Enore Zaffiri: differenze tra le versioni
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Ha fondato lo Studio di Musica Elettronica di Torino (SMET), incrementando la diffusione del nuovo linguaggio musicale elettronico in Italia – negli [[anni 1960|anni sessanta]] e [[anni 1970|settanta]] – anche attraverso l'uso del [[sintetizzatore]] come strumento da concerto.
Dagli anni Settanta affianca, alla produzione musicale, il linguaggio visivo – prima col videotape e successivamente con mezzi puramente digitali – entrando nel novero dei maggiori artisti italiani di [[
==Biografia==
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Ma le nuove interpretazioni zaffiriane dei classici – che oggi compongono un catalogo con centinaia di titoli – assumono subito un significato completamente diverso, sia per le attuali tecnologie (le cosiddette "tastiere campionate") che permettono una resa del suono più "realistica" ed esteticamente compatibile con lo spirito dell'originale, sia per gli intenti con cui il nostro musicista mette in atto questa immensa operazione di re-visione del pianoforte classico-romantico. Ciò che Zaffiri ricerca, nelle [[sonata|sonate]] di [[Ludwig Van Beethoven|Beethoven]] come nei preludi di [[Fryderyk Chopin|Chopin]], non è la ripetizione di un evento fin troppo "consumato" dal mercato discografico, ma la dimostrazione che il fruitore intelligente e preparato di musica può trasformarsi a sua volta in esecutore e interprete, semplicemente capovolgendo il rapporto che la legge del consumo impone tra prodotto e fruitore: non dev'essere il mezzo elettronico a imporre le sue caratteristiche, ma il fruitore a cercare di realizzare sé stesso con le grandi potenzialità che l'elettronica oggi offre. Sullo slancio di questa nuova stagione creativa, Zaffiri ritrova pubblico e "palcoscenici" – soprattutto il palcoscenico di oggi: il web – tra cui far circolare il suo nuovo messaggio. Le nuove occasioni d'incontro sono con il pubblico del Circolo degli artisti di Torino nel [[1990]], presso il prestigioso [[Politecnico di Torino|Politecnico]] del capoluogo piemontese nel maggio dello stesso anno, e al Teatro Juvarra nel dicembre successivo.
L'ultima proposta, in ordine di tempo, che la creatività multiforme del maestro ha saputo realizzare, a settant'anni compiuti, rappresenta la sintesi perfetta del suo lungo cammino artistico:
«''questo progetto riprende le esperienze della musica geometrica degli anni Sessanta, con alcune varianti che riguardano in modo particolare inserti di cellule ritmiche e melodiche. Poiché l'impostazione di tali cellule nella struttura generale del Progetto ricorda alcuni procedimenti strutturali in uso presso i compositori polifonici del Quattrocento, ho pensato di denominare questa esperienza sonora Musica isoritmica''. (…) ''Ad ogni suono corrisponde un'immagine. La durata di ogni figura sonora è uguale a quella visiva. Alle tre intensità del suono (piano – mezzoforte – forte) corrispondono tre diversi modi di presentarsi dell'immagine: fissa, ad impulsi, in movimento. In totale si hanno 27 frequenze sonore, corrispondenti a 27 note del sistema musicale (partendo dal primo Do sotto il Do centrale del pianoforte, in progressione cromatica ascendente si arriva all'ultimo suono, ossia al secondo Re sopra il Do centrale del pianoforte). Quindi ai 27 suoni corrispondono 27 immagini. Poiché la figura viene letta in quattro modi differenti, cioè (come nella prassi dodecafonica) nel modo Ordinario (O.), Ordinario retrogrado (OR.), Inverso (I.) e Inverso retrogrado (IR.), si è stabilito di attribuire ad ogni modo 27 immagini differenti, cioè complessivamente 108 immagini. Il Progetto si presta a essere fruito in svariate maniere. La lettura (diciamo) monodica di ogni modo (O., OR., I., IR.), oppure, col sistema permutatorio, sovrapponendo due o tre o tutti e quattro i modi, per un totale di 14 combinazioni. Si ottiene così un tipo di polifonia (a due, a tre, a quattro voci) e una corrispondente policromia (sovrapposizione di due, tre o quattro immagini, sfasate nel tempo in virtù della struttura del Progetto)''.»
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