Disoccupazione tecnologica: differenze tra le versioni
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[[File:Jacquard 133-Marsden.png|miniatura|destra|Il [[telaio Jacquard]], inventato nel [[1804]], permise la realizzazione di tessuti molto complessi in maniera semiautomatica, riducendo quindi il numero di operatori necessari. La riduzione dei posti di lavoro provocò forti proteste in tutta Europa.<ref>{{cita web|url=http://theinstitute.ieee.org/tech-history/technology-history/the-jacquard-loom-a-driver-of-the-industrial-revolution|titolo=The Jacquard Loom: A Driver of the Industrial Revolution|lingua=en|accesso=20 giugno 2017|data=18 luglio 2017}}</ref>
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La '''disoccupazione tecnologica''' è la [[disoccupazione|perdita di lavoro]] dovuta al [[innovazione|cambiamento tecnologico]]. Questo cambiamento solitamente riguarda l'introduzione di tecnologie che permettono di ridurre il carico di lavoro eseguito dagli operatori e l'introduzione dell'[[automazione]].
Proprio come i cavalli, usati come primo mezzo di locomozione, vennero gradualmente resi obsoleti dall'automobile, anche i lavori degli esseri umani sono stati toccati dal cambiamento tecnologico, ne è un esempio quello dei tessitori ridotti in povertà dall'introduzione del telaio meccanico nella [[prima rivoluzione industriale]]. Durante la [[seconda guerra mondiale]]
Che il cambiamento tecnologico possa causare la perdita di posti di lavoro nel breve termine è un fatto comunemente accettato, mentre sugli effetti sul lungo termine si è aperto un lungo dibattito non ancora giunto ad una conclusione. Le due scuole di pensiero si possono sommariamente dividere in ottimisti e pessimisti. Gli ottimisti sono convinti che la perdita di lavoro dovuta all'innovazione verrà compensata da altri fattori che renderanno l'impatto nullo nel lungo termine. I pessimisti invece sostengono che almeno in alcuni casi le nuove tecnologie possono portate ad un costante declino nel numero di posti di lavoro. L'espressione “disoccupazione tecnologica” è stata resa popolare da [[John Maynard Keynes]] negli anni
In genere, prima del [[XVIII secolo]], sia le ''
L'idea che la tecnologia difficilmente porterà ad una disoccupazione nel lungo termine è stata ripetutamente messa in discussione da una minoranza di economisti, tra i quali, nel primo 1800, [[David Ricardo]]. Molti economisti hanno messo in guardia dalla disoccupazione tecnologica in alcuni particolari frangenti, come negli [[anni trenta]] e [[anni sessanta|sessanta]],
==Argomentazioni==
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===Effetti a lungo termine sull'occupazione===
[[File:UnemployedMarch.jpg|miniatura|Un gruppo di uomini protesta contro la disoccupazione a [[Toronto]] negli anni trenta.]]
Tutti gli interpreti del dibattito sulla disoccupazione tecnologica concordano nel dire che la perdita di lavoro
Il concetto di [[disoccupazione strutturale]], ovvero l'idea di un tasso di disoccupazione duraturo che non scompare neanche nel punto più alto del [[ciclo economico]], divenne popolare negli [[Anni 1960|anni sessanta]]. Per i pessimisti la disoccupazione tecnologica è uno dei fattori che guidano il fenomeno della disoccupazione strutturale. Fin dagli [[anni ottanta]] anche gli economisti ottimisti hanno sempre di più accettato l'idea che la disoccupazione strutturale sia cresciuta nelle economie avanzate, tendendo però a incolpare [[globalizzazione]] e [[Delocalizzazione (economia)|delocalizzazione]] piuttosto che il cambiamento tecnologico. Altri ritengono che la principale causa della crescita della disoccupazione sia la riluttanza dei governi nel perseguire [[politica fiscale|politiche]] espansive dopo l'abbandono delle [[Economia keynesiana|politiche keynesiane]] negli anni settanta e nei primi anni ottanta.<ref name="Woirol 1996 loc= pp. 77 - 90"/><ref name="Effective Demand"/><ref name = "Vivarelli2012"/> Nel [[XXI secolo]], e specialmente dal [[2013]], i pessimisti sostengono con crescente insistenza che la minaccia di una disoccupazione strutturale globale sia in crescita.<ref name = "sympathy"/><ref name = "replicants"/><ref name="Martin"/> Dall'altra parte, una prospettiva più ottimista suggerisce che il cambiamento tecnologico cambierà la struttura di un'organizzazione in modo tale che i lavoratori impiegati in ruoli manageriali diventeranno sempre più specializzati grazie al fatto che l'aiuto della tecnologia gli lascerà più tempo per migliorare se stessi. Il tipico ruolo manageriale di conseguenza cambierà in modo da permettere ai manager di concentrarsi sul compito di supportare i dipendenti migliorando le loro prestazioni, permettendogli quindi di aggiungere più, invece che meno, valore.
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[[File:BrownManchesterMuralJohnKay.jpg|thumb|''John Kay inventore della spoletta volante AD 1753'', di [[Ford Madox Brown]], ritrae [[John Kay]] che dà il bacio d'addio a sua moglie mentre un uomo lo trascina fuori di casa per scappare da una folla inferocita a causa del suo telaio meccanico, che ha ridotto il lavoro. Gli effetti di compensazione non erano molto noti allora.]]
Gli effetti di compensazione sono le conseguenze positive dell'innovazione che compensano l'iniziale perdita di lavoro causata dalle nuove tecnologie. Negli anni venti del [[XIX secolo|1800]] [[Jean-Baptiste Say]] descrisse vari effetti di compensazione in risposta a all'affermazione di [[David Ricardo|Ricardo]] secondo cui la disoccupazione tecnologica a lungo termine era una possibilità. Poco dopo [[John Ramsay McCulloch]] elaborò un intero sistema di effetti. Il sistema venne chiamato ''teoria della compensazione'' da [[Karl Marx]], che attaccò le sue idee sostenendo che non era certo che quegli effetti si verificassero; la questione da allora rimane centrale nel dibattito.<ref name = "Vivarelli2012"/><ref name="Blaug 1997 loc= p182">{{cita libro|autore= Mark Blaug|wkautore= Mark Blaug|titolo=Economic Theory in Retrospects|anno= 1997|editore= Cambridge University Press|p=187|città=|lingua=en|isbn= 0-521-57701-2|cid= Blaug}}</ref>
Gli effetti di compensazione sono dovuti a:
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# ''Nuovi prodotti'', dove l'innovazione crea direttamente nuovi posti di lavoro.
Il primo punto oggi viene raramente discusso agli economisti; spesso l'idea di Marx, che lo rifiutò, viene considerata corretta.<ref name = "Vivarelli2012"/> Anche i pessimisti spesso concedono che l'innovazione dei prodotti assieme all'effetto numero 5 può a volte avere un effetto positivo sull'occupazione.
Un'importante distinzione può essere tracciata tra innovazione dei processi e dei prodotti.<ref group="N">Le tecnologie che diminuiscono i posti di lavoro possono essere classificate con meccanizzazione, [[automazione]] e ottimizzazione dei processi. Le prime due riguardano il trasferimento dei compiti dagli umani alle macchine, mentre il terzo spesso prevede l'eliminazione di quei compiti. Il ''fil rouge'' che collega i tre punti è la rimozione di forza lavoro e la conseguente diminuzione dell'occupazione. Nella pratica le categorie spesso di sovrappongono: un miglioramento dei processi può includere automazione o meccanizzazione. La linea tra meccanizzazione e automazione poi è soggettiva, dato che a volte la meccanizzazione include il [[controllo automatico]] ad un livello tale che può essere considerata automazione.</ref> Dall'[[America Latina]] sono emerse delle prove che sembrano suggerire che l'innovazione dei prodotti contribuisca in maniera importante alla crescita dell'[[Occupazione (lavoro)|occupazione]] nelle fabbriche, più dell'innovazione dei processi.<ref>{{Cita pubblicazione|cognome=Crespi|nome=Gustavo|cognome2=Tacsir|nome2=Ezequiel|data=
</ref><ref name="Vivarelli2007">{{Cita web|url= http://ftp.iza.org/dp2621.pdf|titolo= Innovation and Employment: : A Survey|editore= [[Institute for the Study of Labor]]|autore= Marco Vivarelli|data= febbraio 2007|accesso=14 luglio 2015}}
</ref>
Un possibile effetto di compensazione è il [[moltiplicatore keynesiano|moltiplicatore]]. Secondo una ricerca elaborata da Enrico Moretti, per ogni lavoro qualificato creato nell'[[alta tecnologia]] in una data città, più di due lavori vengono creati in settori non-[[tradable]]. Le sue conclusioni suggeriscono che la crescita tecnologica e la conseguente creazione di posti di lavoro nell'hi-tech possano avere un effetto di diffusione più importante di quanto si pensasse;<ref>{{Cita pubblicazione|cognome=Moretti|nome=Enrico|data=
Molti economisti oggi pessimisti nei confronti della disoccupazione tecnologica accettano che gli effetti di compensazione si siano realizzati nel modo sostenuto dagli ottimisti nel [[XIX secolo|XIX]] e [[XX secolo]]. Nonostante ciò asseriscono che la [[Informatizzazione|computerizzazione]] significhi che gli effetti di compensazione oggi siano meno prominenti. Uno dei primi esempi venne fornito da [[Wassily Leontief]] nel [[1983]]. Leontief conferma che l'avvento della meccanizzazione abbia portato alla disoccupazione tecnologica in un primo momento, salvo poi aumentare la domanda di lavoro e portare ad un aumento dei salari dovuto all'aumento di [[produttività]]. Mentre le prime macchine abbassarono la domanda di “muscoli”, queste non erano intelligenti e necessitavano di operatori umani per rimanere produttive. Con l'introduzione dei computer nel mondo del lavoro oggi c'è meno domanda non solo di “muscoli”, ma anche di “cervelli". Di conseguenza, anche se la produttività continua a salire, la decrescente domanda per il lavoro umano può significare paghe più basse e meno lavoro.<ref name="Vivarelli2012" /><ref name="Martin" /><ref name="Advance" /> Questa posizione non è pienamente supportata da più recenti sturi empirici. Una ricerca del [[2003]] di Erik Brynjolfsson e Lorin Hitt presente prove dirette che suggeriscono un effetto a breve termine benefico della computerizzazione nelle fabbriche sulla produttività. Inoltre hanno trovato che il contributo a lungo termine della computerizzazione e dei cambiamenti tecnologici può essere ancora maggiore.
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===La fallacia luddista===
{{Vedi anche|Luddismo}}
Con [[fallacia]] luddista si intende l'errore commesso da chi affronta l'argomento della disoccupazione tecnologica senza tenere conto degli effetti di compensazione. Le persone che usano il termine in genere pensano che il progresso tecnologico non avrà un impatto negativo a lungo termine sull'occupazione, e finirà per aumentare gli stipendi per tutti i lavoratori, dato che il progresso contribuisce ad arricchire la società nel suo complesso. Il termine cita i luddisti del [[XIX secolo]]. Durante il [[XX secolo]] e nella prima decade del [[XXI secolo|XXI]] l'opinione dominante tra gli economisti era che la disoccupazione tecnologica fosse in effetti una fallacia, ma in tempi più recenti si assiste ad una controtendenza; l'opinione per cui la fallacia luddista non sia in effetti una fallacia è sempre più popolare.<ref name = "sympathy">
{{Cita news|url= https://www.nytimes.com/2013/06/14/opinion/krugman-sympathy-for-the-luddites.html
</ref><ref>{{cita|Ford, 2009|loc= Chpt 3, 'The Luddite Fallacy'}}</ref><ref name = "Death">{{Cita web|url= https://www.project-syndicate.org/commentary/robert-skidelsky-revisits-the-luddites--claim-that-automation-depresses-real-wages|titolo= Death to Machines?|editore= [[Project Syndicate]]|autore= [[Robert Skidelsky, Baron Skidelsky|Lord Skidelsky]]|data= 12 giugno 2013|accesso=14 luglio 2015}}
</ref>
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# Le macchine possono fare gran parte del lavoro “facile”;
# La definizione di ciò che è “facile" si espande con il progresso tecnologico;
# Con l'avanzata del punto 2, il lavoro non-facile, quello che richiede più capacità, talento, conoscenza e interconnessioni tra discipline diverse, può arrivare a richiedere capacità cognitive più elevate di quanto gran parte degli esseri umani siano in grado di fornire.
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===Livello di competenza e disoccupazione tecnologica===
[[File:Automation of foundry with robot.jpg|miniatura|Un robot industriale opera in una fonderia]]
Un'opinione comune tra chi discute la relazione tra innovazione e mercato del lavoro è che l'innovazione colpisca in maniera negativa i lavoratori poco qualificati, dando un vantaggio agli altri. Secondo Lawrence F. Katz questo può essere stato vero per gran parte del XX secolo, ma nel XIX furono i lavoratori qualificati (come ad esempio gli [[Artigiano|artigiani]]), che avevano costi alti, ad esserne colpiti, mentre i lavoratori meno qualificati trassero beneficio dall'innovazione. Mentre nel XXI secolo l'innovazione sta sostituendo alcuni lavori non qualificati, altre professioni simili sembrano resistere all'[[automazione]], mentre i colletti bianchi che richiedono un livello di competenza intermedio vengono sempre più spesso sostituiti dall'informatica.<ref name = "relative">{{Cita web|url=
{{Cita pubblicazione|autore1=David H. Autor |autore2=David Dorn |data=agosto 2013|titolo=The growth of low skill service jobs and the polarization of the US labor market|rivista=[[The American Economic Review]]|url=https://ideas.repec.org/p/nbr/nberwo/15150.html|volume= 103 |numero= 5|pp= 1553-97}}
</ref><ref name="Reversal">{{Cita web|url= https://www.nber.org/papers/w18901|titolo= The Great Reversal in the Demand for Skill and Cognitive Tasks|sito= [[National Bureau of Economic Research]]|autore= [[Paul Beaudry]], David A. Green, Benjamin M. Sand|data= marzo 2013|accesso=14 luglio 2015}}</ref>
Alcuni studi recenti, invece, come quello del [[2015]] di Geord Gaetz e Guy Michels, rilevano che, almeno nell'ambito dei [[robot industriali]], l'innovazione sta aumentando le [[Salario|paghe]] dei lavoratori più qualificati avendo allo stesso tempo un impatto negativo su quelli di livello inferiore.<ref name="GGG" /> A concordare con questa tesi un report del 2015 di Carl Benedikt Frey, Michael Osborne e il Citi Investment Research & Analysis, dove si prevede che nei prossimi dieci anni saranno i lavoratori meno qualificati a pagare il prezzo più alto.<ref name = "OM2015">
{{Cita web|url= http://www.oxfordmartin.ox.ac.uk/downloads/reports/Citi_GPS_Technology_Work.pdf|titolo= TECHNOLOGY AT WORK : The Future of Innovation and Employment|editore= [[Oxford Martin School]]|autore= Carl Benedikt Frey , Michael Osborne and [[Citi Investment Research & Analysis|Citi Research]]|data= febbraio 2015|accesso=4 novembre 2015}}
</ref>
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=== Prove empiriche ===
Molte ricerche sperimentali hanno cercato di quantificare l'impatto della disoccupazione tecnologica, per lo più a livello [[microeconomia|microeconomico]]. La maggior parte delle ricerche sulle imprese hanno riscontrato la natura positiva delle innovazioni tecnologiche per quanto riguarda l'[[tasso di occupazione|occupazione]]. Ad esempio gli economisti tedeschi Stefan Lachnmaier e Horst Rottmann hanno trovato che l'innovazione sia dei prodotti che dei processi ha un effetto positivo sull'[[Occupazione (lavoro)|occupazione]]. Curiosamente l'innovazione dei processi avrebbe un effetto maggiore rispetto a quella dei prodotti.<ref>{{Cita pubblicazione|cognome=Lachenmaier|nome=Stefan|cognome2=Rottmann|nome2=Horst|data=|titolo=May 2010|rivista=International Journal of Industrial Organization|volume=29|pp=210-220}}</ref> Negli [[Stati Uniti d'America|Stati Uniti]] si assiste ad un processo simile, dove l'innovazione nel [[Attività manifatturiera|settore manifatturiero]] ha un effetto positivo sul numero totale dei posti di lavoro, cioè non limitato solamente alle aziende toccate direttamente dall'innovazione.<ref>{{Cita pubblicazione|cognome=Coad|nome=Alex|cognome2=Rao|nome2=Rekha|data=
A livello di industria, però, le ricerche hanno prodotto risultati contrastanti. Uno studio del [[2017]] sul settore manifatturiero e dei [[Settore terziario|servizi]] in undici paesi europei suggerisce che l'effetto positivo dell'innovazione sull'occupazione esiste solo nei settori medio e alto. Inoltre sembra che ci sia una correlazione negativa tra [[Occupazione (lavoro)|occupazione]] e creazione di [[Capitale (economia)|capitale]], il che suggerisce che il progresso tecnologico possa potenzialmente ridurre il lavoro dato che l'innovazione dei processi è spesso incorporata negli [[Investimento|investimenti]].<ref>{{Cita pubblicazione|cognome=Piva|nome=Mariacristina|cognome2=Vivarelli|nome2=Marco|data=
Poche analisi sono state fatte a livello [[macroeconomia|macroeconomico]], e con risultati contrastanti. L'economista italiano Marco Vivarelli ha trovato che la riduzione del lavoro dovuta al progresso tecnologico sembra aver colpito l'[[Italia]] più degli Stati Uniti, mentre l'effetto positivo dell'innovazione dei prodotti sull'occupazione si osserva solo negli Stati Uniti e non in Italia.<ref>{{Cita libro|titolo=The Economics of Technology and Employment Theory and Empirical Evidence|url=https://archive.org/details/economicsoftechn0000viva|cognome=Vivarelli|nome=Marco|editore=Edward Elgar Publishing|anno=1995|isbn=978-1-85898-166-6|città=Italy}}</ref> Un altro studio del [[2013]] invece dimostra come gli effetti negativi del cambiamento tecnologico siano solo transitori.<ref>{{Cita pubblicazione|cognome=Feldmann|nome=Horst|data=
=== Misurare l'innovazione tecnologica ===
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Gli approcci per documentare e misurare quantitativamente l'innovazione tecnologica sono stati finora essenzialmente quattro.
Il primo, proposto da Jordi Gali nel [[1999]] e perfezionato da Neville Francis e Valerie A. Ramey nel [[2005]], è di usare restrizioni a lungo termine
Il secondo approccio è firmato da Susanto Basu, John Fernald e Miles Kimball,<ref>{{Cita pubblicazione|cognome=Basu|nome=Susanto|cognome2=Fernald|nome2=John|cognome3=Kimball|nome3=Miles|data=2006|titolo=Are Technology Improvements Contractionary?|rivista=American Economic Review|volume=96|numero=5|pp=1418-48}}</ref> che hanno creato una misura del cambiamento tecnologico aggregato con dei [[residuo di Solow|residui di Solow]] aumentati, controllando gli effetti aggregati non tecnologici come il ritorno incostante della [[concorrenza imperfetta]].
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Il terzo metodo, inizialmente sviluppato da John Shea nel 1999, adotta un approccio più diretto ed impiega indicatori osservabili come [[ricerca e sviluppo]] (R&D), spesa e numero di richieste di [[brevetto]].<ref>{{Cita pubblicazione|cognome=Shea|nome=John|data=1998|titolo=What Do Technology Shocks Do?|rivista=NBER Macroeconomics Annual|volume=13|pp=275-322}}</ref> Questo metodo è diffusamente usato nella ricerca empirica dato che non dipende dall'assunto che solo la tecnologia influenzerà la [[produttività]] sul lungo termine, e misura in maniera abbastanza accurata la variazione dell'output in relazione a quella dell'input. Ci sono però delle limitazioni con le misure dirette come R&D. Ad esempio, dato che R&D misura solo l'input nell'innovazione, l'output sarà difficilmente correlato in maniera perfetta con l'input. Inoltre R&N non riesce a misurare il lasso di tempo che passa tra lo sviluppo di un nuovo prodotto o servizio e il suo sbarco sul mercato.<ref>{{Cita pubblicazione|cognome=Alexopoulos|nome=Michelle|cognome2=Cohen|nome2=Jon|data=2011|titolo=Volumes of evidence: examining technical change in the last century through a new lens.|rivista=Canadian Journal of Economics|volume=44|numero=2|pp=413-450}}</ref>
Il quarto approccio, elaborato da Michelle Alexopoulos, guarda al numero di nuovi titoli pubblicati nel campo della tecnologia e informatica per misurare il progresso tecnologico, che risulta essere coerente con la spesa per R&D.<ref>{{Cita pubblicazione|cognome=Alexopoulos|nome=Michelle|data=2011|titolo=Read All about It!! What Happens Following a Technology Shock?|rivista=American Economic Review|volume=101|pp=
== Storia ==
===Prima del XVI secolo===
[[File:Vespasianus03 pushkin.jpg|thumb|250px
|L'imperatore romano [[Vespasiano]], “poiché un ingegnere gli promise di trasportare in Campidoglio, con poca spesa, alcune enormi colonne, egli gli offrì una somma considerevole per la sua invenzione, ma rifiutò di utilizzarla, dicendogli di «consentire a lui di nutrire il povero popolo»”.<ref>{{cita libro| nome= Svetonio| titolo= Vite dei cesari|capitolo= Libro VIII, capitolo 18}}</ref>]]
Secondo l'autore Gregory Woirol il fenomeno della disoccupazione tecnologica esiste molto probabilmente dall'invenzione della ruota ([[V millennio a.C.]]).<ref>{{cita|Woirol 1996|p. 17}}.</ref> Le società antiche avevano vari metodi per alleviare la povertà di chi non riusciva a sostenersi col proprio lavoro. [[storia della Cina|Antica Cina]] e [[antico Egitto]] potrebbero aver avuto vari programmi di aiuto “statali” in risposta della disoccupazione tecnologica almeno dal secondo millennio a.C.<ref name="reflief">
{{Cita news|data=3 marzo 1940|titolo= Relief|url= https://www.newspapers.com/newspage/48947293/|giornale= [[The San Bernardino County Sun]]|città= California|accesso=14 luglio 2015}}
</ref> [[regno di Israele|Ebrei]] e [[induismo|induisti]] avevano dei sistemi più decentralizzati data la spinta delle loro fedi ad occuparsi dei poveri.<ref name="reflief"/> Nell'[[antica Grecia]] un gran numero di lavoratori potevano ritrovarsi disoccupati a causa sia delle scoperte tecnologiche che delle concorrenza degli [[Schiavismo|schiavi]] («macchine di carne e sangue»<ref>{{cita|Forbes 1932|p. 2}}.</ref>). A volte questi disoccupati morivano di fame o erano obbligati a diventare loro stessi schiavi, mentre in altri casi erano aiutati dai sussidi. [[Pericle]] rispose alla disoccupazione tecnologica percepita lanciando programmi di lavori pubblici per fornire lavoro ai disoccupati. I conservatori criticarono i programmi di Pericle considerandoli uno spreco di denaro pubblico ma vennero sconfitti.<ref>{{cita|Forbes 1932|pp. 24-30}}.</ref>
Forse il primo studioso a parlare del fenomeno è [[Aristotele]], che nel primo libro della ''[[Politica (Aristotele)|Politica]]'' ipotizza che se le macchine diventeranno sufficientemente avanzate non ci sarà più bisogno dell'apporto umano al lavoro.<ref>
{{Cita pubblicazione|cognome=Campa|nome=Riccardo|data= Feb 2014|titolo=Technological Growth and Unemployment: A Global Scenario Analysis|rivista=[[Journal of Evolution and Technology]]|url=http://jetpress.org/v24/campa2.htm|ISSN = 1541-0099}}
</ref>
Come per i greci, anche i [[antica Roma|romani]] risposero alla disoccupazione tecnologica alleviando la povertà con i sussidi, una misura che poteva toccare anche centinaia di migliaia di famiglie allo stesso tempo.<ref name="reflief"/> Meno spesso vennero creati programmi di opere pubbliche, come fatto ad esempio dai [[Gracchi]]. Vari imperatori arrivarono a rifiutare o vietare innovazioni che riducevano il lavoro.<ref>{{cita|Forbes 1993|capitolo 2}}.</ref><ref>{{cita|Forbes 1932|pp. 49-53}}.</ref> Le carenze di lavoro nell'Impero iniziarono a svilupparsi verso la fine del secondo secolo, e da questo punto la disoccupazione di massa in Europa sembra aver retrocesso per più di un millennio.<ref>{{cita|Forbes 1932| pp. 147-150}}.</ref>
Il [[medioevo]] e il primo [[rinascimento]] videro il frequente uso di tecnologie di recente invenzione e di altre tecnologie che erano state concepite, ma poco usate, nell'età classica.<ref>
{{Cita libro|autore= [[Roberto Sabatino Lopez]]|titolo=The Commercial Revolution of the Middle Ages, 950-1350|url= https://archive.org/details/commercialrevolu0000lope_y4k5|capitolo= Chpt. 2,3|anno= 1976|isbn=0-521-29046-5|editore=Cambridge University Press}}</ref> La disoccupazione di massa riapparve in Europa nel [[XV secolo]], in parte come conseguenza dell'aumento demografico, in parte dei cambiamenti nella disponibilità di terre per l'agricoltura di sussistenza causata dalle ''[[enclosures]]''.<ref name="Schumpeter 1987 loc= Chpt 6">{{cita|Schumpeter 1987|capitolo 6}}.</ref> La minaccia della disoccupazione spinse le autorità europee a schierarsi dalla parte dei [[gilda (storia)|lavoratori]], vietando le nuove tecnologie e a volte condannando a morte chi cercava di promuoverle o venderle. A volte tali esecuzioni erano eseguite con metodi normalmente riservati ai peggiori criminali, come successe ad esempio in [[Francia nell'età moderna|Francia]], dove cinquantotto persone vennero condannate al [[supplizio della ruota]] con l'accusa di aver venduto beni proibiti.<ref>{{cita libro|titolo=The Worldly Philosophers: The Lives, Times And Ideas Of The Great Economic Thinkers|url=https://archive.org/details/worldlyphilosoph00heil_2|nome=Robert L.|cognome=Heilbroner|anno=1999|editore= Touchstone}}
</ref>
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Forse una delle ragioni per cui l'[[Inghilterra]] fu la nazione europea più all'avanguardia nella rivoluzione industriale fu che l'élite dirigente iniziò ad assumere un approccio meno restrittivo nei confronti dell'innovazione in anticipo rispetto al resto del continente.<ref>{{cita|Habakkuk}}. L'autore inoltre aggiunge che a causa della mancanza di lavoro, rispetto ai loro omologhi britannici, i lavoratori statunitensi opposero meno resistenza all'innovazione tecnologica permettendo cambiamenti più rapidi e rendendo così più efficiente il settore manifatturiero americano.</ref> Nonostante ciò la preoccupazione per l'impatto delle nuove tecnologie sul lavoro rimase forte per tutto il [[XVI secolo|XVI]] e [[XVII secolo]]. Un esempio esplicativo è quello dell'inventore [[William Lee]], che invitò la regina Elisabetta I a vedere un nuovo telaio che permetteva di risparmiare lavoro. La regina rifiutò di emettere un brevetto per il timore che quest'invenzione potesse causare disoccupazione nel settore tessile. Lee andò quindi a promuovere la sua invenzione in Francia, anche questa volta senza successo, per poi ritornare in Inghilterra e proporre la sua invenzione a [[Giacomo I d'Inghilterra|Giacomo I]], successore di Elisabetta. La richiesta venne però nuovamente respinta con le stesse motivazioni.<ref name="Martin"/>
Le autorità divennero meno comprensive nei confronti delle preoccupazioni dei lavoratori soprattutto dopo la [[Gloriosa rivoluzione]]. Una componente sempre più influente del pensiero [[mercantilismo|mercantilista]] voleva che l'introduzione di tecnologie che fanno risparmiare lavoro avrebbe ridotto la [[disoccupazione]], dato che le imprese britanniche avrebbero avuto la possibilità di aumentare la loro quota di mercato a danno di quelle straniere. Dall'inizio del [[XVIII secolo]] i lavoratori non poterono più contare sul supporto da parte delle autorità contro la minaccia della disoccupazione tecnologica che percepivano, reagendo di tanto in tanto con qualche protesta (come la distruzione delle macchine). Schumpter fa notare che con l'avanzare del XVIII secolo vari pensatori ([[Johann Heinrich Gottlob von Justi]] è l'esempio più importante), avrebbero sempre più spesso sollevato preoccupazioni nei confronti della disoccupazione tecnologica,<ref>{{cita|Schumpeter 1987|capitolo 4}}.</ref> mentre andò consolidandosi tra le
===XIX secolo===
Fu solo nel [[XIX secolo]] che il dibattito sulla disoccupazione tecnologica si intensificò, soprattutto un
Verso la metà del XIX secolo [[Karl Marx]] si unì al dibattito. Basandosi sul lavoro di Ricardo e Mill, Marx andò ancora più a fondo presentando una visione profondamente pessimista della disoccupazione tecnologica; il suo punto di vista attrasse molti seguaci e fondò una scuola di pensiero, ma l'opinione della maggioranza degli economisti non cambiò più di tanto. Dagli anni settanta del 1800, almeno in Inghilterra, il tema della disoccupazione tecnologica svanì sia in termini di preoccupazione popolare che nel dibattito accademico. Infatti divenne sempre più chiaro che l'innovazione stava aumentando la prosperità per tutti i segmenti della società britannica, inclusa la classe operaia. Mentre la [[economisti classici|scuola classica]] lasciava il posto a quella [[economia neoclassica|neoclassica]] il pensiero pessimista di Mill e Ricardo era sempre meno preso in considerazione.<ref>{{Cita|Woirol|pp. 2, 20–22}}.</ref>
===XX secolo===
[[File:1980s computer worker, Centers for Disease Control.jpg|thumb|I critici della disoccupazione tecnologica sostengono che la tecnologia è usata dal lavoratori e non li sostituisce su larga scala.]]
Per i primi vent'anni del [[XX secolo]] la disoccupazione di massa non fu un problema importante come lo era nella prima metà del [[XIX secolo]]. Mentre la [[marxismo|scuola marxista]] e alcuni altri pensatori misero in dubbio il punto di vista ottimista, la disoccupazione tecnologica non era una preoccupazione per il pensiero economico dominante fino alla seconda metà degli [[anni venti]], quando la questione riemerse in [[Europa]]. Nello stesso periodo gli [[Stati Uniti d'America|Stati Uniti]] erano generalmente più prosperosi, ma anche la disoccupazione urbana iniziò a crescere dal [[1927]], mentre gli agricoltori dovettero fare i conti con la disoccupazione fin dall'inizio degli anni venti; molti rimasero senza lavoro a causa delle nuove tecnologie agricole, come il [[trattore agricolo|trattore]]. Il fulcro del dibattito economico si era ormai spostato dall'[[Inghilterra]] agli Stati Uniti, dove la questione emerse con più forza in due occasioni, negli [[anni trenta]] e [[anni sessanta|sessanta]].<ref>{{cita|Woirol|pp. 2, 8–12}}.</ref>
Secondo lo storico dell'economia Gregory Woirol i due picchi presentano delle similitudini.<ref name="Woirol 1996 loc= pp. 8 - 12">{{cita|Woirol|pp.
Negli anni trenta gli ottimisti basarono le loro argomentazioni nell'idea [[economia neoclassica|neoclassica]] per cui il mercato si sarebbe adattato automaticamente riducendo la disoccupazione grazie agli effetti di compensazione. Negli anni sessanta la fiducia negli effetti di compensazione era meno forte, ma il grosso degli [[economia keynesiana|economisti keynesiani]] del tempo erano convinti che l'intervento del governo avrebbe potuto contrastare la disoccupazione tecnologica permanente che non veniva eliminata dale forze del mercato. Un'altra similitudine fu la pubblicazione di un importante studio federale in cui si evidenziava come la disoccupazione tecnologica non fosse un problema nel lungo termine, aggiungendo però che l'innovazione era un fattore importante nella disoccupazione a breve termine e consigliando al governo di offrire assistenza.<ref group="N">Negli anni trenta lo studio si intitolava ''Unemployment and technological change'' (Report no. G-70, 1940) ad opera di Corrington Calhoun Gill del National Research Project on Reemployment Opportunities and Recent changes in Industrial Techniques. Da notare che alcuni dei primi studi federali, come ''Memorandum on Technological Unemployment'' (1933) del Ewan Clague Bureau of Labor Statistics facevano propria la visione pessimistica della disoccupazione tecnologica. Alcuni studiosi, come Udo Sautter nel capitolo 5 di ''Three Cheers for the Unemployed: Government and Unemployment Before the New Deal'' (Cambridge University Press, 1991), sostengono che all'inizio degli anni trenta c'era un consenso quasi assoluto tra gli esperti statunitensi nel considerare la disoccupazione tecnologica un problema importante, mentre altri come Bruce Bartlett in [
Con l'avvicinarsi del boom economico negli anni settanta la disoccupazione crebbe nuovamente nella maggior parte delle economie avanzate, questa volta rimanendo relativamente alta per il resto del secolo. Vari economisti, il più importante dei quali era forse [[Paul Samuelson]], ancora una volta che ciò era dovuto all'innovazione.<ref>{{Cita pubblicazione|url= https://ideas.repec.org/a/bla/scandj/v91y1989i1p47-62.html|titolo=Ricardo Was Right!|rivista= [[The Scandinavian Journal of Economics]]|volume=91|numero= 1|pp= 47-62|nome= Paul |cognome=Samuelson|data=1989}}</ref> Vennero anche pubblicate varie opere di successo che mettevano in guardia dalla disoccupazione tecnologica. Tra queste si ricorda ''Peoples' Capitalism: The Economics of the Robot Revolution'' (1976) di James Albus,<ref name="peoplescapbook">[[James S. Albus]], [http://www.PeoplesCapitalism.org/book/PeoplesCapitalismBook.pdf Peoples' Capitalism: The Economics of the Robot Revolution] {{Webarchive|url=https://web.archive.org/web/20160304094032/http://www.peoplescapitalism.org/book/PeoplesCapitalismBook.pdf |date=4 marzo 2016 }} (free download)</ref><ref name="peoplescap">[[James S. Albus]], [http://www.PeoplesCapitalism.org People's Capitalism main website]</ref> alcuni lavori di [[David F. Noble]] nel 1984<ref name="Noble1984">{{cita libro|autore= David F. Noble|titolo=Forces of Production: A Social History of Industrial Automation|url= https://archive.org/details/forcesofproducti00noblrich|anno= 1984|editore= Knopf|città= New York|lingua=en|isbn= 978-0-394-51262-4|lccn=83048867|cid= Noble 1984}}</ref> e nel 1993;<ref name="Noble1993">{{cita libro|autore= David F. Noble|titolo=Progress Without People: In Defence of Luddism|anno= 1993|editore= Charles H. Kerr|città= Chicago|lingua=en|isbn= 978-0-88286-218-7|cid= Noble 1993}} Ripubblicato nel 1995 con il titolo {{cita libro|autore=|titolo= ''Progress Without People: New Technology, Unemployment, and the Message of Resistance''|anno= 1995|url= https://archive.org/details/progresswithoutp0000nobl|editore= Between the Lines Press|città= Toronto|isbn= 978-1-896357-01-0}}.</ref> [[Jeremy Rifkin]] e il suo ''[[The End of Work]]'' (1995);<ref name="Rifkin1995">{{cita libro|autore= Jeremy Rifkin|wkautore= Jeremy Rifkin|titolo=The End of Work: The Decline of the Global Labor Force and the Dawn of the Post-Market Era|url= https://archive.org/details/endofwork00jere|anno= 1995|editore= Tarcher–G.P. Putnam's Sons|città= New York|lingua=en|isbn= 978-0-87477-779-6|cid= Rifkin}} Pubblicato anche in italiano da [[Baldini&Castoldi]] (1995) e [[Arnoldo Mondadori Editore|Mondadori]] (2002) con il titolo ''[[La fine del lavoro]]''.</ref> ''[[The Global Trap]]'' (1996).<ref>''[[The Global Trap]]'' ipotizza che una “società 20/80“ possa emergere nel XXI secolo. In questa società il 20% della popolazione in età da lavoro sarà sufficiente a mantenere in vita l'economia mondiale. Gli autori descrivono come ad una conferenza tenutasi a San Francisco nel 1995 a cui parteciparono 500 importanti politici e imprenditori invitati da [[Mikhail Gorbachev]] sorse la questione della “società dell'1/5”. Gli autori descrivono un aumento della produttività causato dalla diminuzione della quantità di lavoro al punto che questo possa essere svolto da solamente in quinto della popolazione mondiale in età da lavoro, lasciando i restanti quattro quindi disoccupati.</ref>
Per gran parte del XX secolo, al di fuori dei due picchi degli anni trenta e sessanta, il consenso tra gli economisti fu che l'innovazione non causasse la disoccupazione tecnologica a lungo termine,<ref>{{cita|Woirol|p. 3}}.</ref> sebbene verso la fine aumentarono le preoccupazione per la disoccupazione tecnologica soprattutto in Europa.<ref>{{cita|Woirol|pp.
===XXI secolo===
[[File:World economic forum logo.png|alt=Il logo del Forum economico mondiale. A Davos nel 2014 si è parlato molto di disoccupazione tecnologica|miniatura|Il logo del Forum economico mondiale. A Davos nel 2014 si è parlato molto di disoccupazione tecnologica]]
Nella prima decade del [[XXI secolo]] l'idea che l'innovazione non causasse [[disoccupazione]] a lungo termine trovava ancora forte consenso, anche se era messa in discussione da vari studi accademici<ref name="Vivarelli2012" /><ref name="Vivarelli2007" /> e opere popolari come ''Robotic Nation''<ref name="Brain2003">{{cita libro|autore= Marshall Brain|titolo=Robotic Nation|anno= 2003|editore= Marshall Brain|città= Raleigh|lingua=en|url = http://marshallbrain.com/robotic-nation.htm|cid= Brain}}.</ref> di Marshall Brain e ''The Lights in the Tunnel: Automation, Accelerating Technology and the Economy of the Future''<ref name="Ford2009">{{cita|Ford, 2009}}.</ref> di Martin Ford.
Tuttavia le preoccupazioni tornarono a crescere dal [[2013]], in parte a causa della pubblicazione di vari studi che prevedevano un significativo aumento della disoccupazione tecnologica nei decenni a venire e prove empiriche che in alcuni settori l'occupazione stava scendendo globalmente nonostante un aumento dell'output, non considerando quindi [[globalizzazione]] e [[delocalizzazione (economia)|delocalizzazioni]] come le uniche cause della crescente disoccupazione.<ref name = "replicants">{{Cita news|url=
Sempre nel 2013 il professor Nick Bloom della [[Stanford University]] ha dichiarato che c'è stato un recente cambio di opinione riguardo alla disoccupazione tecnologica tra i suoi colleghi economisti.<ref>{{Cita news|url= https://www.economist.com/news/special-report/21599525-job-destruction-robots-could-outweigh-creation-mighty-contest|titolo= A mighty contest: Job destruction by robots could outweigh creation|pubblicazione= [[The Economist]]|autore= Special Report|data= 29 marzo 2013|accesso=14 luglio 2015}}</ref> Nel [[2014]] il ''[[Financial Times]]'' ha riferito che l'impatto dell'innovazione sull'occupazione è stato un tema dominante nelle discussioni economiche recenti.<ref name="control">{{Cita video|url= https://video.ft.com/3656737291001/Robots-are-still-in-our-control/Markets|titolo= Robots are still in our control|editore= [[The Financial Times]]|autore= Cardiff Garcia, [[Erik Brynjolfsson]] and [[Mariana Mazzucato]]|data= 3 luglio 2014|accesso=14 luglio 2015}}</ref> Secondo quanto scritto dal professore ed ex politico Michael Ignatieff nel 2014 le domande riguardanti gli effetti del cambiamento tecnologico hanno «ossessionato ovunque le politiche democratiche».<ref>{{Cita news|url= https://www.ft.com/cms/s/1c4cb838-8cfd-11e3-ad57-00144feab7de.html|titolo= We need a new Bismarck to tame the machines|pubblicazione= [[Financial Times]]|autore= [[Michael Ignatieff]]|data= 10 febbraio 2014|accesso=14 luglio 2015}}</ref> Le preoccupazioni riguardano anche prove che mostrano un calo dell'[[Occupazione (lavoro)|occupazione]] a livello globale in vari settori, come ad esempio il [[Attività manifatturiera|manifatturiero]]: il calo degli stipendi dei lavoratori con qualifiche medio-basse è iniziato nei decenni precedenti e continua ad intensificarsi, l'aumento del lavoro [[precariato|precario]] ed episodi in cui l'uscita da una [[recessione]] non ha portato ad un aumento dell'occupazione.
Il XXI secolo ha visto una gamma di lavori qualificati essere sostituiti dalle macchine, come la traduzione, ricerca legale e anche giornalismo di basso livello. Lavori di assistenza, intrattenimento ed altri compiti che richiedono empatia, in precedenza ritenuti non automatizzatili, hanno iniziato ad essere toccati dall'automazione.<ref name="replicants" /><ref name="Martin" /><ref>{{Cita news|titolo= Rise of the robots: what will the future of work look like?|accesso=14 luglio 2015|url=https://www.theguardian.com/business/2013/feb/19/rise-of-robots-future-of-work|editore= The Guardian|autore= [[Robert Skidelsky, Baron Skidelsky|Lord Skidelsky]]|data=19 febbraio 2013|città=London}}</ref><ref>{{Cita web|url= https://www.opendemocracy.net/can-europe-make-it/francesca-bria/robot-economy-full-automation-work-future|titolo= The robot economy may already have arrived|editore= [[openDemocracy]]|autore= Francesca Bria|data= febbraio 2016|accesso= 20 maggio 2016|dataarchivio= 17 maggio 2016|urlarchivio= https://web.archive.org/web/20160517215840/https://www.opendemocracy.net/can-europe-make-it/francesca-bria/robot-economy-full-automation-work-future|urlmorto= sì}}</ref><ref>{{Cita web|url= http://wire.novaramedia.com/2015/03/4-reasons-why-technological-unemployment-might-really-be-different-this-time/|titolo= 4 Reasons Why Technological Unemployment Might Really Be Different This Time|editore= novara wire|autore= [[Nick Srnicek]]|data= marzo 2016|accesso= 20 maggio 2016|urlarchivio= https://web.archive.org/web/20160625161447/http://wire.novaramedia.com/2015/03/4-reasons-why-technological-unemployment-might-really-be-different-this-time/|urlmorto= sì}}</ref><ref>{{Cita libro|autore= [[Andrew McAfee]] and [[Erik Brynjolfsson]]|titolo=The Second Machine Age: Work, Progress, and Prosperity in a Time of Brilliant Technologies|url= https://archive.org/details/secondmachineage0000bryn|capitolo= ''passim'', see esp Chpt. 9|anno= 2014|isbn=0-393-23935-7|editore=W. W. Norton & Company}}</ref>
[[Lawrence Summers]], ex segretario del tesoro degli Stati Uniti e professore di Economia ad Harvard, ha dichiarato nel 2014 che non credeva più che l'automazione avrebbe creato nuovi posti di lavoro e che «Questo non è un ipotetico futuro. È qualcosa che sta emergendo davanti ai nostri occhi in questo momento»"<ref group="N">In altre recenti dichiarazioni Summers parla di «conseguenze devastanti» per chi esegue lavori ripetitivi a causa dei robot, [[stampa 3D]], [[intelligenza artificiale]] e tecnologie simili. Secondo Summers «ci sono già più americani che pagano un'assicurazione di inabilità (un'assicurazione che consente al beneficiario di ottenere un sussidio nel caso in cui una [[disabilità]] gli impedisca di continuare a fare il suo lavoro) di quante facciano lavori produzione nel [[Attività manifatturiera|manifatturiero]]. E il trend va nella direzione sbagliata, in particolare per i lavoratori meno qualificati, dato che il capitale di capacità rappresentato dall'intelligenza artificiale per sostituire sia i [[Colletto bianco|colletti bianchi]] che le [[Operaio|tute blu]] crescerà rapidamente negli anni a venire». Summers ha anche dichiarato che «Ci sono molte ragioni per pensare che la rivoluzione dei [[software]] sarà anche più profonda di
Al [[Forum economico mondiale]] di [[Davos]] del 2014 [[Thomas Friedman]] ha fatto notare che il legame tra tecnologia e disoccupazione sembra essere stato il tema principale delle discussioni. Un sondaggio fatto a Davos nel 2014 ha trovato che l'80% dei 147 che hanno risposto era d'accordo nel dire che la tecnologia stava guidando un aumento della disoccupazione.<ref>{{Cita web|url=https://www.weforum.org/node/138333|titolo=Forum Debate: Rethinking Technology and Employment|sito= [[World Economic Forum]]|lingua=en|data=25 gennaio 2014|urlarchivio= https://web.archive.org/web/20150715000727/http://www.weforum.org/node/138333|urlmorto=sì}}</ref> L'anno successivo [[Gillian Tett]] del ''[[Financial Times]]'' ha riscontrato che quasi tutti i partecipanti alle discussioni su [[disuguaglianza economica|disuguaglianze]] e tecnologia si aspettavano un aumento delle disuguaglianze nei prossimi cinque anni causato dalla perdita di posti di lavoro.<ref>{{Cita video|url= https://video.ft.com/4002224464001/Inequality-fears-focus-on-tech/world|titolo= technology would continue to displace jobs over the next five years.|editore= [[The Financial Times]]|autore= [[Gillian Tett]]|data= 21 gennaio 2015|accesso=14 luglio 2015}}</ref> Sempre nel 2015 l'autore Martin Ford ha vinto il Financial Times and McKinsey Business Book of the Year Award con il suo ''Rise of the Robots: Technology and the Threat of a Jobless Future'' e a [[New York]] ci fu il primo forum mondiale sulla disoccupazione tecnologica. Più tardi lo stesso anno [[Andy Haldane]], capo economista della [[Bank of England]], e [[Ignazio Visco]], governatore della [[Banca d'Italia]], lanciarono ulteriori avvertimenti sul peggioramento della disoccupazione tecnologica.<ref name = "Haldane2015">{{Cita web|url= http://www.bankofengland.co.uk/publications/Pages/speeches/2015/864.aspx|titolo= Labour’s Share|editore= [[Bank of England]]|autore= [[Andy Haldane]]|data= novembre 2015|accesso= 20 maggio 2016|urlarchivio= https://web.archive.org/web/20160428081402/http://www.bankofengland.co.uk/publications/Pages/speeches/2015/864.aspx|urlmorto= sì}}</ref><ref name = "Visco2015">
{{Cita web|url= http://www.bis.org/review/r151112a.htm|titolo= For the times they are a-changin'...|editore= [[Banca d'Italia|Bank of Italy]]|autore= [[Ignazio Visco]]|data= novembre 2015|accesso=20 maggio 2016}}
</ref>
Altri economisti invece rimangono ottimisti. Nel 2014 il [[Pew Research Center]] ha fatto un sondaggio tra 1896 professionisti del settore economico e tecnologico trovando una spaccatura netta: il 48% credeva che le nuove tecnologie avrebbero rimosso più lavori di quanti ne avrebbero creati entro il 2025, mentre gli altri erano convinti dell'opposto.<ref>{{Cita web|cognome1=Smith|nome1=Aaron|cognome2=Anderson|nome2=Janna|titolo=AI, Robotics, and the Future of Jobs|url=http://www.pewinternet.org/2014/08/06/future-of-jobs/|sito=Pew Research Center|accesso=14 agosto 2014|data=6 agosto 2014}}</ref>
Non tutti i recenti studi empirici hanno trovato prove a sostegno del punto di vista pessimista. Uno studio del 2015, prendendo in esame l'impatto dei [[robot industriale|robot industriali]] in 17 paesi tra il [[1993]] e il [[2007]], non ha trovato una generale perdita di posti di lavoro causata dai robot, mentre ci fu un leggero aumento degli stipendi.<ref name="GGG">{{Cita web|url= http://www.cepr.org/active/publications/discussion_papers/dp.php?dpno=10477|titolo= Robots at Work|editore= [[Centre for Economic Policy Research]]|autore1=Georg Graetz |autore2=Guy Michaels |data= marzo 2015|accesso=14 luglio 2015}}
</ref> Il professore di economia Bruce Chapman dell'[[Università Nazionale Australiana]] ha fatto notare che studi come quello di Frey e Osbourne tendono ad esagerare la probabilità di future perdite di lavoro, dato che non tengono conto dei nuovi lavori che molto probabilmente verranno a crearsi in quelli che ad oggi sono settori ancora sconosciuti.<ref>{{Cita web|url= http://www.afr.com/p/national/work_space/employment_fears_in_the_face_of_Ad3O4o9hoKfh6dZi1M7s9N|titolo= Employment fears in the face of increasing automation|sito= [[The Australian Financial Review]]|autore= Jacob Greber|data= 1º febbraio 2015|accesso= 14 luglio 2015|dataarchivio= 4 gennaio 2015|urlarchivio= https://web.archive.org/web/20150104173911/http://www.afr.com/p/national/work_space/employment_fears_in_the_face_of_Ad3O4o9hoKfh6dZi1M7s9N|urlmorto= sì}}</ref>
Una ricerca della [[Oxford Martin School]] ha mostrato che i dipendenti che fanno «lavori in cui si seguono procedure ben definite che possono facilmente essere eseguiti da sofisticati algoritmi» sono a rischio disoccupazione. Lo studio, pubblicato nel 2013, mostra che l'automazione può interessare sia lavoratori qualificati che non, a qualsiasi livello di salario, con i lavori pagati meno a correre un rischio maggiore.<ref name="Martin"/> Secondo uno studio pubblicato da McKinsey Quarterly,<ref name=MKQ1115>{{Cita web|autore1=Michael Chui, James Manyika, and Mehdi Miremadi|titolo=Four fundamentals of workplace automation As the automation of physical and knowledge work advances, many jobs will be redefined rather than eliminated—at least in the short term.|url=http://www.mckinsey.com//Insights/Business_Technology/Four_fundamentals_of_workplace_automation|editore=[[McKinsey Quarterly]]|accesso=7 novembre 2015|data=
==Soluzioni==
===Vietare/rifiutare l'innovazione===
[[File:Gandhi spinning.jpg|thumb|«Ciò che contesto è la mania delle macchine, non le macchine in se stesse. La mania per le cosiddette ‘macchine risparmia-fatica’. Gli uomini continueranno a ‘risparmiare fatica’, finché migliaia di loro non resteranno senza lavoro e non si abbandoneranno sulle pubbliche strade a morire di fame» — [[Gandhi]], 1924.<ref>
{{cita news|autore=Gandhi|titolo=|pubblicazione=Young India|data=13
In passato le innovazioni furono talvolta vietate a causa della preoccupazione per il loro impatto sull'[[Occupazione (lavoro)|occupazione]]. Dallo sviluppo della moderna economia, però, questa opzione in genere non è mai stata considerata una soluzione, almeno non per le economie avanzate. Anche gli opinionisti pessimisti riguardo alla disoccupazione a lungo termine considerano l'innovazione come positiva per la società nel suo insieme; [[John Stuart Mill]] è forse l'unico importante economista ad aver suggerito la proibizione dell'uso delle nuove tecnologie come una possibile soluzione alla disoccupazione.<ref name="Blaug 1997 loc= p182"/>
Gli [[economia gandhiana|economisti gandhiani]] chiedevano di rimandare l'adozione delle tecnologie che permettevano di ridurre il lavoro fino a che la [[disoccupazione]] non fosse diminuita, un punto di vista rigettato da [[Nehru]], che sarebbe diventato primo ministro dell'[[India]] dopo l'indipendenza. Politiche volte a rallentare l'introduzione dell'innovazione per evitare la disoccupazione tecnologica vennero tuttavia implementate da [[Mao Zedong]] in Cina.<ref>
{{Cita libro|autore= B. N. Ghosh|titolo=Gandhian political economy: principles, practice and policy|url= https://archive.org/details/gandhianpolitica0000ghos|pp= [https://archive.org/details/gandhianpolitica0000ghos/page/14 14], 15|anno= 2007|isbn=0-7546-4681-5|editore= Ashgate}}</ref><ref>
{{Cita libro|autore= Vijay Sanghvi|titolo=Congress Resurgence Under Sonia Gandhi|pp= 33-35|anno= 2006|isbn=81-7835-340-7|editore= Kalpaz}}</ref><ref>
{{Cita libro|autore= Ram K. Vepa|titolo= Mao's China: A Nation in Transition|pp= 180-183|anno= 2003|isbn=81-7017-111-3|editore= Abhinav Publications}}</ref>
===Sussidi===
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===Reddito di base===
{{
Molti opinionisti hanno sostenuto che le tradizionali forme di sussidio possono essere inadeguate come risposta alle future sfide poste dalla disoccupazione tecnologica, sostenendo quindi il reddito di base come un'alternativa. Tra questi ci sono Martin Ford,<ref>{{cita|Ford, 2009|loc = ''passim'', see esp. pp. 158–168}}</ref> [[Erik Brynjolfsson]],<ref name="control"/> [[Robert Reich]] e [[Guy Standing]]. Reich in particolare si è spinto a dire che l'introduzione di un reddito di base, forse implementato con l'[[imposta negativa]], è «quasi inevitabile»,<ref>{{Cita web|url= https://www.dailykos.com/story/2014/03/26/1287365/-Robert-Reich-Universal-Basic-Income-In-The-US-Almost-Inevitable|titolo= Robert Reich: Universal Basic Income In The US 'Almost Inevitable'|sito= Daily Kos|autore= GleninCA|data= 26 marzo 2014|accesso= 14 luglio 2015}}</ref> mentre Standing sostiene il reddito di base sia «politicamente essenziale».<ref name="paypressure">{{Cita web|url= https://www.ft.com/cms/s/2/ec422956-3f22-11e4-a861-00144feabdc0.html|titolo= Pay pressure|editore= [[The Financial Times]]|autore=Chris Giles Sept, Sarah O’Connor, Claire Jones and Ben McLannahan|data=18 settembre 2014|accesso=14 luglio 2015}}</ref> Dalla seconda metà del [[2015]] progetti pilota di reddito di base sono stati annunciati in [[Finlandia]], [[Paesi Bassi]] e [[Canada]]. Ancora più di recente vari imprenditori hanno espresso il loro sostegno a favore di queste politiche, il più importante è forse Sam Altman, presidente di Y Combinator.<ref>{{Cita news|titolo= Tech billionaires got rich off us. Now they want to feed us the crumbs|accesso=14 luglio 2015|url=https://www.theguardian.com/business/2010/sep/28/world-in-international-currency-war-warns-brazil|editore= The Guardian|autore= Ben Tarnoff|data=16 maggio 2016|città=London}}</ref>
Tra gli scettici del reddito di base troviamo esponenti sia della destra che della sinistra, e lo spettro politico nel suo insieme ha avanzato proposte diverse. Ad esempio, sebbene la forma più celebre di reddito minimo (con [[Imposta|tassazione]] e distribuzione) sia considerata un'idea di sinistra che la destra contesta, alcune forme sono state promosse anche da [[libertarianismo|libertariani]] come [[Milton Friedman]] e [[Friedrich von Hayek]]. Il Family Assistance Plan del [[partito Repubblicano (Stati Uniti d'America)|repubblicano]] [[Richard Nixon]], che aveva molto in comune con un reddito di base, nel [[1969]] venne approvato dalla [[Camera dei rappresentanti
Un'obiezione al reddito di base è che possa essere un [[incentivo|disincentivo]] a lavorare, ma i progetti pilota in [[India]], [[Africa]] e [[Canada]] indicano che ciò non accade e che un reddito di base incoraggia l'imprenditoria di basso livello e lavoro più produttivo e collaborativo.
Un'altra obiezione è che finanziarlo in maniera sostenibile sia molto difficile. Sebbene ci siano delle proposte per aumentare il gettito fiscale, come ad esempio la ''wage recapture tax'' di Martin Ford, la questione rimane aperta, e gli scettici considerano la sfida [[Utopia|utopistica]]. Anche da parte progressista ci sono delle perplessità, ad esempio sul fatto che la soglia minima possa essere troppo bassa e non aiutare abbastanza gli economicamente vulnerabili, specialmente se il reddito minimo viene finanziato dai tagli ad altre forme di welfare.<ref name="paypressure" /><ref>{{
</ref>
Per affrontare meglio le preoccupazioni sul finanziamento e sul controllo del governo un modello alternativo è che i costi e il controllo siano distribuiti sul settore privato invece che su quello pubblico. Le compagnie sarebbero obbligate ad assumere persone, ma il mansionario sarebbe lasciato all'innovazione privata, e gli individui avrebbero dovuto competere per essere assunti e mantenere il loro posto di lavoro. Si tratterebbe di una forma di reddito minimo per le imprese, ovvero una forma di reddito di base basata sul mercato. Si differenzia dal lavoro garantito nel fatto che il datore di lavoro non è il governo, ma le imprese, e che non c'è la possibilità di avere dipendenti che non possono essere licenziati, un problema che interferisce con il dinamismo economico. L'obiettivo di questo sistema non è che ad ogni persona sia garantito un lavoro, ma piuttosto che esistano abbastanza lavori da evitare una disoccupazione di massa e quindi che il lavoro non sia un privilegio del 20% più qualificato della popolazione.
Un'altra proposta per una reddito minimo basato sul mercato è stata avanzata dal Center for Economic and Social Justice (CESJ), un'organizzazione [[no-profit]], come parte di una «giusta [[terza via]]» attraverso la distribuzione di potere e libertà. Chiamato ''Capital Homestead Act'',<ref name="Capital_Homestead_Act">{{Cita pubblicazione |autore1=Center for Economic
===Istruzione===
[[File:Student Laboratory Microprocessor FME CTU.jpg|miniatura|Laboratorio degli studenti dell'Università di Praga.]]
Una migliore accessibilità all'istruzione di qualità, compresa quella per adulti, è una soluzione è vista di buon occhio da tutto lo spettro politico, anche dagli ottimisti e dal mondo dell'industria. Ci sono però voci critiche. Alcuni accademici sostengono che questa soluzione potrebbe non essere sufficiente a risolvere il problema della disoccupazione tecnologica, facendo notare il recente calo nella domanda per molte competenze di livello intermedio, e che non tutti sono in grado di diventare esperti nei settori più avanzati.<ref name = "relative"/><ref name = "polarization"/><ref name="Reversal"/> Kim Taipale ha dichiarato che «L'era della distribuzione sulla curva di Bell che ha supportato una prominente classe media è finita […] L'educazione di per
{{Cita web|url= http://www.aspeninstitute.org/policy-work/communications-society/power-curve-society-future-innovation-opportunity-social-equity|titolo= POWER-CURVE SOCIETY: The Future of Innovation, Opportunity and Social Equity in the Emerging Networked Economy|editore= [[The Aspen Institute]]|autore= [[David Bollier]]|data= gennaio 2013|accesso=14 luglio 2015}}
</ref> mentre nel [[2011]] [[Paul Krugman]] che una migliore educazione non sarebbe stata una soluzione sufficiente per contrastare la disoccupazione tecnologica.<ref name = "Degrees">
{{Cita news|url= https://www.nytimes.com/2011/03/07/opinion/07krugman.html
</ref>
===Lavori pubblici===
Programmi di [[lavori pubblici]] in passato sono stati usati da parte del governo come mezzo per aumentare l'occupazione. [[Jean-Baptiste Say]], generalmente associato all'economia di [[libero mercato]], indicò i lavori pubblici come una possibile soluzione alla disoccupazione tecnologica; lo stesso dicasi per [[Lawrence Summers]].<ref name = "Inclusive">
{{Cita web|url= https://cdn.americanprogress.org/wp-content/uploads/2015/01/IPC-PDF-full.pdf|titolo= Report of the Commission on Inclusive Prosperity|editore= [[Center for American Progress]]|autore= [[Ed Balls]]|autore2=[[Lawrence Summers]] (co-chairs)|data= Jan 2015|accesso=14 luglio 2015}}
</ref> Alcuni opinionisti, come il professor Marthew Forstater, sostengono che lavori pubblici e lavoro garantito nel settore privato potrebbero essere la soluzione ideale alla disoccupazione tecnologica, dato che welfare e reddito minimo difficilmente forniscono alle persone l'apprezzamento e l'inclusione che invece permette il lavoro.<ref name = "unemployment history">
{{Cita web|url= http://cas.umkc.edu/econ/economics/faculty/Forstater/papers/CEFPS/Working%20Papers/WP16-Forstater.pdf|titolo= Unemployment in Capitalist Economies - A History of Thought for Thinking About Policy|editore= Center for Full Employment and Price Stability, [[University of Missouri–Kansas City]]|autore= Mathew Forstater|data= agosto 2001|accesso=14 luglio 2015}}
</ref><ref name="better world">{{Cita pubblicazione|cognome = Forstater|nome = Mathew|titolo = Working for a better world Cataloging arguments for the right to employment|rivista = [[Philosophy & Social Criticism]]|anno = 2015|volume = 41|numero = 1|url = http://psc.sagepub.com/content/41/1/61.abstract|doi = 10.1177/0191453714553500|accesso = 14 luglio 2015|urlmorto = sì|urlarchivio = https://web.archive.org/web/20160218024334/http://psc.sagepub.com/content/41/1/61.abstract}}</ref> Inoltre per le economie meno sviluppate i lavori pubblici potrebbero essere una soluzione più facilmente percorribile rispetto a programmi di welfare.<ref name = "Advance"/>
=== Orario di lavoro ridotto ===
Nel [[1870]] un lavoratore americano lavorava in media 75 ore alla settimana; appena prima della [[seconda guerra mondiale]] erano scese a 42. Altri paesi sono passati attraverso un processo simile. Secondo [[Wassily Leontief]] questo fu un aumento volontario della disoccupazione tecnologica. La riduzione nelle ore di lavoro aiutò a condividere il lavoro disponibile, e venne vista con favore dai lavoratori che erano felici di ottenere più tempo libero, dato che l'innovazione a quel tempo in generale permetteva un aumento dei salati.<ref name = "Advance">
{{Cita pubblicazione|autore=[[Wassily Leontief]]|data= settembre 1983|titolo=Technological Advance, Economic Growth, and the Distribution of Income|rivista=[[Population and Development Review]]|jstor=1973315|doi= 10.2307/1973315|volume= 9 |numero= 3|pp= 403-410}}
</ref>
Ulteriori riduzioni nelle ore di lavoro sono state proposte come misura di contrasto alla disoccupazione da economisti come [[John R. Commons]], [[Lord Keynes]] e [[Luigi Pasinetti]], ma in generale nel [[XX secolo]] gli economisti sono stati contrari ad ulteriori riduzioni dell'orario di lavoro dicendo che rifletteva la fallacia della quantità fissa di lavoro (''lump labour fallacy'').<ref>{{Cita pubblicazione|cognome=Walker|nome=Tom|titolo=Why economists dislike a lump of labor|rivista=Review of Social Economy|anno=2007|volume=65|numero=3|url=http://econpapers.repec.org/article/tafrsocec/v_3a65_3ay_3a2007_3ai_3a3_3ap_3a279-291.htm|accesso=14 luglio 2015}}</ref>
Nel 2014 il co-fondatore di [[Google]] [[Larry Page]] ha suggerito di ridurre la settimana lavorativa a quattro giorni per permettere a più persone di trovare lavoro dato che la tecnologia aumenterà la disoccupazione.<ref name=NYT-2014-12-15/><ref>
{{Cita video|autore = Khosla Ventures|titolo = Fireside chat with Google co-founders, Larry Page and Sergey Brin with Vinod Khosla|url = https://www.youtube.com/watch?v=Wdnp_7atZ0M|accesso=19 giugno 2017|data=3 luglio 2014|editore =|lingua = en|ora = 00|minuto = 13|secondo = 00|urlarchivio =|dataarchivio =|cid =|postscript =}}</ref><ref>[https://www.ft.com/intl/cms/s/2/3173f19e-5fbc-11e4-8c27-00144feabdc0.html#axzz3HwhuzzJU FT interview with Google co-founder and CEO Larry Page] (2014-10-31), ''[[The Financial Times]]''</ref>
===Allargare la proprietà dei beni tecnologici===
Alcune delle
{{Cita libro|autore= [[Jaron Lanier]]|titolo=[[Who Owns the Future?]]|p= ''passim'', see esp p.20|anno= 2013|isbn=1-84614-522-8|editore= Allen Lane}}</ref>
===Cambiamenti strutturali verso un'economia della post-scarsità===
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===Altre soluzioni===
La minaccia della disoccupazione tecnologica è stata occasionalmente usate sia dagli economisti del [[libero mercato]] come giustificazione per riforme dal lato dell'offerta per rendere più facile il [[licenziamento]] e l'assunzione dei lavoratori, sia da altri economisti per aumentare la protezione dei lavoratori.<ref name="Effective Demand">{{Cita web|url= http://www.cfeps.org/pubs/sp/sp10.html|titolo= Technical Change, Effective Demand, and Employment|editore= Center for Full Employment And Price Stability|autore1= Sergio Cesaratto|autore2= Antonella Stirati|autore3= Franklin Serrano|data= Oct 2001|accesso= 14 luglio 2015|urlarchivio= https://web.archive.org/web/20150923202039/http://www.cfeps.org/pubs/sp/sp10.html|urlmorto= sì}}</ref><ref name = The-Economist-2013-11-05>[https://www.economist.com/blogs/freeexchange/2013/11/labours-declining-share Labour's Declining Share - A Spectre to Worry About?], ''[[The Economist]]'', 2013.11.05</ref>
Economisti come [[Larry Summers]] hanno proposto un pacchetto di misure che potrebbero essere necessarie, come un vigoroso sforzo di collaborazione tra [[paradiso fiscale|paradisi fiscali]], [[segreto bancario|segretezza bancaria]], [[riciclaggio]] e [[arbitraggio]] regolatorio che permettono di accumulare grandi ricchezze evitando di pagare le tasse, e di rendere più difficile l'accumulo di grandi fortune senza richiedere un «grande contributo sociale» in cambio. Summers suggerisce di applicare in maniera più decisa le norme anti [[monopolio]], riduzione della [[proprietà intellettuale]] eccessiva, un miglior incoraggiamento ad adottare schemi di condivisione del profitto che potrebbe beneficiare i lavoratori e dare loro un pacchetto azionario come forma di accumulazione della ricchezza; rinforzo di accordi di scambio collettivi, miglioramento del governo aziendale, rafforzamento delle norme finanziare per eliminare i sussidi alle attività finanziarie, allentamento delle restrizioni per l'utilizzo dei terreni che possono causarne un aumento del valore, miglioramento dell'educazione dei giovani e ritorno all'educazione per i disoccupati, più investimenti pubblici e privati nello sviluppo delle infrastrutture come produzione di [[produzione di energia elettrica|energia]] e trasporti.<ref name="summers"/><ref name=NYT-2014-12-15/><ref name="inequalityPuzzle"/><ref>{{Cita web|url=https://motherboard.vice.com/read/dont-fear-the-robots-taking-your-job-blame-the-monopolies-behind-them|titolo=Don't Fear the Robots Taking Your Job, Fear the Monopolies Behind Them|autore=Victoria Turk|data=19 giugno 2014|editore=Vice.com}}</ref>
[[Michael Spence]] avverte che rispondere al futuro impatto della tecnologia richiederà una comprensione dettagliata della forze e movimenti globali che la tecnologia ha messo in moto. Adattarsi ad essi «richiederà cambi di mentalità, politiche, investimenti (specialmente in capitale umano) e probabilmente modelli di impiego e distribuzione».<ref>Michael Spence, [https://www.project-syndicate.org/commentary/michael-spence-describes-an-era-in-which-developing-countries-can-no-longer-rely-on-vast-numbers-of-cheap-workers Labor’s Digital Displacement] (2014-05-22), ''[[Project Syndicate]]''</ref>
Dalla pubblicazione del libro ''[[Race Against The Machine]]'' i suoi autori, i professori Andrew McAfee ed Erik Brynjolfsson dell'[[Massachusetts Institute of Technology|MIT]], sono diventati voci importanti nel dibattito sulla disoccupazione tecnologica. I due rimangono relativamente ottimisti, iniziando col dire che «la chiave per vincere la gara non è di competere “contro” le macchine ma “con” le macchine».<ref name=NYTimesReview>Steve Lohr, ''[https://www.nytimes.com/2011/10/24/technology/economists-see-more-jobs-for-machines-not-people.html More Jobs Predicted for Machines, Not People],'' book review in ''[[The New York Times]]'', 2011.10.23</ref><ref name=TechCrunch>[[Andrew Keen]], ''[http://techcrunch.com/2011/11/15/keen-on-how-the-internet-is-making-us-both-richer-and-more-unequal-tctv/ Keen On How The Internet Is Making Us Both Richer and More Unequal (TCTV)],'' interview with [[Andrew McAfee]] and [[Erik Brynjolfsson]], [[TechCrunch]], 2011.11.15</ref><ref name=BusinessInsider>JILL KRASNY, ''[http://www.businessinsider.com/mit-professors-the-99-should-shake-their-fists-at-the-tech-boom-2011-11
==Note==
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==Bibliografia==
* {{cita libro|autore= John Douglas Forbes|titolo= Some evidences of technological unemployment in ancient Athens and Rome|anno= 1932|editore= Stanford University Press|città=|lingua=en|oclc=654841233|cid= Forbes 1932}}
* {{cita libro|autore= Sir John Habakkuk|titolo= American and British Technology in the Nineteenth Century: The Search for Labour Saving Inventions|anno= 1967|editore= Cambridge University Press|città=|lingua=en|isbn=978-0-521-09447-4|cid= Habakkuk}}
* {{cita libro|autore= Joseph Schumpeter|wkautore= Joseph Schumpeter|titolo= History of Economic Analysis (new edititon)|anno= 1987|editore= Routledge|città=|lingua=en|isbn=0-415-10888-8|cid= Schumpeter 1987}}
* {{cita libro|autore= Robert Jacobus Forbes|titolo= Studies in Ancient Technology|url= https://archive.org/details/studiesinancient0001unse|volume= 2|anno= 1993|editore= Brill|città=|lingua=en|isbn=90-04-00622-2|cid= Forbes 1993}}
* {{cita libro|autore= Jeremy Rifkin|wkautore= Jeremy Rifkin|titolo=The End of Work: The Decline of the Global Labor Force and the Dawn of the Post-Market Era|url= https://archive.org/details/endofwork00jere|anno= 1995|editore= Tarcher–G.P. Putnam's Sons|città= New York|lingua=en|isbn= 978-0-87477-779-6|cid= Rifkin}} Pubblicato anche in italiano da [[Baldini&Castoldi]] (1995) e [[Arnoldo Mondadori Editore|Mondadori]] (2002) con il titolo ''[[La fine del lavoro]]''.
* {{cita libro|autore= Gregory R. Woirol|titolo=The Technological Unemployment and Structural Unemployment Debates|anno= 1996|editore= Praeger|città=|lingua=en|isbn= 0-313-29892-0|cid= Woirol}}
* {{cita libro|autore= Mark Blaug|wkautore= Mark Blaug|titolo=Economic Theory in Retrospects|anno= 1997|editore= Cambridge University Press|città=|lingua=en|isbn= 0-521-57701-2|cid= Blaug}}
* {{cita libro|autore= Marshall Brain|titolo=Robotic Nation|anno= 2003|editore= Marshall Brain|città= Raleigh|lingua=en|url = http://marshallbrain.com/robotic-nation.htm|cid= Brain}}
* {{cita libro|autore= Martin R. Ford|titolo=The Lights in the Tunnel: Automation, Accelerating Technology and the Economy of the Future|anno= 2009|editore= Acculant Publishing|città=|lingua=en|url =http://www.thelightsinthetunnel.com/|isbn= 978-1-4486-5981-4|cid= Ford, 2009}}
==Voci correlate==
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* [[New economy]]
{{Controllo di autorità}}
{{portale|economia}}
[[Categoria:Disoccupazione]]
[[
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