Il nome della rosa: differenze tra le versioni
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{{Libro
|tipo = giallo
|titolo = Il nome della rosa
|titoloalfa = Nome della rosa, Il
|annoorig = 1980
|genere = [[Romanzo]]
|sottogenere = [[
|lingua = it
|ambientazione = [[Nord Italia]], monastero medievale,
|protagonista = [[Guglielmo da Baskerville]]
|coprotagonista = [[Adso da Melk]]
|altri_personaggi = la ragazza, Jorge da Burgos, Abbone da Fossanova, [[Ubertino da Casale]], [[Bernardo Gui]], Malachia da Hildesheim, Salvatore, Remigio da Varagine, Severino da Sant'Emmerano, Bencio da Uppsala, Berengario da Arundel, Venanzio da Salvemec, Alinardo da Grottaferrata
}}
'''''Il nome della rosa''''' è il romanzo d'esordio di [[Umberto Eco]], pubblicato nel 1980. È un [[giallo storico]] ambientato in un imprecisato monastero benedettino del Nord Italia nel novembre dell'anno 1327, un mistery intellettuale che combina semiotica narrativa, analisi biblica, studi medievali e teoria letteraria. All'epoca, Eco era un affermato accademico e già prolifico autore di saggi di estetica, semiotica e teoria letteraria, quando decise di cimentarsi nella narrativa. Da allora, il romanzo è divenuto un classico, un bestseller che ha venduto oltre 50 milioni di copie in tutto il mondo.
L'opera si presenta con un classico [[Espediente narrativo|espediente letterario]], quello del [[manoscritto ritrovato]], qui opera di un monaco di nome [[Adso da Melk]], che, divenuto ormai anziano, decide di mettere su carta i fatti notevoli vissuti da [[noviziato|novizio]], molti decenni addietro, in compagnia del proprio maestro [[Guglielmo da Baskerville]]. Le vicende si svolgono all'interno dell'Abbazia [[Ordine di San Benedetto|benedettina]], suddivise in sette giornate, scandite dai ritmi della comunità monastica.
== Storia editoriale ==
Eco aveva già un rapporto di lunga data con la [[Bompiani]], che aveva pubblicato tutti i suoi lavori precedenti e che avrebbe preso ''Il nome della rosa'' "a scatola chiusa". Tuttavia pensò in un primo momento di consegnarlo all'editore [[Franco Maria Ricci]] o all'[[Adelphi]]<ref name="Giuro#">{{Cita news |titolo=Intervista a [[Edizioni Sylvestre Bonnard|Vittorio di Giuro]] (il "primo lettore" del ''Nome della rosa'' secondo U. Eco) |data=21 marzo 2025 |giornale=[[Messaggero Veneto - Giornale del Friuli|Il Messaggero Veneto]] |pp=52–53}}</ref> per farlo pubblicare con una tiratura limitata di mille copie in un volume raffinato<ref name="realizzazione" />. La notizia che Eco aveva scritto un romanzo si sparse però velocemente e l'autore ricevette molteplici proposte dalla [[Giulio Einaudi Editore|Einaudi]] e dalla [[Arnoldo Mondadori Editore|Mondadori]] che vedevano del potenziale ne ''Il nome della rosa''. A quel punto Eco tornò sui suoi passi e decise che tanto valeva lavorare con il suo editore storico<ref name="realizzazione" />. Così nel settembre 1980 il romanzo fu pubblicato da Bompiani con una tiratura iniziale di {{formatnum:10000}} copie, a cui se ne aggiunsero subito dopo altre {{formatnum:20000}}, visto il "successo a dir poco travolgente", che stupì lo stesso autore<ref name="Giuro#"/><ref name="libertaegiustizia" />. Il prosieguo delle vendite fu "via via stimolata dal conseguimento di premi letterari a partire dal Premio Strega 1981 e altri, dalle notizie sulle traduzioni e sul loro successo all'estero, in particolare negli Stati Uniti"<ref>{{Cita web |url=http://archivio.lastampa.it/articolo?id=503a37fa33ad989441d1ae7426cc36e68c39c693 |autore=[[Oreste Del Buono]] |titolo=O.d.B. AMICI MAESTRI. GLI SCRITTORI '45/'95 LE STORIE L'editoria dà i numeri con il fenomeno Eco Dodici milioni di copie fra ‹Rosa› e ‹Pendolo› |data=8 aprile 1995 |pubblicazione=[[La Stampa]] |accesso=29 febbraio 2016 |dataarchivio=5 marzo 2016 |urlarchivio=https://web.archive.org/web/20160305101650/http://archivio.lastampa.it/articolo?id=503a37fa33ad989441d1ae7426cc36e68c39c693 |urlmorto=sì}}</ref>.
Il 9 luglio 1981, otto mesi dopo la pubblicazione del libro, ''Il nome della rosa'' vinse il [[Premio Strega]], il più alto riconoscimento letterario in Italia<ref>{{Cita web |url=http://www.strega.it/premio_strega/22_i_vincitori_del_premio_strega.html |titolo=I Vincitori del Premio Strega |accesso=25 gennaio 2014 |urlmorto=sì |urlarchivio=https://web.archive.org/web/20140204050016/http://www.strega.it/premio_strega/22_i_vincitori_del_premio_strega.html |dataarchivio=4 febbraio 2014}}</ref><ref>{{Cita news |nome=Stefano |cognome=Salis |url=http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2010-09-15/come-diventa-umberto-080423_PRN.shtml |titolo=Come si diventa Umberto Eco |pubblicazione=[[Il Sole 24 Ore]] |accesso=25 gennaio 2014}}</ref>. Nel mese di novembre 1982, il libro ottenne in [[Francia]] il [[Prix Médicis]] nella categoria opere straniere<ref>{{Cita news |url=https://elpais.com/diario/1982/11/23/cultura/406854003_850215.html |titolo=Premio en Francia a la primera novela del semiólogo Umberto Eco |pubblicazione=[[El País]] |data=23 novembre 1982 |accesso=25 gennaio 2014 |lingua=es}}</ref>. Nel [[1983]] il romanzo entrò nell'"Editors' Choice" di ''[[The New York Times]]''<ref>{{Cita news |url=http://www.nytimes.com/books/98/12/06/specials/editorschoice83.html?scp=8&sq=Umberto%20Eco%20The%20name%20of%20the%20Rose&st=cse |titolo=Editors' Choice 1983 |pubblicazione=[[The New York Times]] |data=4 dicembre 1983 |accesso=25 gennaio 2014 |lingua=en}}</ref>, nel 1999 fu selezionato tra "[[I 100 libri del secolo di le Monde|I 100 libri del secolo]]" dal quotidiano francese ''[[Le Monde]]'' e nel 2009 venne inserito nella lista dei "1000 romanzi che ognuno dovrebbe leggere" dal quotidiano inglese ''[[The Guardian]]''<ref>{{Cita news |url=https://www.theguardian.com/books/2009/jan/23/bestbooks-fiction |titolo=1000 novels everyone must read: the definitive list |pubblicazione=[[The Guardian]] |data=23 gennaio 2009 |accesso=11 aprile 2016 |lingua=en}}</ref>.
Nel maggio del 2020 la casa editrice [[La nave di Teseo|La Nave di Teseo]], fondata dallo stesso Eco, pubblica una versione del romanzo arricchita coi disegni e gli appunti preparatori dell'autore.
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Il romanzo inizia con tre [[incipit]] diversi: una finta introduzione, un [[prologo]] e l'inizio vero e proprio della storia nel Primo Giorno<ref>{{cita libro |nome=Umberto |cognome=Eco |titolo=Il nome della rosa |anno=2012 |editore=[[Bompiani]] |città=Milano |pp=[https://books.google.it/books?id=psWKDwAAQBAJ&pg=PA7 7]-[https://books.google.it/books?id=psWKDwAAQBAJ&pg=PA19 19] |ISBN=9788858706480}}</ref>.
1) L'introduzione comincia con «Il 16 agosto 1968 mi fu messo tra le mani un libro dovuto alla penna di tale abate Vallet, ''Le manuscript de Dom Adson de Melk, traduit en français d'après l'édition de [[Jean Mabillon|Dom J. Mabillon]]'' (Aux Presses de l'Abbaye de la Source, Paris, 1842).»
2) L'incipit del prologo, come già quello del ''[[Morgante (poema)|Morgante]]'' di [[Luigi Pulci|Pulci]], cita l{{'}}''Inno al Logos'' del ''[[Prologo del Vangelo secondo Giovanni]]'' {{Passo biblico|Giovanni|1, 1-2|libro=no}} («In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio»). Inoltre vi appare [[Prima lettera ai Corinzi|1 Corinzi]] {{Passo biblico|1 Corinzi|13, 12|libro=no}}: «''Videmus nunc per speculum et in aenigmate''»<ref>Per evitare anacronismi, Eco cita la ''[[Vulgata]]'' prima delle sue più moderne revisioni. Ad esempio la [[Nova Vulgata]] del 1979 si differenzia per l'aggiunta della parola ''enim'': si confrontino [https://www.biblegateway.com/passage/?search=I%20Corinthios%2013%3A12&version=VULGATE] e [https://www.bibbiaedu.it/NOVAVULGATA/nt/1ECor/13/].</ref> («Adesso noi vediamo in modo confuso, come in uno specchio»), già citato in precedenza da Eco in ''Opera aperta'' del [[1962]].
3) L'incipit del primo capitolo «Era una bella mattina di fine novembre» è un riferimento al [[Stereotipo|cliché]] «[[Era una notte buia e tempestosa]]», usato da [[Snoopy]] per l'inizio di ciascuno dei suoi romanzi, e ideato da [[Edward Bulwer-Lytton]] nel [[1830]]<ref name="realizzazione" />.
Nel prologo, l'autore racconta di aver letto durante un soggiorno all'estero il manoscritto<ref>Molti scrittori, nei secoli passati, usarono la finzione letteraria del [[manoscritto]] ritrovato. Tra di essi [[Alessandro Manzoni]] ne ''[[I promessi sposi]]''.</ref> di un monaco benedettino riguardante una misteriosa vicenda svoltasi in età medievale in un'abbazia sulle Alpi piemontesi. Rapito dalla lettura, egli inizia a quel punto a tradurlo su qualche quaderno di appunti prima di interrompere i rapporti con la persona che gli aveva messo il manoscritto tra le mani. Dopo aver ricostruito la ricerca bibliografica che lo portò a recuperare alcune conferme, oltre alle parti mancanti del testo, l'autore passa quindi a narrare la vicenda di Adso da Melk.
== Trama ==
=== Gli omicidi nell'abbazia ===
Fine del novembre 1327. Guglielmo da Baskerville, un [[frate]] francescano inglese, e il suo allievo Adso da Melk si recano in un indefinito monastero [[Ordine di San Benedetto|benedettino]] di [[Congregazione cluniacense|regola cluniacense]], situato sull'[[Appennino tosco-emiliano|Appennino toscano]].<ref>U. Eco, ''Il nome della rosa'', La nave di Teseo, 2025, p.31</ref> Questo monastero sarà sede di un delicato convegno che vedrà protagonisti i [[Ordine francescano|francescani]] (sostenitori delle tesi [[Pauperismo medievale|pauperistiche]] e alleati dell'[[Ludovico il Bavaro|imperatore Ludovico]]) e i delegati della [[Curia romana|curia papale]] di [[Papa Giovanni XXII]], insediata a quei tempi ad [[Avignone]]. I due religiosi (Guglielmo francescano e [[inquisizione|inquisitore]] "pentito", il suo discepolo Adso novizio benedettino) si recano in questo luogo perché Guglielmo è stato incaricato dall'imperatore di partecipare al congresso, quale sostenitore delle tesi [[Pauperismo medievale|pauperistiche]]. L'abate, timoroso che l'arrivo della delegazione avignonese possa ridimensionare la propria giurisdizione sull'abbazia e preoccupato che l'inspiegabile morte del giovane confratello Adelmo durante una bufera di neve possa far saltare i lavori del convegno e far ricadere la colpa su di lui, ha deciso di confidare nelle capacità inquisitorie di Guglielmo affinché faccia luce sul tragico omicidio, cui i monaci tra l'altro attribuiscono misteriose cause soprannaturali. Nel monastero circolano infatti numerose credenze circa la venuta dell'[[Anticristo]].
Nonostante la quasi totale libertà di movimento concessa all'ex [[Inquisizione|inquisitore]], viene trovato morto Venanzio, giovane monaco traduttore dal greco e amico di Adelmo. Un personaggio su cui si vociferano malignità è l'aiuto bibliotecario Berengario da Arundel, troppo succube del bibliotecario Malachia, grasso, minato nella salute (soffre di convulsioni) e perfino peccatore sodomita concupendo i giovani monaci e scambiando favori sessuali con libri proibiti. Guglielmo ipotizza infatti che Adelmo, sconvolto dai rimorsi e dal senso di colpa, si sia tolto la vita proprio a causa di questo scambio, non prima, però, di aver rivelato a Venanzio del libro e come trovarlo.
Guglielmo sospetta sin dall'inizio e, man mano, si convince sempre più che il segreto dietro tutte le morti sia da cercare nella lotta di potere all'interno dell'abbazia, e in un libro misterioso nascosto nella [[biblioteca]], il cui impianto è certamente ispirato alla planimetria ottagonale di [[Castel del Monte]] in [[Puglia]], come lo stesso Eco afferma e da lui stesso disegnato nei suoi schizzi e appunti, vanto del monastero costruito come un intricato [[labirinto]] a cui hanno accesso solo il bibliotecario e il suo aiutante. Durante le indagini sulla morte di Adelmo e Venanzio, Guglielmo trova, infatti, su un frammento di pergamena, delle scritte fatte da due mani diverse, una in greco (che riconduce ad uno "strano" libro) e una in latino (la chiave per entrare nel Finis Africae, settore della biblioteca in cui è custodito il libro, che riporta la frase: ''"Secretum finis Africae manus supra idolum age primum et septimum de quatuor"''). Guglielmo conclude che Venanzio ha ricevuto questo brandello di pergamena da Adelmo, quando lo aveva incontrato mentre vagava tra le tombe del cimitero per andare incontro al suo destino. La notte dopo, Venanzio si era recato in biblioteca per recuperare il libro, ma era poi stato ritrovato cadavere nelle cucine di uno degli edifici presenti nell'abbazia, da un misterioso monaco che si era scoperto poi essere Berengario, il quale, per allontanare lo scandalo dalla biblioteca, si era caricato il corpo in spalla per poi gettarlo in un orcio pieno di sangue di maiale.
[[File:Labyrinthus Aedificium.svg|thumb|Mappa della biblioteca]]
Quella stessa mattina, convinti di dar la caccia a un libro in greco, né Adso né Guglielmo prestano attenzione ad un libro scritto in arabo e su diversi tipi di pergamena presenti sul tavolo di Venanzio. Quella notte, il libro viene sottratto dall'aiuto bibliotecario Berengario, insieme alle lenti da vista di Guglielmo. Guglielmo e Adso entrano nella biblioteca e, non sapendo come orientarsi né cosa cercare, riescono ad uscirne solo grazie alla fortuna. Il mattino successivo, anche Berengario risulta sparito e viene ritrovato a sera, morto, nei balnea. All'autopsia, anche Berengario presenta la punta delle dita e la lingua nere .
Nel monastero sono presenti anche due ex appartenenti alla setta dei [[dolciniani]]: il cellario Remigio da Varagine e il suo amico [[Salvatore (personaggio)|Salvatore]], che parla una strana lingua combinante latino, spagnolo, italiano, francese e inglese. Remigio intrattiene un commercio illecito con una povera fanciulla del luogo che, in cambio di favori sessuali, riceve cibo dal cellario. Una notte, anche lo stesso Adso, per una serie di circostanze, fa la conoscenza della ragazza nelle cucine dell'edificio e scopre i piaceri dei sensi, iniziando a nutrire per la ragazza un misto di amore e preoccupazione. Confessata pudicamente a Guglielmo la sua avventura, questi gli dice che il fatto non dovrà più ripetersi, ma che non si tratta di un peccato così grave se paragonato a quelli che avvengono all'interno dell'abbazia sotto i loro occhi.
L'indagine di Guglielmo viene interrotta dall'arrivo della delegazione papale. L'inquisitore [[Bernardo Gui]] trova la fanciulla insieme a Salvatore e prende spunto dalla presenza di un gallo nero, che Salvatore aveva preso per attuare un rito che avrebbe potuto far innamorare di lui la ragazza e "rubarla" a Remigio, per accusare entrambi di essere cultori di [[satanismo|riti satanici]]. Dopo esser riuscito a ottenere una confessione dal povero Salvatore, che ammette il suo passato di dolciniano, Bernardo Gui processa e condanna fra' Remigio, Salvatore e la fanciulla, dichiarandoli inoltre colpevoli delle morti avvenute nel monastero.
Il bibliotecario Malachia, convinto dall'uomo che cerca di impedire che il libro venga letto, uccide l'erborista Severino da Sant'Emmerano (che fino ad allora aveva aiutato Guglielmo con le sue conoscenze sulle erbe) e, il giorno seguente, viene anch'esso ritrovato morto. Guglielmo ricostruisce l'accaduto: Berengario aveva disobbedito per la prima volta a Malachia e, invece di consegnargli il libro misterioso, lo aveva letto; tormentato dal veleno, si era recato in erboristeria per cercare delle erbe lenitive per fare il bagno, aveva nascosto il libro nella stanza per poi morire nei balnea. Severino aveva recuperato il libro e cercato di avvertire Guglielmo, impegnato nella disputa teologica sul [[Disputa sulla povertà apostolica|tema della povertà]] della [[Chiesa cattolica]], ma era stato intercettato e ucciso da Malachia. Nemmeno quest'ultimo, però, aveva riconosciuto il libro. Guglielmo e Adso avevano cercato tra i libri di Severino un libro greco, senza sapere, però, che lo stesso libro era composto anche da un libro arabo, perciò non gli avevano prestato attenzione. Poco dopo, tuttavia, il libro era stato ritrovato da Bencio da Uppsala che lo aveva nascosto. Malachia lo aveva raggiunto per proporgli di diventare il nuovo aiuto bibliotecario, così Bencio gli restituì il libro; ma anche Malachia aveva letto il libro, invece di rimetterlo al suo posto, e per questo aveva trovato la morte, mentre mormorava: ''"aveva il morso di mille scorpioni".''
Bencio, estremamente ambizioso e con una enorme passione per i libri, aveva sempre desiderato il posto da bibliotecario e, pertanto, aveva nascosto informazioni a Guglielmo, ma adesso è disperato e non sa cosa fare. Guglielmo lo rimprovera aspramente, per poi consigliargli di non fare più niente, se vuole salva la vita.
Guglielmo e Adso hanno modo di parlare con tutti i monaci dell'abbazia. In particolare, i colloqui con il mastro vetraio Nicola da Morimondo e il vecchio Alinardo da Grottaferrata risultano interessanti: molti monaci sono scontenti per il modo in cui l'abbazia viene guidata; si maligna su Abbone, divenuto abate perché figlio di un feudatario e non per merito religioso, se non quello di essere riuscito a calare il corpo di [[Tommaso d'Aquino|San Tommaso d'Aquino]] dalla torre dell'[[abbazia di Fossanova]] (dove l'Aquinate effettivamente morì).
Durante lo stesso colloquio con Nicola da Morimondo, Guglielmo scopre che la nomina ad abate di Abbone aveva sconvolto le tradizioni due volte: in primis, perché non era stato bibliotecario, e poi perché aveva nominato bibliotecario un tedesco (Malachia), che si era scelto come aiuto un inglese (Berengario), scontentando gli italiani che erano legati alla tradizione di avere bibliotecari (e quindi abati) italiani. All'arrivo di Nicola da Morimondo all'Abbazia, Abbone era infatti già abate, ma il bibliotecario era Roberto da Bobbio e i confratelli anziani parlavano di uno sgarbo, subìto in passato da Alinardo da Grottaferrata a cui era stata negata la dignità di bibliotecario. Roberto da Bobbio aveva un aiutante al cui decesso era stato nominato Malachia, il quale, divenuto bibliotecario, aveva eletto Berengario come suo aiuto. Era voce comune, tra i monaci dell'Abbazia, che Malachia fosse uno sciocco che faceva il cane da guardia all'abbazia senza aver capito nulla: chiunque avesse bisogno di consigli circa i libri chiedeva a Jorge da Burgos, monaco anziano riverito per la sua erudizione e per il suo zelo religioso, e non a Malachia, tanto che a molti sembrava fosse Jorge a dirigere il lavoro di Malachia. Guglielmo apprende che, secondo la regola benedettina, il bibliotecario è, di solito, il candidato naturale a diventare abate. Prima di Abbone, l'abate era Paolo da Rimini, prima ancora bibliotecario e lettore voracissimo, ma incapace di scrivere e pertanto soprannominato ''abbas agraphicus'', e Roberto da Bobbio era il suo aiuto. Quando Paolo era divenuto Abate, Roberto era stato nominato bibliotecario, anche se già malato. Paolo da Rimini scomparve durante un viaggio e, pertanto, gli succedette Abbone e non Roberto da Bobbio. Nicola è convinto che Berengario e Malachia fossero stati uccisi perché un domani non diventassero abati, concludendo che anche Bencio, in quanto straniero, fosse in pericolo di vita, qualora Abbone lo nominasse bibliotecario.
La biblioteca ha un catalogo, su cui il responsabile e il suo aiuto riportano tutti i libri che transitano nell'abbazia. Consultandolo, Guglielmo rintraccia il susseguirsi degli abati e dei bibliotecari attraverso le loro calligrafie. Investigando su chi sia il proprietario della calligrafia che riporta le acquisizioni al posto di Paolo da Rimini, che non era in grado di scrivere, l'ex inquisitore comprende infine che l'aiuto bibliotecario di Roberto da Bobbio, che Nicola credeva morto, è in realtà vivo.
Nel colloquio successivo con Bencio, venne scoperto che il libro "assassino" è composto da 4 testi: uno in arabo, uno in siriano, uno in latino e uno in greco, definito ''acephalus'' perché mancante della parte iniziale. Inoltre, Bencio riporta che il testo greco è scritto su una carta diversa, più soffice ed intrisa di umidità fin quasi a sfaldarsi. Guglielmo riconosce in quel tipo di carta il ''pergamino de pano'', avendo finalmente la certezza dell'identità del responsabile di tutte quelle morti.
=== La soluzione del mistero ===
Guglielmo cerca di avvertire l'Abate del pericolo che lo minaccia, ma il religioso decide di insabbiare la vicenda e risolverla con la sua autorità. Grazie a una celia in latino volgare riportatagli da Adso, Guglielmo scopre finalmente come entrare nel finis Africae dov'era custodito il manoscritto fatale: l'ultima copia rimasta del secondo libro della ''[[Poetica (Aristotele)|Poetica]]'' di [[Aristotele]], che tratta della [[commedia]] e del [[risata|riso]]. Nel salire in biblioteca, dall'ingresso posteriore all'altare della chiesa, che poi attraversa l'ossario, Guglielmo e Adso odono un battere disperato sui muri. Capiscono che l'abate è rimasto imprigionato in un secondo accesso diretto al finis Africae, le cui porte possono essere azionate solo dall'alto. Nel finis Africae trovano il vecchio Jorge. Il pergamino de pano veniva prodotto in Spagna, e lo spagnolo Jorge era l'aiutante bibliotecario che aveva vinto la carica contro Alinardo, e la cui calligrafia nel catalogo copriva diverse pagine in corrispondenza del periodo in cui Paolo da Rimini era bibliotecario, ma incapace di scrivere; divenuto cieco, aveva dovuto rinunciare alla carica di bibliotecario e di abate, facendo eleggere Malachia al suo posto, ma continuando di fatto a governare la biblioteca. Jorge offre a Guglielmo il libro da leggere, ma questi lo sfoglia con le mani protette da un guanto, evitando quindi il contatto con il veleno; le pagine del libro sono, infatti, pregne del veleno che Jorge aveva cosparso sui margini delle pagine: il malcapitato lettore che l'avesse sfogliato inumidendosi le dita con la lingua, avrebbe passato il veleno dalle pagine alla lingua ingerendolo irrimediabilmente. In una sequenza di attimi frenetici, Jorge riprende il libro e scappa via, approfittando del buio, inseguito da Guglielmo e da Adso capaci di orientarsi soltanto grazie alla provenienza della voce del vegliardo. Lo raggiungono in una sala, trovandolo intento a strappare e divorare le pagine avvelenate del testo, in modo che più nessuno possa leggerlo. Percepito il calore del lume, Jorge lo rovescia, provocando un incendio che nessuno riesce a domare e che inghiotte nel fuoco l'intera abbazia.
=== Epilogo ===
Scampati all'incendio, Adso e Guglielmo abbandonano l'abbazia e decidono di separarsi. Dopo esser diventato monaco, Adso narra di aver fatto ritorno anni dopo all'Abbazia, trovando, dove anni prima si erano consumati omicidi, intrighi, veleni e scoperte, solo silenzio e un'angosciosa solitudine.
== Errori ==
Alcuni [[anacronismo|anacronismi]] presenti sono molto probabilmente parte dell'artificio letterario, la cui contestualizzazione è documentabile nelle pagine del libro che precedono il prologo, in cui l'autore afferma che il manoscritto su cui è stata successivamente svolta la traduzione in italiano corrente conteneva interpolazioni dovute a diversi autori dal medioevo fino all'epoca moderna.<ref>{{Cita|Giovannoli<!--ma qui bisogna indicare l'autore dello specifico saggio citato-->|pp. 424, 428}}.</ref> Eco inoltre ha segnalato di persona alcuni errori ed anacronismi che erano presenti nelle varie edizioni del romanzo fino alla revisione del [[2011]]:
* Nel romanzo si menzionano due volte i [[Capsicum|peperoni]], prima in una ricetta ("carne di pecora con salsa cruda di peperoni") poi quando Adso sogna una sua rielaborazione della [[Cena Cypriani]], nella quale tra le diverse vivande che gli ospiti portano alla tavola compaiono, appunto, anche i peperoni. Si tratta di un "piatto impossibile": i peperoni furono infatti importati dall'[[America]] oltre un secolo e mezzo dopo l'epoca in cui si ambienta il romanzo.<ref name="errori" /> Un anacronismo simile si ritrova quando nel romanzo viene citata la [[zucca]], che viene confusa con la [[cicerbita]], menzionata in un erbario dell'epoca.<ref name="errori" />
* Durante il settimo giorno-notte, Jorge dice a Guglielmo che [[Francesco d'Assisi]] "imitava con un pezzo di legno i movimenti di chi suona il [[violino]]", strumento che non esisteva prima dell'inizio del [[XVI secolo]].<ref name="errori" />
* In un punto del romanzo Adso afferma di aver fatto qualcosa in "pochi [[Secondo|secondi]]" quando quella misura temporale non era ancora utilizzata nel medioevo.<ref name="errori" />
* Più volte nel romanzo ci si riferisce all'[[Impero Romano d'Oriente]] come "Bisanzio" o "Impero Bizantino", appellativo questo nato solo nel corso del [[XVIII secolo]].
Presente ancora nella Nota prima del prologo, nella quale Eco cerca di collocare le ore liturgiche e canoniche:
* Nell'ora Prima si confonde l'aurora con l'[[alba]].
* Se si ipotizza, come logico, che Eco abbia fatto riferimento al Tempo Medio locale, la stima dell'inizio dell'ora Prima (alba) e dell'inizio del Vespro (tramonto), così come quelle nelle righe finali ("alba e tramonto verso le 7,30 e 4,40 pomeridiane"), portano ad una durata, dall'alba a Mezzogiorno, uguale o inferiore a quella da Mezzogiorno al tramonto, quindi errata: il contrario di quanto avviene nella realtà a fine novembre (si tratta di una errata applicazione dell'[[Equazione del tempo]]). Se Eco avesse usato (ma senza darne evidenza) il Tempo Vero, la stima dell'inizio dell'ora Prima (alba) e dell'inizio del Vespro (tramonto), simmetrici rispetto a Mezzogiorno, tornerebbero corretti, ma resterebbe l'errore della dissimmetria nelle righe finali ("alba e tramonto verso le 7,30 e 4,40 pomeridiane").
* Il primo giorno della visita all'Abbazia effettuata nell'ultima settimana di novembre del 1327, verso le 2 del pomeriggio, Guglielmo chiede se avrebbero trovato qualcuno nello scriptorium anche se era domenica.<ref>Umberto Eco, Il nome della rosa, Bompiani, 1980, p.152.</ref> Guardando il calendario del novembre 1327 si vede che la domenica della penultima settimana di novembre cade il 22 novembre. In un'altra parte del testo il terzo giorno verso le ore 18 si dice che la Luna era luminosissima.<ref>Umberto Eco, Il nome della rosa, Bompiani, 1980, p.523.</ref> Infatti, la notte di martedì 24 novembre 1327, la Luna è crescente, e passa a Luna piena domenica 29 novembre 1327; non può quindi essere questa la domenica citata da Guglielmo, perché tre giorni dopo la Luna non può essere così luminosa, essendo una Luna calante.
* Nella seconda pagina del prologo, Adso, che scrive da vecchio verso la fine del 1300, riferisce che “Sin dai primi anni di quel secolo il Papa Clemente V aveva trasferito la sede apostolica ad Avignone” . Poiché la sede apostolica è stata trasferita nel 1309, un vero Adso avrebbe scritto: “Sin dai primi anni di questo secolo….”
== Personaggi ==
*
*
* Abbone da [[Abbazia di Fossanova|Fossanova]], abate del monastero; è l'unico, insieme al bibliotecario, al suo aiutante e a padre Jorge da Burgos, a conoscere i segreti della [[biblioteca]].
* Jorge da [[
* Alinardo da [[Grottaferrata]], il più anziano dei monaci. Per il suo comportamento, è considerato da tutti affetto da [[demenza]] senile, ma nei momenti di lucidità si rivela utile alla risoluzione della vicenda.
*Adelmo da [[Otranto]], miniatore e primo morto.
* Venanzio da [[Salvemec]], traduttore dal [[Lingua greca|greco]] e dall'[[Lingua araba|arabo]], conoscitore dell'antica Grecia e devoto di [[Aristotele]]. Secondo morto.
* Berengario da [[Arundel]], aiuto bibliotecario dell'abbazia. Terzo morto.
*Bencio da [[Uppsala]], giovane [[Scandinavia|scandinavo]] trascrittore di testi di [[retorica]]. Dopo la morte di Berengario diventa nuovo aiuto-bibliotecario.
* Severino da [[Abbazia di Sant'Emmerano|Sant'Emmerano]], [[erboristeria|erborista]]. Quarto morto.
*Malachia da [[Hildesheim]], bibliotecario. Quinto morto.
* Remigio da [[Varazze|Varagine]], cellario ex-[[Dolciniani|dolciniano]]. Il suo nome può essere ricondotto al frate domenicano (poi [[Arcidiocesi di Genova|arcivescovo di Genova]]) [[Jacopo da Varazze]]<ref>''Varagine'' è infatti il nome latino e alto-medievale di ''Varazze'', e Jacopo è anche noto come Jacopo ''da Varagine''.</ref>, scrittore in latino, che deve la sua fama ad una raccolta di [[agiografia|vite di santi]], tra le quali spicca la ''[[Legenda Aurea]]'', una versione della [[Leggenda della Vera Croce]], ripresa tra l'altro anche da [[Piero della Francesca]] per il suo [[Storie della Vera Croce|ciclo di affreschi]] in [[Basilica di San Francesco (Arezzo)|San Francesco ad Arezzo]]. Viene processato da Bernardo Gui, condannato alla tortura e poi al rogo.
*[[Salvatore (personaggio)|Salvatore]], ex-[[Dolciniani|dolciniano]], amico di Remigio; parla una lingua mista di [[Lingua latina|latino]] e [[Lingua volgare|volgare]]. Il suo grido "[[Penitenziagite|Penitenziagite!]]", con cui accoglie i nuovi venuti all'abbazia, rimanda alle lotte intestine della chiesa medievale, tra i vescovi cattolici e il movimento degli spirituali, portato avanti dai seguaci di [[fra Dolcino|fra' Dolcino]] da [[Novara]]. La parola "Penitenziagite" è una contrazione della locuzione latina "Poenitentiam agite" ("fate la Penitenza"), frase con cui i dolciniani ammonivano il popolo al loro passaggio.
*Nicola da [[Morimondo]], vetraio.
* Aymaro da [[Alessandria]], trascrittore italiano.
=== Personaggi minori ===
* Magnus da [[Iona]], trascrittore.
* Patrizio da [[Monastero di Clonmacnoise|Clonmacnois]], trascrittore.
* Rabano da [[Toledo]], trascrittore.
* Waldo da [[Hereford]], trascrittore.
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* Berengario Talloni.
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* Ugo da [[Newcastle upon Tyne|Novocastro]].
* Bonagrazia da [[Bergamo]].
*[[Ubertino da Casale]]. Personaggio storico (1259-1329), mistico francescano discepolo di Pietro di Giovanni Olivi. Nell'opera è presentato appunto quale vegliardo dai grandi occhi azzurri, calvo, con la bocca sottile e rossa, la pelle candida e i lineamenti dolcissimi. Nutre una profonda amicizia verso Guglielmo. È un uomo molto combattivo ed ardente ed ha avuto una vita dura e avventurosa. [[francescani spirituali|Francescano spirituale]], ritiene che un monaco non debba possedere nulla, né personalmente, né come convento, né come ordine. Afferma la povertà di Cristo e condanna la ricchezza terrena della chiesa del tempo. Per questo è accusato dal papato di eresia. Viene però lasciato libero di abbandonare l’ordine ed è accolto dai benedettini. Quando la spedizione papale di Bernardo Gui arriva nell’abbazia, Ubertino scappa per non essere ucciso dai delegati del papa. Morirà due anni dopo in circostanze misteriose.
== Genesi dell'opera ==
[[File:Italiaanse schrijver Umberto Eco
Umberto Eco aveva alle spalle un gran numero di saggi. L'idea di scrivere un romanzo venne alla luce nel [[1978]], quando un amico editore gli disse di voler curare la pubblicazione di una serie di brevi romanzi gialli. Eco declinò l'offerta e, scherzando, affermò che se mai avesse scritto un romanzo giallo, sarebbe stato un libro di cinquecento pagine con protagonisti dei monaci medievali<ref name="parisreview">{{Cita web|url=http://www.theparisreview.org/interviews/5856/the-art-of-fiction-no-197-umberto-eco|titolo=Umberto Eco, The Art of Fiction No. 197|autore=Lila AzamZanganeh|editore=The Paris Review|accesso=25 gennaio 2014|lingua=en}}</ref>. Quello che era nato come uno scherzo prese forma quando nella mente dell'autore si creò l'immagine di un monaco avvelenato mentre stava leggendo in una biblioteca.
Nelle ''[[#Le Postille|Postille al Nome della rosa]]'' Eco scrisse che "voleva uccidere un monaco", ma in seguito criticò chi aveva preso alla lettera questa dichiarazione, affermando che la sua curiosità nasceva solamente dal fascino che l'immagine di un monaco morto mentre leggeva gli suscitava<ref name="genesi">{{YouTube|autore=Infodem TV|titolo=Umberto Eco ''Odio 'Il nome della rosa', è il mio peggior romanzo''|id=YKK1jA1MTFg|accesso=25 gennaio 2014}} [[Salone del Libro di Torino]], 14 maggio 2011.</ref>. Le emozioni connesse a quest'immagine gli derivavano La decisione di ambientare il romanzo nel [[medioevo]] fu una scelta dettata dalla familiarità di Eco con quel particolare periodo storico, che aveva già approfondito in studi e saggi precedenti<ref>{{Cita web|url=http://www.cyberitalian.com/sp/html/act_152.html|titolo=Il sogno medievale (parte 2)|autore=Gaither Stewart|sito=Cyberitalian.it|accesso=25 gennaio 2014}}</ref>. Il primo anno, dopo aver avuto l'idea, l'autore lo passò pianificando i luoghi ed i personaggi della sua opera, per "prendere confidenza" con l'ambiente che stava immaginando ed entrare in familiarità con gli attori:
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=== Titolo ===
Il titolo provvisorio del libro, durante la stesura, era ''L'abbazia del delitto''. Successivamente Eco valutò anche il titolo ''Adso da Melk'', ma poi considerò che nella [[Storia della letteratura italiana|letteratura italiana]]
La scelta del titolo richiama inoltre il
In un articolo pubblicato da [[Griseldaonline]], una rivista scientifica dell'[[Università di Bologna]], si sostiene che molti elementi del ''Nome della rosa'' provengano in maniera deliberata dalle opere di [[Leonardo Sciascia]]. Tra questi, il titolo ricalcherebbe un'espressione utilizzata dallo scrittore siciliano in ''Nero su nero'', una raccolta di scritti pubblicata nel 1979, un anno prima dell'uscita del ''Nome della rosa''<ref>{{Cita web |url=http://www.griseldaonline.it/dibattiti/il-punto-critico/eco-sciascia-il-nome-della-rosa-somiglianze-franchi.html |titolo=Copia archiviata |accesso=27 luglio 2018 |dataarchivio=28 luglio 2018 |urlarchivio=https://web.archive.org/web/20180728035753/http://www.griseldaonline.it/dibattiti/il-punto-critico/eco-sciascia-il-nome-della-rosa-somiglianze-franchi.html |urlmorto=sì }}</ref>.
===
{{vedi anche|Manoscritto#Finzione letteraria del manoscritto ritrovato}}
La finzione del manoscritto ritrovato, utilizzata da Umberto Eco, è un espediente narrativo già usato da altri autori nella storia della letteratura. A differenza di [[Manzoni]], ad esempio, che utilizzò tale soluzione per attribuire veridicità storica al suo romanzo e per potersi distaccare dalla vicenda (in quanto non inventata da lui e non coinvolto) potendo quindi giudicare ''dall'alto'' le azioni dei personaggi, Eco inserisce numerosi elementi per far capire al lettore che la storia è fittizia e nulla può essere giudicato vero. Infatti mentre Manzoni trova un manoscritto originale del '600 Eco ne ritrova uno con numerose correzioni che è stato trascritto e tradotto numerose volte, con i conseguenti errori di copiatura e traduzione a cui tutti i manoscritti sono sottoposti, si perde così il vero storico.
=== Fonti di ispirazione e citazioni ===
All'epoca della concezione dell'opera, il [[romanzo storico]] con ambientazione medievale era stato riscoperto da poco in Italia da [[Italo Alighiero Chiusano]], col suo ''[[L'ordalia]]''. Le diverse similitudini (ambientazione temporale, genere inteso come romanzo di formazione, e scelta dei personaggi principali, un [[noviziato|novizio]] e il suo maestro, un saggio monaco più anziano), e la notorietà che ''L'ordalia'' aveva nel 1979, che un esperto di letteratura come Umberto Eco difficilmente ignorava, fanno ritenere ''L'ordalia'' con molte probabilità una delle principali fonti di ispirazione de ''Il nome della rosa''<ref>{{cita pubblicazione|nome=Giacomo|cognome=Alessandroni|url=http://lists.peacelink.it/nonviolenza/2008/09/msg00040.html|titolo=Memoria. Marco Beck ricorda Italo Alighiero Chiusano|rivista=Letture|numero=614|mese=febbraio|anno=2005|accesso=25 gennaio 2014}}</ref>.
[[File:La Sacra ammantata dalla neve.jpg|left|thumb|[[Sacra di San Michele]], il monastero situato a [[Sant'Ambrogio di Torino]] al quale s'ispirò Eco]]
Dai nomi, dalle descrizioni dei personaggi e dallo stile scelto per la narrazione, risulta invece evidente l'omaggio che Eco fa a sir [[Arthur Conan Doyle]] e al suo personaggio di maggior successo: [[Sherlock Holmes]]. Guglielmo, infatti, sembra ricavato, per descrizione fisica e per metodo d'indagine, dalla figura di Holmes: le sue capacità deduttive, la sua umiltà e il suo desiderio di conoscenza sembrano infatti riprendere e, a tratti, esaltare gli aspetti migliori dell'investigatore [[Gran Bretagna|britannico]]. Inoltre proviene dalla (immaginaria) contea di Baskerville, che riprende il nome da una delle più note opere di Doyle, ''[[Il mastino dei Baskerville]]'', che per atmosfera può tranquillamente essere considerato come una delle fonti del libro di Eco. Parallelamente il giovane Adso riprende alcuni aspetti della figura del fido [[Dottor Watson|Watson]] holmesiano. Come Watson è il narratore in prima persona della vicenda e come lui si mostra ottuso e poco attento, nonostante il desiderio di apprendere, e pronto all'azione. I nomi dei due personaggi (Watson e Adso) presentano inoltre un'assonanza.
Evidenti sono anche i riferimenti nel romanzo di Eco a Brother Cadfael, monaco e investigatore medievale protagonista di una serie di romanzi gialli della scrittrice inglese [[Ellis Peters]] (1913-1995) a partire dal [[1977]] con ''[[A Morbid Taste for Bones]]'', tradotto in italiano col titolo ''[[La bara d'argento]]'', in cui fratello Cadfael ha come aiutanti due novizi
La ripartizione del testo in base alle ore del giorno (ore canoniche nel romanzo di Eco) è un prestito dal celeberrimo romanzo ''[[Ulisse (Joyce)|Ulisse]]'' di [[James Joyce]], anche se l'Ulisse si svolge in una sola giornata e non in sette.
In un dialogo tra Guglielmo e Adso il primo usa la metafora [[Ludwig Wittgenstein|wittgensteiniana]] della scala che "si deve gettar via" dopo averla impiegata per salire, attribuendola a "un mistico delle tue terre" (Adso, come Wittgenstein, è austriaco).
Dopo il secondo omicidio, Guglielmo, a partire da un'osservazione di Alinardo (secondo giorno, dopo vespri), ipotizza che la serie dei delitti sia basata su un progetto ispirato alle sette trombe dell{{'}}''[[Apocalisse]]'', e ciò influenza le sue indagini successive. Ma alla fine si scopre che non c'era alcun piano ("Ho fabbricato uno schema falso per interpretare le mosse del colpevole e il colpevole vi si è adeguato", settimo giorno, notte; è significativo che Jorge, invece, pensi che si tratti di un piano divino di cui lui è lo strumento). Questo aspetto della vicenda poliziesca sembra ispirato a quanto accade nel racconto ''[[La morte e la bussola]]'' di Jorge Luis Borges.
[[File:Aerial View of the Monastry of Sankt Gallen 14.02.2008 14-48-17.JPG|left|thumb|[[Abbazia di San Gallo]], la cui biblioteca ispirò Eco]]
Per ambientare il suo romanzo, Eco (che successivamente si è rivelato un profondo conoscitore del pensiero geografico e cartografico del Medioevo europeo, come traspare da molti elementi presenti nel romanzo) si è ispirato alla [[Sacra di San Michele]], abbazia benedettina monumento simbolo del [[Piemonte]]<ref>{{Cita web|nome=Dario|cognome=Reteuna|url=http://santambrogio.valsusainfo.it/index.asp?IDCAT=8092|titolo=Sacra di San Michele|accesso=25 gennaio 2014|urlmorto=sì|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20131012222402/http://santambrogio.valsusainfo.it/index.asp?IDCAT=8092|dataarchivio=12 ottobre 2013}}</ref><ref>{{cita libro | autore=Massimo Polidoro | wkautore=Massimo Polidoro | editore=Giunti | anno=2018 | titolo=Atlante dei luoghi misteriosi d'Italia | ISBN=978-88-587-8114-2}}</ref><ref>{{cita news|titolo=Sacra di S. Michele - Elogi in tre lingue|pubblicazione=La Stampa|anno=1996|numero=50|p=43}}</ref>.
Per lo ''[[scriptorium]]'' dell'Abbazia, Eco ha tenuto presente la biblioteca e l'intera [[abbazia di San Gallo]] in [[Svizzera]]<ref>''Svizzera'', Touring editore, 2014, p. 234</ref> (in particolare è da menzionare la [[Pianta di San Gallo]]. Come la facciata della Chiesa dell'abbazia sembra ispirarsi anche alla [[Duomo di Ancona|Cattedrale di san Ciriaco]] ad [[Ancona]]. All'inizio del romanzo, prima del manoscritto, è riportata la pianta di un'abbazia che comunque ha una struttura diversa da quella del romanzo di Eco).
Alla fine del terzo giorno è presente una citazione dal [[Inferno - Canto quinto|V Canto dell'Inferno]] di [[Dante Alighieri|Dante]], la cui opera è citata un paio di volte. Inoltre, Adso racconta un proprio svenimento con le parole "Caddi come un corpo morto cade" che sono una chiara citazione della [[Divina Commedia|Commedia]]. Guglielmo invece parla di Malachia come di un "Vaso di coccio tra i vasi di ferro" richiamando [[Esopo]] e [[Alessandro Manzoni|Manzoni]].
Nel sogno di Adso, vengono citate due frasi che oggi sono famose perché ritenute fra i primi documenti del [[Lingua volgare|volgare]] italiano: "Traete, filii de puta!", da un'iscrizione nella [[Basilica di San Clemente al Laterano|Basilica di San Clemente]] in Roma, e "Sao ko kelle terre per kelle fini ke ki kontene..." dai ''[[Placiti cassinesi]]''.
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La scena in cui Adso copula con la contadinella è un ''[[collage]]'' di spezzoni del ''[[Cantico dei cantici]]'' e di brani di mistici che descrivono le loro estasi. In questo modo Eco ha cercato di trasmettere come un monaco sperimenterebbe il sesso attraverso la sua "sensibilità culturale"<ref name="parisreview" />.
La tecnica con cui l'assassino uccide i monaci è ripresa dal film ''[[Il giovedì]]'' ([[1963]]) di [[Dino Risi]].<ref>{{Cita libro|autore=Daniele Luttazzi|titolo=Note a Lolito|editore=
== Interpretazioni ==
{{Citazione|[...] Mi avvedevo ora che si possono sognare anche dei libri, e dunque si possono sognare dei sogni.|[[Umberto Eco]], op. cit., p. 440}}
[[File:Il nome della rosa (dall'omonimo romanzo di Umberto Eco).JPG|thumb|upright=1.0|''Il nome della rosa'' (omaggio del pittore [[William Girometti]] ad Umberto Eco)]]
Attribuire un genere letterario al romanzo di Eco è assai difficile: esso infatti è stato particolarmente apprezzato per la presenza di molteplici piani di lettura, che possono essere colti dal lettore a seconda della sua preparazione culturale. Pur presentandosi come un [[Giallo (genere)|giallo]], o come un [[romanzo storico]] ad una lettura superficiale, il libro è in realtà costruito attraverso una fitta rete di citazioni tratte da numerose altre opere letterarie, dunque è, in un certo senso, un libro fatto di altri libri<ref name="libri" />. È costante il riferimento [[Linguistica|linguistico]] e [[Semiologia|semiologico]]. È anche presente, appena sotto la superficie, una forte componente [[esoterismo|esoterica]], e di fondo la storia può essere vista come una riflessione [[Filosofia|filosofica]] sul senso e sul valore della [[verità]] e della sua ricerca, da un punto di vista strettamente [[Laicismo|laico]], tema del resto comune alle opere successive di Eco. In particolare, è stata anche evidenziata l'ispirazione [[Nominalismo|nominalista]] del romanzo.<ref>{{Cita web|lingua=it|url=https://www.avvenire.it/agora/pagine/umberto-eco-la-filosofia-mario-de-caro|autore=Mario De Caro|titolo=La scomparsa . La filosofia di Umberto Eco, dai nudi nomi al vetero-realismo|sito=www.avvenire.it|data=2016-02-21|accesso=2025-03-05}}</ref>
Nel piano di lettura storico presente nel romanzo, i personaggi e le forze che nella vicenda narrata si contrappongono rappresentano in realtà due epoche e due mentalità che in quel periodo storico si sono trovate a fronteggiarsi: da un lato il [[medioevo]] più antico, col suo fardello di dogmi, preconcetti e superstizioni, ma anche intriso di una profonda e mistica spiritualità, dall'altro lato il nuovo mondo che avanza, rappresentato da Guglielmo, con la sua sete di conoscenza, con la predisposizione a cercare una verità più certa e intelligibile attraverso la ricerca e l'indagine, anticipazione di un [[metodo scientifico]] che in Europa di lì a poco non tarderà ad affermarsi.
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L'autore usa un espediente narrativo e così il romanzo scritto da Umberto Eco è in realtà una narrazione al quarto livello di incassamento, dentro ad altre tre narrazioni: Eco dice di raccontare ciò che ha trovato nel testo di Vallet, che a sua volta diceva che Mabillon ha detto che Adso disse... In questo senso Eco non fa che riproporre un artificio letterario tipico dei romanzi inglesi [[Romanzo gotico|neogotici]], e utilizzato anche da [[Alessandro Manzoni]] per ''[[I promessi sposi]]''.
Un ulteriore piano di lettura vede il romanzo come un'[[allegoria]] delle vicende italiane contemporanee o di poco precedenti all'uscita de ''Il nome della rosa'', ovvero la situazione politica degli [[Anni 1970|anni settanta]], con le diverse parti in causa a rappresentare sì l'evolversi politico e spirituale legato al [[Disputa sulla povertà apostolica|dibattito sulla povertà nel Trecento]], ma anche le diverse correnti di pensiero o situazioni proprie degli [[anni di piombo]]: [[Papa Giovanni XXII]] e la corte avignonese a rappresentare i conservatori, [[Ubertino da Casale]] e i [[Ordine francescano|francescani]] nel ruolo dei riformisti, [[Fra Dolcino]] e i [[movimenti ereticali medievali]] in quello dei gruppi, armati e
=== Le ''Postille'' ===
Nel [[1983]] Umberto Eco pubblicò, attraverso la rivista ''[[Alfabeta]]'', le ''Postille al Nome della rosa'', un saggio col quale l'autore spiega il percorso letterario che l'aveva portato alla stesura del romanzo, fornendo chiarimenti su alcuni aspetti concettuali dell'opera. Le ''Postille al Nome della rosa'' sono state poi allegate a tutte le ristampe italiane del romanzo successive al 1983<ref name="realizzazione" />.
Nel paragrafo intitolato "Il [[Postmodernismo|Postmoderno]], l'ironia, il piacevole", Eco afferma che il "post-moderno è un termine buono ''à tout faire''". Inoltre, secondo l'autore, il postmoderno è sempre più retrodatato: mentre prima questo termine si riferiva solamente al contesto culturale degli ultimi vent'anni, oggi viene impiegato anche per periodi precedenti. Tuttavia per Eco il post-moderno non è "una tendenza circoscrivibile cronologicamente, ma una categoria spirituale, un ''[[Kunstwollen]]'', un modo di operare". "Potremmo dire che ogni epoca ha il proprio post-moderno, così come ogni epoca avrebbe il proprio [[manierismo]]". In ogni epoca si giunge a momenti in cui ci si accorge che "il passato ci condiziona, ci sta addosso, ci ricatta". All'inizio del Novecento, per questi motivi, l'[[Avanguardia (arte)|avanguardia]] storica cerca di opporsi al condizionamento del passato, distruggendolo e sfigurandolo. Ma l'avanguardia non si ferma qui, procede fino all'annullamento dell'opera stessa (il silenzio nella musica, la cornice vuota in pittura, le pagine bianche in letteratura etc). Dopo ciò "l'avanguardia (il moderno) non può più andare oltre". Dunque siamo costretti a riconoscere il passato e a prenderlo con ironia, ma senza ingenuità. "La risposta post-moderna al moderno consiste nel riconoscere che il passato, visto che non può essere distrutto, perché la sua distruzione porta al silenzio, deve essere rivisitato: con ironia, in modo non innocente"<ref>{{Cita libro|autore=Umberto Eco|titolo=Postille al Nome della rosa|editore=Bompiani|anno=1983}}</ref>.
== Critica ==
Nonostante gli apprezzamenti e il suo successo editoriale, Eco lo
{{Citazione|
La stampa italiana e internazionale, invece, accolse con grande entusiasmo ''Il nome della rosa'' e molti critici scrissero parole d'elogio per l'opera di Eco.
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{{Citazione|Benché non corrisponda ad alcun genere (logicamente non può, deve essere a-generico) è meravigliosamente interessante.|''[[Frank Kermode]]'', ''[[The London Review of Books]]''}}
Non sono mancate tuttavia voci
{{Citazione|[...] presentazione prima letteraria e poi cinematografica di un Medioevo falsificato ed elevato a "simbolo ideologico"; i temi della più trita polemica anticattolica di sempre, il cui scopo "positivo" si compendia nell'apologia della modernità come carattere specifico del mondo contemporaneo.|''[[Massimo Introvigne]]'', ''Cristianità'' n. 15, febbraio 1987<ref>{{Cita pubblicazione|nome=Massimo|cognome=Introvigne|wkautore=Massimo Introvigne|url=http://www.storialibera.it/epoca_medioevale/articolo.php?id=134&titolo=Contro%20%C2%ABIl%20nome%20della%20rosa%C2%BB|titolo=Contro «Il nome della rosa»|rivista=Cristianità|numero=142|volume=15|anno=1987 |mese=febbraio|pp=
{{Citazione|Mini-museo antireligioso posto dall'altra parte di una cortina di ferro sempre presente.|''[[Régine Pernoud]]'', ''30 Giorni'', gennaio 1987}}
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{{Citazione| [...] un romanzo bello e falso come Il Nome della Rosa, che in materia di Medioevo esprime un’attendibilità storica inferiore ai fumetti di Asterix e Obelix.|''[[Mario Palmaro]]'', ''La Bussola Quotidiana'', settembre 2011}}
Pare che anche [[Ken Follett]] non abbia apprezzato il libro, trovandolo troppo noioso e descrittivo, e preferendo alla sua scrittura quella di [[Dan Brown]].<ref>{{Cita web|url=https://www.sololibri.net/umberto-eco-cosa-ci-ha-lasciato.html|titolo=90 anni di Umberto Eco: cosa ci ha lasciato|accesso=5 gennaio 2022}}</ref>
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Nel [[2011]] Eco rivisitò ''Il nome della rosa'' effettuando delle modifiche che portarono il libro ad allungarsi di 18 pagine<ref name="errori">{{Cita web|nome=Maurizio|cognome=Bono|url=http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2011/09/05/eco-cosi-ho-corretto-il-nome-della.html|titolo=Eco: così ho corretto Il nome della rosa|pubblicazione=[[La Repubblica (quotidiano)|La Repubblica]]|data=5 settembre 2011|accesso=25 gennaio 2014}}</ref>. Questo lavoro di correzione generò critiche controverse, tra cui quella di [[Pierre Assouline]] di ''[[Le Monde]]'', che accusò l'autore di voler abbassare il livello del romanzo e semplificarne la lingua per andare incontro alle generazioni digitalizzate<ref>{{Cita web|url=http://www.corriere.it/cultura/11_settembre_02/di-stefano-arte-rifare_bef03b7e-d219-11e0-a205-8c1e98b416f7.shtml|titolo=L'arte di rifare|nome=Paolo|cognome=Di Stefano|pubblicazione=Corriere della Sera|data=29 agosto 2011-5 settembre 2011|accesso=25 gennaio 2014}}</ref>. Eco respinse le accuse affermando che il suo era stato solo un piccolo lavoro di "cosmesi"<ref name="libertaegiustizia" />, volto soprattutto a sveltire certi passaggi per preservare il ritmo della narrazione; eliminare certe ripetizioni; togliere degli errori che da anni gli pesavano e modificare leggermente l'aspetto fisico dei personaggi, che erano a suo dire "troppo grotteschi"<ref name="libertaegiustizia" /><ref name="errori" />.
Anche a causa della sua peculiare struttura, fatta di citazioni di altri testi, il romanzo è stato accusato più o meno apertamente di [[Plagio (diritto d'autore)|plagio]] nei confronti di vari libri. Nel [[1989]] venne avanzata nei confronti di Umberto Eco un'accusa formale da parte di uno scrittore [[Cipro|cipriota]], il quale sosteneva che alcuni contenuti del libro erano ripresi da un proprio romanzo, dove due personaggi entravano in un monastero e discutevano con l'abate dell'[[Apocalisse]]. Tuttavia le numerose differenze tra la storia cipriota, che si svolgeva ai giorni nostri, e la scarsa rilevanza del colloquio, che occupava solo poche pagine, condusse alla sentenza di un tribunale cipriota, che scagionò lo scrittore italiano assolvendolo nel [[1992]]<ref>{{Cita news |url=http://archiviostorico.corriere.it/1992/settembre/29/plagio_assolto_Eco_co_0_92092915407.shtml|titolo=plagio? Assolto Eco|pubblicazione=Corriere della Sera|data=29 settembre 1992|p=19|accesso=25 gennaio 2014|urlmorto=sì |urlarchivio=https://web.archive.org/web/20110217043743/http://archiviostorico.corriere.it/1992/settembre/29/plagio_assolto_Eco_co_0_92092915407.shtml|dataarchivio=17 febbraio 2011}}</ref>. Riguardo alla traduzione in [[lingua araba]] del romanzo, nel [[1998]] Ahmed Somai, primo traduttore [[Tunisia|tunisino]], accusò di plagio il firmatario della edizione [[Egitto|egiziana]], Kamel Oueid El - Amiri<ref>{{Cita news|url=http://archiviostorico.corriere.it/1998/ottobre/31/nome_della_rosa_lite_fra_co_0_9810317765.shtml|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20140202115148/http://archiviostorico.corriere.it/1998/ottobre/31/nome_della_rosa_lite_fra_co_0_9810317765.shtml|titolo=Il nome della rosa: lite fra traduttori|pubblicazione=Corriere della Sera|data=31 ottobre 1998|p=35|accesso=25 gennaio 2014|urlmorto=sì|dataarchivio=2 febbraio 2014}}</ref>.
== Opere derivate ==
=== Cinema ===
Dal romanzo di Eco è stato liberamente tratto un [[Il nome della rosa (film)|omonimo film]] per la regia di [[Jean-Jacques Annaud]], interpretato da [[Sean Connery]] (Guglielmo da Baskerville), [[F. Murray Abraham]] (Bernardo Gui), [[Christian Slater]] (Adso) e [[Ron Perlman]] (Salvatore).
Dal romanzo di Eco i registi [[Francesco Conversano]] e Nene Grignaffini hanno realizzato il documentario ''[[La Rosa dei Nomi]],'' che attraverso le parole di [[Umberto Eco]] racconta il processo della scrittura del libro e con [[Jean-Jacques Annaud]] la trasposizione dal libro al film.<ref>{{Cita web|url=http://www.moviemovie.it/rosa.html|titolo=LA ROSA DEI NOMI|urlmorto=sì|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20160524113909/http://www.moviemovie.it/rosa.html|dataarchivio=24 maggio 2016}}</ref>
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=== Teatro ===
Nel 2017 una versione teatrale di [[Stefano Massini]], con la regia di Leo Muscato<ref>Renato Palazzi, «[http://www.quotidiano.ilsole24ore.com/vetrina/edicola24web/edicola24web.html?testata=S24&edizione=SOLE&issue=20170611&startpage=1&displaypages=2 Aulentissima Rosa]», Il Sole 24Ore dell'11 giugno 2017</ref>.
Il 27 aprile 2025 l'opera lirica [[Il nome della rosa (opera)|''Il nome della rosa'']], composta da [[Francesco Filidei]], è stata portata al debutto al [[Teatro alla Scala]].<ref>''Il nome della rosa' diventa un'opera lirica per la Scala'', La Nazione, 19 maggio 2023</ref>
=== Televisione ===
{{vedi anche|Il nome della rosa (miniserie televisiva)}}
Una miniserie televisiva composta da otto puntate da 50 minuti è andata in onda su Rai 1 nel marzo 2019; prodotta dalla [[Rai]] in collaborazione con 11 Marzo Film, [[Palomar (azienda)|Palomar]] e [[Tele München Group]], è diretta da [[Giacomo Battiato]], girata in inglese, e sviluppa alcune storie accennate marginalmente nel romanzo. La serie vanta un cast internazionale: [[John Turturro]] e [[Rupert Everett]] sono i protagonisti nei panni rispettivamente di Guglielmo da Baskerville e l'inquisitore Bernardo Gui, con [[Michael Emerson]], [[Sebastian Koch]], [[James Cosmo]], [[Richard Sammel]], [[Fabrizio Bentivoglio]], [[Greta Scarano]], [[Stefano Fresi]] e [[Piotr Adamczyk]].<ref>{{Cita web|url=https://www.badtv.it/2018/02/rosa-michael-emerson-entra-cast/|titolo=Il nome della rosa: Michael Emerson entra nel cast|autore=Simone Novarese|sito=BadTaste.it|data=7 febbraio 2018|accesso=28 novembre 2023|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20231011062827/https://www.badtaste.it/tv/articoli/rosa-michael-emerson-entra-cast/|dataarchivio=11 ottobre 2023|urlmorto=sì}}</ref>
=== Altro ===
Dal romanzo fu tratto negli [[anni 1980|anni ottanta]] uno dei più famosi videogiochi spagnoli per la [[Standard MSX|piattaforma MSX]], ''[[La abadía del crimen]]''<ref>{{Cita web|url=http://www.abadiadelcrimen.com/paco1989.html|titolo=Intervista a Paco Menéndez|anno=1989|accesso=25 gennaio 2014|lingua=es|dataarchivio=11 gennaio 2013|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20130111222458/http://www.abadiadelcrimen.com/paco1989.html|urlmorto=sì}}</ref>, presto convertito per altri sistemi operativi come [[Amstrad]] e, negli [[anni 2000|anni duemila]], per [[Personal computer|PC]]/[[Microsoft Windows|Windows]]. Nel videogioco, il nome del personaggio principale è stato cambiato in Guglielmo di Occam.
Nel 2008 uscì una [[avventura grafica]] punta e clicca dal titolo ''[[Murder in the Abbey]]'' sviluppata dalla software house spagnola [[Alcachofa Soft]], liberamente ispirata alle vicende del libro di Eco. In questo caso il personaggio di Guglielmo da Baskerville è sostituito da un monaco di nome Leonardo da Toledo e il suo assistente Bruno si sostituisce al personaggio di Adso.
Nel 2023 Milo Manara ne ha realizzato una versione a fumetti per la Oblomov Edizioni.<ref>''Il nome della rosa’ secondo Manara: "Eco lo ha scritto, io l’ho disegnato"'', La Nazione</ref>
== Influenza culturale ==
* Un albo del [[fumetto]] [[italia]]no ''[[Zagor]]'' ha omaggiato l'opera di Eco: ''L'abbazia del mistero'' (n. 317-320), realizzato da [[Moreno Burattini]] e [[Gallieno Ferri]].
* Il romanzo è stato anche oggetto di una parodia apparsa su [[Topolino]], dal titolo ''Il nome della mimosa'', per i disegni di [[Giampiero Ubezio]].
* Il romanzo ha ispirato la canzone ''The Sign of the Cross'' del gruppo [[heavy metal]] britannico [[Iron Maiden]], presente nell'album ''[[The X Factor (album)|The X Factor]]'', pubblicato nel [[1995]]<ref>{{Cita web|url=http://digilander.libero.it/ironluca/curiosita.htm|titolo=Iron Maiden - Origine delle Canzoni|accesso=25 gennaio 2014}}<!--È preferibile sostituire con una fonte più autorevole--></ref>.
* Il romanzo ha inoltre ispirato il secondo album della band AOR/melodic metal britannica ''Ten'', appunto ''The Name of The Rose'', pubblicato nel 1996.
* Il primo album del gruppo [[visual kei]] giapponese [[D (gruppo musicale)|D]] si chiama ''[[The name of the ROSE]]'', in omaggio al libro.
* Il film ha ispirato la canzone ''Abbey Of Synn'', contenuta nell'album [[Actual Fantasy]] (1996) di [[Ayreon]], progetto [[Progressive metal|prog-metal]] del noto compositore e polistrumentista olandese [[Arjen Anthony Lucassen]].
* Dal romanzo hanno tratto ispirazione [[Bruno Faidutti]] e Serge Laget nella realizzazione del [[gioco da tavolo]] ''Il Mistero dell'Abbazia'' ("The Mystery of the Abbey"), edito nel 2003 da [[Days of Wonder]]<ref>{{cita web|lingua=en|url=http://www.daysofwonder.com/mysteryoftheabbey/en/|titolo=Mystery of the Abbey|accesso=25 gennaio 2013}}</ref>.
* Il videogioco ''[[Murder in the Abbey]]'', sviluppato dalla Alcachofa Soft e distribuito nel 2008 dalla [[DreamCatcher Interactive]] (in Italia dalla Blue Label Entertainment), è chiaramente ispirato al romanzo di Eco.
* Un albo a fumetti della serie "Le Storie", ad opera di Giovanni Di Gregorio e Christopher Possenti, edito dalla Sergio Bonelli Editore e intitolato ''Ex tenebris'', si ispira palesemente al romanzo di Eco.
* [[Fra Dolcino]] e la sua compagna [[Margherita Boninsegna]], citati da Eco in ''Il nome della rosa'' e personaggi secondari nell'omonima [[Il nome della rosa (miniserie televisiva)|miniserie]] che ne è stata tratta nel 2019, sono diventati protagonisti del romanzo storico ''Margherita dei ribelli'', scritto da [[Fabrizio Bozzetti]] ed edito da [[DeriveApprodi]], che racconta in particolare la vicenda dei due dal punto di vista della Boninsegna.<ref>{{Cita web|url=https://deriveapprodi.com/libro/margherita-dei-ribelli/|titolo=Margherita dei ribelli - DeriveApprodi|accesso=12 giugno 2025}}</ref>
== Edizioni ==
* {{Cita libro|titolo= Il nome della rosa|
* {{Cita libro|titolo= Il nome della rosa|
* {{Cita libro|titolo= Il nome della rosa|altri= Introduzione e note a cura di Costantino Marmo|collana= Collana Letture|editore= Bompiani per le scuole superiori|città= Milano|anno= 1987|ISBN= 978-88-450-3418-3}}
* {{Cita libro|altri=
* {{Cita libro|altri= prima edizione riveduta e corretta|titolo= Il nome della rosa|edizione= Collana Narratori italiani|editore= Bompiani|città= Milano|anno= 2012|ISBN= 978-88-452-6817-5}} - Collana I grandi tascabili, Bompiani, 2013, ISBN 978-88-452-7348-3; Collana Classici Contemporanei, Bompiani, 2014.
* {{Cita libro|titolo= Il nome della rosa|altri= edizione con i disegni e gli appunti dell’autore, nota critica di [[Mario Andreose]]|edizione= Collana Oceani n.93|editore= La nave di Teseo|città= Milano|mese= maggio|anno= 2020; XIII ed., giugno 2025|ISBN= 978-88-346-0300-0}}
== Note ==
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== Bibliografia ==
* {{Cita libro|autore=Bruno Pischedda|titolo=Come leggere Il nome della rosa di Umberto Eco|editore=
* {{Cita libro
* {{Cita libro|autore=[[Roberto Cotroneo]]|titolo=Umberto Eco, due o tre cose che so di lui|editore=
* Michele Castelnovi, ''La mappa della biblioteca: geografia reale ed immaginaria secondo Umberto Eco'', in ''Miscellanea di Storia delle esplorazioni'' n. LX, Genova, 2015, pp. 195–253.
* Giletta Giovanni, "Cento petali e una rosa. Semiosi di un romanzo storico", Benevento, ed. Natan,
== Voci correlate ==
* [[Elenco dei libri più venduti]]
* [[Giallo storico]]
* [[I 100 libri del secolo di le Monde]]
* [[I migliori cento romanzi gialli di tutti i tempi]]
* [[Il nome della rosa (film)]]
* ''[[Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus]]''
== Altri progetti ==
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== Collegamenti esterni ==
* {{Collegamenti esterni}}
* {{Cita web|url = http://www.elapsus.it/2014/12/eco-il-nome-della-rosa.html|titolo = ''Audiolettura de'' Il nome della rosa|data = 3 dicembre 2014}}
* [http://www.radio3.rai.it/dl/portaleRadio/Programmi/Page-9fe19bce-1c27-4b63-b41e-2d7581d21374.html?set=ContentSet-9db95e4d-ff0d-45d5-9784-f40b8fbbab35&type=A, "
{{Umberto Eco}}{{Disputa sulla povertà apostolica}}
{{Controllo di autorità}}
{{Portale|giallo|Letteratura}}
[[Categoria:Letteratura postmoderna]]
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