Decolonizzazione: differenze tra le versioni
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{{organizzare|L'intera voce è scritta partendo dall'errato presupposto che la decolonizzazione è nata dopo la seconda guerra mondiale, ignorando l'esistenza delle fasi precedenti. Oltretutto gli argomenti presenti nella voce sono trattati in modo superficiale e poco approfondito. L'intera pagina va riscritta seguendo una logica cronologica (decolonizzazione delle Americhe, primo dopoguerra, guerra fredda) al cui interno sono inseriti oltre agli avvenimenti cronologici (guerre d'indipendenza, eventi importanti, ecc.) i vari approfondimenti per ogni periodo (es. i conflitti politici, religiosi ed etnici post-coloniali, il ruolo dell'ONU, nascita dei sentimenti anticoloniali specifici per le varie parti del mondo come quelli in America Latina o il nazionalismo arabo, ecc.)|storia|ottobre 2022}}
{{F|storia|ottobre 2022|Le fonti sono troppe poche ed usate troppo sporadicamente|arg2=politica}}
{{S|colonialismo}}
[[File:French-British colonial twilight.png|thumb|upright=1.5|Mappa con gli anni dell'ottenimento dell'indipendenza per le ex colonie inglesi e francesi nel [[XX secolo]]]]
La '''decolonizzazione''' è un processo con cui un territorio sottoposto a dominazione [[Colonialismo|coloniale]] ottiene l’[[indipendenza]] dal Paese ex colonizzatore e/o viene consegnato al suo [[stato nazionale]] già indipendente. In un significato più ampio si intende anche il processo attraverso cui un ex Stato coloniale (che ha formalmente ottenuto l’indipendenza politica) tende a raggiungere un’autonomia maggiore liberandosi delle residue ingerenze politiche ed economiche del paese ex colonizzatore<ref>{{Cita web|url=https://www.treccani.it/enciclopedia/decolonizzazione_(Dizionario-di-Storia)|titolo=Decolonizzazione|lingua=it|accesso=23 ottobre 2022}}</ref>.
Tale processo storicamente ha i suoi inizi tra la fine dell'[[età moderna]] e gli inizi dell'[[età contemporanea]] (XVIII e XIX secolo), fu circoscritto al [[continente americano]] ed iniziò con la [[rivoluzione americana]] (1765-1783) per poi terminare con le [[guerre d'indipendenza ispanoamericane]] (1808-1833) e la [[guerra d'indipendenza cubana]] (1895-1898). Questa fase del processo coinvolse per la maggior parte gli imperi [[Impero portoghese|portoghese]] e [[Impero spagnolo|spagnolo]] che persero tutte le loro colonie americane, ma interessò in parte anche alcuni territori [[Impero britannico|inglesi]] (negli [[Stati Uniti d'America]]) e [[Primo Impero francese|francesi]] (ad [[Primo impero di Haiti|Haiti]]). A differenza delle successive fasi di decolonizzazione del [[XX secolo]], a battersi per l'indipendenza nelle colonie furono i discendenti dei coloni europei anziché dei nativi, con l'eccezione della [[rivoluzione haitiana]].
La seconda fase del processo di decolonizzazione fu circoscritta al [[Medio Oriente]] durante [[periodo interbellico]] tra [[Prima guerra mondiale|prima]] e [[seconda guerra mondiale]]. Questa fase fu segnata dall'esito della grande guerra che ha portato alla dissoluzione dell'[[Impero ottomano]] e dal diffondersi del [[nazionalismo arabo]]. Gli inglesi [[Dichiarazione unilaterale dell'indipendenza dell'Egitto|riconobbero unilateralmente l'indipendenza]] del [[Regno d'Egitto]] nel 1922 in cambio del contributo degli egiziani agli sforzi bellici dell'Intesa durante la guerra, ma di fatto continuarono ad occupare il Paese fino agli anni '50. Al crollo dell'Impero ottomano il [[Regno Mutawakkilita dello Yemen|Regno dello Yemen]] (1918) e l'[[Arabia Saudita]] ([[Trattato di Gedda|1927]]) ottennero direttamente l'indipendenza senza prima venire dominati dagli europei, mentre i restanti territori arabi ottomani furono [[Spartizione dell'Impero ottomano|spartiti]] da Francia e Regno Unito, tra i quali vi fu la [[Mandato britannico della Mesopotamia|Mesopotamia]] in cui gli Inglesi crearono il [[Regno d'Iraq]] a cui venne riconosciuta l'[[Trattato anglo-iracheno del 1930|indipendenza del 1932]].
L'ultima fase di decolonizzazione iniziò col [[secondo dopoguerra]] e si protrasse fino a poco dopo la fine della [[guerra fredda]]<ref group="note">Sebbene la [[guerra fredda]] fu il periodo in cui il processo di decolonizzazione fu più attivo, essa tecnicamente non ne segnò la fine in quanto tale processo è in parte continuato anche dopo il crollo dell'[[URSS]] nel 1991 nella [[Repubblica Popolare Cinese]] ([[trasferimento della sovranità di Hong Kong]] e [[Trasferimento della sovranità di Macau|Macau]]) ed a [[Palau (stato)|Palau]].</ref>. Durante questa fase avvenne la scomparsa della quasi totalità degli [[imperi coloniali]] col progressivo ottenimento dell'indipendenza da parte di quasi tutte le loro colonie in ogni continente.
== XVIII-XIX secolo ==
La prima fase di decolonizzazione dei possedimenti coloniali europei si ebbe tra XVIII e XIX secolo e coinvolse esclusivamente il [[continente americano]], partendo dagli [[Stati Uniti d'America]] (la cui [[Rivoluzione americana|rivoluzione]] fu poi d'ispirazione ai rivoluzionari [[latinoamericani]]) ed [[Primo Impero di Haiti|Haiti]] che ottennero l'indipendenza dagli imperi [[Impero britannico|britannico]] e [[Impero coloniale francese|francese]], fino alla quasi interezza dell'[[America Latina]] con le [[guerre d'indipendenza ispanoamericane]] e la [[guerra d'indipendenza brasiliana]] che causarono la secessione della maggior parte dei territori degli imperi [[Impero spagnolo|spagnolo]] e [[Impero portoghese|portoghese]] dell'epoca. Quasi tutte le rivoluzioni separatiste di questo periodo furono scatenate dai coloni bianchi di origine europea che abitavano nelle colonie, quella di Haiti invece è stata l'unica eccezione dove la rivoluzione iniziò invece come rivolta [[Antischiavismo|antischiavista]] degli [[schiavi]] neri e non dei coloni di origine europea. In questa fase di decolonizzazione tutte le potenze coloniali si opposero con la forza ai tentativi di secessione delle proprie colonie mentre talvolta supportavano le ribellioni separatiste negli imperi coloniali rivali.
=== Rivoluzione americana ===
{{vedi anche|Rivoluzione americana}}
=== Rivoluzione haitiana ===
{{vedi anche|Rivoluzione haitiana}}
[[File:Hispaniola 1697-1795.png|miniatura|L'isola di [[Hispaniola]] divisa tra una parte occidentale sotto dominio [[Impero coloniale francese|francese]] ed una orientale appartenente alla [[Impero spagnolo|Spagna]]]]
Sul finire del XVIII secolo l'isola di [[Hispaniola]], situata nell'arcipelago delle [[Antille]] nell'[[America centrale]] [[caraibi]]ca, era divisa in una parte orientale, appartenente alla [[Impero Spagnolo|Spagna]], ed una occidentale appartenente alla [[Impero coloniale francese|Francia]] (colonia di [[Saint-Domingue]]), in entrambe si praticava la coltivazione di [[piantagioni]] (soprattutto di [[zucchero]], [[Cotone (fibra)|cotone]], [[indaco]] e [[caffè]]) lavorate da [[schiavi]] neri portati dall'[[Africa]]. Nella [[Saint-Domingue|metà francese]] la composizione razziale era circa 500.000 neri ([[schiavi]]), 28.000 [[mulatti]] e neri liberi, a fronte di 30.000 coloni bianchi. Nonostante l'avvento della [[rivoluzione francese]] ispirata dai valori [[Illuminismo|illuministi]] di uguaglianza tra gli uomini, la quale portò alla pubblicazione nel 1789 della [[dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino]], nelle colonie francesi la [[schiavitù]] e le discriminazioni razziali non vennero abolite. Il primo scontro nacque tra i [[mulatti]] (insieme ai neri liberi) che chiedevano un'estensione verso di loro dei diritti dei bianchi, i quali però si opponevano a ciò. Ma è nell'agosto 1791 che la crisi assunse dimensioni enormi con la rivolta degli schiavi neri che causò nell'intera Isola scontri e massacri da entrambe le parti in lotta. Gli insorti vennero guidati da [[Toussaint Louverture]] e furono supportati militarmente da [[Impero spagnolo|Spagna]] e [[Regno Unito]]<ref name=":022">{{Cita|Alberto Mario Banti|p. 81|banti1|titolo=L'età contemporanea. Dalle rivoluzioni settecentesche all'imperialismo}}</ref>.
Nel marzo 1792 l'[[Assemblea nazionale legislativa|assemblea nazionale francese]], per cercare di risolvere la questione, approvò l'estensione dell'eguaglianza giuridica ai [[mulatti]], ma tale provvedimento fu tardivo in quanto ormai il problema principale non erano più i [[mulatti]], bensì i ribelli neri che costituivano la stragrande maggioranza della popolazione nella [[Saint-Domingue|colonia]]. Il commissario francese [[Léger-Félicité Sonthonax]] fu mandato sull'isola per riprenderne il controllo e nell'agosto 1793, per far cessare la rivolta, proclamò l'abolizione della schiavitù e tale decisione fu ratificata nel febbraio 1794 dalla [[Convenzione nazionale|convenzione nazionale francese]]. Dopo il provvedimento abolizionista, il leader degli insorti [[Toussaint Louverture|Louverture]] giurò fedeltà alla [[Prima Repubblica francese|Francia]] e si mosse contro le truppe spagnole e inglesi sull'isola<ref name=":0222">{{Cita|Alberto Mario Banti|p. 82|banti1|titolo=L'età contemporanea. Dalle rivoluzioni settecentesche all'imperialismo}}</ref>.
Nel 1798 [[Toussaint Louverture|Louverture]] divenne l'effettivo leader della colonia di [[Saint-Domingue]] ma quando nel 1801 promulgò una costituzione autonomista, l'allora governo francese con a capo [[Napoleone Bonaparte]] decise di mandare delle truppe a riprendere possesso della colonia; nel 1802 fu ristabilita la schiavitù. [[Toussaint Louverture|Louverture]] fu arrestato e portato in [[Francia]] ma la spedizione militare non ebbe successo e nel 1803 le truppe si ritirarono, nel 1804 i ribelli proclamarono l'indipendenza dalla Francia e l'evento fu subito seguito da un [[Massacro di Haiti del 1804|massacro della popolazione bianca]] da parte degli ex insorti; la schiavitù tuttavia fu abolita solo nel 1848<ref name=":0222" />.
=== Rivoluzioni latinoamericane ===
{{vedi anche|Guerre d'indipendenza ispanoamericane|Indipendenza del Brasile}}
[[File:Latin American independence countries.png|miniatura|Mappa dell'[[America centrale]], [[Sud America|meridionale]] e [[caraibi]]ca con gli anni di ottenimento dell'indipendenza dei vari Paesi (con i confini attuali)]]
Ad inizio XVIII secolo nell'[[America centrale]] e [[America meridionale|meridionale]] sotto il controllo [[Impero spagnolo|spagnolo]] e [[Impero portoghese|portoghese]] (che controllavano quasi totalmente le regioni) le società erano dominate da una classe di bianchi discendenti dei coloni europei ma nati in [[America]] ([[Creolo|creoli]]) e quando in seguito alla [[campagna di Napoleone in Spagna]] (1808-1809) il Paese iberico viene occupato dai francesi, nelle colonie spagnole [[america]]ne le élite [[Creolo|ceroli]] locali ne approfittano per ottenere l'indipendenza dalla madrepatria; essi erano ispirati politicamente dalla [[rivoluzione americana]] e dalla [[rivoluzione francese]]<ref name=":0">{{Cita|Alberto Mario Banti|p. 149|banti1|titolo=L'età contemporanea. Dalle rivoluzioni settecentesche all'imperialismo}}</ref>. La decolonizzazione dei domini coloniali [[Impero spagnolo|spagnoli]] portarono ad una serie di conflitti raggruppati sotto la definizione di "[[guerre d'indipendenza ispanoamericane]]".
Nel 1810 a [[Caracas]] venne formata una giunta di governo ([[Junta Suprema de Caracas]]) che nel 1811 dichiarò l'[[Indipendenza del Venezuela|indipendenza]] della [[Prima Repubblica del Venezuela|Repubblica del Venezuela]]. In seguito scoppiarono rivolte in altre zone [[America Latina|latinoamericane]] supportate dal [[Regno Unito]] che voleva sostituire il dominio [[Impero spagnolo|spagnolo]] e [[Impero portoghese|portoghese]] nell'area con la propria influenza commerciale. Alcune delle più importanti persone che contribuirono a tali rivolte furono [[José de San Martín]] che inizialmente operò nel sud dell'area sudamericana proclamando l'indipendenza di [[Argentina]] e [[Cile]] (rispettivamente in 1816 e 1818), e [[Simón Bolívar]] che operò nel nord proclamando l'indipendenza della [[Gran Colombia]] nel 1819<ref name=":0" />.
Nel 1820 in seguito ad una crisi politica in Spagna che portò a dei moti culminati col [[triennio liberale spagnolo]], la posizione dei rivoluzionari [[Creolo|ceroli]] si rafforzò e nel 1821 ottennero l'indipendenza il [[Messico]] e la [[Repubblica Federale del Centro America]]. Nel 1824 fu il [[Perù]] ad ottenere l'indipendenza. Tra 1822 e 1825 fu anche il [[Impero del Brasile|Brasile]] a [[Indipendenza del Brasile|raggiungere l'indipendenza]] in seguito ad una guerra col [[Impero portoghese|Portogallo]]<ref name=":02">{{Cita|Alberto Mario Banti|pp. 149-150|banti1|titolo=L'età contemporanea. Dalle rivoluzioni settecentesche all'imperialismo}}</ref>.
=== Guerra d'indipendenza cubana ===
{{vedi anche|Guerra d'indipendenza cubana|}}
==
Le due [[guerre mondiali]] sono state seguite nel [[Primo dopoguerra|primo]] e [[secondo dopoguerra]] da fasi di decolonizzazione. La [[grande guerra]] fu seguita da una parziale decolonizzazione degli ex territori dell'[[Impero ottomano]] in [[Medio Oriente]] dovuta anche alla diffusione del [[nazionalismo arabo]] che le potenze dell'[[Triplice intesa|Intesa]] sfruttarono in funzione anti-turca.
=== Primo dopoguerra ===
{{S sezione|Storia}}{{vedi anche|Primo dopoguerra|}}
==== Contesto storico ====
{{vedi anche|Prima guerra mondiale|Nazionalismo arabo}}
==== Paesi che hanno ottenuto l'indipendenza dalle potenze coloniali ====
===
{{S sezione|Storia}}
===== Iraq =====
{{vedi anche|Storia dell'Iraq#Mandato britannico e Regno dell'Iraq|Mandato britannico della Mesopotamia|Regno dell'Iraq|Insurrezione anti-britannica in Iraq}}{{Immagine multipla
|immagine1 = Iraq's 1920 Revolution.jpg
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|sotto = Aree coinvolte dalla [[Insurrezione anti-britannica in Iraq|rivolta irachena]] del 1920 nel [[mandato britannico dell'Iraq]] (a sinistra) e il primo re iracheno [[Faysal I d'Iraq|Faysal I]] (a destra)
}}Il concetto di Iraq come entità geografica autonoma si andò formando alla fine della [[grande guerra]] come unione delle ex divisioni amministrative [[Impero ottomano|ottomane]] ([[vilayet]]) di [[Vilayet di Mossul|Mossul]], di [[Vilayet di Basra|Basra]], di [[Vilayet di Baghdad|Baghdad]] ed in parte di [[Sangiaccato di Zor|Zor]] nella zona della [[Mesopotamia]]. Fu il [[Regno Unito]] ad occupare la zona dell'Iraq nella [[prima guerra mondiale]] e nell'aprile 1920 esso ottenne il [[mandato della Mesopotamia]] dalla [[Società delle Nazioni]] in seguito alla [[conferenza di San Remo]]<ref>{{Cita|Lorenzo Medici|p. 1|medici|titolo=Colonialismo al tramonto. La neutralità dell'Iraq durante la seconda guerra mondiale}}</ref>, ma la mancata creazione di uno stato indipendente nell'area causò un'[[Insurrezione anti-britannica in Iraq|insurrezione anti-britannica]] che costrinse il [[Regno Unito]] ad impiegare 65.000 truppe per reprimere la [[Insurrezione anti-britannica in Iraq|rivolta]]. L'episodio tuttavia convinse il governo inglese a rivedere la propria politica in [[Medio Oriente]] e l'allora [[Colonial Office|ministro inglese delle colonie]] [[Winston Churchill]] aveva intenzione di ridurre la presenza militare inglese nell'area.
Alla [[Conferenza del Cairo (1921)|conferenza del Cairo del 1921]] gli inglesi offrirono il trono dell'Iraq a [[Faysal I d'Iraq|Faysal I]] (il quale guidò la [[rivolta araba]] anti-ottomana del 1916-1918)<ref>{{Cita|Lorenzo Medici|p. 3|medici|titolo=Colonialismo al tramonto. La neutralità dell'Iraq durante la seconda guerra mondiale}}</ref> e col [[trattato anglo-iracheno del 1922]] stabilirono delle condizioni per esercitare un potere indiretto sull'Iraq, quali la presenza di un alto commissario, l'assegnazione di consiglieri nel governo, il diritto inglese ad assistere l'esercito ed a mantenere una propria presenza militare nel Paese. Il [[Trattato anglo-iracheno del 1922|trattato del 1922]] sarebbe dovuto durare 20 anni ma tale scadenza fu accorciata a 10 con un protocollo del 1923. Nel 1925 fu promulgata la costituzione irachena che definiva lo stato una [[monarchia parlamentare]] e con i trattati anglo-iracheni [[Trattato anglo-iracheno del 1926|del 1926]] e [[Trattato anglo-iracheno del 1927|del 1927]] la presa inglese sul Paese diminuì. Col [[Trattato anglo-iracheno del 1930|trattato del 1930]] veniva siglata un'alleanza di 25 anni tra Iraq e [[Regno Unito]], fu previsto che in [[politica estera]] ambo le parti si sarebbero dovute consultare sulle questioni potenzialmente contrarie agli interessi comuni dei due e non si sarebbero potute adottare politiche in contrasto con l'alleanza, la presenza militare inglese nel Paese fu ridotta ma agli inglesi restava il diritto di passaggio delle truppe sul suolo iracheno, veniva previsto anche che il Regno Unito avrebbe riconosciuto la piena indipendenza dell'Iraq solo quando sarebbe entrato nella [[Società delle Nazioni]], evento che avvenne nell'ottobre 1932 e che segnò la fine del [[Mandato britannico della Mesopotamia|mandato britannico]] ed il formale ottenimento dell'indipendenza per il [[Regno dell'Iraq]]<ref>{{Cita|Lorenzo Medici|p. 4|medici|titolo=Colonialismo al tramonto. La neutralità dell'Iraq durante la seconda guerra mondiale}}</ref>.
=== Seconda guerra mondiale ===
{{S sezione|Storia}}{{vedi anche|Sfera di co-prosperità della Grande Asia orientale|Guerra del Pacifico (1941-1945)}}
[[File:Greater_East_Asia_Conference_Map.PNG|miniatura|350x350px|Stati membri della [[conferenza della Grande Asia orientale]]{{legenda|#6B0000|[[Impero giapponese]]|border=1px solid black}}{{Box colorato|#ff0000}}{{Box colorato|#da8c89}} Altri territori occupati dal Giappone{{legenda|#fea8a9|Territori reclamati dal Giappone e dai suoi [[Potenze dell'Asse#Stati satellite del Giappone|Stati cliente]] e alleati|border=1px solid black}}]]
Nel [[Guerra del Pacifico (1941-1945)|teatro pacifico]] della [[seconda guerra mondiale]] l'[[Impero giapponese]] che era già impegnato in una [[Seconda guerra sino-giapponese|invasione della Cina]] dal 1937 e in [[Guerre di confine sovietico-giapponesi|guerre di confine con l'Unione Sovietica]], il 7 dicembre 1941 [[Attacco di Pearl Harbor|attaccò la base militare statunitense di Pearl Harbor]] iniziando le ostilità verso gli [[Stati Uniti d'America]] ed il giorno dopo iniziò le ostilità anche verso il [[Regno Unito]] e la [[Invasione giapponese della Thailandia|Thailandia]]. Durante il corso della guerra i giapponesi invasero vari possedimenti coloniali europei e statunitensi in Asia: [[Battaglia di Hong Kong|Hong Kong]], [[Campagna della Malesia|Malesia]], [[Campagna della Birmania|Birmania e parte dell'India]] al [[Impero coloniale inglese|Regno Unito]], le [[Campagna delle Indie orientali olandesi|Indie orientali olandesi]] ai [[Impero coloniale olandese|Paesi Bassi]] e le [[Campagna delle Filippine (1941-1942)|Filippine]] agli [[Imperialismo statunitense|Stati Uniti]]. Durante l'occupazione di questi territori il Giappone adottò una retorica [[Anticolonialismo|anti-colonialista]] e supportò i movimenti nazionalisti nelle colonie occupate in funzione anti-europea e anti-statunitense tramite la creazione di unità militari collaborazioniste e la formazione di Stati indipendenti (''de facto'' [[stati fantoccio]] giapponesi) all'interno di un progetto geopolitico [[Pan-Asianismo|pan-Asiatico]] chiamato "[[sfera di co-prosperità della Grande Asia orientale]]" che ambiva alla creazione di un blocco a guida giapponese di Stati asiatici liberi sia dall'[[imperialismo sovietico]] che dal [[Imperialismo occidentale in Asia|colonialismo occidentale]].
Alcuni piccoli territori dell'[[Indocina francese]] furono annessi dalla [[Thailandia]] in seguito alla [[guerra franco-thailandese]] nel 1941 sotto pressione del Giappone, e nel 1945 l'[[Indocina francese]] fu spartita poco prima della fine della guerra tra i neonati stati fantoccio giapponesi del [[Regno di Cambogia (1945)|Regno di Cambogia]], [[Regno del Laos (1945)|Regno del Laos]] e [[Impero del Vietnam]], nel 1943 furono creati Stati fantoccio anche nelle [[Seconda Repubblica (Filippine)|Filippine]], in [[Stato di Birmania|Birmania]] e in [[Governo dell'India Libera|India]].
=== Secondo dopoguerra e guerra fredda ===
{{vedi anche|Secondo dopoguerra|Guerra fredda}}
[[File:Colonialism in 1945 updated legend.png|miniatura|350x350px|Imperi coloniali nel 1945]]
La [[seconda guerra mondiale]] ebbe un ruolo fondamentale nel processo di decolonizzazione in quanto le conseguenze della guerra portarono a una situazione in cui la maggior parte dei territori degli imperi coloniali europei ottenne l'indipendenza. Ciò che lo rese un evento fondamentale per la decolonizzazione fu innanzitutto il fatto che le potenze coloniali sfruttarono intensamente risorse umane e materiali delle colonie al fine di sostenere il proprio sforzo bellico ma senza concedergli niente in cambio. La guerra favorì quindi la diffusione di sentimenti nazionalisti e la radicalizzazione delle loro rivendicazioni nei confronti dei Paesi dominatori. Inoltre le potenze coloniali europee si trovarono economicamente e militarmente fortemente indebolite dalla guerra<ref name="Bernard Droz p.47">Bernard Droz, ''Storia della decolonizzazione nel XX secolo'', p.47</ref>.
Nel secondo dopoguerra gli [[Stati Uniti d'America]] e l'[[Unione Sovietica]] emersero come le due maggiori superpotenze del mondo attorno a cui si formarono dei blocchi ([[blocco occidentale]] filo-statunitense, [[blocco orientale]] filo-sovietico e [[terzo mondo]] non allineato) composti dai Paesi delle zone di occupazione tra [[Alleati della seconda guerra mondiale|alleati]] occidentali ([[USA]], [[Regno Unito]], [[Francia]]) e l'[[URSS]], creando una divisione che in [[Europa]] ricalcava la [[cortina di ferro]] e in [[Asia]] la [[cortina di bambù]]. La rivalità ideologica ([[capitalismo]] contro [[comunismo]]) e geopolitica tra le due superpotenze diede inizio alla [[guerra fredda]], la quale si combatté sul piano diplomatico, economico e militare anche sui territori coloniali ed ex coloniali.
L'[[Unione Sovietica]] sostenne una retorica ideologica che legava [[anticolonialismo]] ed [[anticapitalismo]] facendo leva sul fatto che gli stati coloniali europei fossero tutti capitalisti e filo-americani, dando inoltre una chiave di lettura razziale alla [[lotta di classe]] facendo riferimento alle disuguaglianze giuridiche ed economiche delle colonie tra nativi e discendenti bianchi dei [[Colonia (insediamento)|coloni]] europei (in favore di quest'ultimi). L'[[URSS]] supportò sul piano politico, economico e militare (fornendo armamenti, addestramento e aiuti di vario tipo) i movimenti di liberazione anti-coloniali ad essa ideologicamente affini, con l'obiettivo di danneggiare gli interessi degli Stati coloniali occidentali e di far ottenere l'indipendenza a Paesi che avrebbero adottato forme di governo [[Socialismo|socialista]] gradite all'URSS e con una politica estera filo-sovietica ed anti-americana. Oltre all'[[Unione Sovietica]], anche altri Paesi comunisti in giro per il mondo supportarono i movimenti anti-coloniali, come [[Cuba]], i membri [[Patto di Varsavia]] più la [[Jugoslavia]] in [[Europa orientale]], [[Corea del Nord]] e [[Repubblica Popolare Cinese]] in [[Asia]]. La [[crisi sino-sovietica]] segnò un grave inasprimento dei rapporti tra [[URSS]] e [[Cina comunista]] a partire dal 61', ciò causò talvolta tra le varie conseguenze nella politica estera dei due Paesi, quella del supportare ognuno dei diversi movimenti anti-coloniali e rivoluzionari anche in rivalità e lotta tra loro, sia durante la fase di decolonizzazione, come nella [[guerra d'indipendenza dell'Angola]]<ref group="note">L'[[URSS]] supportò l'[[MPLA]] mentre la [[Cina]] il [[FNLA]].</ref>, che durante le [[guerre civili]] che spesso scoppiarono durante e immediatamente dopo l'indipendenza, come nella [[guerra civile in Rhodesia]]<ref group="note">L'[[URSS]] supportò lo [[ZAPU]] mentre la [[Cina]] lo [[ZANU]].</ref>; tale linea fu evidente anche durante guerre convenzionali tra i Paesi recentemente decolonizzati come la [[guerra dell'Ogaden]] tra [[Somalia]] ed [[Etiopia]]<ref group="note">L'[[URSS]] supportò l'[[Etiopia]] mentre la [[Cina]] sostenne la [[Somalia]].</ref>.
Gli [[Stati Uniti d'America|Stati Uniti]], prendendo anch'essi atto delle enormi difficoltà (esacerbate dai sovietici) degli europei a mantenere il controllo delle loro colonie, analogamente all'[[URSS]] appoggiarono anche loro il processo di decolonizzazione in funzione dei propri interessi geopolitici, supportando l'indipendenza di Paesi con forme di governo e politica estera affini al [[blocco occidentale]]. Gli [[USA]] sostennero questa linea facendo pressione sui governi europei affinché concedessero pacificamente l'indipendenza alle proprie colonie prima che i sovietici riuscissero a fargliela ottenere con la forza dando supporto a [[Movimento di liberazione nazionale|movimenti di liberazione]] comunisti che avrebbero dato vita a governi anti-occidentali. Tuttavia vi furono delle eccezioni, per pragmatismo [[Anticomunismo|anti-comunista]] gli USA sostennero la [[Francia]] nella lotta contro i movimenti di liberazione comunisti sostenuti dal [[blocco orientale]] nella [[guerra d'Indocina]], inoltre vi sono sospetti che gli [[USA]] abbiano aiutato l'''[[organisation armée secrète]]'' tramite l'[[operazione Gladio]] durante la [[guerra d'Algeria]].
==== Declino definitivo degli imperi coloniali ====
===== Impero coloniale francese =====
{{vedi anche|Impero coloniale francese}}
===== Impero coloniale inglese =====
{{vedi anche|Impero coloniale inglese}}
===== Impero coloniale italiano =====
{{vedi anche|Impero coloniale italiano}}
===== Impero coloniale olandese =====
{{vedi anche|Impero coloniale olandese}}
===== Impero coloniale portoghese =====
{{vedi anche|Impero coloniale portoghese|Guerra coloniale portoghese}}
===== Impero coloniale spagnolo =====
{{vedi anche|Impero coloniale spagnolo}}
===== Stati Uniti d'America =====
{{vedi anche|Colonialismo statunitense}}
==== Decolonizzazione per area ====
La decolonizzazione può essere suddivisa in tre fasi principali: la prima ebbe inizio negli anni Quaranta e vide la decolonizzazione del [[subcontinente indiano]] e di gran parte del Sud-Est asiatico; la seconda fase è identificabile negli anni Cinquanta, quando l'indipendenza fu conquistata dagli stati dell'Africa settentrionale; la terza e ultima fase ebbe inizio negli anni Sessanta quando la decolonizzazione si verificò con particolare rapidità e intensità, nell'Africa subsahariana.
===== Africa =====
{{S sezione|Storia}}
[[File:Descolonizacion d'Africa (1945-1991).png|miniatura|Mappa della decolonizzazione africana per data e impero]]
{{vedi anche|Decolonizzazione dell'Africa}}
====== Nord Africa ======
====== Africa subsahariana ======
{{S sezione|Storia}}
===== America =====
{{S sezione|Storia}}{{vedi anche|Decolonizzazione dell'America}}
===== Asia =====
{{S sezione|Storia}}{{vedi anche|Decolonizzazione dell'Asia}}
====== India e Pakistan ======
{{vedi anche|Partizione dell'India|Gandhi e la liberazione e divisione dell'India}}
====== Indocina ======
{{vedi anche|Guerra d'Indocina|Conferenza di Ginevra (1954)}}
====== Cina ======
{{S sezione|Storia}}
====== Medio Oriente ======
{{S sezione|Storia}}
===== Oceania =====
{{S sezione|Storia}}{{vedi anche|Decolonizzazione dell'Oceania}}
==== Il ruolo dell'ONU ====
L'[[Organizzazione delle Nazioni Unite|ONU]] svolse un ruolo fondamentale nella storia della decolonizzazione, che può essere considerato sproporzionato rispetto alle clausole dello [[Statuto delle Nazioni Unite]], adottato a San Francisco il 26 giugno del 1945, i cui principi in materia coloniale erano molto moderati e restrittivi.<ref>Bernard Droz, ''Storia della decolonizzazione nel XX secolo'', p.77</ref> La Carta del 1945 riconosceva l'esistenza di territori “non-self-governing” (non autonomi). Gli ex-mandati divennero territori sotto “tutela” (concetto simile a quello del “mandato”) attribuendo ai governi coloniali il carattere di amministratori fiduciari temporanei; la novità stava nel fatto che il Consiglio di tutela dell'ONU aveva il diritto di ispezione, per accertare i progressi compiuti verso l'indipendenza.<ref>Detti e Gozzini, ''Storia contemporanea: il Novecento'', p.246</ref>
La Libia e la Somalia italiane furono poste sotto questo statuto, mentre gli ex possedimenti giapponesi e specialmente la Corea rappresentarono un caso a parte. Per quanto riguarda i territori “non-self-governing”, la Carta delle Nazioni Unite obbligava le potenze coloniali a “promuovere il progresso delle loro popolazioni” e a tenere aggiornata l'ONU. La Francia, ottenne inoltre che fosse vietato all'ONU “ogni intervento negli affari di esclusiva competenza nazionale degli stati”: si trattava del famoso “articolo 2, paragrafo 7” della Carta, di cui la Francia avrebbe fatto largo uso (e che era già presente nel patto della Società delle Nazioni).<ref>Bernard Droz, ''Storia della decolonizzazione nel XX secolo'', p.78</ref>
Il ruolo dell'ONU nel processo di decolonizzazione fu inizialmente marginale, soprattutto per quanto riguarda la prima ondata di decolonizzazioni; ma dal momento in cui le ex-colonie divennero un numero sempre maggiore all'interno dell'ONU, con una conseguente influenza sempre maggiore nelle decisioni dell'Organizzazione, in quanto da 23 membri afroasiatici del 1955 divennero 46 nel 1960 e 70 (più della metà) alla fine del 1971. Le ex-colonie poterono esprimersi, ancor prima di diventare la maggioranza, il 14 dicembre del 1960 quando, con il sostegno dei paesi dell'Est, fu adottata una dichiarazione sulla concessione dell'indipendenza ai popoli e ai paesi coloniali.<ref name="Bernard Droz p.80">Bernard Droz, ''Storia della decolonizzazione nel XX secolo'', p.80</ref> Questa dichiarazione (''risoluzione 1514 - XV del 14 dicembre 1960''), conosciuta come la ''Dichiarazione sulla decolonizzazione'', proclamò che il colonialismo doveva essere portato a termine rapidamente e incondizionatamente. La Dichiarazione, che inizialmente era solo una risoluzione dell'Assemblea Generale, diventò un Comitato, composto da 17 membri (24, nel 1962). Nacque così il Comitato di decolonizzazione dell'ONU<ref>{{cita web|url=http://www.un.org/en/decolonization/history.shtml|titolo=Sito ufficiale del Comitato di decolonizzazione}}</ref> con il compito di monitorare l'attuazione della Dichiarazione e formulare raccomandazioni sulla sua applicazione. Il testo della Dichiarazione, afferma che la sottomissione dei popoli, il loro dominio e il loro sfruttamento costituisce una negazione dei diritti umani fondamentali in contrasto con la Carta delle Nazioni Unite e impedisce la promozione della pace nel mondo e la cooperazione. Il Comitato di decolonizzazione dell'ONU, è un organo non previsto dalla Carta delle Nazioni Unite, ma dotato di una struttura permanente, con sottocomitati, una segreteria e missioni con relazioni “ad hoc”<ref name="Bernard Droz p.80" />.
Le ex colonie si sono “servite” del sistema [[Organizzazione delle Nazioni Unite|ONU]], creando strutture nuove attente ai loro problemi. Tra le creazioni più importanti volute dai paesi decolonizzati, oltre al comitato per la decolonizzazione, troviamo infatti l'[[Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo|UNCTAD]] (congresso delle nazioni unite sul commercio e lo sviluppo), l'[[Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo|UNDP]] (programma delle nazioni unite per lo sviluppo) e l'[[Organizzazione delle Nazioni Unite per lo sviluppo industriale|UNIDO]] (l'organizzazione delle nazioni unite per lo sviluppo industriale). I paesi decolonizzati, inoltre, dominarono i dibattiti dell'assemblea generale e il voto delle risoluzioni e si accaparrarono alcuni organi specializzati come l'[[Organizzazione internazionale del lavoro|ILO]] e l'[[UNESCO]], dai quali, nel 1984, Gran Bretagna e Stati Uniti si sono ritirati, stanchi delle rituali diatribe contro le malefatte dell'imperialismo occidentale.<ref>Bernard Droz, ''Storia della decolonizzazione nel XX secolo'', p.249</ref>
==== Conseguenze ====
Dopo aver conquistato l'indipendenza e dopo aver smaltito l'euforia per averla ritrovata o appena ottenuta, rimaneva in molte ex-colonie la necessità di costruire uno stato, ossia di definire una strategia di sviluppo e di acquisizione di legittimità internazionale. Tutto ciò risultava più facile a tutti quei paesi che avevano già alle spalle una storia nazionale; tutti gli altri, soprattutto i giovani stati africani, finirono spesso per essere influenzati dall'ex potenza coloniale.<ref>Bernard Droz, ''Storia della decolonizzazione nel XX secolo'', p.245</ref> Quello che non mancava a nessun paese, però, erano i simboli fondatori della sovranità: all'indomani dell'indipendenza ogni stato aveva una propria bandiera, un inno nazionale, un motto, delle giornate commemorative e una lingua nazionale (quest'ultima risultò essere in molti casi una decisione delicata). Vennero inoltre nella maggior parte dei casi rivisti anche i toponimi, non solo riguardanti i nomi degli stati, ma anche quelli delle città, delle vie e delle piazze; con l'obiettivo di creare una nuova identità,differente (almeno in apparenza) da quella di colonia.<ref>Bernard Droz, ''Storia della decolonizzazione nel XX secolo'', p.252</ref>
Questo sfoggio dei simboli di rottura fu attenuato dall'adesione ufficiale ai valori democratici, che aveva implicato la lotta per l'indipendenza. Salvo eccezioni, la pluralità delle opinioni e dei partiti, il suffragio universale e la separazione dei poteri vennero garantiti da costituzioni ispirate dall'ex potenza coloniale: di tipo parlamentare per gli ex possedimenti britannici e, semi-presidenziale per le ex colonie francesi. Sfortunatamente, tranne qualche raro caso (tra cui l'India), i regimi costituzionali generati dalla decolonizzazione ripiegarono sull'[[autocrazia]], senza nessuna garanzia di stabilità politica. Questa situazione fu causata da diversi fattori, alcuni ereditati dall'epoca coloniale, altri legati alle strutture etniche e sociali dei paesi in questione: il sentimento nazionale non era accompagnato da una tradizione statale preesistente, l'arbitrarietà dei confini (tracciati dai colonizzatori) portò a una debole coesione degli stati multietnici o multi-religiosi, le masse rurali e urbane scarsamente alfabetizzate erano controllate da una borghesia avida di potere.<ref>Bernard Droz, ''Storia della decolonizzazione nel XX secolo'', p.252-253</ref>
Tra i nuovi leader, pochi furono quelli che riuscirono ad affrontare nel modo giusto i problemi imposti dall'indipendenza. Nonostante quelle che potevano essere le buone intenzioni e le loro esperienze di ciascuno dei nuovi leader, essi si trovarono ad affrontare enormi difficoltà, tra cui quella di creare un sentimento di unità nazionale e assicurare un miglioramento economico del paese. Questi compiti erano spesso al di sopra della loro portata, così che i risultati furono spesso deludenti e al di sotto delle aspettative dei diversi segmenti di popolazione.
Il risultato di un'indipendenza frettolosa e in molti casi immatura portò alla maggior parte dei paesi decolonizzati: disordini, oppressioni, colpi di stato e dittature militari, repressioni di minoranze etniche e religiose; con il conseguente aumento della povertà e della disoccupazione urbana. Nei nuovi stati le economie risultarono deludenti, con la conseguente rovina delle infrastrutture. Ci furono ovviamente delle eccezioni come l'India, dove un certo livello di democrazia (ma non certamente l'economia) venne attuata, mentre [[Singapore]], [[Taiwan]], [[Hong Kong]] e inizialmente anche [[Corea del Nord]] furono la prova di economie che funzionavano in modo eccellente a discapito però, della politica.<ref>Ryamond F. Betts, ''La decolonizzazione'', p.88</ref>
I problemi economici nelle ex colonie erano spesso dovuti alla precedente trasformazione della loro economia, quando ancora colonie, la madrepatria impose loro la produzione di materie prime (agricole o minerarie) ad essa necessarie a discapito dei prodotti di prima necessità. All'indomani della decolonizzazione il risultato fu che la crescita economica veniva anteposta allo sviluppo economico e, nell'intento di generare nuove risorse finanziarie per lo stato, s'incoraggiava l'aumento della produzione “coloniale”, anziché la diversificazione economica o, cosa ancora più urgente, la garanzia di raccolti sufficienti a soddisfare le esigenze del consumo interno.<ref>Ryamond F. Betts, ''La decolonizzazione'', p.95</ref> L'esportazione dei loro prodotti a basso costo e l'importazione dei prodotti di prima necessità a prezzi molto alti fece sì che il debito pubblico di questi paesi lievitasse e diventassero sempre più dipendenti dal resto del mondo.
Tra le varie ipotesi per spiegare il mancato miglioramento dei risultati economici dopo l'indipendenza c'è il [[neocolonialismo]]<ref>Raymond F. Betts, ''La decolonizzazione'', p.101</ref>, che vede il capitale straniero utilizzato per lo sfruttamento, anziché per il progresso, delle parti meno sviluppate del mondo.
===== Relazioni tra ex colonie ed ex colonizzatori =====
====== Organizzazioni postcoloniali ======
{{S sezione|Storia}}
[[File:Postempire Orgs Map2.png|miniatura|350x350px|Organizzazioni postcoloniali]]
Le ex potenze coloniali legarono a sé le ex colonie tramite organizzazioni internazionali.
{| class="wikitable"
|+
!Ex potenza coloniale
!Organizzazione
!Date (nascita/scioglimento)
!Ambiti
!Paesi membri
!Ex colonie
|-
|[[Regno Unito]]
|[[Commonwealth delle nazioni]]
|1931
|Politico, culturale ed economico
|54
|50
|-
| rowspan="3" |[[Francia]]
|[[Unione francese]]
|1946-1958
|Politico
|31
|22
|-
|[[Comunità francese]]
|1958-1995
|Politico
|24
|15
|-
|[[Organizzazione internazionale della francofonia]]
|1970
|Culturale
|54
|24
|-
|[[Francia]], [[Spagna]] e [[Portogallo]]
|[[Unione latina]]
|1954-2012
|Culturale
|36
|27
|-
| rowspan="2" |[[Spagna]] e [[Portogallo]]
|[[Organizzazione degli Stati ibero-americani]]
|1949
|Cooperazione
|23
|20
|-
|[[Cumbre Iberoamericana|Vertice Iberoamericano]]
|1991
|Politico, culturale ed economico
|22
|19
|-
|[[Portogallo]]
|[[Comunità dei Paesi di lingua portoghese]]
|1996
|Culturale
|9
|7
|-
| rowspan="2" |[[Russia]]
|[[Comunità degli Stati Indipendenti]]
|1991
|Politico, economico e militare
|9
|8
|-
|[[Unione economica eurasiatica]]
|2015
|Economico
|5
|4
|-
| rowspan="2" |[[Stati Uniti d'America]]
|[[Commonwealth (aree insulari degli Stati Uniti d'America)|Commonwealth]]
|1952
|Politico, economico e militare
|2
|2
|-
|[[Trattato di Libera Associazione]]
|1986
|Politico, economico e militare
|4
|3
|-
| rowspan="2" |[[Paesi Bassi]]
|Unión Países Bajos-Indonesia
|1949-1956
|Politico
|2
|1
|-
|[[Unione linguistica nederlandese]]
|1980
|Culturale
|3
|1
|}
====== Neocolonialismo ======
{{Vedi anche|Neocolonialismo}}
== Territori attualmente non decolonizzati ==
{{Vedi anche|Lista dell'ONU dei territori non autonomi|Francia d'oltremare|Territori d'oltremare britannici|Territorio d'oltremare}}
La decolonizzazione formalmente durò una trentina d'anni, dall'immediato dopoguerra (1945) all'indipendenza delle colonie portoghesi (1974). Tuttavia durante gli anni '70 e '80 ci furono ancora molte altre dichiarazioni d'indipendenza, che passarono per lo più inosservate e che non è agevole considerare facenti parte del processo di decolonizzazione. In molti casi, infatti, si trattò dei cosiddetti “coriandoli d'impero”, divenuti microstati, che non avevano una vera e propria indipendenza e che finirono per integrarsi in sistemi più ampi. Si possono individuare tre zone distinte che videro sviluppare questo fenomeno: i [[Caraibi]], l'[[Oceano Indiano]] e il [[Oceano Pacifico|Pacifico meridionale]].<ref name="Bernard Droz p.232">Bernard Droz, ''Storia della decolonizzazione nel XX secolo'', p.232</ref>
La riscoperta delle culture caraibiche, con la conseguente rinascita di una coscienza nazionalista, ha portato gli ex possedimenti caraibici olandesi e inglesi a reclamare la propria indipendenza. I possedimenti britannici più numerosi andavano dall'America centrale ([[Belize]]) a quella meridionale ([[Guyana]]): la prima divenne indipendente nel 1981 mentre l'altra nel 1966. Gli anni successivi videro diverse indipendenze: [[Barbados]] (1966), [[Bahamas]] (1973), [[Grenada]] (1974), [[Suriname]] (1975), [[Dominica]] (1978), [[Saint Lucia]] (1979), [[Saint Vincent e Grenadine]] (1980), [[Antigua e Barbuda]] (1981), [[Saint Kitts e Nevis]] (1983).<ref name="Bernard Droz p.232"/>
I possedimenti dell'Oceano Indiano videro l'indipendenza a partire dal 1968, quando furono decolonizzate l'isola di [[Mauritius]] e le [[Maldive]]; nel 1975 fu la volta dell'arcipelago delle [[Comore]] (tranne [[Mayotte]]) e nel 1976 delle [[Seychelles]].<ref>Bernard Droz, ''Storia della decolonizzazione nel XX secolo'', p.233</ref>
L'Oceania era stata sottoposta alla colonizzazione europea, americana e (fino al 1945) giapponese. Il [[Regno Unito]] fece il primo passo rendendo indipendenti le [[Figi]] e le [[Tonga]] nel 1975, [[Tuvalu]] (ex isole Ellice) e le [[isole Salomone]] nel 1978, [[Kiribati]] (ex [[isole Gilbert]]) nel 1979. Nel 1980 venne abolito il co-dominio franco-britannico delle [[Nuove Ebridi]], dando vita allo Stato di [[Vanuatu]]. L'[[Australia]] rese indipendente l'[[Nauru|isola di Nauru]] nel 1968 e [[Papua Nuova Guinea]] nel 1975, la [[Nuova Zelanda]] proclamò indipendenti le [[Samoa]] occidentali nel 1976 e gli Stati Uniti resero indipendenti gli [[Stati Federati di Micronesia]] e le [[Isole Marshall]] nel 1986 e le isole [[Palau (stato)|Palau]] nel 1994.
Il processo di decolonizzazione, tuttavia non può ancora essere ritenuto completato, perché stati come la Francia rinviano ancora oggi la concessione dell'indipendenza completa ai loro restanti possedimenti,<ref>Bernard Droz, ''Storia della decolonizzazione nel XX secolo'', p. 233-234.</ref> e in diversi casi l'indipendenza viene democraticamente rifiutata dagli abitanti dei [[territori d'oltremare francesi]], come è accaduto nei referendum del 2018 e del 2020 in [[Nuova Caledonia]],<ref>{{Cita web|url=https://www.aljazeera.com/news/2020/10/4/new-caledonia-votes-to-stay-part-of-france|titolo=New Caledonia rejects independence, will stay part of France}}</ref> o nel referendum del 2010 in [[Guyana francese]]<ref>{{cita testo|url=[https://www.sudd.ch/event.php?lang=en&id=gf012010 Französisch-Guyana (Frankreich), 10. Januar 2010]</ref>.|titolo=L'ONU continua a segnalare ancora qualche decina di isole e territori rimasti sotto la sovranità straniera: oltre al caso dei [[Dipartimento d'oltremare|Dipartimenti d'oltremare}}]] e dei [[Territori francesi d'oltremare|Territori d'oltremare]] francesi (DOM-TOM) e a quello dei [[Caraibi olandesi]], il [[Regno Unito]] fa ancora sventolare la [[Bandiera del Regno Unito|Union Jack]] su una quindicina di territori dipendenti, tra cui le [[isole Falkland]] (dove dopo la [[Guerra delle Falkland|guerra]] in un referendum il 96% dei votanti scelse di restare nel Regno Unito<ref>{{Cita web|url=https://www.sudd.ch/event.php?lang=en&id=fk011986|titolo=Falkland-Inseln, 2. April 1986 : Status}}</ref>), [[Bermuda]] (dove in un referendum del 1995 il 73,6% dei votanti si espresse per restare nel Regno Unito<ref>{{Cita web|url=https://www.independent.co.uk/news/world/bermudians-vote-to-stay-british-1596724.html|titolo=Bermudians vote to stay British}}</ref>), [[Anguilla (isola)|Anguilla]], [[Gibilterra]], [[Sant'Elena (isola)|Sant'Elena]], le [[Georgia del Sud|isole della Georgia del Sud]], mentre tra i possedimenti statunitensi, oltre a quelli nell'[[Oceano Pacifico]], tra i quali vi sono le isole [[Hawaii]], che nel 1959 vennero annesse cinquantesimo stato dell'Unione, è ancora da definire lo stato di [[Porto Rico]],<ref>Bernard Droz, ''Storia della decolonizzazione nel XX secolo'', p.234</ref> che nel 2012, dopo un referendum approvato dal 61% degli elettori, ha iniziato l'iter per divenire il [[51º stato]] degli USA.<ref name=ALTITUDE>{{cita testo|url=http://www.altd.it/2012/11/14/referendum-portorico-51-estrella/|titolo=Referendum a Porto Rico. Arriva la 51ª estrella?|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20141023085102/http://www.altd.it/2012/11/14/referendum-portorico-51-estrella/ }}, ALTITUDE</ref>
==Note==
'''Annotazioni'''
<references group="note" />
'''Fonti'''<references/>
==Bibliografia==
* {{cita libro|autore=Luigi Bruti Liberati|titolo=Storia dell'impero britannico 1785-1999: Ascesa e declino del colosso che ha impresso la sua impronta sulla globalizzazione|edizione=|anno=2022|editore=[[Bompiani]]|cid=|ISBN=978-8830105850}}
* Bernard Droz, ''Storia della decolonizzazione nel XX secolo'', Milano, Bruno Mondadori, 2007
* Raymond F. Betts, ''La decolonizzazione'', Bologna, Il mulino, 2007
* {{cita libro|autore=[[Alberto Mario Banti]]|titolo=L'età contemporanea. Dalle rivoluzioni settecentesche all'imperialismo|edizione=12|anno=2009|editore=Laterza|cid=banti1|ISBN=978-8842091431}}
* {{cita libro|autore=[[Massimo Campanini]]|titolo=Storia del Medio Oriente contemporaneo|edizione=6|anno=2020|editore=Il Mulino|cid=campanini|ISBN=978-8815285966}}
* {{cita libro|autore=Lorenzo Medici|titolo=Colonialismo al tramonto. La neutralità dell'Iraq durante la seconda guerra mondiale|anno=1998|editore=Guerra Edizioni|cid=medici|ISBN=978-8877152978}}
== Voci correlate ==
* [[Anticolonialismo]]
* [[Colonialismo]]
* [[Impero coloniale]]
* [[Movimento di liberazione nazionale]]
* [[Nazionalismo]]
* [[Neocolonialismo]]
* [[Nuovo imperialismo]]
* [[
* [[Indipendentismo]]
== Altri progetti ==
{{
==Collegamenti esterni==
* {{
* {{cita web|url=http://www.un.org/en/decolonization/|titolo=Sito ufficiale del Comitato per la decolonizzazione ONU}}
* {{cita web|url=http://www.un.org/en/decolonization/history.shtml|titolo=Sezione Storia del sito ufficiale del Comitato per la decolonizzazione ONU}}
*{{cita web|url=http://www.raistoria.rai.it/africa-online/|titolo=La decolonizzazione, su RAI Storia}}
{{Controllo di autorità}}
{{Portale|Guerra|politica|storia}}
[[Categoria:Decolonizzazione| ]]
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