Ilaria Alpi: differenze tra le versioni
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Il duplice omicidio determinò l'apertura di due distinti procedimenti penali a carico di ignoti: l'uno, presso la procura di Roma, per la morte della Alpi (p.p. 2822/94 RGNR mod. 44); l'altro, presso la procura di Trieste, per la morte di Hrovatin (p.p. 110/1994 RGNR mod. 44). Titolari delle indagini erano, rispettivamente, i sostituti procuratori Andrea De Gasperis e Filippo Gulotta; quindi, il 20 marzo 1996, il procuratore capo di Roma Michele Coiro affiancò a De Gasperis il sostituto Giuseppe Pititto, poi divenuto unico titolare dell'inchiesta.
Pititto dette all'inchiesta un impulso significativo: dispose l'autopsia sul corpo della Alpi, laddove, in precedenza, erano stati effettuati soltanto rilievi necroscopici esterni; richiese una nuova consulenza tecnica balistica, a seguito della quale fu accertato che i colpi furono inferti alla giornalista a una distanza ravvicinata, alla stregua di un'esecuzione, mentre la prima consulenza, effettuata nel maggio 1994, aveva accreditato l'ipotesi che i colpi fossero stati sparati da lontano; soprattutto, il 12 giugno 1997 convocò a Roma, quali persone informate sui fatti, la guardia del corpo della giornalista, Mohamed Nur Aden, e il suo autista, Sidi Ali Abdi, appena rintracciati dalla Digos di Udine. Tuttavia, il 18 giugno 1997, il nuovo procuratore capo di Roma, [[Salvatore Vecchione]], avocò le indagini a Pititto e le assegnò a Franco Ionta
Solo alcuni giorni prima, il 6 giugno 1997, Panorama dette rilievo, in un ampio reportage, ad una serie di violenze asseritamente commesse dalle truppo italiane in Somalia nell'ambito della missione Ibis ([[UNOSOM I]] e [[UNOSOM II|II]]), pubblicando alcune foto; inoltre, era stato diffuso un memoriale (''memoriale Aloi''), in cui l'estensore, un maresciallo all'epoca in servizio presso il [[1º Reggimento carabinieri paracadutisti "Tuscania"|reggimento Tuscania]], dava conto di presunte violenze messe in atto dal contigente italiano ai danni di civili somali, adombrando un ''possibile collegamento tra la morte della giornalista Alpi e certi comportamenti'' dei militari italiani. Il 16 giugno fu nominata una commissione governativa d'inchiesta con l'incarico di accertare la perpetrazione di eventuali abusi (ne facevano parte [[Ettore Gallo]], [[Tina Anselmi]], [[Tullia Zevi]], nonché i generali Antonino Tambuzzo e Cesare Vitale). Successivamente, tuttavia, emerse la mendacità delle affermazioni rilasciate nel corso dell'intervista a Panorama da uno degli accusatori<ref>[https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1997/06/27/ho-calunniato-esercito-per-fare-un.html La Repubblica, 27/06/1997, "Ho calunniato l'esercito per fare un po' di soldi]</ref> e la commissione parlamentare, al termine dei lavori, escluse che il contingente italiano nel suo complesso si fosse reso responsabile di atti di violenza contro i civili somali (al contrario di quanto fu accertato per il contigente belga)<ref>La magistratura indagò sui seguenti fatti: 1) il presunto stupro ed omicidio di un minore somalo presso l'ambasciata italiana a Mogadiscio, per il quale fu indagato un tenente colonnello della Folgore: fu provata la mendacità delle dichiarazioni accusatorie, peraltro rese da un civile che, in gioventù, aveva frequentato l'Accademia navale di Livorno e dalla quale era stato a suo tempo allontanato per motivi psichiatrici, con la diagnosi di note neurotoniche nevrasteniche; i giudici, in motivazione, stigmatizzarono la circostanza secondo cui i vertici militari non avrebbero collaborato alle indagini "per negligenza o altro" 2) lo stupro di una giovane somala, Dhaira Salad Osman, con una bomba illuminante; 3) le torture con elettrodi di un prigioniero somalo, il cui autore è stato condannato in primo grado per il delitto di cui all'art. 608 c.p. e nei confronti del quale la Corte d'appello di Firenze ha pronunciato nel 2001 sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione; 4) le sevizie perpetrate nei confronti di tre cittadini somali, poi ricoverati presso un ospedale degli Emirati Arabi Uniti, i quali, in occasione della [[battaglia del pastificio]] del 2 luglio 1993, erano stati fermati mentre si trovavano a bordo di un camion carico di armi diretto nella zona degli scontri, al fine di sostenere i miliziani.</ref>
Nel frattempo, l'ambasciatore italiano in Somalia, Giuseppe Cassini, avvalendosi di due somali, Ahmed Mohamed Mohamud (detto Washington) e di Mohamed Nur Mohamud (detto Garibaldi), fece giungere a Roma alcuni civili che avevano dichiarato di aver subito violenze da parte dei militari italiani. Tra questi, vi erano Omar Hashi Hassan e Ahmed Ali Rage, detto Gelle, chiamati a testimoniare dinanzi alla commissione Gallo; senonché, Gelle accusò Hassan di aver commesso l'omicidio della giornalista e del suo operatore, sostenendo di averlo riconosciuto come uno degli autori dell'omicidio e precisando di aver assistito personalmente alla sparatoria mentre si trovava davanti all'hotel Hamana.
Nel prosieguo delle indagini, furono escussi Adar Ahmed Omar, una donna che gestiva una bancarella del the davanti all'hotel Hamana; Hussein Alasow Mohamed detto Bahal, seduto davanti al medesimo albergo; Abdi Omar Mohamed Jalla, il quale si era intrattenuto nelle vicinanze dell'albergo.
[[File:Hashi Omar Hassan, 1998.jpg|thumb|Il somalo Hashi Omar Hassan, accusato degli omicidi Alpi e Hrovatin, davanti al tribunale di Roma nel 1998: condannato nel 2000 a 26 anni di reclusione, tuttavia nel 2015 il suo processo venne rivisto, portando l'anno seguente alla sua assoluzione.]]
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