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Casuccio di Giovanni già da prima che il contratto fosse firmato, gestiva più di un esercizio con un alto numero di dipendenti. Molto probabilmente la maggiore quantità di pezzi concessagli dipendeva da questo aspetto.
{| class="wikitable"
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! Merce !! Prezzo (nel 1421) !! “Rationem” (quantità) !! Vendita
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| ''Vasa et scutellas'' || Fiorini 10 || Per 1000 pezzi || Ingrosso
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| ''Catinellas de medio quarto'' || Soldi 5 || Per 1 pezzo (''pro qualibet'') || Minuto
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| ''Catinellas de metrata de charovana'' || Soldi 1 || Per 1 pezzo (''pro qualibet'') || Minuto
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| ''Scutellas alba'' || Libbre 3 || Per 100 pezzi || Ingrosso
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| ''Gradalettos albos'' || Soldi 29 || Per 100 pezzi || Ingrosso
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| ''Vasa de medio quarto vantaggina'' || Soldi 1 e mezzo || Per 1 pezzo (''pro qualibet'') || Minuto
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| ''Vasa alba de medio quarto'' || Soldi 3 || Per 1 pezzo (''pro qualibet'') || Minuto
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| ''Vasa et scutellas de charovana'' || Libbre 2 e soldi 5 || Per 100 pezzi || Ingrosso
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| ''Vasa et scutellas de charovana'' || Denari 6 || Per 1 pezzo (''pro qualibet'') || Minuto
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Ancora qualche clausola del contratto:
#La merce doveva essere venduta nelle proprie botteghe, ad eccezione degli scarti che potevano essere venduti altrove.
#Ranieri di Antonio Bu riscuoteva un compenso di due grossi d’argento per ogni 1000 pezzi venduti.
#Ad ogni “gita” doveva essere presente il vasaio al quale spettava la “gita” successiva.
#Chi aveva l'attività fuori le mura, poteva vendere direttamente ai marinai, anche nelle ore notturne. La vendita dei pezzi doveva comunque rispettare le cifre pattuite, e un affiliato dell'Arte o un apposito delegato doveva essere presente durante l'operazione di carico almeno.
#Per l’invenduto venivano stabiliti nuovi prezzi almeno da due artigiani appartenenti all’Arte<ref>{{cita|Berti 2005|pp. 113-114}}; {{cita|Fanucci Lovitch - Virgili 1984|pp. 296-300}}.</ref>.
=== Secondo quarto del XV secolo ===
La documentazione archivistica non riporta un rinnovo del contratto del 1421, ma altri documenti testimoniano una florida attività anche in questo periodo.
Poco dopo infatti, nel 1427-1428, venne a formarsi una compagnia molto importante tra tre ceramisti<ref>{{cita|Berti 2005|p. 114}}; {{cita|Berti - Renzi Rizzo 2000|pp. 135-136}}.</ref>.
I tre soci erano:
{| class="wikitable"
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! Socio !! Interesse !! Apprendisti - Lavoranti - Garzoni
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| Casuccio di Giovanni (VA) + Cardo di Piero || Un terzo || Antonio/Bartolomeo/Giovanni/Menico/Prardino del fu Maso/Pasquino di Piero/Piero di Antonio di Cardo (nipote di Cardo)
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| Michele Bonaccorso (BR - VA) || Un terzo || Piero di Niccolò
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| Leonardo di Andrea (BR) || Un terzo || /
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Casuccio ormai ottantenne, continua ad avere un ruolo fondamentale nel mondo della ceramica, sebbene la figura di Cardo di Piero al suo fianco è stata sicuramente importante. Quest’ultimo entrò nella bottega di Casuccio come apprendista in età giovanissima per rimanervi in seguito con mansioni sempre più importanti fino a diventare l’erede principale di Casuccio dopo la sua morte, avvenuta tra il 1430 e il 1432. Cardo però già nel 1430 fa a sua volta testamento perché probabilmente soffriva di qualche malattia. Morirà infatti nel 1439<ref>{{cita|Berti 2005|p. 134}}.</ref>.
Il gran numero di lavoranti alle loro dipendenze indica chiaramente come la loro attività fosse molto florida.
Leonardo di Andrea faceva parte dei ceramisti che firmarono il contratto del 1421.
Negli anni di società con Casuccio e Leonardo egli abita nella cappella di San Paolo a Ripa d'Arno fuori le mura, in casa del primo, sopra la sua bottega.
Di Michele Bonaccorso si sa che prima di questa occupazione, svolse l’attività di “materassaio” e solo nel 1425 viene indicato come broccaio, poi vasaio nella società in questione<ref>{{cita|Berti 2005|p. 115, 125-140}}; vedi per un estratto della dichiarazione di Casuccio di fronte ad un notaio {{cita|Tongiorgi 1979|p. 52}}.</ref>.
Anche in questo periodo esistono attività dedite alla sola rivendita oppure al noleggio. Nel 1428 ad esempio Gaspare di Paolo del Rosso dichiara di avere nella sua bottega {{Quote|più masserizie da nozze, cioè da desinari la quale poi prestiamo, cioè caldaie, treppie, schiedoni, altri taglieri e scodelle e altre cose, come richiede il mestiere}}<ref>{{cita|Berti - Tongiorgi 1977a|p. 149}}.</ref>.
==== Il quadro economico dei ceramisti negli anni 1428-1429 ====
Prima dell'amministrazione Fiorentina fino ai primi decenni del XV secolo le imposte venivano ripartite con il sistema dell’estimo. Le valutazioni però non erano del tutto idonee ad un’equa ripartizione fiscale perché interessavano soprattutto i beni immobili favorendo quindi mercanti e banchieri i quali lavoravano maggiormente con beni mobili.
Dal 1429 entra in vigore, un nuovo metodo tassativo disposto da Firenze per tutti i suoi distretti, ovvero il catasto.
La base di partenza era una autocertificazione per nucleo familiare in cui figuravano il nome del padre/capofamiglia, la professione, il luogo di abitazione della famiglia, la descrizione dei singoli beni immobili e mobili, la misura, la rendita ed il valore di essi. In base poi a valutazioni fatte dagli ufficiali del catasto, che si basavano su diversi fattori, l'imponibile poteva essere diminuito o aumentato.
Le detrazioni si basavano principalmente su ogni persona che stava alle dirette dipendenze del capofamiglia, su affitti di case e botteghe, su livelli, debiti, salari a dipendenti e obblighi testamentari.
I forestieri che prendevano domicilio a Pisa erano esenti dalle tasse per venti anni, come pure i medici e, per quindici anni, alcune famiglie aristocratiche pisane che presero accordi con il governo Fiorentino.
Su un totale di 1752 famiglie: il 12% risulta esente da tassazioni (considerati “miserabili”) perché senza lavoro oppure inabili e tra questi figurano due operatori nel campo della ceramica.
Tra i ceramisti più ricchi troviamo il broccaio Andrea del maestro Andrea e Casuccio di Giovanni, mentre l’imponibile dei suoi giovani soci Michele di Bonaccorso e Leonardo di Andrea è piuttosto basso. Cardo di Piero invece figura nella dichiarazione in comune con il fratello Antonio.
Il motivo per il quale gli artigiani pisani cominciarono a costituire compagnie lavorative potrebbe essere legato anche al nuovo sistema esattoriale. Infatti, la dura tassazione del governo occupante colpiva soprattutto le Arti che avrebbero potuto concorrere con quelle fiorentine. Perciò, per reagire a questa pesante penalizzazione i ceramisti pisani ricorsero alla formazione di società, costituite da due o più soci, piuttosto che concorrere tra loro<ref>{{cita|Berti 2005|pp. 115-119}}. Il catasto del 1428-29 è stato pubblicato da Bruno Casini ({{cita|Casini 1964}} e {{cita|Casini 1965|pp. 6,7,9, 20-25}}.</ref>.
==== Commercio di ceramiche all'entrata della ''Legathia (Degazia)'' tra il 1441 e il 1443 ====
Il registro della dogana di Porta a Mare, nota in quel periodo come Porta della Degazia o Legathia che si erge ancora oggi ad ovest della città, costituisce una testimonianza fondamentale perché mostra come alcuni ceramisti pisani produssero una mole impressionante di vasellame destinato all'esportazione.
Di questo è possibile avere molte informazioni grazie alle gabelle riscosse dalla dogana tra gli anni 1441 e 1443<ref>{{cita|Berti - Tongiorgi 1977a|p. 152}}. Il documento doganale è possibile trovarlo in {{cita|Casini 1969|p. 140}}. Le notizie riportate di seguito sono tratte da quest’opera. I documenti sono conservati nell’Archivio di Stato di Pisa - Comune B55.</ref>.
Nonostante il campo della ceramica contasse in questi anni numerosi artigiani, nelle pagine datate dal 24 febbraio 1441 al 27 giugno 1443, spiccano solo tre “vasai”: Sano di Gherardo, Frediano Mangiacavoli e Antonio di Andrea del Mancino.
Dal giugno 1442 quest'ultimo non compare più nei registri della dogana perché aveva costituito una compagnia di cinque anni con Frediano Mangiacavoli.
Le annotazioni relative a questi vasai concernono sia ceramiche importate sia esportate (che sono prevalenti).
Le cifre da pagare per queste ultime sono valutate secondo quanto stabilito dalla Gabella fiorentina del 1408, per “''ciascuna cotta di vagelli … cioè fornace quando quocie''”, tassata ciascuna soldi 14. Ogni “cotta” comprendeva circa 2000-2100 pezzi<ref>{{cita|Berti - Tongiorgi 1977a|p. 152}}; {{cita|Pagnini 1765-1766|Tomo IV, p. 65}}.</ref>.
Sano di Gherardo, mantiene una posizione preminente dal 1441 al 1442, mentre nel 1443 il più attivo risulta Frediano Mangiacavoli che già in questo anno, come detto, è in società con Antonio di Andrea del Mancino.
Nel periodo in cui la compagnia fra Antonio di Andrea del Mancino e Frediano Mangiacauli è stata più attiva, si hanno fino a quattro cotte al mese; la stessa capacità di produzione aveva la fornace di Sano di Gherardo. Risulta quindi che tra il 24 febbraio 1441 e il 27 giugno 1443 sono state pagate complessivamente le gabelle per 113 “cotte”, cioè per circa 230.000 pezzi.
Contemporaneamente però sono registrati a parte dei pagamenti anche per varie migliaia di pezzi calcolati in base al loro numero o al loro valore.
Nei documenti in questione vengono citati anche ceramisti provenienti da aree anche molto lontane da Pisa: genti di Livorno (2-3), Elba (1), località liguri come Noli, Chiavari, Rapallo, Genova, Moneglia, Levanto (8), dalla Corsica (3), da Cremona (1), e forse da altri siti iberici e tedeschi.
Sebbene le esportazioni di ceramiche sono quelle maggiormente attestate, sono presenti anche esportazioni di manufatti non pisani. Si tratta soprattutto di ceramiche di Montelupo Fiorentino ma anche di maioliche valenzane. La loro presenza è giustificata perché Pisa costituiva ancora, almeno in Toscana, il principale punto d’ingresso e di smistamento per qualsiasi tipo di prodotto<ref>L’argomento viene trattato dettagliatamente in {{cita|Berti 2005|pp. 119-124}}</ref>.
== Note ==
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