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[[Utente:Salvatore Talia/Sandbox2/Questione adriatica]]
'''Bandiera Rossa''', nota anche come '''Movimento Comunista d'Italia''', fu un partito politico nonché una [[brigata partigiana]] rivoluzionaria che operò durante la [[Resistenza italiana|Resistenza]] nella zona di [[Roma]]. Fu la più grande forza partigiana nella Roma occupata, con una base di circa tremila militanti<ref>{{cita|Broder 2017b|p. 18}}.</ref>, in massima parte dislocati nelle borgate della capitale<ref>{{cita|Broder 2017b|p. 105 e ''passim''}}.</ref>.
[[File:Partigiani bandiera rossa liberazione.JPG|miniatura|Partigiani di Bandiera Rossa festeggiano la liberazione di Roma nel giugno 1944; si nota la fascia al braccio con falce e martello, di colore rosso.]]
 
[[Utente:Demiurgo/Storia giudiziaria dell'attentato di via Rasella]]
==Storia==
===Le origini===
Fra il 1935 e il 1941 fu attivo a Roma un piccolo gruppo di antifascisti di idee comuniste: fra i suoi componenti vi erano [[Raffaele De Luca]] (anziano avvocato di origine calabrese, ex anarchico, era stato nel 1921 amministratore comunale [[Partito Socialista Italiano|socialista]] del comune di [[Paola (Italia)|Paola]]<ref name="broder51">{{cita|Broder 2017b|p. 51}}.</ref>), [[Francesco Cretara]], [[Orfeo Mucci]], Pietro Battara, [[Ezio Villani]], [[Libero Vallieri]], [[Agostino Raponi]] e [[Aladino Govoni]]. In questo periodo la sola attività del gruppo consisteva nell'incontrarsi, discutere di politica, scambiarsi libri, ascoltare le radio estere e leggere vecchie copie di periodici di sinistra anteriori all'avvento del regime fascista oppure ''[[L'Osservatore Romano]]''<ref name="corvisieri1819">{{cita|Corvisieri 2005|pp. 18-19}}.</ref> (in quel periodo il solo quotidiano stampato legalmente in Italia non soggetto alla censura del regime). L'unica donna del gruppo era Anna-Maria Enriques, di orientamento cristiano-sociale, che era stata licenziata nel 1938 dal suo impiego pubblico perché di origine ebraica<ref>{{cita|Broder 2017b|pp. 51-2}}.</ref>.
 
{{Vedi anche|Brigate Osoppo|Eccidio di Porzûs|Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia|Invasione della Jugoslavia|IX Korpus|Resistenza jugoslava|Zona d'operazioni del Litorale adriatico}}
Progressivamente l'influenza di questo gruppo si estese, fino a creare cellule in alcune aziende e in alcune borgate. A questo punto si decise di creare un'organizzazione vera e propria, denominata ''Scintilla'' e dotata di un organo di stampa con lo stesso nome (ispirato alla ''[[Iskra]]'' di [[Lenin]]). L'ambizione del gruppo era quella di ricostituire a Roma il [[Partito Comunista Italiano]]. Gli uomini di ''Scintilla'' avevano contatti con un altro gruppo comunista (di cui facevano parte, fra gli altri, [[Mario Alicata]], [[Pietro Ingrao]], [[Aldo Natoli]], [[Lucio Lombardo Radice]]), ma ignoravano che questo gruppo aveva già ottenuto il riconoscimento ufficiale da parte del centro estero del PCI<ref name="corvisieri1819"/>. Fra i motivi della mancata unificazione di questi due gruppi si possono annoverare alcune divergenze politiche (un opuscolo pubblicato prima della fine del '42 mostra che ''Scintilla'' non era pienamente allineata con la teoria staliniana del "[[socialismo in un solo paese]]") e una certa disomogeneità di composizione sociale (gli esponenti di ''Scintilla'' erano perlopiù di estrazione sociale operaia o artigiana, mentre il gruppo di Alicata e Ingrao era composto da studenti universitari benestanti)<ref>{{cita|Corvisieri 2005|p. 21}}.</ref>.
 
===Contesto storico===
Un altro fattore che impedì l'unificazione fu costituito dalle reciproche diffidenze personali: gli esponenti di ''Scintilla'' diffidavano degli studenti (come Alicata e Ingrao) che operavano clandestinamente all'interno delle organizzazioni universitarie fasciste; a loro volta gli esponenti del PCI romano diffidavano di chi, ai loro occhi, sembrava muovere da posizioni di tipo [[Lev Trockij|trotschista]]. Secondo lo storico [[Silverio Corvisieri]], tali diffidenze sarebbero state superate sul piano personale (mentre restarono tesi i rapporti politici) allorché, dopo le retate del dicembre 1942, quasi tutto il gruppo dirigente di ''Scintilla'' e molti esponenti del PCI romano si ritrovarono insieme in carcere<ref>{{cita|Corvisieri 2005|pp. 21-2}}.</ref>. Invece, secondo lo storico inglese David Broder, l'ondata di arresti del dicembre 1942 non avrebbe fatto altro che acuire i sospetti reciproci fra PCI e ''Scintilla''<ref>{{cita|Broder 2017a|p. 71}}.</ref>.
Nell'aprile 1941 l'Italia fascista partecipò all'[[invasione della Jugoslavia]] e si annetté parte del suo territorio, fra cui la parte sud-occidentale della [[Slovenia]] in cui venne istituita la [[provincia di Lubiana]]. Le forze armate italiane per oltre due anni presero parte in modo attivo (con brutalità crescente e con il sistematico ricorso a crimini di guerra contro la popolazione civile<ref>{{Cita|Vercelli 2020|pp. 89; 91}}.</ref>), insieme alla [[Wehrmacht]] e a vari reparti collaborazionisti, all'azione di controllo del territorio e di repressione contro ogni opposizione al dominio dell'[[Potenze dell'Asse|Asse]] e degli Stati satelliti [[Stato Indipendente di Croazia|croato]] e [[Serbia (1941-1944)|serbo]]. Contro l'occupazione sorse e si rafforzò un movimento di resistenza, all'inizio politicamente composito ma che - al momento del tracollo del Regio esercito, con l'armistizio dell'8 settembre 1943, e più ancora in seguito - era egemonizzato dai [[Lega dei Comunisti di Jugoslavia|comunisti]].
 
Dopo l'armistizio gli occupanti tedeschi crearono la [[Zona d'operazioni del Litorale adriatico]], un territorio annesso ''de facto'' alla [[Germania nazista]] e comprendente le [[province italiane]] di [[Udine]], [[Gorizia]], [[Trieste]], [[Pola]], [[Fiume (Croazia)|Fiume]], e [[Lubiana]], territorio sul quale la sovranità della [[Repubblica Sociale Italiana]] (RSI) fu puramente nominale, divenendo teatro di un'intensa repressione antipartigiana coordinata dal locale capo delle [[SS]] [[Odilo Globočnik]].
Del periodico ''Scintilla'' uscirono, a quanto pare, due numeri, uno a giugno e uno a ottobre del 1942, entrambi scritti a mano e ciclostilati<ref>{{cita|Broder 2017b|p. 55 n.}}</ref>. Nel 1942 esso fu l'unica pubblicazione di orientamento comunista ad apparire a Roma<ref name="broder51"/>.
 
Già da prima della guerra i comunisti italiani e jugoslavi avevano propugnato il diritto all'[[Autodeterminazione dei popoli|autodecisione]], fino anche al distacco dallo Stato italiano, delle popolazioni di lingua slovena e croata presenti nel territorio italiano (sottoposte, durante il fascismo, a una dura politica di [[Italianizzazione (fascismo)|snazionalizzazione]]<ref>{{Cita|Vercelli 2020|pp. 69-70}}.</ref>). Dal 1942 i partigiani jugoslavi inserirono nel loro programma la revisione dei confini con l'Italia e l'annessione di Trieste, della [[Venezia Giulia]] e dell'[[Istria]]<ref>{{Cita|Vercelli 2020|p. 93}}.</ref>. Nei giorni immediatamente successivi all'annuncio dell'armistizio, le strutture direttive dei movimenti di liberazione sloveni e croati promulgarono due distinte dichiarazioni, con le quali proclamarono annesse alla Jugoslavia l'Istria (suddivisa fra [[Slovenia]] e [[Croazia]]) e la Venezia Giulia (alla Slovenia). Le dichiarazioni furono confermate il 30 novembre 1943 a [[Jajce]] dal massimo organo federale, la Presidenza del Consiglio Antifascista di Liberazione popolare della Jugoslavia ([[AVNOJ]]). L'obiettivo dei partigiani jugoslavi era triplice: liberare le zone occupate dagli eserciti dell'Asse, creare una serie di fatti compiuti per sostanziare le proprie rivendicazioni territoriali eliminando ancora nel corso delle operazioni belliche ogni opposizione&nbsp;– reale o potenziale&nbsp;– a tale disegno e procedere nel contempo a una [[rivoluzione sociale]] di tipo [[marxismo|marxista]].
===Genesi e struttura===
====Fondazione====
Il MCd'I fu fondato dopo la caduta del fascismo, nella seconda metà di agosto del 1943, partendo dal gruppo di ''Scintilla'' cui si erano aggregati dapprima piccoli nuclei di socialisti e di comunisti, ed al quale in seguito si aggregò un gruppo più consistente, organizzato dal vecchio militante comunista [[Antonino Poce]] nel popolare rione di Ponte<ref>{{cita|Corvisieri 2005|p. 44}}.</ref>.
 
Nella [[Slavia friulana]] (denominata all'epoca "Slavia veneta") operarono contemporaneamente tre tipologie di formazioni partigiane: gli sloveni del [[IX Korpus]], fortemente organizzati e inseriti all'interno dell'[[Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia]], alcune [[Brigate Garibaldi]], fra le quali in particolare quelle inserite nella [[Divisione Garibaldi "Natisone"]], costituita prevalentemente da militanti [[comunismo|comunisti]], e le [[Brigate Osoppo]]-Friuli, con componenti d'ispirazione monarchica, azionista, socialista, laica e cattolica.
Poce (che era stato espulso dal PCI nel 1928, mentre si trovava al confino a [[Ponza]], per essersi rifiutato di condividere la condanna ufficiale pronunciata dal partito contro [[Amadeo Bordiga]] e contro [[Trockij]]) cercò, dopo il luglio 1943, di rientrare nel PCI, ma venne respinto; si aggregò allora al costituendo MCd'I<ref>{{cita|Corvisieri 2005|pp. 44-5}}.</ref>.
 
===Il ruolo della Decima===
Altri gruppi che confluirono con ''Scintilla'' furono quello capeggiato da [[Salvatore Riso]] (attivo nelle zone sud e est della capitale); quello organizzato da Ezio Lombardi (anch'egli, come Poce, ex membro del PCI); e quello del giornalista [[Ezio Malatesta]] (un antifascista che aveva contatti con [[Carlo Andreoni]] e con i socialisti di sinistra), gruppo che agiva nella zona nord di Roma e nel [[Lazio]] e che pervenne al MCd'I per il tramite del giovane socialista [[Filiberto Sbardella]]. Il costituendo MCd'I poté avvalersi poi dell'apporto di consistenti cellule di comunisti attive in alcuni settori del pubblico impiego, fra i lavoratori delle poste, dell'Istituto centrale di statistica, dei Vigili del fuoco, della radio e dell'Anagrafe<ref>{{cita|Corvisieri 2005|pp. 45-6}}.</ref>.
Già nella primavera del 1944 il comando della Divisione Decima aveva preso la decisione di impiegarla nella [[Venezia Giulia]], ma solo durante un consiglio di guerra con tutti gli ufficiali della Flottiglia tenutosi il 12 ottobre 1944 fu stabilito un ordine d'operazione ove, nell'affrontare la questione del prossimo crollo militare delle [[Potenze dell'Asse]], si prevedeva fra l'altro che «l'italianità [...] di Trieste, Pola, Fiume, Zara» sarebbe stata certamente «messa in discussione» e pertanto si decideva che la Divisione Decima sarebbe stata inviata in Venezia Giulia, «dove si terrà pronta, in caso di crollo militare e conseguente ritirata delle forze germaniche, a difendere quelle popolazioni e quelle terre italiane contro gli slavi di [[Josip Broz Tito|Tito]]»; si stabiliva inoltre che all'arrivo «degli anglo-americani, gli uomini della Decima deporranno le armi essendo assurdo combattere da soli contro nemici di fronte e nemici alle spalle»<ref>Citato in {{Cita|Capra Casadio 2023|pp. 324-5}}.</ref>.
 
Nell'ottobre-novembre 1944 la Decima iniziò a trasferirsi dal Piemonte, concentrandosi inizialmente nel Veneto orientale: i battaglioni "Valanga" e "Fulmine", con l'appoggio di reparti tedeschi, vennero subito utilizzati in operazioni antipartigiane particolarmente in [[Carnia]], dove operavano le brigate "[[Brigate Osoppo|Osoppo]]" e "Garibaldi"<ref>{{Cita|Capra Casadio 2023|p. 325}}.</ref>. Il 18 dicembre 1944 la Divisione Decima (tranne i battaglioni "Lupo", "Valanga" e "Colleoni" rimasti in Veneto) si sistemò a [[Gorizia]] e dintorni, con il consenso dei comandi tedeschi ottenuto (dopo varie insistenze) dal generale Wolff e con l'obiettivo di contrastare l'imminente offensiva del [[IX Korpus]] jugoslavo<ref>{{Cita|Capra Casadio 2023|p. 335-6}}.</ref>.
Del costituendo MCd'I entrò anche a far parte l'intellettuale ex fascista [[Felice Chilanti]], che aveva fatto parte nel 1941 di un gruppo di fascisti movimentisti ed era stato arrestato e mandato al [[confino]] a [[Isola di Lipari|Lipari]] per il suo coinvolgimento in un complotto per uccidere [[Galeazzo Ciano]]. Al ritorno da Lipari (dove aveva tentato senza successo di entrare nel PCI), Chilanti si avvicinò al gruppo di Bandiera Rossa e, date le sue competenze giornalistiche, divenne uno dei principali redattori del giornale omonimo<ref>{{cita|Broder 2017b|pp. 69-70}}.</ref>.
 
In seguito le autorità tedesche pretesero da Mussolini il ritiro dei reparti della Decima dalla Venezia Giulia, dove si erano verificati scontri anche sanguinosi con i collaborazionisti iugoslavi<ref>Pier Arrigo Carnier, ''Lo sterminio mancato'', Mursia, p. 113.</ref> e con lo stesso gauleiter Rainer. Rimasero solo alcune unità minori che presidiavano le isole del [[Quarnaro]] e [[Trieste]].<ref>Nino Arena, ''Storia delle Forze Armate della RSI'', vol. 3.</ref>
La riunione fondativa si tenne nella seconda metà di agosto del 1944<ref>{{cita|Corvisieri 2005|p. 51}}.</ref>.
 
In Istria perciò rimasero solo alcune centinaia di uomini della Decima dislocati in vari presidi a fianco dei reparti tedeschi, perlopiù catturati dai titini durante l'occupazione della [[Venezia Giulia]] insieme ai tedeschi e altri soldati della RSI e massacrati nelle tristemente note [[foiba|foibe]] o deportati nei campi di prigionia iugoslavi.
====Organizzazione====
Dopo l'occupazione tedesca di Roma, più precisamente nei primi giorni di ottobre, fu messo alla testa del movimento un comitato esecutivo composto da sedici membri: Aladino Govoni, [[Matteo Matteotti]], Giuseppe Palmidoro, Raffaele De Luca, Salvatore Riso, Filiberto Sbardella, Franco Bucciano, Ezio Lombardi, Francesco Cretara, Gabriele Pappalardo, Franco Bicktler, Roberto Guzzo, Ezio Malatesta, Carlo Merli, Rolando Paolorossi e Gino Rossi. Nei mesi successivi sette di questi furono fucilati dai tedeschi e uno (Paolorossi) deportato in Germania; essi furono in parte sostituiti da Antonio Poce, Pietro Battara, Riccardo Cecchelin, Orfeo Mucci e Gino Paris<ref>{{cita|Corvisieri 2005|pp. 51-2}}.</ref>.
 
Altri morirono a fianco degli ultimi nuclei di resistenza tedeschi nei combattimenti che divampavano contemporaneamente all'avanzata dei titini verso il Friuli e la Venezia Giulia. Essi, insieme a questi resti dell'esercito tedesco, dovevano resistere per coprire la ritirata del grosso delle truppe tedesche acquartierate nell'Istria e nella Slovenia verso l'Austria. Il caos tra i tedeschi, privi di ordini univoci e indecisi se tentare di resistere o ritirarsi, trascinò anche i reparti repubblicani, e fra questi ovviamente quelli della Decima.
[[File:Mucci Poce Cretara.jpg|miniatura|destra|Da sinistra: Orfeo Mucci, Antonino Poce, Francesco Cretara]]
 
Gli ultimi focolai di resistenza che persistettero fino agli inizi di maggio vennero tutti schiacciati dai titini, combattendo o, più spesso, promettendo salva la vita in caso di resa. Tra questi ultimi combattimenti, degno di nota è quello di [[Pola]]. Qui, dopo la firma della resa delle ultime truppe tedesche affiancate da alcuni reparti della Xª MAS decimati dalla battaglia contro le forze iugoslave l'8 maggio [[1945]], l'ammiraglio tedesco che aveva firmato la capitolazione venne subito dopo fucilato insieme ad un gruppo di ufficiali e a una decina di ufficiali della Decima<ref>{{cita libro | autore = Fulvio Molinari | titolo = Istria contesa. La guerra, le foibe, l'esodo | editore = Mursia | città = Milano | anno = 1996 | ISBN = 9788842555445 | pp = 65-66}}</ref>.
Il movimento si dotò di due comandi militari:
* il comando delle "bande esterne", da cui dipendevano vari gruppi partigiani nel Lazio, in Umbria e nel sud della Toscana, formati da comunisti e/o soldati del [[Regio Esercito]] sbandatisi dopo l'[[8 settembre 1943]]; questo comando fu retto da Ezio Malatesta e Filiberto Sbardella;
* il comando delle "bande interne" che operavano nella città di Roma, retto da Aladino Govoni e Antonio Poce. Roma fu a sua volta suddivisa in sei zone, ciascuna delle quali aveva un proprio comando, i cui comandanti si riunivano nel comitato cittadino<ref>{{cita|Corvisieri 2005|p. 52}}.</ref>.
 
Poco prima che l'Istria venisse occupata dagli iugoslavi, Borghese cercò un'improbabile alleanza con gli Alleati per fronteggiare l'esercito di [[Josip Broz Tito|Tito]], che stava rapidamente avanzando: in quei tempi, era viva in molti [[gerarca|gerarchi]] nazisti e fascisti la speranza di arrivare a un armistizio con gli alleati occidentali per poter continuare la guerra contro l'[[Unione Sovietica]] e il [[bolscevismo]] in generale.<ref>Aga Rossi, Bradley Smith. ''Operazione Sunrise'', Mondadori; Pier Arrigo Carnier, ''Lo sterminio mancato'', Mursia.</ref>
Furono inoltre costituiti:
* un comitato per la stampa e la propaganda, che si occupava fra l'altro di redigere e stampare ''Bandiera Rossa'', il periodico del movimento; i membri più attivi furono Francesco Cretara e [[Felice Chilanti]];
* un comitato assistenza e finanziamento il cui direttore era Gabriele Pappalardo;
* un comitato "servizi tecnici", che produceva documenti falsi non solo a favore del MCd'I ma anche degli altri gruppi partigiani;
* varie "bande speciali", che operavano clandestinamente fra dipendenti dell'Anagrafe, postelegrafonici, vigili del fuoco, ferrovieri e altri pubblici impiegati, direttamente collegate all'Esecutivo<ref>{{cita|Corvisieri 2005|pp. 52-3}}.</ref>.
 
Analogamente, fra il settembre ed il dicembre del 1944 furono presi stretti contatti con la [[Brigate Osoppo|brigata partigiana Osoppo]], al fine di costituire un corpo misto che potesse organizzare una difesa comune di quel fronte, ma il comando inglese a cui faceva riferimento la Osoppo, seppur con qualche tentennamento, rifiutò l'offerta. Poco tempo dopo a [[Eccidio di Porzûs|Porzûs]] tutti i principali esponenti della brigata partigiana furono uccisi in quanto accusati di tradimento e di aver dato ospitalità ad Elda Turchetti, denunciata come spia da [[Radio Londra]] su segnalazione di agenti inglesi, e il tentativo di collaborazione non ebbe séguito.
Lo storico Silverio Corvisieri osserva criticamente che «non si andò tanto per il sottile nell'accettare le adesioni. Poterono così infiltrarsi nel movimento - come del resto in tutti gli altri partiti - vere e proprie spie fasciste, alcuni avventurieri ed anche elementi equivoci. Si trattò evidentemente di un'infima minoranza che però poté fare molti danni al M.C.d'I. sia attraverso le delazioni ai nazisti e sia con azioni che furono utilizzate dagli avversari del movimento per screditarlo». Corvisieri aggiunge tuttavia che «il grosso [...] era costituito da autentici comunisti, da operai, artigiani, popolani ardenti e disposti a qualsiasi sacrificio»<ref>{{cita|Corvisieri 2005|p. 53}}.</ref>.
 
Negli ultimi mesi del conflitto, per difendere l'italianità dell'Istria, Borghese avviò contatti con la Regia Marina al sud ([[ammiraglio]] [[Raffaele de Courten|De Courten]]) per favorire uno sbarco italo-alleato in Istria e salvare le terre orientali dall'avanzata delle forze iugoslave<ref>{{Cita|Greene e Massignani 2008|pag. 180}}: "La graduale avanzata dei comunisti di Tito in Istria spiega perché, a un certo punto, Borghese fece delle aperture agli Alleati, in particolare alla marina italiana del Sud.".</ref>. Lo sbarco studiato dalla marina italiana del Sud si sarebbe avvalso dell'appoggio delle formazioni fasciste e della Decima, con o senza l'intervento Alleato<ref>{{Cita|Greene e Massignani 2008|pagg. 182-183}}: "Il SIS, guidato dal capitano di vascello Agostino Calosi, aveva ricevuto istruzioni precise dall'ammiraglio De Courten, divenuto capo di stato maggiore della marina. L'idea era quella di sbarcare in Istria senza avvalersi dell'aiuto degli Alleati, in modo da non turbare i rapporti con Tito".</ref>. Gli inglesi fecero fallire questo piano<ref>{{Cita|Greene e Massignani 2008|pag. 180}}: "In ogni caso, gli Alleati respinsero queste avance, forse con una certa avventatezza"".</ref>, non volendosi inimicare [[Stalin]] dopo l'accordo di Yalta<ref>Sergio Nesi, Junio Valerio Borghese. Un principe, un comandante, un italiano, pag. 403, Lo Scarabeo, Bologna, 2004 "Roosevelt e Eisenhower non volevano rompere assolutamente con "l'amico Stalin" di cui avevano massima stima e inoltre non si potevano buttare all'aria gli accordi di Yalta".</ref> e favorendo così l'avanzata degli iugoslavi, che ebbero peraltro anche l'attivo sostegno della [[Royal Navy]] britannica.
Il MCd'I svolse gran parte della sua opera di orientamento politico attraverso il suo giornale clandestino, ''Bandiera Rossa'', che ebbe una notevole diffusione; lo stesso movimento divenne principalmente noto col nome del giornale. Secondo Felice Chilanti un numero del giornale raggiunse la tiratura di 12.000 copie; una relazione dello stesso Chilanti, datata 12 aprile 1944, menziona un accordo con un tipografo per stampare 5.000 copie a numero del periodico. Il giornale era redatto principalmente da Chilanti e Cretara. Il primo numero uscì il 5 ottobre 1943; ne furono pubblicati sette numeri fino a quello del 27 dicembre 1943, ma dopo tale data, e fino alla liberazione di Roma nel giugno 1944, riapparve solo con tre o quattro numeri, a causa di difficoltà finanziarie e perché la tipografia clandestina era stata scoperta dai nazifascisti. Nella succitata relazione Chilanti lamenta anche un probabile «sabotaggio» da parte del PCI, che avrebbe fatto pressione su stampatori e tipografi per ostacolare l'uscita del periodico. Nei primi mesi del 1944 l'assenza del giornale fu parzialmente surrogata con l'uscita di un bollettino in formato ridotto, denominato ''DR''<ref>{{cita|Corvisieri 2005|pp. 68; 183-4}}. In Corvisieri, come nella maggior parte delle fonti, il nome del bollettino è citato come ''Direttive Rivoluzionarie'', tuttavia la denominazione esatta è ''Disposizioni Rivoluzionarie'': cfr. {{cita|Broder 2017b|p. 162}}.</ref> (disposizioni rivoluzionarie).
 
=== Comportamento in guerra ===
Il movimento si dotò anche di un'organizzazione giovanile, denominata COBA (in onore al nomignolo a suo tempo assunto dal giovane [[Stalin]]); in essa militavano molte staffette di età compresa fra sette e quattordici anni (fra cui molte ragazzine), con il compito di trasportare cibo, armi e documentazione propagandistica attraverso la Roma occupata, senza destare sospetti nei tedeschi. Lo statuto della COBA fu redatto dallo scrittore [[Guido Piovene]]<ref>{{cita|Broder 2017b|pp. 112-3}}.</ref>. In tale organizzazione militò anche Gloria Chilanti, figlia adolescente di Felice, che nel dopoguerra pubblicò un diario della sua esperienza partigiana<ref>{{cita|Chilanti 1998|}}.</ref>.
{{c|Metà della sezione è basato sulle affermazioni di un ex-membro della X° Mas e sulla sua memorialistica, non testi storici. Con in aggiunta riferimenti a faldoni non meglio precisati dell'OSS|Guerra|agosto 2020}}
[[File:Battaglione lupo 1944.jpg|thumb|left|Le mascotte del Battaglione Barbarigo.]]
 
Alleatosi coi tedeschi, il corpo si dedicò all'organizzazione militare al fine di recarsi al fronte a combattere gli anglo-americani. Il 3 marzo [[1944]]<ref>Andrea Lombardi, Il comandante Bardelli, Effepi edizioni, Genova, 2005, pag. 24.</ref><ref>Carlo Cocut, Forze armate della R.S.I. sulla Linea Gotica, Marvia edizioni, Milano, 2011, pag. 255.</ref> il battaglione "Barbarigo" (il primo reparto di [[fanteria]] della marina, guidato da Bardelli) entrò in linea nei pressi di [[Anzio]] e [[Nettuno (Italia)|Nettuno]], dove venne impiegato contro gli [[Alleati della seconda guerra mondiale|Alleati]] durante lo [[sbarco di Anzio]],<ref>{{Cita libro|autore = Paolo Senise|titolo = Lo sbarco ad Anzio e Nettuno - 22 gennaio 1944|anno = 1994|editore = Mursia|città = Milano|p = 72|ISBN = 978-88-4251-621-7|citazione = I giornali fascisti che si stampavano a Roma riportavano le cronache di guerra dal fronte di Nettuno}}</ref><ref>{{Cita libro|autore = Carlo Chevallard|titolo = Diario 1942-1945: cronache del tempo di guerra|anno = 2005|editore = BLU Edizioni|città = |p = 252|curatore = Riccardo Marchis|citazione = La nostra radio ha parlato ieri di un'offensiva sul fronte di Nettuno.}}</ref><ref>{{Cita libro|autore = Giuseppe Rocco|titolo = L'organizzazione militare della RSI sul finire della Seconda guerra mondiale|anno = 1998|editore = GRECO & GRECO Editori|città = |p = 46}}</ref> alle dipendenze, però, della 175ª divisione tedesca.
Benché, sin dal primo numero del suo periodico, Bandiera Rossa si autoproclamasse come un movimento regolarmente disciplinato, in realtà l'organizzazione non fu mai molto rigida e fu basata più che altro su piccoli gruppi tenuti insieme dal prestigio e dall'iniziativa dei leader locali. Di fatto il solo elemento efficacemente centralizzato del MCd'I fu la sua stampa<ref>{{cita|Broder 2017b|p. 116}}.</ref>.
 
Le truppe coinvolte nelle operazioni di "grande polizia" o controguerriglia contro le forze partigiane italiane sono state oggetto di numerose critiche. La Xª MAS fu attiva in operazioni di grande polizia nel [[Monferrato]], nelle [[Langhe]], nel [[Canavese]], in [[Carnia]], in [[Val di Susa]] e in [[Val d'Ossola]]. Gli uomini della Decima si macchiarono di crimini di guerra, come torture, rappresaglie, fucilazioni sommarie.
A partire dal novembre 1943 il movimento istituì una scuola di marxismo clandestina per i suoi militanti, la cosiddetta "Grotta rossa", dotata anche di una sua biblioteca, politicamente eclettica, che comprendeva, fra gli altri, testi di [[Bucharin]] e [[Evgenij Alekseevič Preobraženskij|Preobraženskij]], Lenin, [[Enrico Malatesta]], [[Marx]], [[Robert Michels]] e Trockij. Questa varietà di testi è di per sé un indice dell'estraneità del MCd'I alla ortodossia stalinista<ref name="broder131">{{cita|Broder 2017b|p. 131}}.</ref>.
 
Alcuni appartenenti alla Decima Mas si distinsero anche in azioni di [[saccheggio]] e furto a danno della popolazione civile, perseverando nell'abuso della loro autorità tanto da far preoccupare le autorità legittime e non militari:
===Lotta partigiana e prime polemiche con il PCI===
====Contesto storico====
{{vedi anche|Mancata difesa di Roma|Resistenza romana}}
Subito dopo l'[[8 settembre 1943]] i tedeschi occuparono rapidamente Roma e vi stabilirono un duro regime poliziesco, caratterizzato da un «atteggiamento aggressivo e persecutorio» verso la cittadinanza, acuito dalla «pressoché totale mancanza di solidarietà e collaborazione da parte dei romani» nei confronti degli occupanti<ref>{{cita|Ranzato 2000|p. 419}}.</ref>. I principali partiti antifascisti costituirono il [[Comitato di liberazione nazionale]], composto da [[Partito Comunista Italiano]] (PCI), [[Partito Socialista Italiano|Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria]] (PSIUP), [[Partito d'Azione]] (PdA), [[Democrazia Cristiana]] (DC), [[Partito Liberale Italiano]] (PLI) e [[Democrazia del Lavoro]] (DL); il CLN si dotò in ottobre di una giunta militare con il compito di dirigere la resistenza sul piano cittadino<ref>{{cita|Ranzato 2000|p. 415}}.</ref>. Al di fuori del CLN operarono il [[Fronte militare clandestino]] (in diretta rappresentanza del [[Governo Badoglio I|governo Badoglio]])<ref>{{cita|Ranzato 2000|p. 418}}.</ref>, alcune piccole formazioni politiche come i [[Sinistra Cristiana|cattolici comunisti]] di [[Franco Rodano]] e, numericamente più importante, il MCd'I<ref>{{cita|Ranzato 2000|pp. 417-8}}.</ref>. L'intera resistenza romana non ebbe, nel complesso, dimensioni pari a quella che si sviluppò nelle città del Nord Italia: in tutta Roma e provincia furono riconosciuti alla fine della guerra circa 6200 partigiani combattenti<ref>{{cita|Ranzato 2000|pp. 412}}.</ref>.
 
{{Citazione|Continuano con costante preoccupazione le azioni illegali commesse dagli appartenenti alla Xª Mas. Furti, rapine, provocazioni gravi, fermi, perquisizioni, contegni scorretti in pubblico, rappresentano quasi la caratteristica speciale di questi militari. Anche il 12 novembre 1944, tra l'altro, verso le ore 20 quattro di essi si sono presentati in un magazzino di stoffe: dopo aver immobilizzato il custode ne hanno asportato quattro colli per un ingente valore [...]. La cittadinanza, oltre ad essere allarmata per queste continue vessazioni, si domanda come costoro, che dovrebbero essere sottoposti ad una rigida disciplina militare, possano agire impunemente e senza alcuna possibilità di punizione [...]. Sarebbe consigliabile pertanto, che tutto il reparto, comando compreso, sia fatto allontanare da Milano.|Appunto per il Duce di Mario Bassi, prefetto di Milano<ref name=anpi>[http://anpi-lissone.over-blog.com/40-categorie-10127204.html ''Le "imprese" della Decima MAS - Una carriera di furti e rapine''] {{webarchive|url=https://web.archive.org/web/20121212232501/http://anpi-lissone.over-blog.com/40-categorie-10127204.html |data=12 dicembre 2012 }}, dal sito dell'[[Associazione Nazionale Partigiani d'Italia|ANPI]].</ref>}}
====La lotta partigiana da settembre a dicembre 1943====
[[File:Tessera bandiera rossa.jpg|miniatura|sinistra|Tessera del Movimento Comunista d'Italia]]
Nonostante nel dopoguerra alcuni ex dirigenti abbiano dichiarato il contrario, non vi è traccia di attività armata del gruppo prima dell'[[8 settembre 1943]]; solo a partire da tale data lo sbandamento del [[Regio Esercito]] permise a Bandiera Rossa di raccogliere a sé alcuni ex soldati e di acquisire un certo numero di armi<ref>{{cita|Broder 2017b|p. 97}}.</ref>. Molti esponenti del MCd'I (secondo Corvisieri alcune centinaia) parteciparono agli [[Mancata difesa di Roma|scontri con le truppe di occupazione tedesche]] che si svolsero a Roma fra l'8 e il 10 settembre; fra di essi Aladino Govoni e il sedicenne [[Antonio Calvani]], caduto<ref>{{cita|Corvisieri 2005|p. 37}}.</ref>.
 
[[Sergio Nesi]], ex ufficiale della Xª Mas, sottolinea il comportamento intrepido di Borghese e della Decima di fronte al nemico (in particolare nelle battaglie sul ''fronte di Nettuno'', sulla Linea Verde, durante l'operazione Aquila e nella [[battaglia di Tarnova]])<ref>Sergio Nesi, ''Decima flottiglia nostra...'', Edizioni Mursia, Milano, 1986, pag. 303.</ref> e asserisce che le diserzioni sarebbero state sensibilmente inferiori a quelle registrate in altre forze armate e reparti della RSI.<ref>cfr. infra.</ref> Molte azioni di furto e saccheggio sarebbero, secondo lui, da attribuirsi alle bande di criminali comuni che infestavano il territorio, mascherati dietro uniformi della Decima che sarebbero riusciti ad ottenere durante lo sbandamento dell'8 settembre 1943. Sempre secondo Nesi, operazioni dello stesso genere - a scopo di propaganda antifascista - sarebbero state condotte, sempre con uniformi della Decima in qualche modo trafugate, da nuclei partigiani della Liguria e del Cuneense<ref>Cfr, National Archives and Recording administration, RG226 Records of OSS, faldoni vari; Sergio Nesi, ''Junio Valerio Borghese'', Lo Scarabeo, Bologna.</ref>.
Negli ultimi mesi del 1943 si stabilizzò una suddivisione geografica di fatto fra la zona di operazioni partigiane del MCd'I (localizzata prevalentemente in periferia e nelle borgate, dove Bandiera Rossa tentò di creare un'organizzazione di massa) e quella del PCI (localizzata nel centro della città, dove, nella più stretta clandestinità, operavano i GAP). Vi furono comunque alcune sovrapposizioni e alcuni casi di doppia militanza: ad esempio [[Umberto Scattoni]], fino al suo arresto nel gennaio 1944, era membro di entrambe le organizzazioni<ref>{{cita|Broder 2017b|p. 115}}.</ref>.
 
Nesi sostiene poi che taluni rapporti di polizia, ingigantiti ed esagerati, proverrebbero da uffici e comandi repubblicani ostili alla Decima, allo scopo non di riparare i numerosi torti subiti dai civili, ma di metterla in cattiva luce presso gli alti comandi e Mussolini nell'ambito delle feroci lotte per il potere che caratterizzarono la Repubblica Sociale.<ref>Sergio Nesi, ''ibidem''.</ref>
Secondo David Broder, si può scorgere una difformità fra l'intransigenza politica professata dal MCd'I e la collaborazione che di fatto intercorse fra i partigiani di Bandiera Rossa e quelli di altre formazioni, anche politicamente lontane: non solo con membri isolati del PCI o del Partito socialista, ma anche con forze legate al mondo della criminalità e della malavita, come la banda guidata da [[Giuseppe Albano]], la cui collaborazione poteva essere utile per procurarsi armi o carburante. Allo stesso modo il movimento cercò la collaborazione di medici o di preti cattolici allo scopo di cercare rifugio per prigionieri di guerra alleati evasi dalla prigionia o per renitenti alla leva della [[Repubblica Sociale Italiana|repubblica di Salò]]<ref>{{cita|Broder 2017b|pp. 116-7}}.</ref>.
 
Sempre secondo l'ex ufficiale, nei confronti dei tedeschi la Decima non è stata, come sostenuto da altri, servile e collaborazionista, ma avrebbe adottato sempre un atteggiamento di doppiogioco, cercando di sottrarre all'alleato rifornimenti e materiali con ogni mezzo (compresa la corruzione, il furto, l'ubriacatura e l'inganno). Infatti, per finanziare la guerra contro gli angloamericani, si fece ricorso anche al [[mercato nero]], acquistando armi in Svizzera mediante contrabbando di beni calmierati. Lo stesso [[prefettura italiana|prefetto]] di [[Milano]] espresse preoccupazione per le numerose azioni illegali commesse dai ''fucilieri.'' Sarebbero da inquadrare in quest'ottica anche il pestaggio e l'arresto del [[gauleiter]] [[Friedrich Rainer]], episodio che portò all'espulsione quasi totale delle forze di Borghese dalla Venezia Giulia, sottoposte a "zona d'operazione".<ref>Sergio Nesi, ''Decima flottiglia nostra...'', Lo Scarabeo, Bologna, 2008.</ref>
Il 20 ottobre 1943 un gruppo di partigiani del MCd'I tentò di fare incursione nel [[Forte Tiburtina]] (allora una caserma abbandonata dal Regio Esercito) allo scopo di trovarvi cibo e munizioni. Ma la caserma era presidiata da una divisione di [[SS]]. Catturati dai tedeschi e processati sommariamente, nove partigiani furono condannati a morte e dieci alla deportazione; assieme ai partigiani i tedeschi fucilarono anche un giovane del tutto estraneo ai fatti, arrestato mentre passava per caso in bicicletta. Noto come l'[[eccidio di Pietralata]], questo fu, a Roma, uno dei primi esempi delle rappresaglie indiscriminate che i tedeschi utilizzavano come arma per debellare la Resistenza<ref>{{cita|Broder 2017b|p. 153}}.</ref>.
 
Il 24 ottobre 1943 settanta prigionieri di guerra russi evasero dal campo di [[Monterotondo]], in un'azione organizzata dal PCI; quest'ultimo chiese e ottenne la collaborazione del MCd'I per trovare rifugio e sostentamento per gli evasi. Per vari mesi, nei quartieri Trionfale, Monte Mario e nella borgata Valle dell'Inferno, si ebbe una collaborazione tra PCI e Bandiera Rossa; gli esponenti del MCd'I facevano parte del locale CLN (che, in quella zona, era composto solo da esponenti dei partiti di sinistra) ed erano ivi rappresentati da [[Romolo Jacopini]]<ref name="corvisieri77"/>.
 
Nella zona dell'Esquilino il PCI fu aiutato da esponenti del MCd'I a raccogliere fondi e a distribuire volantini. In alcune occasioni i [[Gruppi di Azione Patriottica|GAP]] comunisti ricevettero armi ed esplosivi da parte di Bandiera Rossa. Il MCd'I, dopo l'arresto del gappista comunista [[Valerio Fiorentini]], aiutò a sgomberare di armi e munizioni la casa di quest'ultimo<ref>{{cita|Corvisieri 2005|p. 78}}.</ref>.
 
Il movimento si servì della sua "Grotta rossa" non solo come scuola di marxismo, ma anche come centro di pianificazione militare. Nel novembre 1943 Ezio Malatesta vi stabilì una comunicazione radio con la [[United States Army North|Quinta armata americana]], alla quale fornì informazioni sulla dislocazione delle truppe tedesche nelle aree rurali a nord di Roma<ref name="broder131"/>.
 
Il 6 dicembre 1943, alle 18, in una spettacolare azione dimostrativa diretta da Antonio Poce, i partigiani di Bandiera Rossa lanciarono alcune migliaia di volantini di propaganda in tutti i 120 cinema di Roma<ref>{{cita|Corvisieri 2005|pp. 79-80}}.</ref>.
 
Quest'ultima azione condusse però a una serie di arresti da parte dei nazifascisti, che falcidiarono soprattutto il gruppo capeggiato da Malatesta e Jacopini (nel quale, secondo Corvisieri, è molto probabile che si fossero infiltrate delle spie). Furono arrestati lo stesso Jacopini, Augusto Parodi, Ricciotti De Lellis, Amerigo Onofri, Quirino Sbardella, Carlo Merli, Ottavio Cerulli, Gino Rossi, Ettore Arena, Filiberto Zolito, Benvenuto Badiali, Herta Katerina Heberning, Franco Bitler e Italo Nepulanti. Non facenti parte del gruppo di Malatesta, furono anche arrestati Raffaele De Luca e Augusto Latini<ref>{{cita|Corvisieri 2005|pp. 80-1}}.</ref>.
 
Per reagire a questi arresti si tenne il 16 dicembre una riunione dei comitati di zona del MCd'I, in cui si discusse di come ristabilire i collegamenti con le bande esterne (scompaginati dall'arresto di Malatesta) e si deliberò di intensificare sia le azioni di sabotaggio, sia le controrappresaglie ai danni di fascisti e nazisti<ref>{{cita|Corvisieri 2005|p. 81}}.</ref>.
 
====Le divergenze politiche fra PCI e Bandiera Rossa====
Nell'ottobre del 1943 ebbero luogo due riunioni clandestine fra esponenti del MCd'I ed esponenti del PCI romano, per saggiare le possibilità di unificare le due organizzazioni. La prima riunione si svolse il 15 ottobre, con la presenza, per il PCI, di [[Antonello Trombadori]]; si concluse con uno scontro assai acceso. La seconda riunione, il 20 ottobre, vide la presenza di [[Cesare Massini]] e Grifone per il PCI, Govoni, Pappalardo, Cecchelin e Guzzo per il MCd'I; anche questa riunione finì ai ferri corti, sancendo il disaccordo fra i due gruppi<ref>{{cita|Corvisieri 2005|pp. 59-60}}.</ref>.
 
Il dissenso principale verteva sulle modalità e sugli scopi della partecipazione alla lotta antifascista. Il MCd'I rimproverava al PCI di aver abbandonato l'obiettivo della rivoluzione proletaria e di aver intrapreso (entrando nel [[CLN]]) una politica di collaborazione di classe con i partiti borghesi; dal canto suo, il PCI accusava il MCd'I di [[estremismo di sinistra|estremismo]] avventurista e sospettava che l'insistere di quel movimento su esigenze di democrazia interna di partito mascherasse intenzioni scissionistiche e fosse indice di atteggiamenti di ostilità contro il PCI di matrice trotschista<ref>{{cita|Corvisieri 2005|p. 60}}.</ref>.
 
L'editoriale del primo numero di ''Bandiera Rossa'', datato 5 ottobre 1943, esprime il proposito di curare «il collegamento tra comunisti di tutte le regioni per raggiungere, su base marxista, l'unificazione di tutte le forze proletarie, e la costituzione di un unico grande partito di democrazia operaia»<ref>''In linea'', in ''Bandiera Rossa'', 5 ottobre 1943, citato in {{cita|Corvisieri 2005|pp. 69-70}}.</ref>. Nel secondo numero del periodico vengono precisati alcuni punti programmatici richiesti dal MCd'I per la costituzione dell'auspicato partito comunista unificato: esso «deve essere organizzato secondo i principi della democrazia operaia», in quanto «in un partito comunista non organizzato democraticamente, la volontà del proletariato non può che rimanere soffocata dal burocratismo di partito, con la conseguenza di un completo svuotamento di contenuti del partito stesso; [...] l'organizzazione democratica del partito comunista è l'unica garante che, dopo l'instaurazione della società socialista, il proletario sarà il vero detentore del potere, e non una minoranza che ne eserciti la dittatura a nome di esso». A proposito dei rapporti con gli altri partiti antifascisti, si esprime l'esigenza che «il collaborazionismo del P.C. non arrivi al transazionismo opportunistico, che noi abbiamo sempre rimproverato alla [[socialdemocrazia]]»<ref>Citato in {{cita|Corvisieri 2005|p. 70}}.</ref>.
 
Secondo Corvisieri, il MCd'I poneva due principi pregiudiziali all'unificazione col PCI, ossia la democrazia interna nel partito e «una partecipazione alla lotta antifascista improntata agli interessi di classe». Nel primo numero di ''Bandiera Rossa'' si esprimeva inoltre la contrarietà alla collaborazione dei comunisti con il [[Governo Badoglio I|governo Badoglio]]<ref>{{cita|Corvisieri 2005|p. 71}}.</ref>.
 
Dagli articoli pubblicati su ''Bandiera Rossa'' non emerge una valutazione univoca a proposito dell'[[U.R.S.S.]] e del suo modello di socialismo. Secondo Corvisieri, negli «articoli direttamente dedicati all'U.R.S.S. si coglie un'altalena di posizioni, un'oscillazione continua dalle posizioni dei filostalinisti a quelle dei filotrotskisti passando per la teoria "giustificazionista" che cercava di salvare capra e cavoli spiegando come il modello realizzato dell'U.R.S.S. fosse stato un portato della necessità storica ma anche una esperienza particolare e non tale da costituire, perciò, un modello da imitare in tutti i paesi»<ref>{{cita|Corvisieri 2005|pp. 72-3}}.</ref>. Sempre per Corvisieri, in realtà «nel movimento confluivano diversi giudizi sull'U.R.S.S. e [...] tale convivenza era resa possibile dalla convinzione unanime che, per fare la rivoluzione in Italia, la solidarietà con il paese dei Soviet doveva essere accompagnata da una piena autonomia»<ref>{{cita|Corvisieri 2005|pp. 73-4}}.</ref>.
 
Come osserva Corvisieri, «il proclamarsi comunisti dissidenti, il rivendicare più democrazia di partito, l'opporsi alla politica di unità nazionale e l'assumere un atteggiamento improntato a problematicità nei confronti dell'U.R.S.S. non potevano non suscitare la netta opposizione del P.C.I. E la polemica pubblica non tarderà ad esplodere anche se, inizialmente, essa manterrà un tono dignitoso»<ref>{{cita|Corvisieri 2005|p. 75}}.</ref>.
 
====Atteggiamento del PCI a livello nazionale====
All'epoca il PCI avversava fortemente i gruppi che si collocavano alla sua sinistra (specialmente quelli trotskisti o bordighisti o comunque ritenuti tali dal PCI medesimo), descritti nel numero 7 del gennaio 1944 dell'edizione meridionale dell'''[[l'Unità|Unità]]'' come [[quinta colonna]] del nazismo e del fascismo:
 
{{citazione|Non avversari politici, dunque, come vorrebbe ancora far credere qualcuno: ma delinquenti comuni e della peggiore specie, gente senza ritegno e senza scrupoli, complici dell'hitlerismo e del fascismo, rettili abietti da schiacciare senza pietà nell'interesse non solamente del Partito e della classe operaia ma dell'umanità intera.
 
La lotta contro questi individui non deve conoscere tregua. Siamo vigilanti, scopriamo le loro mene, individuiamo questi traditori anche se essi sono riusciti a camuffarsi e ad infiltrarsi nelle nostre file. Ognuno di noi deve fare il massimo sforzo in questa direzione prendendo ad esempio quanto hanno fatto i compagni russi nella loro lotta per l'annientamento del trotskismo.
 
Smascherando e colpendo gli agenti del nemico nel nostro Partito, nei Sindacati e dovunque essi si sono annidati, noi non faremo soltanto un'opera di indispensabile epurazione ma contribuiremo efficacemente allo sterminio della V colonna hitleriana e mussoliniana nel nostro paese.<ref>{{cita news||http://archiviostorico.unita.it/cgi-bin/highlightPdf.cgi?t{{=}}ebook&file{{=}}/archivio/uni_1944_01/19440107_0001_03.pdf|Quinta colonna trotskista|l'Unità (edizione meridionale)|gennaio 1944, n. 7}}</ref>}}
 
[[File:Pietrosecchia.jpg|miniatura|Il dirigente del PCI Pietro Secchia]]
In un articolo pubblicato sul periodico ''La nostra lotta'' nel dicembre 1943, il dirigente comunista [[Pietro Secchia]] aveva condannato con toni brutali il gruppo dissidente torinese Stella Rossa (nato da una scissione del PCI) accusandolo di nascondere «sotto la maschera del sinistrismo, il bieco, sanguinario volto del nazifascismo» e di essere «sulla via della [[Gestapo]]»<ref>Pietro Secchia, ''Il sinistrismo: maschera della Gestapo'', in "La nostra lotta", dicembre 1943, n. 6, citato in {{cita|Corvisieri 2005|p. 31}}. Corvisieri commenta osservando che «l'accusa appare tanto più priva di fondamento quando si pensa che gli uomini di Stella Rossa nello stesso 1944 rientrarono tutti a militare nel PCI rinunciando a sostenere in modo organizzato le loro posizioni» (''ibid.''). David Broder definisce «grottesco» («''grotesque''») l'articolo di Secchia: {{cita|Broder 2017b|p. 27 n.}}</ref>.
 
====Le polemiche a Roma fra ottobre e novembre del 1943====
Secondo Corvisieri, se «si paragona il tono dell' ''Unità'' romana nei confronti del M.C.d'I. a quello che Secchia usava ne ''La nostra lotta'' contro Stella Rossa si può costatare una differenza notevole: il primo è perentorio ma ancorato alle osservazioni e alle critiche dell'avversario, il secondo, invece, è mistificatorio e calunnioso. Questa diversità, a parte le questioni di temperamento, è probabilmente dovuta alla forza che il M.C.d'I. stava dimostrando di possedere a Roma e alla influenza che esercitava all'interno dello stesso P.C.I.»<ref>{{cita|Corvisieri 2005|p. 76}}.</ref>.
 
Una prima presa di distanza ufficiale del PCI da Bandiera Rossa apparve con un trafiletto intitolato ''Equivoco da chiarire'', sull'edizione romana de ''l'Unità'' appena cinque giorni dopo l'uscita del primo numero del periodico del MCd'I:
 
{{citazione|Ḕ apparso, in questi giorni, il giornale ''Bandiera Rossa'', "organo del movimento comunista italiano". Al fine di evitare equivoci teniamo a chiarire che tanto il giornale suddetto, quanto il “movimento comunista” di cui il giornale si dichiara organo, non hanno nulla di comune col nostro Partito. Riteniamo indispensabile questa pubblica dichiarazione affinché si sappia che il Partito Comunista Italiano separa qualsiasi responsabilità da certi gruppetti politici che si fregiano dell'etichetta comunista per utilizzare un prestigio che solo il nostro Partito può rivendicare e per creare della confusione proprio in un momento in cui tanto è necessaria la chiarezza<ref>{{cita news||http://www.stampaclandestina.it/wp-content/uploads/numeri/UNITA_ROMA_A20_N19.pdf#page{{=}}3|Equivoco da chiarire|l'Unità|edizione di Roma, 10 ottobre 1943, n. 19|p=3}} Citato in {{cita|Corvisieri 2005|p. 75}}. Broder attribuisce questo articolo ad Agostino Novella: cfr. {{cita|Broder 2017a|p. 73}}.</ref>.}}
 
Dopo il fallimento delle trattative di unificazione fra i due gruppi, ''Bandiera Rossa'' rispose al corsivo de ''l'Unità'' ribadendo le sue critiche alla mancanza di democrazia interna nel PCI e insinuando che quest'ultimo potesse non aver avuto alcun riconoscimento né da parte di [[Stalin]] né da parte della (ormai disciolta) [[Terza Internazionale]]:
 
{{citazione|Nessun equivoco: non vi può essere equivoco: Bandiera Rossa è organo del Movimento Comunista d'Italia mentre l' ''Unità'' è organo del PCI. Sono esponenti di due organizzazioni distinte ma non diverse, perché ''unica'' è la causa, unico è il ''fine''. Se è sincera la ''fede'' da una parte e dall'altra, ci s'incontrerà prossimamente sulla via maestra: la Rivoluzione. Ci si permetta però di dubitare dell' ''ufficialità'' d'un partito in cui non si può esercitare il controllo, e che non ha avuto ''investitura'' di funzione e di poteri né dal ''basso'' né dall'''alto''<ref>Articolo in ''Bandiera Rossa'', 22 ottobre 1943, citato in {{cita|Corvisieri 2005|pp. 75-6}}.</ref>.}}
 
A tali accuse ''l'Unità'' rispose, il 26 ottobre, con un nuovo articolo, più polemico di quello precedente e che si richiamava, fra l'altro, a Stalin per propugnare l'esigenza del più rigido centralismo:
 
{{citazione|non bastano le affermazioni dilettantesche sulla fede “rivoluzionaria” per dar credito a un movimento come il loro che ha da vantare meriti piuttosto scarsi nella lotta contro il fascismo [...]. In quanto alle insinuazioni di ''Bandiera Rossa'' sulla “ufficialità” del nostro partito, sulle possibilità di controllo che vi sono, sulle “investiture” dall'alto e dal basso, non ci sentiamo proprio in vena di commuoverci. Le ipocrite accuse che ci muove ''Bandiera Rossa'' riecheggiano le posizioni degli opportunisti di ogni tipo contro la disciplina di ferro che deve regnare nei Partiti Comunisti<ref>{{cita news||http://www.stampaclandestina.it/wp-content/uploads/numeri/165-LUnita_Roma_N21_1943.pdf#page{{=}}2|Punto e basta|l'Unità|edizione di Roma, 26 ottobre 1943, n. 21|p=2}} Citato in {{cita|Corvisieri 2005|p. 76}}.</ref>.}}
 
La risposta di ''Bandiera Rossa'' pose per il momento fine alla polemica pubblica fra i due gruppi:
 
[[File:Bandiera Rossa 7-11-43.jpg|miniatura|Copertina di "Bandiera Rossa", 7 novembre 1943]]
{{citazione|Punto e basta davvero. Basta con le polemiche inutili che ci hanno diviso, e che sono state un giorno la causa della nostra sconfitta. Se le divergenze naturali vi sono, data la momentanea oscurità, ognuno proceda sulla strada che crede migliore, per giungere al fine comune senza disturbare i compagni che camminano al fianco. Se la buona fede è d'ambo le parti, presto le chiarificazioni immancabili avverranno al sole della nuova libertà, e i lavoratori ci vedranno affratellati nella battaglia finale della loro Rivoluzione<ref>Articolo in ''Bandiera Rossa'', 14 novembre 1943, citato in {{cita|Corvisieri 2005|p. 76}}.</ref>.}}
 
La polemica scoppiò nuovamente, con toni più accesi, nella primavera del 1944 e degenerò in rissa dopo la liberazione di Roma. Osserva Corvisieri: «Non si deve però credere che alla base, soprattutto nel momento dell'azione, i rapporti tra comunisti del PCI e comunisti del M.C.d'I. fossero di contrapposizione e di rottura. Molte imprese di sabotaggio furono compiute in comune e, per di più, durante i nove mesi dell'occupazione, accadde diverse volte che i militanti rimasti sbandati per la repressione nazista, passassero da una formazione all'altra. […] È vero che si verificò qualche doloroso incidente che potrebbe testimoniare in direzione contraria, ma furono talmente pochi da poter essere considerati come l'eccezione dovuta ad elementi ultrasettari presenti sia nel M.C.d'I. che nel PCI<ref name="corvisieri77">{{cita|Corvisieri 2005|p. 77}}.</ref>».
 
Tuttavia, benché la polemica pubblica cessasse temporaneamente, la documentazione interna del PCI mostra che in questo partito si continuava a presentare il MCd'I come un gruppo di provocatori, aiutati e diretti da una «quinta colonna fascista». In un documento della federazione laziale del PCI, che risale ad aprile 1944, i militanti erano messi in guardia dal leggere ''Bandiera Rossa'', che veniva equiparato al materiale prodotto dai servizi segreti nazifascisti. In un altro documento del novembre 1943, sempre della federazione del Lazio del PCI, si accusavano i dissidenti di venire «oggettivamente» in soccorso alla propaganda nazista e di dividere il fronte antifascista, e si poneva fra l'altro come compito ai quadri del PCI quello di provocare la disgregazione del MCd'I, liquidando quest'ultimo dalla scena politica dopo averne ricondotto al PCI la «parte sana»<ref>{{cita|Broder 2017b|pp. 128-9}}.</ref>. L'esponente del PCI [[Agostino Novella]], in un rapporto interno del dicembre 1943, si mostrò allarmato dal fatto che nel proletariato delle borgate romane le idee di ''Bandiera Rossa'' trovassero più ascolto che quelle espresse ne ''l'Unità''<ref>{{cita|Broder 2017a|p. 73}}.</ref>.
 
====La lotta partigiana da gennaio 1944 sino alle Fosse Ardeatine====
I nazisti sottoposero gli arrestati nella retata di dicembre a interrogatori - accompagnati, come di consueto, da feroci torture - nel [[Museo storico della Liberazione|centro di detenzione di via Tasso]]<ref>{{cita|Corvisieri 2005|p. 86}}.</ref>. Li processarono sommariamente fra il 28 e il 30 gennaio del 1944, condannandone undici a morte e cinque alla reclusione nei ''lager'' tedeschi per periodi variabili fra cinque a quindici anni. Gli undici condannati alla pena capitale [[Martiri_di_Forte_Bravetta#Strage_del_2_febbraio_1944|furono fucilati a Forte Bravetta il 2 febbraio]]; tutti si comportarono coraggiosamente<ref>{{cita|Corvisieri 2005|pp. 85-8}}.</ref>.
 
Le condanne e le fucilazioni non fermarono l'attività partigiana del MCd'I: Corvisieri elenca diciassette azioni armate o di sabotaggio a gennaio 1944 e circa altrettante a febbraio<ref>{{cita|Corvisieri 2005|pp. 91-2}}. Corvisieri, in merito a tutte le azioni partigiane di Bandiera Rossa elencate nel suo libro, afferma che esse «risultano dalla documentazione allegata alle pratiche per il riconoscimento della qualifica di partigiano e accolta dal Ministero dell'Interno dopo un serio controllo. Eventuali esagerazioni od errori sono da addebitare a detta documentazione»: cfr. {{cita|Corvisieri 2005|p. 64n.}}</ref>. Questa attività fu però seguita da una nuova ondata di arresti: furono catturati (fra molti altri) [[Aladino Govoni]], Ezio Lombardi, Uccio Pisino, [[Nicola Stame]] e Unico Guidoni. Per dare aiuto alle famiglie degli arrestati e dei caduti fu organizzato il Soccorso Rosso, che curò sottoscrizioni e raccolte di abiti e viveri tra le borgate romane<ref>{{cita|Corvisieri 2005|p. 93}}.</ref>.
 
Corvisieri elenca una serie di bande partigiane, affiliate a Bandiera Rossa, che operarono nel Lazio: sul [[Monte Boragine]], in provincia di Rieti<ref>{{cita|Corvisieri 2005|p. 130}}.</ref>; a [[Poggio Mirteto]]<ref>{{cita|Corvisieri 2005|p. 131}}.</ref>; due bande a [[Tarquinia]] e nei dintorni<ref>{{cita|Corvisieri 2005|pp. 132-3}}.</ref>; a [[Poggio Moiano]] e nei dintorni di [[Viterbo]]<ref>{{cita|Corvisieri 2005|p. 133}}.</ref>; a [[Zagarolo]], [[Palestrina]] e [[Isola Farnese]]<ref>{{cita|Corvisieri 2005|p. 144}}.</ref>; alcune bande, dette "pendolari", erano inserite nell'organizzazione romana e di tanto in tanto si spostavano in provincia<ref>{{cita|Corvisieri 2005|pp. 135-7}}.</ref>.
 
Dopo lo [[sbarco di Anzio]], quando la liberazione di Roma sembrava imminente, Bandiera Rossa accelerò i preparativi per un'insurrezione della popolazione romana, che avrebbe dovuto precedere l'arrivo degli [[Alleati della seconda guerra mondiale|Alleati]], e tentò di stringere rapporti anche su scala nazionale con altri gruppi politici di estrema sinistra<ref>{{cita|Corvisieri 2005|p. 97}}.</ref>. A questo periodo risalgono alcuni viaggi a Milano di Antonino Poce assieme ad altri rappresentanti del MCd'I, che s'incontrarono (fra gli altri) con il bordighista [[Onorato Damen]]; ma gli approcci con quest'ultimo furono infruttosi, in quanto egli era contrario alla partecipazione dei comunisti alla Resistenza, da lui considerata come un conflitto interno al capitalismo<ref>{{cita|Corvisieri 2005|p. 98}}.</ref>.
 
Alla fine di gennaio Poce e Sbardella si fecero promotori della costituzione di un nuovo gruppo armato, denominato "Armata Rossa" (dal nome dell'[[Armata Rossa|esercito sovietico]]), che aveva come scopo dichiarato l'unificazione di tutti i comunisti in un'unica forza militare che avrebbe dovuto lottare assieme agli Alleati. Nei primi mesi del 1944 questa "Armata Rossa" divenne comunque una delle più importanti forze della Resistenza romana, contando 424 partigiani durante il periodo della lotta clandestina<ref>{{cita|Broder 2017b|p. 136}}.</ref>.
 
L'appello fondativo dell'"Armata Rossa" puntava all'unità fra il MCd'I, il PCI e il gruppo dei [[Sinistra Cristiana|cattolici comunisti]]. Benché strettamente legata al MCd'I, l'"Armata Rossa" formalmente non ne faceva parte: al suo comando, oltre a Sbardella e Poce, vi erano tre comunisti che non erano membri né del MCd'I né del PCI, ossia Giordano Amidani, [[Otello Terzani]] e Celestino Avico, tutti e tre a suo tempo espulsi dal PCI. I quadri del PCI erano comunque contrari a questo progetto, da loro visto come un tentativo di minare l'unità del CLN; tuttavia alcuni militanti del PCI collaborarono occasionalmente con militanti dell'"Armata Rossa"; fra essi lo stesso [[Rosario Bentivegna]], che in un'occasione s'incontrò con Celestino Avico al fine di ottenere esplosivi per i suoi GAP<ref>{{cita|Broder 2017b|p. 137}}.</ref>.
 
Alla fine di febbraio il MCd'I programmò un'azione armata assai audace per liberare dal [[carcere di Regina Coeli]] quanti più prigionieri politici fosse stato possibile; ma prima che il ''blitz'' potesse essere attuato, una nuova retata dei nazifascisti tra le file della Resistenza (conseguente alla delazione di una spia infiltratasi nel [[Partito d'Azione]]) portò alla cattura di altri otto esponenti di Bandiera Rossa e mandò in fumo l'operazione<ref>{{cita|Corvisieri 2005|pp. 98-9}}.</ref>.
 
Secondo Corvisieri, l'attività partigiana di Bandiera Rossa in tutto il mese di marzo «fu molto intensa»: quest'autore elenca una trentina di azioni armate o di sabotaggio, in cui avrebbero, fra l'altro, trovato la morte almeno quattro soldati tedeschi<ref>{{cita|Corvisieri 2005|pp. 101-2}}.</ref>.
 
Il 23 marzo si trovarono coinvolti loro malgrado nell'[[attentato di via Rasella]] tre partigiani di Bandiera Rossa, appartenenti a una banda formata da operai della compagnia telefonica [[TETI]]. La dinamica dei fatti al riguardo non è del tutto chiara. Secondo la versione di Orfeo Mucci, commissario politico di Bandiera Rossa, essi «stavano preparando un attentato non si sa organizzato da chi»; di questi Antonio Chiaretti ed Enrico Pascucci, dopo l'esplosione, avrebbero entrambi messo mano alle pistole per difendersi dai tedeschi che avevano iniziato a rastrellare i presenti; Chiaretti sarebbe rimasto ucciso da una raffica di mitra esplosa dai tedeschi, mentre Pascucci venne catturato e ucciso in seguito; un terzo partigiano del gruppo, Giovanni Tanzini, venne rastrellato e individuato come partigiano dalla tessera di appartenenza al gruppo rinvenutagli addosso con la perquisizione: fu poi deportato in Germania, da dove, dopo la fine della guerra, tornò vivo, ma gravemente prostrato dalla prigionia. Comunque non vi è certezza sul motivo per cui i tre partigiani si trovassero in via Rasella proprio durante l'attentato<ref>{{cita|Portelli 2012|p. 198}}.</ref>. Nel caso di Chiaretti pare accertato che non fu ucciso dai tedeschi, bensì rimase vittima della bomba<ref>Secondo {{cita|Fracassi 2013|p. 519}}, ne fa fede l'atto di morte di Chiaretti.</ref>.
 
Nell'[[eccidio delle Fosse Ardeatine]], perpetrato dai nazifascisti il 24 marzo come [[rappresaglia]] per l'attentato di via Rasella, fu trucidato un gran numero di esponenti di Bandiera Rossa: 44 secondo l'elenco delle vittime compilato dall'[[Eccidio delle Fosse Ardeatine#L'ANFIM|ANFIM]]<ref>[http://old.anfim-nazionale.it/wai/prkappresentazione.html Elenco delle vittime dell'eccidio delle Fosse Ardeatine], su ''anfim-nazionale.it''.</ref>, 52 secondo Corvisieri<ref name="corvisieri100">{{cita|Corvisieri 2005|p. 100}}.</ref>, «1/6 del totale» di 335 secondo la stima del giornalista Silvio Antonini<ref>{{cita pubblicazione|autore=Silvio Antonini|url=http://anpi.it/media/uploads/patria/2009/10-11/29-31_ANTONINI.pdf|titolo=La storia di Bandiera Rossa nella Resistenza romana|pubblicazione=[[Patria Indipendente]]|data=6 dicembre 2009|pp=29-31: 31}}</ref>. Fra le vittime vi erano due membri dell'esercito (fra cui Aladino Govoni), quattro responsabili di zona (Ezio Lombardi, Eusebio Troiani, Antonio Spunticchia, Giulio Roncacci) e quattro che tenevano i contatti fra il comando centrale e le bande (Armando Ottaviani, Nicola Stame, Unico Guidoni e Uccio Pisino), più altri dieci che avevano incarichi dirigenziali di minore livello<ref name="corvisieri100"/>. Raffaele De Luca, prigioniero dei tedeschi al momento dell'eccidio, si salvò in quanto una guardia carceraria a lui favorevole lo dichiarò troppo malato per essere trasportato al luogo dell'esecuzione<ref>{{cita|Broder 2017b|p. 159}}.</ref>.
 
L'eccidio veniva commemorato sul numero 9 di ''Bandiera Rossa'':
 
[[File:Monumento Fosse Ardeatine.jpg|miniatura|Il gruppo scultoreo all'interno del Mausoleo delle Fosse Ardeatine]]
 
{{Citazione|Il 24 marzo la tigre nazista ha dilaniato, fra molte centinaia di cittadini romani, molti compagni del M.C.d'I. Le parole non bastano per esprimere i sentimenti di un uomo civile di fronte a tanta atrocità. Solo intensamente ricordando il sacrificio di questi martiri e riferendo ad essi ogni nostra azione, potremo rendere fecondo quel sangue. I compagni del M.C.d'I., lavoratori, proletari, che fra lo sterminio di vite che da trenta anni insanguina l'Europa, non hanno dimenticato il valore della vita umana, giurano sul sangue di questi martiri di combattere fino alla totale distruzione di ogni vestigia del nazifascismo e del capitalismo, che lo ha generato, responsabili ed esecutori di tutti i delitti commessi sotto il loro impero<ref>Articolo in ''Bandiera Rossa'', n. 9, citato in: {{cita|Corvisieri 2005|p. 104}}.</ref>.}}
 
====Dalle Fosse Ardeatine alla liberazione di Roma====
Scrive Corvisieri che, in previsione della ritirata tedesca e per preparare l'insurrezione, «l'indomani dell'eccidio delle Ardeatine, il segretario del Comitato Romano, Orfeo Mucci, e il nuovo responsabile militare, Antonino Poce, entrambi datisi alla macchia e attivamente ricercati, s'incontrarono in una strada della città per procedere alla riorganizzazione militare di Bandiera Rossa abbandonando la divisione della città in sei zone e inquadrando tutti gli uomini in 34 concentramenti territoriali<ref>{{cita|Corvisieri 2005|p. 102}}.</ref>». Si decise inoltre di procedere al potenziamento dell'"Armata Rossa"<ref>{{cita|Corvisieri 2005|p. 103}}.</ref>.
 
Il 2 aprile un gruppo di partigiani armati di Bandiera Rossa, composto da nove uomini e due donne, celebrò l'eccidio delle Fosse Ardeatine deponendo fiori rossi e un cartello commemorativo sul luogo del massacro. L'iniziativa fu ripetuta da altre delegazioni di Bandiera Rossa il 1° maggio e il 5 maggio: in quest'ultima occasione vi fu un breve scontro a fuoco con i soldati tedeschi di guardia<ref>{{cita|Corvisieri 2005|p. 109}}.</ref>.
 
Corvisieri elenca, nel mese di aprile, più di trenta azioni partigiane, nell'ultima delle quali (un assalto armato contro una stazione radio tedesca a Tor Sapienza) caddero i due fratelli Michele e Antonio Addario. Il 16 aprile era stato catturato dai nazifascisti il comandante della seconda zona [[Tigrino Sabatini]], che [[Martiri_di_Forte_Bravetta#Fucilazione_del_3_maggio_1944|fu fucilato a Forte Bravetta]] ai primi di maggio<ref>{{cita|Corvisieri 2005|pp. 110-11}} indica come data della fucilazione il 4 maggio, ma [http://www.anpi.it/donne-e-uomini/2380/tigrino-sabatini la voce Tigrino Sabatini] sul sito ANPI indica il 3 maggio.</ref>. Molti militanti di Bandiera Rossa furono catturati dal nemico nel [[rastrellamento del Quadraro]], il 17 aprile<ref>{{cita|Corvisieri 2005|p. 112}}.</ref>.
 
Pur essendo stati tenuti all'oscuro della sua preparazione, gli esponenti di Bandiera Rossa contribuirono a propagandare lo [[sciopero generale]] cittadino indetto dai partiti di sinistra del CLN per il 3 maggio, che però si risolse in un insuccesso<ref>{{cita|Corvisieri 2005|p. 113}}.</ref>. Sempre nel mese di maggio Corvisieri elenca poco più di trenta azioni partigiane: il 5 maggio, durante un'azione di sabotaggio alle linee telefoniche, cadde Rodolfo Cantarucci; il 17 maggio i due partigiani Paolo Rugliani e Aldo Romeo furono catturati dai tedeschi in un rastrellamento e subito fucilati<ref>{{cita|Corvisieri 2005|pp. 114-5}}.</ref>.
 
[[File:RobertoBencivenga.jpg|miniatura|destra|Roberto Bencivenga]]
Alla fine di maggio vi fu un incontro clandestino fra Antonino Poce e un ufficiale britannico. L'incontro fu organizzato dal generale [[Roberto Bencivenga]], che a marzo era stato nominato dal governo Badoglio comandante militare della piazza di Roma e che era in buoni rapporti personali con Poce. Nell'incontro Poce fu avvertito che sarebbe stato arrestato dagli Alleati se, in concomitanza con la liberazione di Roma, le forze partigiane comandate dallo stesso Poce si fossero rese responsabili di disordini. Poce acconsentì ad aspettare una parola d'ordine in codice da parte del comando alleato prima di dare avvio a un'insurrezione<ref>{{cita|Broder 2017b|p. 193}}.</ref>.
 
Ma la parola d'ordine attesa dal comando alleato non venne mai data, e anche Togliatti diffuse ai suoi un radiomessaggio contro l'insurrezione. Secondo Broder, Bandiera Rossa in realtà non aveva le forze necessarie per agire da sola: come ebbe a ricordare più tardi Otello Terzani, i militanti del movimento, che già avevano valutato negativamente l'azione dei GAP in via Rasella, non avevano alcuna intenzione di ritrovarsi in mezzo a una possibile battaglia fra l'esercito tedesco e quello alleato; sarebbe stato impossibile proteggere la popolazione romana dai combattimenti per le strade e le piazze della capitale<ref>{{cita|Broder 2017b|p. 194}}.</ref>.
 
Il 4 giugno 1944 Roma venne liberata senza alcuna insurrezione. Tuttavia in alcune zone della capitale vi furono limitati scontri fra gli Alleati e i tedeschi in ritirata, cui parteciparono anche partigiani di Bandiera Rossa: in alcune strade circostanti Torpignattara e Centocelle (dove il MCd'I aveva una presenza importante), militanti della "Armata Rossa" si unirono alle truppe alleate e ad altri partigiani nell'attaccare i convogli tedeschi. Quattro membri del MCd'I caddero negli scontri, fra cui Pietro Principato che fu l'ultimo partigiano caduto della Resistenza romana. Altri partigiani morirono nei bombardamenti alleati a nord della capitale, il giorno stesso della liberazione<ref>{{cita|Broder 2017b|pp. 194-5}}.</ref>.
 
===Le polemiche col PCI nella primavera del 1944===
L'edizione romana de ''l'Unità'', in un articolo del 15 marzo in cui smentiva la paternità di un manifestino firmato da «un sedicente Comitato Esecutivo Comunista» (definito nell'articolo «una meschina manovra provocatoria» e attribuito alla propaganda tedesca), attaccò anche Bandiera Rossa, scrivendo che l'attività di «sparuti gruppetti così detti di "sinistra" la cui irresponsabilità politica [...] si sfoga nell'assumere gli atteggiamenti estremistici più astratti e inconcludenti» andava incontro «alla propaganda hitleriana» finendo «con l'assumere una funzione obbiettivamente provocatrice»<ref>{{cita news||http://www.stampaclandestina.it/wp-content/uploads/numeri/UNITA_ROMA_A21_N6.pdf#page{{=}}2|Manifestini provocatori|l'Unità|edizione di Roma, 15 marzo, n. 6|p=2}} Citato in {{cita|Corvisieri 2005|p. 104}}.</ref>.
 
Bandiera Rossa criticò l'attentato di via Rasella sul suo bollettino ''Disposizioni rivoluzionarie'' del 29 marzo: «L'atto terroristico non appartiene alla strategia marxista... la morale del proletariato, costretto dalla durissima via rivoluzionaria a non sciupare energie ma a spenderle nel modo più redditizio, afferma: che ogni atto rivoluzionario deve tener conto delle conseguenze immediate e future»<ref>{{cita news|||I fatti di via Rasella|Disposizioni Rivoluzionarie|29 marzo 1944|pp=1-2}} Citato in {{cita|Benzoni 1999|pp. 59-60 n}}.</ref>; aggiungendo: «Noi non possiamo sapere che cosa fanno i comunisti del PCI pur di farsi citare da radio-Londra»<ref>{{cita news|||I fatti di via Rasella|Disposizioni Rivoluzionarie|29 marzo 1944|pp=1-2}} Citato in {{cita|Corvisieri 2005|p. 104}}.</ref>. Lo stesso articolo condannava i gesti eroici e gli impulsi romantici in quanto estranei alle basi collettive e di classe della rivoluzione marxista, denunciava come inammissibile il rischio di contraccolpi contro gli innocenti e argomentava che l'atteggiamento tenuto dagli attentatori di via Rasella fosse inutile e riprovevole, in quanto individualista e non comunista; infatti - continuava l'articolo - sebbene i comunisti dovessero cercare di conquistare il potere anche con la violenza, il sacrificio di sangue proletario sarebbe stato utile solo qualora avesse comportato tangibili vittorie per il solo proletariato. Occorreva dare priorità all'organizzazione collettiva anziché alle imprese militari individuali; il compito prioritario dei militanti di Bandiera Rossa, secondo l'articolo, avrebbe dovuto essere perciò la difesa attiva contro la repressione nazifascista<ref>{{cita news|||I fatti di via Rasella|Disposizioni Rivoluzionarie|29 marzo 1944|pp=1-2}} Citato in: {{cita|Broder 2017b|p. 160}}.</ref>.
 
Secondo Silverio Corvisieri, la direttiva (emanata qualche tempo prima) di limitarsi alle azioni difensive era motivata dall'ondata di arresti che Bandiera Rossa aveva subito fra dicembre '43 e marzo '44, a sua volta facilitata dall'inesperienza nell'attività clandestina e da una carente vigilanza nei confronti delle spie infiltrate nel movimento. L'articolo infatti precisava: «Malgrado questa direttiva che pretende dai nostri compagni non la ''fuga'' e la passività, ma la difesa attiva contro l'azione di repressione del nostro movimento, noi dobbiamo lamentare vittime che, con una più accurata vigilanza, si sarebbero risparmiate. L'azione di informazione, e sorveglianza, segnalazione e punizione dei sospetti e delle spie, va intensificata»<ref>{{cita news|||I fatti di via Rasella|Disposizioni Rivoluzionarie|29 marzo 1944|pp=1-2}} Citato in: {{cita|Corvisieri 2005|p. 103}} (corsivo nel testo).</ref>. Sempre secondo Corvisieri, i dirigenti di Bandiera Rossa erano preoccupati dalla possibilità che la loro organizzazione venisse liquidata dai nazifascisti proprio mentre stava per verificarsi la liberazione della città (per mezzo di una sperata insurrezione popolare)<ref>{{cita|Corvisieri 2005|p. 103}}.</ref>. Corvisieri chiosa l'articolo di ''DR'' del 29 marzo sostenendo che in esso «si faceva una assurda distinzione tra atti terroristici (si alludeva a quelli dei GAP) e attentati compiuti in zone in cui tutta la popolazione era schierata con i partigiani» e «si finiva implicitamente con il condannare l'eroica impresa di via Rasella proprio nel momento in cui essa più doveva essere difesa»<ref>{{cita|Corvisieri 2005|p. 104}}.</ref>.
 
L'edizione romana de ''l'Unità'' attaccò nuovamente Bandiera Rossa in un articolo del 6 aprile, in cui denunciava come una «provocazione [...] infame» di provenienza tedesca [[Reazioni_all'attentato_di_via_Rasella_e_all'eccidio_delle_Fosse_Ardeatine#Il_falso_volantino_di_rivendicazione|un altro falso volantino]] sedicente comunista diffuso dopo l'attentato di via Rasella, e concludeva scrivendo:{{Citazione|Eppure c'è ancora qualche sciocco che si presta a questo gioco infame se, come pare, un cosiddetto Comando Militare Unificato dei Comunisti, prolifico autore di manifestini in una lingua che sembra presa a prestito dal dott. [[Joseph Goebbels|Goebbels]], non è costituito da agenti al servizio dei prussiani, ma da un gruppo di irresponsabili che, abusando del simbolo della bandiera rossa, persistono con ostinazione nel gioco che ogni giorno di più si svela come una vera e propria manovra provocatoria ai danni della classe operaia e del comunismo<ref>{{cita news||http://www.stampaclandestina.it/wp-content/uploads/numeri/UNITA_ROMA_A21_N9.pdf#page{{=}}2|Alibi accusatore|l'Unità|edizione di Roma, 6 aprile 1944, n. 9|p=2}} Citato in: {{cita|Corvisieri 2005|p. 104}}. Corvisieri spiega che Comando Militare Unificato dei Comunisti «era la esatta denominazione dell'organismo diretto da Poce».</ref>.}}
 
Secondo Corvisieri l'«inasprimento dei rapporti tra PCI e Bandiera Rossa raggiunse la punta massima nel mese di aprile», dopo la [[svolta di Salerno]] con la quale [[Palmiro Togliatti]] preparò l'entrata del PCI nel [[Governo Badoglio II|governo Badoglio]]<ref>{{cita|Corvisieri 2005|p. 105}}.</ref>. L'11 maggio Bandiera Rossa, attraverso il suo organo di stampa, espresse disapprovazione per la formazione del nuovo governo, sottopose a critiche di opportunismo la formula togliattiana della "democrazia progressiva" e ribadì la necessità di una politica rigorosamente classista e anticapitalista:
 
{{Citazione|la politica di guerra dei lavoratori deve essere: trasformare la guerra contro il nazismo in guerra contro tutto il capitalismo. La parola d'ordine è: fino a che vi sarà nel mondo anche un solo paese borghese, non vi sarà né pane sufficiente né pace duratura, né libertà per nessuno<ref>Citato in {{cita|Corvisieri 2005|p. 108}}. La stessa posizione era stata enunciata nel numero di ''DR'' del 30 aprile 1944: cfr. {{cita|Broder 2017b|p. 177n.}}</ref>.}}
 
In una riunione tenutasi il 25 maggio, Francesco Cretara e Orfeo Mucci criticarono Antonino Poce per l'inabilità da lui dimostrata nel rispondere su ''Bandiera Rossa'' alle offese da parte del PCI<ref>{{cita|Broder 2017a|p. 78}}.</ref>.
 
===Il dopoguerra===
====Contesto storico====
La fine dell'occupazione tedesca non alleviò la difficile situazione sociale di Roma, in cui «era da tempo in corso un processo di disgregazione sociale provocato dalla miseria più allucinante» e caratterizzato dalla disoccupazione dilagante e dalla fame<ref>{{cita|Corvisieri 2005|p. 154.}}</ref>. In questa situazione accadeva che, specie nelle borgate, vari tra coloro che avevano preso le armi contro i tedeschi si dessero ora ad attività illecite come il ricatto e l'estorsione nei confronti di fascisti, industriali e proprietari terrieri<ref>{{cita|Broder 2017b|p. 211.}}</ref>, la borsa nera<ref>{{cita|Corvisieri 2005|p. 165}}.</ref>, il traffico di armi e di carburante, l'espropriazione di possidenti e l'esecuzione di vendette politiche. La polizia si dedicò a reprimere tutte queste attività, considerate come un mero problema di ordine pubblico, e condusse all'inizio del 1945 varie retate nelle periferie dove le bande erano più attive. Si giunse a sottoporre a processo ex partigiani non solo per fatti avvenuti dopo la liberazione, ma anche per «crimini contro la proprietà» commessi durante l'occupazione tedesca<ref>{{cita|Broder 2017b|pp. 204-5.}}</ref>. Le autorità alleate erano inoltre preoccupate per il dubbio che non tutti i partigiani delle formazioni di sinistra (specie quelle al di fuori del CLN, come lo stesso MCd'I) avessero obbedito all'appello di consegnare le armi<ref>{{cita|Broder 2017b|pp. 211-2.}}</ref>. Episodi quali il linciaggio di [[Donato Carretta]] e le proteste popolari seguite alla fuga del generale [[Mario Roatta]] furono indici di una persistente tensione sociale<ref>{{cita|Broder 2017b|pp. 206-7.}}</ref>.
 
====Prime attività legali====
Il giorno dopo l'arrivo degli Alleati il MCd'I occupò una ex stazione della [[Polizia dell'Africa italiana|PAI]] nel quartiere Garbatella, e successivamente due scuole abbandonate e alcuni appartamenti in via Nazionale; questi ultimi furono adibiti a quartier generale. L'organizzazione femminile del movimento, occupata una ex sede di un'associazione fascista in corso Vittorio Emanuele, diede inizio a una propria attività assistenziale, comprendente cure mediche, distribuzione di alimenti e consulenze, e avviò una scuola politica di femminismo marxista. Le risorse finanziarie per tutte queste attività provenivano da serate danzanti che Bandiera Rossa organizzava in ogni sua sezione e che ebbero molto successo (furono frequentate anche dai soldati alleati). Altri fondi per il movimento provenivano da tornei di [[Pugilato|boxe]] e lotterie<ref>{{cita|Broder 2017b|p. 196.}}</ref>.
 
Il 6 giugno apparve il primo numero distribuito legalmente di ''Bandiera Rossa'', ove si ringraziavano gli Alleati e ci si proponeva di partecipare attivamente alla liberazione del resto dell'Italia ancora occupata dai tedeschi. Vi furono tuttavia solamente altre due uscite del periodico, in quanto il governo militare alleato negò la sua autorizzazione alla stampa, così come negò al MCd'I l'accesso alla sua trasmissione radiofonica ''La voce dei partiti'' (consentito invece ai partiti del CLN). Il PCI approfittò dell'ostilità degli alleati nei confronti delle organizzazioni che questi ultimi consideravano sovversive, al fine di perseguire il suo disegno di liquidare Bandiera Rossa dalla scena politica<ref>{{cita|Broder 2017b|p. 197.}}</ref>.
 
Il MCd'I, subito dopo la liberazione di Roma, avviò pubblicamente una campagna di reclutamento per "Armata Rossa", con l'intento di affiancare tale brigata partigiana all'esercito alleato che ancora combatteva contro i tedeschi. Tale campagna ebbe un certo successo, benché la cifra di 40.000 adesioni (dichiarata a luglio del '44) sia probabimente esagerata. "Armata Rossa" iniziò anche a distribuire un suo periodico con lo stesso nome, i cui primi due numeri apparvero stampati ''recto-verso'' assieme a ''Bandiera Rossa'': il programma politico ivi propagandato contemplava il rovesciamento della monarchia, un'economia pianificata e un governo democratico e socialista<ref>{{cita|Broder 2017a|p. 86.}}</ref>. Comunque il [[Allied Military Government of Occupied Territories|Governo militare alleato]] si allarmò per la crescita di "Armata Rossa", ordinò la cessazione del reclutamento e arrestò Antonino Poce assieme ad altri due suoi compagni; il 17 giugno una corte militare condannò Poce a tre mesi di prigione, accordandogli la libertà condizionata<ref>{{cita|Broder 2017b|p. 199.}}</ref>.
 
====Lo scioglimento di "Armata Rossa" e la scissione del MCd'I====
La documentazione interna del PCI mostra che questo partito lavorò attivamente per sabotare "Armata Rossa", avvalendosi a questo scopo della collaborazione di Giordano Amidani. Una circolare del PCI di maggio ordinava ai suoi membri di non partecipare alle manifestazioni contro la monarchia e riaffermava la propria contrarietà agli estremisti; a giugno un rapporto interno di Agostino Novella denunciava i presunti legami di Otello Terzani con agenti provocatori. L'ordine del Governo militare alleato di cessare i reclutamenti e l'arresto di Poce convinsero Terzani che la sorte di "Armata Rossa" fosse segnata: il 2 luglio lo stesso Terzani, Amidani e Avico rilasciarono una dichiarazione congiunta con la quale scioglievano "Armata Rossa" e invitavano i suoi ex aderenti a sostenere l'attività politica dal PCI<ref>{{cita|Broder 2017a|p. 87.}}</ref>.
 
[[File:Agostino Novella 1951.jpg|miniatura|sinistra|L'esponente del PCI Agostino Novella]]
Poce e Sbardella pubblicamente si dichiararono contrari allo scioglimento di "Armata Rossa", ma in un incontro privato con Agostino Novella (secondo il resoconto di quest'ultimo) si dissero anch'essi favorevoli alla dissoluzione e si limitarono a chiedere tempo fino al prossimo congresso del MCd'I, in cui si sarebbe deciso del rapporto del movimento con il PCI<ref>{{cita|Broder 2017a|pp. 87-8.}}</ref>.
 
A questo punto Raffaele De Luca e Orfeo Mucci, dopo aver accusato Poce e Sbardella di aver capitolato troppo facilmente di fronte all'offensiva del PCI, tentarono un colpo di mano, dichiarando l'espulsione degli stessi Poce e Sbardella dal MCd'I: questi ultimi non accettarono e rivendicarono invece la guida esclusiva del movimento. Si ebbero in questo modo due ''leadership'' rivali, ognuna delle quali diramò un proprio bollettino interno con il quale decretava l'espulsione dell'altra. Mucci e De Luca mantennero il controllo del periodico ''Disposizioni Rivoluzionarie'' sul quale dichiararono che il MCd'I era ormai il «nemico numero uno» del PCI<ref>{{cita|Broder 2017b|p. 200.}}</ref>. Corvisieri commenta che con ciò «i metodi burocratici rimproverati al PCI, venivano tranquillamente applicati dagli stessi critici», e che però si trattò «di una scissione ''sui generis'' perché in definitiva le sezioni rimasero unite e gli stessi dirigenti non rupperò mai i contatti per arrivare a una ricomposizione del dissidio<ref>{{cita|Corvisieri 2005|p. 153.}}</ref>», ricomposizione che si ebbe già a settembre 1944<ref>{{cita|Broder 2017b|p 201.}}</ref>.
 
====Il convegno di Napoli e la fine di Bandiera Rossa====
Lo scioglimento della "Armata Rossa", la repressione da parte del Governo militare alleato, i conflitti interni e le molte defezioni verso altri partiti di sinistra posero seri limiti alla crescita del MCd'I. Il numero dei suoi componenti, a dicembre 1944, ammontava a circa 13.400, circa cinque volte di più che nel periodo della clandestinità, ma meno di quanto ci si potesse aspettare considerando l'intervenuta libertà di organizzazione. Sempre a fine '44 il PCI contava a Roma più di 51.200 membri e il Partito socialista più di 22.500; questi ultimi inoltre erano organizzati su scala nazionale, mentre il MCd'I aveva scarsissimo seguito al di fuori del Lazio<ref>{{cita|Broder 2017b|pp. 205-6.}}</ref>.
 
Allo scopo di uscire dall'isolamento politico il MCd'I tentò a più riprese, ma senza grandi risultati, un'intesa con le forze che criticavano da sinistra il governo e il CLN. Uno di questi tentativi fu l'invio di una delegazione al convegno della [[Frazione di Sinistra dei Comunisti e dei Socialisti Italiani]], un raggruppamento di orientamento trotschista-bordighista; il convegno si svolse a Napoli il 6 e 7 gennaio 1945 e per il MCd'I vi parteciparono (ricomposto il dissidio dell'estate precedente) Sbardella, Poce e De Luca<ref>{{cita|Corvisieri 2005|p. 157.}}</ref>. Tuttavia l'unificazione del MCd'I con questa "Frazione" di oppositori da sinistra della linea staliniana non andò in porto, anche perché Sbardella, nel suo intervento, affermò la giustezza della politica di Stalin e criticò il PCI sostenendo (del tutto erroneamente) che quest'ultimo partito non rifletteva gli orientamenti dei comunisti sovietici<ref>{{cita|Corvisieri 2005|p. 158.}}</ref>. Un opuscolo pubblicato dal MCd'I alla fine del 1944, intitolato ''La via maestra'', aveva del resto criticato il PCI per la sua politica di collaborazione con i partiti antifascisti borghesi, ma aveva (osserva Corvisieri) «assunto una posizione giustificazionista verso le scelte compiute da Stalin», senza affatto rendersi conto dell'identità di vedute fra Stalin e Togliatti<ref>{{cita|Corvisieri 2005|p. 160.}}</ref>.
 
Per parte sua il PCI continuava a lavorare per la liquidazione politica del MCd'I, ad esempio infiltrando propri militanti nelle sezioni di Bandiera Rossa con l'obiettivo di staccarle dal MCd'I e aggregarle al PCI. Un altro espediente del Partito comunista fu quello di registrare in tribunale a proprio nome la testata ''Bandiera Rossa'', impedendo così la ripresa delle pubblicazioni del periodico del MCd'I. Ad ogni modo, nel febbraio 1945 (dopo otto mesi di sospensione della pubblicazione) il MCd'I riuscì a stampare ''Bandiera Rossa'' sotto forma di bollettino interno, non distribuito nelle edicole. In esso, fra l'altro, si constatava la crisi della ''leadership'' del movimento (dando atto delle defezioni di dirigenti come Raffaele De Luca, Roberto Guzzo e Pietro Battara)<ref>{{cita|Broder 2017b|p. 218.}}</ref>, si respingevano le accuse di «trotskismo» mosse dal PCI e si chiedeva una epurazione del MCd'I dagli «elementi spostati della declinante borghesia» nonché una difesa dalla «proliferazione teppistica» infiltratasi nel movimento<ref>{{cita|Corvisieri 2005|p. 167.}}</ref>
 
A marzo del 1946 Antonino Poce informò il Ministero dell'interno degli sforzi da lui condotti per espellere dal MCd'I i membri legati al mondo della criminalità; lo stesso Poce aveva inviato delle missive all'allora Presidente del consiglio [[Governo Bonomi III|Ivanoe Bonomi]] e successivamente a [[Governo Parri|Ferruccio Parri]] allo scopo di ottenere il permesso di tornare a pubblicare legalmente un proprio periodico. Questo poté infine uscire da settembre 1945, sotto la testata ''L'idea Comunista''. Secondo Broder, da questo nuovo giornale appare tutta la fatica che il MCd'I provava nell'affrontare il nuovo compito di trasformarsi da movimento clandestino a partito legale: la più grave mancanza era quella di una chiara e condivisa linea politica che desse al movimento il senso di una strategia collettiva<ref>{{cita|Broder 2017b|p. 219.}}</ref>.
 
Nel numero del 27 gennaio 1946 de ''L'Idea Comunista'' il MCd'I pubblicò per la prima volta nella propria stampa un articolo contenente il sospetto che Stalin, in effetti, non fosse affatto il diretto erede e continuatore dell'operato di Lenin; ma l'articolo era, più che altro, scritto in polemica con il PCI e non tentava neppure di spiegare come mai l'URSS avesse abbandonato una prospettiva genuinamente rivoluzionaria<ref>{{cita|Broder 2017b|p. 220.}}</ref>.
 
Il MCd'I non riuscì a presentare proprie candidature né alle elezioni per l'[[Assemblea costituente]] né alle elezioni provinciali del novembre 1946; secondo Corvisieri «il movimento si trovava ormai di fronte a difficoltà insormontabili», dal momento che gli sviluppi in senso rivoluzionario, da sempre auspicati fin dal 1943, non si stavano affatto verificando secondo le previsioni<ref>{{cita|Corvisieri 2005|p. 178.}}</ref>
 
[[File:Alcide De Gasperi comizio.jpg|miniatura|destra|Alcide De Gasperi]]
 
La cacciata del PCI dal [[Governo De Gasperi III|terzo governo De Gasperi]], nel marzo 1947, agli occhi di molti militanti di ''Bandiera Rossa'' fece venir meno ogni ragione per rimanere fuori da quel partito; essi infatti avevano sempre cercato una riconciliazione col PCI a patto che quest'ultimo rompesse l'alleanza con i partiti borghesi. Il nuovo deflusso di militanti fu fatale per l'organizzazione romana del MCd'I, che per la fine dell'estate del 1947 cessò di esistere<ref>{{cita|Broder 2017b|pp. 222-3.}}</ref>. Corvisieri scrive che «un piccolo gruppo mantenne formalmente in vita il movimento fino al 1949»<ref name="corvisieri179">{{cita|Corvisieri 2005|p. 179.}}</ref>.
 
===Vicende successive degli ex dirigenti===
 
Filiberto Sbardella chiese la tessera del PCI, ma riuscì ad ottenerla solo dopo qualche anno. Altri dirigenti passarono ad altri partiti di sinistra, come il PSI e il [[Partito Socialista Democratico Italiano|PSDI]]. Raffaele De Luca, anziano e malato, chiese anch'egli di entrare nel PCI: la federazione comunista romana accolse la sua domanda, ma la direzione del partito la respinse <ref name="corvisieri179"/>. Anche la domanda di adesione al PCI di Antonino Poce fu respinta<ref>{{cita|Broder 2017b|pp. 223.}}</ref>.
 
Attorno agli [[anni settanta]], col rifiorire delle posizioni comuniste critiche nei confronti della strategia del [[Partito Comunista Italiano|PCI]], [[Felice Chilanti]] si occupò di riattualizzare la storia di "Bandiera Rossa". Dopo aver aderito ad “[[Avanguardia operaia]]”, Chilanti scrisse a puntate sul "''[[Quotidiano dei lavoratori]]''" la storia del gruppo.
 
In tempi più vicini Orfeo Mucci collaborò con “[[Radio Onda Rossa]]” e nell'attività dell'[[Autonomia Operaia]] di Roma, fino alla sua morte nel [[1997]]: in via dei [[Volsci]] a Roma vi è una targa che lo ricorda.
 
==Storiografia==
Roberto Battaglia attribuisce a Bandiera Rossa «carattere anarcoide e anche trotskista»<ref>{{cita|Battaglia 1964|p. 202}}.</ref>.
 
== Note ==
<references />
 
== Bibliografia ==
* {{Cita libro|titolo = Processi ai fascisti|autore = Zara Algardi|wkautore = Zara Algardi|altri = con uno scritto di [[Ferruccio Parri]]|editore = Vallecchi|città = Firenze|anno = 1973|lingua = it|annooriginale = 1958|ISBN = no|cid = Algardi 1973}}
* {{cita libro|Roberto|Battaglia|wkautore=Roberto Battaglia|Storia della Resistenza italiana|1964|annooriginale=1953|Einaudi|Torino|cid=Battaglia 1964}}
* {{cita libro|autore= Erminio Bagnasco|autore2=Marco Spertini|titolo=I mezzi d'assalto della Xª Flottiglia MAS 1940-1945 |anno= 1991 |editore=Ermanno Albertelli Editore |città=Parma |isbn=978-88-85909-25-0 }}
* {{cita libro|Alberto|Benzoni|wkautore=Alberto Benzoni|coautori=Elisa Benzoni|Attentato e rappresaglia. Il PCI e via Rasella|1999|Marsilio|Venezia|isbn=88-317-7169-8|cid=Benzoni 1999}}
* {{Cita libro|titolo = Storia dell'Italia partigiana. Settembre 1943 - Maggio 1945|url = https://archive.org/details/storiadellitalia0000bocc|autore = Giorgio Bocca|wkautore = Giorgio Bocca|editore = Mondadori|città = Milano|anno = 1996|lingua = it|annooriginale = 1966|ISBN = 978-88-04-43056-8|cid = Bocca 1996}}
* {{cita pubblicazione|autore=David Broder|titolo=Red Partisans: Bandiera Rossa in Occupied Rome, 1943-44|rivista=Historical Materialism|volume= 25|numero=2|editore=Brill|città=Leiden|anno=2017|mese= |pp=63-95|lingua= en|doi=10.1163/1569206X-12341504|cid = Broder 2017a}}
* Guido Bonvicini, ''Decima Marinai! Decima Comandante! La fanteria di marina 1943-1945'', Mursia, Milano 1988-1989
* {{Cita libro|titolo = Bandiera Rossa: communists in occupied Rome, 1943-44|autore = David Broder|url = http://etheses.lse.ac.uk/3688/1/Broder__bandiera-rosa.pdf|editore = The London School of Economics and Political Science (LSE)|città = Londra|anno = 2017|lingua = en|cid = Broder 2017b|accesso = 29 maggio 2018}}
* {{cita libro|Gloria|Chilanti|wkautoreautore=GloriaMario ChilantiBordogna|Bandieratitolo=Junio Valerio rossaBorghese e borsa nera: la Resistenza nelFlottiglia diarioMAS di|anno= un'adolescente|19982003|editore=Mursia |città=Milano |isbn= 978-88-425-84933877-26 |cid=ChilantiBordogna 19982003}}
* {{Cita libro|titolo = Storia della Xª Flottiglia MAS. 1943-1945|autore = Massimiliano Capra Casadio|editore = Rizzoli|città = Milano|anno = 2023|lingua = it|annooriginale = 2016|ISBN = 978-88-17-15687-5|cid = Capra Casadio 2023}}
* {{cita libro|Silverio|Corvisieri|wkautore=Silverio Corvisieri|Bandiera Rossa nella Resistenza romana|2005|annooriginale=1968|Odradek|Roma|isbn=88-86973-64-0|cid=Corvisieri 2005}}
* Arrigo Carnier, ''Lo sterminio mancato'', Mursia, Milano
* {{cita libro|Claudio|Fracassi|wkautore=Claudio Fracassi|La battaglia di Roma. 1943. I giorni della passione sotto l'occupazione nazista|2013|Mursia|Milano|isbn=978-88-425-5269-7|cid=Fracassi 2013}}
* {{cita libro|Renzo|De Felice|wkautore=Renzo De Felice|curatore=[[Pasquale Chessa]]|[[Rosso e Nero (De Felice)|Rosso e Nero]]|1995|Baldini&Castoldi|Milano|ISBN=88-85987-95-8|cid=De Felice 1995}}
* [[Roberto Gremmo]], ''I comunisti di Bandiera rossa: l'opposizione rivoluzionaria del Movimento comunista d'Italia, 1944-1947'', ELF, Biella, 1996
* {{cita libro|autore=Renzo De Felice|wkautore=Renzo De Felice|titolo=Mussolini l'alleato 1940-1945. II. La guerra civile 1943-1945|anno= 1998|annooriginale = 1997|editore=Laterza|città=Roma-Bari|isbn=88-06-14996-2|cid=De Felice 1997}}
* [[Roberto Gremmo]], ''I partigiani di Bandiera Rossa'', [[Biella]], [[Edizioni ELF]], 1996
* Sole De Felice, ''La Decima Flottiglia Mas e la Venezia Giulia 1943-1945'', Ediz.Settimo Sigillo
* {{cita libro|Alessandro|Portelli|wkautore=Alessandro Portelli|L'ordine è già stato eseguito. Roma, le Fosse Ardeatine, la memoria|2012|annooriginale=1999|Feltrinelli|Milano|isbn=978-88-07-72342-1|cid=Portelli 2012}}
* A cura di [[Victoria de Grazia]] e [[Sergio Luzzatto]], ''Dizionario del fascismo'', volume primo, Einaudi editore, 2002
* {{cita libro|Gabriele|Ranzato|capitolo=Roma|curatore=[[Enzo Collotti]], [[Renato Sandri]] e [[Frediano Sessi]]|Dizionario della Resistenza|volume=vol. I: ''Storia e geografia della Liberazione''|2000|Einaudi|Torino|pp=412-23|isbn=88-06-14689-0|cid=Ranzato 2000}}
* {{cita libro|autore=Mimmo Franzinelli|wkautore=Mimmo Franzinelli|titolo=Storia della Repubblica Sociale Italiana 1943-1945|anno= 2022|annooriginale = 2020|editore=Laterza|città=Roma-Bari|isbn=9788858150191|cid=Franzinelli 2022}} (Versione ebook)
 
* {{Cita libro|titolo = Il principe nero. Junio Valerio Borghese e la X mas|autore1 = Jack Greene|autore2 = Alessandro Massignani|wkautore1 =Jack Greene|wkautore2 = Alessandro Massignani|altri = traduzione di Emanuela Alverà|editore = Mondadori|città = Milano|anno = 2008|lingua = it|annooriginale = 2004|ISBN = 9788804680284|cid = Greene e Massignani 2008}} Versione ebook: Mondadori 2015, ISBN 9788852082092.
== Voci correlate ==
* {{Cita libro|titolo = La Decima Mas|autore = Ricciotti Lazzero|wkautore = Ricciotti Lazzero|editore = Rizzoli|città = Milano|anno = 1984 |lingua = it|ISBN = 88-17-53414-5|cid = Lazzero 1984}}
*[[Forte Bravetta]]
* {{Cita libro|titolo = La storia della Repubblica di Mussolini. Salò: il tempo dell'odio e della violenza|autore = Aurelio Lepre|wkautore = Aurelio Lepre|editore = Mondadori|città = Milano|anno = 1999|lingua = it|ISBN = 88-04-45898-4|cid = Lepre 1999}}
*[[Raffaele De Luca]]
* Sergio Nesi, ''Decima flottiglia nostra...'', Lo Scarabeo, Bologna, 2008
*[[Aladino Govoni]]
* Sergio Nesi, ''Junio Valerio Borghese. Un principe, un comandante, un italiano'', Lo Scarabeo, Bologna, 2004
*[[Vincenzo Guarniera]]
* Sergio Nesi, ''Ozegna, 8 Luglio 1944'', Lo Scarabeo, Bologna, 2008 ISBN 978-88-8478-116-1
*[[Filiberto Sbardella]]
* Sergio Nesi, ''Rivisitando storie già note di una nota Flottiglia - parte seconda'', Lo Scarabeo, Bologna, 2000
 
* {{cita libro|autore=Claudio Pavone|wkautore=Claudio Pavone|titolo=Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza|anno= 2011|annooriginale = 1991|editore=Bollati Boringhieri|città=Torino|isbn=9788833970134|cid=Pavone 2011}} (Versione ebook)
== Collegamenti esterni ==
* {{Cita libro|titolo = Sangue sulla Resistenza. Storia dell'eccidio di Porzûs|autore = Tommaso Piffer|wkautore = Tommaso Piffer|editore = Mondadori|città = Milano|anno = 2025|lingua = it|ISBN = 978-88-04-75920-1|cid = Piffer 2025}}
*{{cita web|http://www.namir.it/DONNE/valori.htm|Giuseppe Albano: un rivoluzionario del 1944}}
* Giorgio Pisanò, ''Gli ultimi in grigioverde'', CDL Edizioni, Milano, 1994
*{{cita web|http://www.controappunto.org/Nuova%20cartella%20(3)/LA%20BANDA%20DEL%20GOBBO.htm|il Gobbo del Quarticciolo}}
* Giorgio Pisanò, ''Storia della guerra civile in Italia'', CDL Edizioni, Milano, 1994
*[http://www.controappunto.org/Nuova%20cartella%20(3)/BANDIERA%20ROSSA.htm “Bandiera rossa” protagonista dimenticato della [[Resistenza italiana|Resistenza]] romana]
* {{cita libro|Raoul|Pupo|wkautore=Raoul Pupo|Trieste '45|2010|Laterza|Roma-Bari|ISBN=978-88-420-9263-6|cid=Pupo 2010}}
*{{cita web|url=http://www.chieracostui.com/costui/docs/search/schedaoltre.asp?ID=5857|titolo=la targa ad Orfeo Mucci}}
* {{Cita libro | autore = Federico Maistrello| titolo = La X Mas e l'Ufficio «I». Violenza tra le province di Treviso e Pordenone (1944-1945) | anno = 2018| editore = ISTRESCO}}
*[http://www.anpi.it/donne-e-uomini/1356/aladino-govoni Biografia di Aladino Govoni, dal sito [[ANPI]]]
* {{cita libro|nome=Claudio|cognome=Vercelli|wkautore=Claudio Vercelli|titolo=Frontiere contese a Nordest. L'Alto Adriatico, le foibe e l'esodo giuliano-dalmata|anno=2020| editore=Edizioni del Capricorno|città=Torino|ISBN=978-88-7707-509-3|cid=Vercelli 2020}}
*[http://www.anpi.it/donne-e-uomini/2380/tigrino-sabatini Biografia di Tigrino Sabatini, dal sito [[ANPI]]]
*[http://www.anpi.it/donne-e-uomini/660/guerrino-sbardella Biografia di Guerrino Sbardella, dal sito [[ANPI]]]
*[http://www.inventati.org/resistenza/a4/267.htm lapide in ricordo di [[Orfeo Mucci]]]
*[http://www.chieracostui.com/costui/images/foto/rmgalafati.jpg lapide in ricordo di [[Angelo Galafati]]]
* Intervista a [[Rosario Bentivegna]] in {{cita news|Dino Messina|http://archiviostorico.corriere.it/1996/agosto/20/Con_trotzkisti_Bandiera_Rossa_veri_co_0_9608205010.shtml|"Con i trotzkisti di Bandiera Rossa, veri partigiani e qualche malfattore"|Corriere della Sera|20 agosto 1996|urlarchivio=http://archive.is/2kKRy|dataarchivio=2 aprile 2014|urlmorto=sì}}
* [https://www.carmillaonline.com/2009/10/08/silverio-corvisieri-bandiera-rossa-nella-resistenza-romana/ Silverio Corvisieri: BANDIERA ROSSA NELLA RESISTENZA ROMANA], recensione di [[Valerio Evangelisti]], in "Carmilla", 8 ottobre 2009.
* Silvio Antonini, ''[http://anpi.it/media/uploads/patria/2009/10-11/29-31_ANTONINI.pdf La storia di Bandiera Rossa nella Resistenza romana]'' {{pdf}}, in ''[[Patria Indipendente]]'', 6 dicembre 2009.
* [https://www.carmillaonline.com/2015/12/05/lestetica-western-di-bandiera-rossa-intervista-a-david-broder/ L’estetica western di Bandiera rossa. Intervista a David Broder], in "Carmilla", 5 dicembre 2015.