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L’approccio di Boatto è sempre stato caratterizzato dal bisogno di comprendere in profondità il presente, oltre gli schemi e gli automatismi dell’attualità, e dalla necessità di rinnovare la critica d’arte.
Distante tanto dai toni evocativi dei “critici-poeti” che dalla secchezza degli accademici, quella di Boatto si è così presentata sin dall’inizio come una visione autonoma, alimentata da una modernità eterodossa e cosmopolita, nutrita di filosofia, psicoanalisi e antropologia, in cui spiccano i grandi “distruttori” ([[Sade]], [[Freud]], [[Nietzsche]]), il surrealismo francese (Bataille, Breton, Leiris), ma anche scrittori e saggisti di sensibilità e percorsi diversi (Blanchot, Borges, Jünger, Michaux), che nutriranno a lungo le sue riflessioni, sino ad anni recenti.
Boatto ha sempre puntato ad andare oltre all’efficacia immediata della scrittura critica, ideologica e mercantile, riaffermando al contrario l’esigenza “di una libertà non astratta ma concreta”, praticando uno sguardo dal di fuori, come recita il titolo di uno dei suoi libri più intensi e originali (1981; nuova edizione Castelvecchi 2013), ovvero adottando lo sguardo libero e incondizionato del naufrago e dell’astronauta.
Tracciando a caldo un giudizio dotato già di prospettiva storica, muovendosi all’indietro sino all’avanguardia di inizio Novecento e impegnandosi in una riflessione sulla modernità riletta attraverso Benjamin e [[Baudelaire]], Boatto univa infatti all’analisi della costellazione pop e dei maestri del new dada una riflessione sul destino dell’arte nell’epoca del consumo universale e della produzione di massa dotata di quell’urgenza e di quella lucidità che sole rendono davvero memorabile il precario esercizio della critica. A partire dalla fine degli anni settanta la sua scrittura si allontana sempre più dallo scenario artistico circostante per inoltrarsi in personalissime esplorazioni al confine tra letteratura, estetica, storia dell’arte.
Roberto Lambarelli, direttore del periodico trimestrale ''ArteeCritica'', una rivista di arte contemporanea presente anche online, pubblica un articolo a proposito della nuova edizione de ''Lo sguardo dal di fuori'' (1977, nuova edizione Castelvecchi 2013).
In questo articolo Lambarelli riporta una conversazione fatta con lo stesso Boatto proprio riguardo l’opera e inizialmente riportando delle parole dello stesso autore del libro, conclude chiedendo che fine fa l’uomo nella sua visione e se la fase dello specchio porta a ricomporre l’umanità, il saggista risponde:
{{Citazione|L’uomo, pure nell’espressione maggiormente consapevole e aperta all’accoglienza, rappresentata per me dalla figura dello psiconauta, si muove in una situazione precaria e opaca, e tuttavia ricca di numerose prospettive e potenzialità. Per altro, lo psiconauta è una figura ancora tutta da inventare attraverso la via della prova e dell’esperienza. Nel mio libro, identifico lo psiconauta nell’uomo che viaggia “allungato su quel tappeto supremamente invisibile che si chiama droga” (qui, la droga racchiude l’immagine sintetica di ogni stato della coscienza potenziato ed estraniato).[...] In una condizione d’instabilità personale e pubblica, questa tradizione artistica spoglia e discostante mi ha dato un senso di stabilità e di certezza. Dopo la guerra, ho trascorso gli anni iniziali dell’adolescenza abitato da un sentimento divorante d’angoscia – di morte? – e mi sono aggrappato all’arte oggettuale, un po’ come un naufrago ad un’insperata boa di salvezza.|Alberto Boatto}}
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