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Giulio Emanuele Rizzo non nascose mai la sua avversione contro il regime fascista: per tale motivo sottoscrisse il "Contromanifesto" dettato da Benedetto Croce in risposta al "Manifesto degli intellettuali del Fascismo", redatto da Giovanni Gentile. Questo suo atteggiamento gli permise di autodefinirsi "Sikelio", in risposta a chiunque gli dicesse che anche Giovanni Gentile era un siciliano:<ref>{{cita|V. Rizzo|p.16|Sikelio}},1999.</ref> {{citazione|Si, è vero, ma io sono Sikelio e lui è Sicano.}}
Quando nel 1939 venne soppressa l'Accademia dei Lincei e alcuni dei suoi soci vennero spostati nell'Accademia d'Italia, egli si rifiutò di prendervene parte. <ref>{{cita|V. Rizzo|p.19|Sikelio}},1999.</ref>
Nel 1944, a guerra terminata, l'Accademia dei Lincei venne ricostituita ed egli venne richiamato insieme a Croce, Guido Castelnuovo e Gaetano De Sanctis.<ref>{{cita|Enciclopedia Treccani}}</ref> La sua fedeltà ai Lincei gli assicurò il ruolo di Vice-presidente prima e di Presidente poi, ma l'archeologo rifiutò per non cedere alle pressioni e si dimise dall'incarico. <ref>{{cita|V. Rizzo|p.20|Sikelio}},1999.</ref> <br>
Durante il ventennio fascista, però, questa sua avversione non gli rese la vita facile. Grande estimatore dell'arte e della letteratura greca, non si abbassò mai a condividere l'idea del regime, secondo la quale si dovevano esaltare i valori della romanità, quasi in una forma di patriottismo: tale atteggiamento lo portò ad una condizione di totale vuoto e isolamento, aumentato dalla perdita di moltissimi ammiratori e seguaci.<ref>{{cita|G. Agnello|p. 105|Agnello}},1966.</ref>
 
==Le opere==