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I vasai pisani potevano disporre di una grande quantità di materia prima che, almeno a partire dal Basso Medioevo, veniva cavata sfruttando i depositi alluvionali del fiume Arno. L’argilla di questo tratto fluviale, una volta cotta, conferisce ai manufatti il caratteristico colore rosso-arancio<ref>Per l'approvvigionamento dell'argilla vedi {{cita|Giorgio 2018c|pp. 35-44}}; {{cita|Alberti - Giorgio 2013|pp. 27-46 (studi condotti da Giuseppe Clemente- "Vasai e produzione ceramica a Pisa nel XVI secolo attraverso le fonti documentarie")}}.</ref>.
 
L'unica produzione di vasellame fino a tutto il XII secolo era di recipienti privi di coperture vetrose e di decorazioni<re>{{cita|Berti - Giorgio 2011|p. 13}}; {{cita|Berti - Gelichi 1995a}}; {{cita|Berti - Menchelli 1998}}; {{cita|Giorgio - Trombetta 2008}}</ref>. Dai primi decenni del XIII secolo la storia manifatturiera della ceramica cambia drasticamente grazie all'introduzione di nuove tecnologie per la produzione di vasellame. Viene adottata in città, infatti, la tecnica della smaltatura e dell'invetriatura, che i vasai pisani poterono apprendere grazie ai contatti avuti con maestranze straniere di area spagnola e vasellame di importazione mediterranea che abbondava in città già dagli anni finali del X secolo fino al XV. La maiolica arcaica, specie nella sua versione più semplice (monocroma), venne prodotta a Pisa fino alla fine circa del XVI secolo<ref>{{cita|Alberti - Giorgio 2013|si vedano scavi di Villa Quercioli e via della Sapienza}}.</ref>.
Contemporaneamente alla maiolica arcaica le officine ceramiche pisane sfornarono nella prima metà del XV secolo una nuova categoria di manufatti, le maioliche arcaiche policrome, che subiscono un aggiornamento nella cromia dei decori con l'introduzione del giallo<ref>Per ulteriori dettagli sulla maiolica arcaica policroma vedi {{cita|Berti - Renzi Rizzo 1997|pp=203 -207}}</ref>.
Questa produzione venne presto abbandonata quando, dalla metà circa del XV secolo, vennero prodotte le ceramiche ingobbiate e graffite principalmente “a punta”, “a stecca” e poi “a fondo ribassato”<ref>{{cita|Berti 2005}} e {{cita|Alberti - Giorgio 2013}}.</ref>.
 
Grazie alle fonti documentarie si è potuto tracciare un quadro abbastanza completo sui maestri ceramisti che si sono susseguiti in città dal XIII fino al XVII secolo. Questi documenti sono soprattutto costituiti da notizie riguardanti contratti di lavoro, acquisti, affitti e vendite, censimenti, testamenti, ma vi sono anche carte giudiziarie{{#tag:ref|Tutte queste fonti sono conservate principalmente negli Archivi di Stato di Pisa e di Firenze, in quello Arcivescovile e della Mensa, nel Capitolare ed in quelli di altre comunità religiose pisane (vedi {{cita|Berti - Renzi Rizzo 1997|pp. 225}}.</ref>.
 
Tali scritti hanno consentito anzitutto di individuare le “cappelle” di appartenenza dei ceramisti, dove cioè possedevano il domicilio e/o l'esercizio in città<ref>{{cita|Tongiorgi 1964}}; {{cita|Tongiorgi 1972}}; {{cita|Tongiorgi 1979}}; {{cita|Renzi Rizzo 1994}}. {{cita|Berti - Tongiorgi 1977a|pp. 139-153}}; {{cita|Redi 1984}}; {{cita|Stiaffini 2002}}.</ref>.
Le principali cappelle interessate sono:
* '''Nome chiesa''' alle Catene.
* '''Nome chiesa''' Porta Aurea.
* '''Nome chiesa''' Quartiere di Mezzo.
* '''Nome chiesa''' in Ponte.
* '''Nome chiesa''' in Vincoli.
* Sant’Andrea Fuori Porta.
* Sant’Andrea in Kinzica (o Chinzica).
* San Giovanni al Gatano.
* San Paolo a Ripa d'Arno.
* San Vito.
 
Diverse nomi e qualifiche lavorative sono state individuate nei documenti esaminati: barattolaio, broccaio, coppaio, fornaciaio, orciaio-orciolaio, scodellaio, stovigliaio, vasellaio-vasaio, maestro, apprendista o lavorante. Un individuo può anche essere indicato con più qualifiche contemporaneamente.
 
== Attività dei ceramisti fra il XIII e gli inizi del XVII secolo secondo le fonti scritte ==
=== XIII secolo ===
Già agli inizi del XIII secolo sappiamo che i vasai pisani cominciano a commerciare le proprie merci al di fuori dell'ambito cittadino, almeno lungo il tratto fluviale interno e in area tirrenica{{#tag:ref|Sono stati ritrovati numerosi reperti riconducibili a ceramiche di produzione pisana in Toscana Settentrionale, in Corsica e Sardegna (si rimanda alla sezione dedicata).|group=N}}.
Alcuni documenti rilevanti sono gli Statuti del 1286, che impongono ai “tegolai” precisi limiti per cavare l'argilla. Essi infatti non potevano prelevarla più in zone del centro cittadino, né di loro proprietà, né di altri, lungo le sponde del tratto fluviale che taglia in due la città. Insieme ai tegolai vengono citati i “barattolai” che, almeno in questo secolo, sono probabilmente produttori di vasellame; più tardi, con questo termine verranno indicati i rivenditori di ceramica<ref>{{cita|Berti - Tongiorgi 1977a|p. 139}}; {{cita|Bonaini 1854 - 1857|I, pp. 304-305}}. Un quadro esaustivo delle attività e delle vicende relative ai vasai dal XIII al XV secolo è desunto dai documenti di archivio analizzati in {{cita|Tongiorgi 1964}} e {{cita|Tongiorgi 1972}}.</ref>.
Sempre il “Breve” del 1286 emanato dal Comune di Pisa indica ai ceramisti la quantità massima di combustibile da poter tenere nella propria bottega, e cioè non superiore a quella necessaria per una infornata. Sappiamo infatti che questa precauzione nasce con la crescita del lavoro degli artigiani pisani che gradualmente cominciarono ad affittare diversi terreni per la raccolta del combustibile<ref>{{cita|Berti - Tongiorgi 1977a|p. 140}}; {{cita|Bonaini 1854 - 1857|I, pp. 437 - 438}}.</ref>.
Una testimonianza in tal senso è data anche dai documenti riguardanti Niccolò Piloso che, nel 1283, compera dall’Arcivescovo di Pisa la paglia necessaria alla cottura. Un altro esempio è quello di Lotto di Bartolomeo che, nel 1291, riesce ad ottenere il permesso per tagliare la paglia tra l’Arno e il Serchio per due anni.
 
In questo periodo, un altro termine legato sicuramente alla ceramica è quello di scodellaio. Fornisce un esempio Nino di Lorenzo, della cappella di San Lorenzo in Pelliparia, che nel 1291 possedeva una casa con fornace affittatagli da Giovanni Visella.
Fra i ceramisti del XIII secolo riveste un ruolo molto importante Bondie di Uguccione da Cerreto perché diede il via ad una tradizione famigliare che si imporrà nella scena artigiana pisana fino al secolo successivo<ref>{{cita|Berti - Tongiorgi 1977a|p. 140}}.</ref>.
 
Dalla documentazione scritta risulta che nel XIII secolo sono presenti a Pisa 26 operanti nel settore, di cui 21 barattolai (1 è indicato barattolaio e coppaio), 1 scodellaio, 4 vasai (1 indicato vasaio e broccaio).
 
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! Qualifica !! Cappella ignota !! S. Andrea Ch.{{#tag:ref|Tale zona, ad est del quartiere di Chinzica, si chiamava in quel tempo «Baractularia» (area attualmente occupata dal [[Cittadella Nuova|Giardino Scotto]]) e con ogni probabilità il nome faceva riferimento al gran numero di barattolai presenti nella stessa; si veda {{cita|Berti - Renzi Rizzo 1997|pp. 226-227}}. Sempre a sud dell’Arno, nella cappella di S. Sepolcro, nel 1273, è segnalato anche il vasellaio-broccaio Bondie di Uguccione (vedi {{cita|Berti - Tongiorgio 1977a|p. 140}}). L’unico scodellaio, Nino di Lorenzo, nel 1291 aveva in affitto, insieme alla moglie Parella, una casa con fornace nella zona detta “Pelliccerie”, nel quartiere di Ponte, a nord dell’Arno. Vedi {{cita|Tongiorgi 1972|p. 126}}. I dati possono essere soggetti a cambiamenti e revisioni in quanto la ricerca archivistica è ancora oggi oggetto di studio.|group=N}} !! S. Sepolcro K. !! S. Lorenzo P.
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| Barattolaio || 14 || 7 || / || /
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| Scodellaio || / || / || / || 1
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| Vasaio || 3 || / || 1 || /
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== Note ==