Assedio di Arpi: differenze tra le versioni

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L'anno successivo (213 a.C.) vide, ancora una volta, la guerra contro Annibale affidata ai due consoli dell'anno: [[Quinto Fabio Massimo (console 213 a.C.)|Fabio Massimo]] ebbe l'Apulia, accompagnato dal padre [[Quinto Fabio Massimo Verrucoso]], di cui fu ''[[legatus]]'',<ref>{{cita|Livio|XXIV, 44.10}}.</ref> mentre [[Tiberio Sempronio Gracco (console 215 a.C.)|Sempronio Gracco]], la Lucania.<ref>{{cita|Livio|XXIV, 43.5, 44.1 e 44.9}}.</ref>
 
Nell'accampamento di ''[[Suessula]]'' dove i due Fabi si erano fermati, pronti a ripartire per l'Apulia, vennero di notte e di nascosto un cittadino di Arpi, Dasio Altinio, con tre dei suoi schiavi. Il cittadino promise al console di consegnarliconsegnargli la città in cambio di un premio. Durante il consiglio di guerra che seguì, alcuni consigliarono a Fabio di batterlo con verghe e di metterlo a morte in quanto disertore, poiché dopo la battaglia di Canne, Dasio era passato dalla parte di Annibale, trascinando Arpi alla ribellione. E ora che Roma sembrava rinascere era disposto a «compensare i traditi di un tempo con un nuovo tradimento».<ref>{{cita|Livio|XXIV, 45.1-3}}.</ref>
{{Citazione|Alleato infido, nemico degno di disprezzo, egli stava sempre da una parte in attesa di dare le sue simpatie alla parte avversa.|{{cita|Livio|XXIV, 45.3}}.}}
Fabio, padre, riteneva invece che, visto il particolare momento della guerra, fosse necessario considerare Dasio Altinio, non un nemico ma neppure un alleato, tenendolo in libertà vigilata in qualche città fedele, non lontano dagli accampamenti. E solo una volta terminata la guerra, si sarebbe deciso sul da farsi, se punirlo o perdonarlo. Ora era più che mai necessario evitare che Roma fosse abbandonata da altre città, permettendo loro di legarsi ai Cartaginesi.<ref>{{cita|Livio|XXIV, 45.4-8}}.</ref> Alla fine la sua opinione ricevette l'approvazione di tutti. Altinio venne consegnato agli ambasciatori di ''[[Cales]]'' a cui fu ordinato di conservare per lui una grande quantità di oro che aveva portato con sé. E quando ad Arpi seppero che era stato allontanato forzatamente, molti presi dalla paura mandarono degli ambasciatori ad Annibale.<ref>{{cita|Livio|XXIV, 45.9-11}}.</ref> Annibale allora, cogliendo l'occasione per appropriarsi delle sostanze di un uomo così ricco, convocò la moglie e i figli di Altinio e dopo aver saputo quanto oro e argento fosse rimasto a casa, li fece ardere vivi.<ref>{{cita|Livio|XXIV, 45.12-14}}.</ref>