima diviene quindi la postulazione di un mondo dell'aldilà in cui possa avvenire l'identificazione di virtù e felicità che nel mondo terreno è impossibile.
 
Per questa ragione Kant formula i postulati etici: per definizione essi sono proposizioni teoretiche non dimostrabili e assolutamente necessarie riferite alla legge morale e alla sua condizione di pensabilità ed esistenza. I tre postulati sono i seguenti:
* Postulato dell'immortalità dell'[[anima]]: poiché solamente la condizione di santità reca l'uomo al sommo bene, e poiché essa è possibile solo nell'aldilà si deve affermare che il soggetto morale ha a sua disposizione un tempo illimitato ed infinito.
* Postulato dell'esistenza di [[Dio]]: Dio è considerato il garante della corrispondenza che sussiste tra virtù e felicità.
* Postulato della libertà: se c'è la legge morale vi è conseguentemente anche la libertà assoluta del soggetto. La libertà esiste di certo, a differenza dei due postulati precedenti: l'immortalità dell'anima e Dio costituiscono solamente due situazioni che vengono ipotizzate in modo che la morale possa essere realizzata a pieno, cosa che nel mondo terreno diviene impossibile.
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===Il primato della Ragion pratica===
Alla base dei postulati della ragion pratica non vi è un ''"so"'' ma un ''"voglio"'': ''«voglio che esista Dio, voglio che la mia esistenza in questo mondo sia anche un'esistenza nel mondo intelligibile, voglio che la mia durata sia senza fine.»''
{{quoteCitazione|Questa è dunque un'esigenza in un senso assolutamente necessario, e giustifica la sua supposizione non semplicemente come ipotesi lecita, ma come postulato nel rispetto pratico; e, ammesso che la legge pura morale obblighi inflessibilmente ciascuno come comandamento (non come regola di prudenza), l'uomo onesto può ben dire: io voglio che vi sia un Dio; che la mia esistenza in questo mondo, anche fuori della connessione naturale, sia ancora un'esistenza in un mondo puro dell'intelletto; e finalmente, anche che la mia durata sia senza fine; io persisto in ciò e non mi lascio togliere questa fede; essendo questo l'unico caso in cui il mio interesse, che io non posso trascurare in niente, determina inevitabilmente il mio giudizio, senza badare alle sofisticherie, per quanto poco io sia capace di rispondervi o di contrapporne delle più speciose. <ref>I. Kant, ''Critica della ragion pratica'', ''op.cit.'', p.249</ref>}}
 
Se i postulati non potranno mai assumere il valore di un vero e proprio sapere nello stesso tempo però nessun progresso scientifico potrà mai metterli in dubbio, anzi è proprio la loro insostenibilità razionale che darà valore all'azione morale.
 
Qui si fonda il primato della ragion pratica sulla ragion pura poiché se l'immortalità dell'anima, l'esistenza di Dio fossero verità certe, come tali renderebbero impossibile ogni autentica azione morale. Se gli uomini praticassero il bene per paura di un castigo o per speranza di un bene e non per un ''dovere'' razionale connesso alla nostra stessa natura, la morale diverrebbe "eteronoma"<ref>Avrebbe cioè il suo valore non in se stessa, ma in una legge a lei estranea, com'è in tutte le morali delle religioni rivelate</ref>, perdendo ogni significato.
 
L'uomo agisce seguendo il "dovere per il dovere" con in aggiunta infine, per il perseguimento del "bene più completo", di una «ragionevole speranza», di voler credere cioè nella sua assoluta libertà, nell'immortalità dell'anima e nell'esistenza di Dio.
 
== Opinioni sulla ''Critik'' ==
Nel suo libro ''Un commento alla critica della ragion pratica di Kant'' (1961) il filosofo americano [[Lewis White Beck]] sostiene che la critica della ragion pratica di Kant è stata spesso trascurata da alcuni studiosi moderni e persino soppiantata nelle loro menti dai ''[[Fondazione della metafisica dei costumi]]'' (''Grundlegung zur Metaphysik der Sitten'') di Kant. Sostiene inoltre che gli studenti di Kant possono acquisire più facilmente la conoscenza della filosofia morale di Kant rivedendo l'analisi di Kant dei concetti sia di "libertà" che di "ragione pratica" come presentati nella sua "seconda critica". Beck afferma che la "seconda critica" di Kant serve a intrecciare ciascuno di questi diversi filoni in un modello unificato per creare una teoria completa sull'autorità morale in generale.<ref>{{Cita libro|lingua=en|nome=John R.|cognome=Shook|titolo=Dictionary of Modern American Philosophers|url=https://books.google.com/books?id=Ijpj1tB3Qr0C&q=lEWIS+wHITE+bECK#v=snippet&q=lEWIS%20wHITE%20bECK&f=false|accesso=27 giugno 2025|data=1º gennaio 2005|editore=A&C Black|p=166|ISBN=978-1-84371-037-0}}</ref><ref>{{Cita libro|nome=A.|cognome=Lewis White Beck|titolo=Lewis White Beck, A Commentary On Kant's Critique Of Practical Reason|url=http://archive.org/details/lewis-white-beck-a-commentary-on-kants-critique-of-practical-reason|accesso=27 giugno 2025|data=1989|pp=v-viii}}</ref><ref>{{Cita pubblicazione|nome=A. R. C.|cognome=Duncan|data=1961|titolo=Review of Commentary on Kant's Critique of Practical Reason|rivista=The Philosophical Review|volume=70|numero=4|pp=560–562|accesso=27 giugno 2025|doi=10.2307/2183616|url=https://www.jstor.org/stable/2183616}}</ref>
 
== Traduzioni italiane ==
* ''Critica della ragion pratica'', trad. Francesco Capra, Bari, Laterza, 1909; revisione della traduzione di [[Eugenio Garin]] (basata sull'edizione dell'Accademia di Prussia), Glossario e Indice a cura di [[Vittorio Mathieu]], Laterza, 1971; Introduzione di Sergio Landucci, Laterza, 1997.
* {{Cita libro|titolo=Critica della ragion pratica|altri=trad., Introduzione e commento di [[Cecilia Motzo Dentice d'Accadia|Cecilia Dentice D'Accadia]]|editore=Vallecchi|città=Firenze|anno=1924}} - Firenze, Sansoni, 1942.
* {{Cita libro|titolo=Critica della ragion pratica|altri=trad., Introduzione e note di [[Giovanni Santinello]]|editore=Società Editrice Internazionale|città=Torino|anno=1958}}
* {{Cita libro|titolo=Critica della ragione pratica|altri=trad., Introduzione e note di [[Carlo Lazzerini]]|editore=Signorelli|città=Milano|anno=1959}}
* {{Cita libro|titolo=Fondazione della metafisica dei costumi. Critica della ragione pratica|trad=[[Vittorio Mathieu]]|editore=Rusconi|città=Milano|anno=1982}} - Brescia, La Scuola, 1962-2007; {{Cita libro|nome=Immanuel|cognome=Kant|titolo=Critica della ragion pratica|edizione=Quinta ristampa febbraio 2023|collana=Bompiani testi a fronte|data=2017|editore=Bompiani|ISBN=978-88-452-9031-2}}; Postfazione di Massimo Marassi, Collezione Classici del Pensiero, Brescia, Scholé, 2023, ISBN 978-88-284-0503-0.
* {{Cita libro|titolo=Critica della ragion pratica e altri scritti morali (Fondazione della metafisica dei costumi; La religione nei limiti della semplice ragione; Antropologia dal punto di vista pragmatico)|altri=trad. e cura di [[Pietro Chiodi]]|edizione=Collezione Classici della filosofia|editore=UTET|città=Torino|anno=1970}}
* {{Cita libro|titolo=Critica della ragion pratica|altri=a cura di Gianfranco Morra|editore=R.A.D.A.R.|città=Padova|anno=1968}}
* {{Cita libro|titolo=Critica della ragion pratica|altri=a cura di Anna Maria Marietti, Introduzione di Giuseppe Riconda|edizione=Collana I Classici|editore=BUR|città=Milano|anno=1992|isbn=978-88-171-6844-1}} - Collana I Classici del Pensiero, 2 voll., Milano, Fabbri Editori, 1998.
* {{Cita libro|titolo=Critica della ragion pratica preceduta da Fondazione della metafisica dei costumi|altri=trad. e cura di Serena Feloj|edizione=Collana Piccola Biblioteca Einaudi. Classici|editore=Einaudi|città=Torino|anno=2024|isbn=978-88-062-2948-1}}
 
== Note ==
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== Bibliografia ==
* Immanuel Kant - Benjamin Constant, ''La verità e la menzogna. Dialogo sulla fondazione morale della politica'', introduzione e cura di Andrea Tagliapietra, traduzioni di Silvia Manzoni e di Elisa Tetamo, Bruno Mondadori, Milano 1996.
* N. Abbagnano, G. Fornero, "Itinerari di filosofia" [2003].
* Immanuel Kant, ''Scritti di etica'', a cura di Piero Giordanetti, Firenze, La Nuova Italia, 2004.
* Theodor W. Adorno: Probleme der Moralphilosophie. Frankfurt am Main 1996, ISBN 3-518-58225-9 (Adorno si occupa in questo corso di lezione del 1963 quasi esclusivamente della morale kantiana)
* Aa. Vv., ''Etica e mondo in Kant'', a cura di L. Fonnesu, Bologna, il Mulino, 2008.
* Allison, Henry E., Kant's Theory of Freedom, Cambridge: University Press, 1990.
* N.Nicola Abbagnano, G.Giovanni Fornero, "''Itinerari di filosofia"'', Torino, Paravia, [2003].
*Orlando Luca Carpi, Kant, l'etica della ragione, Rimini, Panozzo, 2014.
* {{Cita libro|nome=Theodor W.|cognome=Adorno|nome2=Thomas|cognome2=Schröder|nome3=Theodor W.|cognome3=Adorno|titolo=Probleme der Moralphilosophie (1963)|edizione=1. Aufl|collana=Nachgelassene Schriften. Abteilung IV, Vorlesungen|data=1996|editore=Suhrkamp|ISBN=978-3-518-58225-1}}
*Lucio Colletti, Lezioni tedesche: con Kant alla ricerca di un'etica laica, Fondazione Liberal, 2005.
* Allison, Henry E. Allison, ''Kant's Theory of Freedom'', Cambridge: University Press, 1990.
* Filippo Gonnelli, Guida alla lettura della “Critica della ragion pratica” di Kant, (Guide ai classici, 6), Roma; Bari: Laterza, 1999.
* Stefano Bacin, ''Il senso dell'etica. Kant e la costruzione di una teoria morale'', Bologna, Il Mulino, 2007.
* B, Lewis W. Beck, ''A Commentary on Kant's Critique of Practical Reason'', Chicago: University Press, 1960 [dt. 1974].
* O'Farrell Francis, Per leggere la Critica della Ragione pratica di Kant, Roma: PUG, 1990.
* Giuseppe Cambiano, Massimo Mori, ''Storia e antologia della filosofia'', vol. 2: ''Dal Quattrocento al Settecento'', Roma-Bari, Laterza, 2000, pp.&nbsp;591–616 (Kant).
* Lucio Colletti, ''Lezioni tedesche: con Kant alla ricerca di un'etica laica'', Fondazione Liberal, 2005.
* Francis O'Farrell Francis, ''Per leggere la Critica della Ragione pratica di Kant'', Roma:, PUG, 1990.
* Antonino Falduto, ''The Faculties of the Human Mind and the Case of Moral Feeling in Kant’s Philosophy'', Berlin, De Gruyter, 2014.
* Piero Giordanetti, ''Rivoluzione copernicano-newtoniana e sentimento in Kant'', Peter Lang, 2012.
* Piero Giordanetti, ''Etica, genio e sublime in Kant'', Milano, Mimesis, 2011.
* Gianna Gigliotti, ''L'etica come fatto della ragione. A proposito di un saggio recente sull'etica di Kant'', in «Filosofia», 1997, maggio-agosto, pp.&nbsp;199–216.
* Filippo Gonnelli, ''Guida alla lettura della “Critica della ragion pratica” di Kant'', (Guide ai classici, 6), Roma; -Bari:, Laterza, 1999.
* Dieter Henrich, ''Between Kant and Hegel. Lectures on German Idealism''. Edited by David S. Pacini, Harvard University Press, 2008.
* Antonio Lambertino, ''Il rigorismo etico di Kant'', Firenze, La Nuova Italia, 1999.
* Sergio Landucci, ''La Critica della ragion pratica di Kant. Introduzione alla lettura'', Firenze 1993.
* Sergio Landucci, ''Sull'etica di Kant'', Milano, Guerini, 2001.
* J.A. Merino (Cur.), ''Kant e il problema etico. Nel 2º centenario della pubblicazione della Critica della ragione pratica (1788-1988)'', Roma 1989.
* Massimo Mori, ''Felicità, virtù e religione in Kant'', in ''Kant e la filosofia della religione'', a cura di N. Pirillo (Trento, Verifiche, 1996), 53-79.
* Giorgio Tognini, ''Introduzione alla morale di Kant. Guida alla critica'', Roma, Carocci, 1993.
* Gabriele Tomasi, ''Deduzione, dialettica e fede nella fondazione kantiana della morale'', in «Verifiche», 24 (1995), pp.&nbsp;145–171.
* Giorgio Tonelli, "L’etica kantiana parte della metafisica: una possibile ispirazione newtoniana? Con alcune osservazioni su «I sogni di un visionario» ", in: ''Da Leibniz a Kant. Saggi sul pensiero del Settecento'', Napoli, Prismi, 1987, pp.&nbsp;259–282 (traduzione di un saggio pubblicato in inglese nel 1974).
 
== Voci correlate ==
* [[Critica della ragion pura]]
* [[Critica del giudizio]]
* [[Criticismo]]
* [[Fondazione della metafisica dei costumi]]
* [[La metafisica dei costumi]]
 
== Altri progetti ==
{{Interprogetto|q=Critica della ragion pratica|q_preposizione=dalla|etichetta=''Critica della ragion pratica''}}
 
==Collegamenti esterni==
{{Kant}}
* {{Collegamenti esterni}}
* {{SEP|kant-moral|Kant’s Moral Philosophy|Robert Johnson, Adam Cureton}}
 
|autore = [[{{Immanuel Kant]]}}
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[[Categoria:Opere filosofiche di Immanuel Kant]]
[[Categoria:Opere filosofiche]]
[[Categoria:Etica]]