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Altre cappelle, erano prevalentemente a nord dell’Arno. Fra queste si segnala San Iacopo del Mercato, al tempo zona di commercio. Qui si trovavano quattro vasai e due o tre di questi possedevano casa e bottega. Data la posizione appare probabile che oltre alla fabbricazione, in questi esercizi si vendevano o affittavano i pezzi finiti ({{cita|Berti - Renzi Rizzo 1997|pp. 228, 230-232}}).|group=N}}.
 
=== XV secolo ===
==== Primo quarto del XV secolo ====
Nel XV secolo assistiamo alla caduta della Repubblica di Pisa sotto la dominazione Fiorentina. Gli artigiani pisani che lavorano l'argilla per far fronte a questa situazione di crisi si organizzano come mai hanno fatto in precedenza.
Grazie a due fonti scritte si può capire con facilità come gli artigiani locali reagirono alla disfatta pisana del 1406 e alla poca organizzazione tra i membri dell'arte mostrata fino a questo momento. Questi documenti, datati rispettivamente al 1419 e al 1421, possono essere considerati dei veri e propri contratti di lavoro tra diverse persone, con delle clausole ben precise da rispettare, assicurate da sanzioni in caso di infrazioni{{#tag:ref|Si veda {{cita|Berti 2005|p. 109-110}}. I documenti sono stati rinvenuti nei protocolli del notaio pisano Giulio di Colino Scarsi, Archivio di Stato di Firenze, Notarile Antecosimiano, S399, cc. 43r-44r; S400, cc. 289r-290v. Sono stati pubblicati da Miriam Fanucci Lovitch e da Enzo Virgili nel 1984 ({{cita|Fanucci Lovitch - Virgili 1984}}).|group=N}}.
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*Per l’invenduto venivano stabiliti nuovi prezzi almeno da due artigiani appartenenti all’Arte<ref>{{cita|Berti 2005|pp. 113-114}}; {{cita|Fanucci Lovitch - Virgili 1984|pp. 296-300}}.</ref>.
 
==== Secondo quarto del XV secolo ====
La documentazione archivistica non riporta un rinnovo del contratto del 1421, ma altri documenti testimoniano una florida attività anche in questo periodo.
Poco dopo infatti, nel 1427-1428, venne a formarsi una compagnia molto importante tra tre ceramisti<ref>{{cita|Berti 2005|p. 114}}; {{cita|Berti - Renzi Rizzo 2000|pp. 135-136}}.</ref>.
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Anche in questo periodo esistono attività dedite alla sola rivendita oppure al noleggio. Nel 1428 ad esempio Gaspare di Paolo del Rosso dichiara di avere nella sua bottega<ref>{{cita|Berti - Tongiorgi 1977a|p. 149}}.</ref>: {{Quote|più masserizie da nozze, cioè da desinari la quale poi prestiamo, cioè caldaie, treppie, schiedoni, altri taglieri e scodelle e altre cose, come richiede il mestiere.}}
 
===== Il quadro economico dei ceramisti negli anni 1428-1429 =====
Prima dell'amministrazione Fiorentina fino ai primi decenni del XV secolo le imposte venivano ripartite con il sistema dell’estimo. Le valutazioni però non erano del tutto idonee ad un’equa ripartizione fiscale perché interessavano soprattutto i beni immobili favorendo quindi mercanti e banchieri i quali lavoravano maggiormente con beni mobili.
 
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Il motivo per il quale gli artigiani pisani cominciarono a costituire compagnie lavorative potrebbe essere legato anche al nuovo sistema esattoriale. Infatti, la dura tassazione del governo occupante colpiva soprattutto le Arti che avrebbero potuto concorrere con quelle fiorentine. Perciò, per reagire a questa pesante penalizzazione i ceramisti pisani ricorsero alla formazione di società, costituite da due o più soci, piuttosto che concorrere tra loro<ref>{{cita|Berti 2005|pp. 115-119}}. Il catasto del 1428-29 è stato pubblicato da Bruno Casini ({{cita|Casini 1964}} e {{cita|Casini 1965|pp. 6,7,9, 20-25}}).</ref>.
 
===== Commercio di ceramiche all'entrata della ''Legathia (Degazia)'' tra il 1441 e il 1443 =====
Il registro della dogana di Porta a Mare, nota in quel periodo come Porta della Degazia o Legathia che si erge ancora oggi ad ovest della città, costituisce una testimonianza fondamentale perché mostra come alcuni ceramisti pisani produssero una mole impressionante di vasellame destinato all'esportazione.
Di questo è possibile avere molte informazioni grazie alle gabelle riscosse dalla dogana tra gli anni 1441 e 1443<ref>{{cita|Berti - Tongiorgi 1977a|p. 152}}. Il documento doganale è possibile trovarlo in {{cita|Casini 1969|p. 140}}. Le notizie riportate di seguito sono tratte da quest’opera. I documenti sono conservati nell’Archivio di Stato di Pisa - Comune B55.</ref>.
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Sebbene le esportazioni di ceramiche sono quelle maggiormente attestate, sono presenti anche esportazioni di manufatti non pisani. Si tratta soprattutto di ceramiche di Montelupo Fiorentino ma anche di maioliche valenzane. La loro presenza è giustificata perché Pisa costituiva ancora, almeno in Toscana, il principale punto d’ingresso e di smistamento per qualsiasi tipo di prodotto<ref>L’argomento viene trattato dettagliatamente in {{cita|Berti 2005|pp. 119-124}}</ref>.
 
===== L'apprendistato =====
La presenza di uno o più garzoni nelle botteghe ceramiche era molto frequente. Grazie alla documentazione archivista è possibile oggi esporre qualche esempio, soprattutto inerente a come maestro e apprendista instauravano un rapporto che andava oltre il mero aspetto lavorativo.
Il padrone dell'attività, oltre a garantire al garzone un salario, dava vitto e alloggio e non di rado forniva anche il vestiario. L'apprendista invece si impegnava a rispettare gli ordini del maestro, a lavorare nei giorni feriali sia di giorno che di notte se richiesto.
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In questo periodo comunque era praticata anche la schiavitù. Sappiamo infatti che nel 1441 presso due fornaci in società, lavorava uno schiavo di origine russa il cui stipendio veniva incassato dal suo padrone<ref>{{cita|Berti - Tongiorgi 1977a|p. 153}}.</ref>.
 
==== Seconda metà del XV secolo ====
In questo periodo spicca l'attività di un ceramista in particolare, Sano di Gherardo Borghesi.
Costui probabilmente già nella metà del XV secolo, aveva introdotto nella propria bottega la produzione di ceramiche ingobbiate e graffite. Tale affermazione è possibile sulla base di alcuni documenti che citano per la prima volta la presenza di “terre bianche” a Pisa.