Alla sera: differenze tra le versioni

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{{citazione|Mentre noi parliamo, se ne va, fuggendo, il tempo invidioso|Orazio, ''Odi'', XI, 7-8<ref name=xi>{{cita web|editore=OilProject|accesso=5 luglio 2016|titolo=Foscolo, "Alla sera": parafrasi del testo|autore=Rachele Jesurum, Sara Bandiera|url=http://www.oilproject.org/lezione/ugo-foscolo-poesie-sonetti-alla-sera-parafrasi-poesia-romantica-3306.html}}</ref>|Dum loquimur, fugerit invida aetas|lingua=la}}
Oltre alle ''Odi'' di Orazio agisce in questo sonetto anche il modello di Petrarca e dei suoi discepoli; dal poeta aretino Foscolo cita il cinquantaseiesimo sonetto del ''[[Canzoniere (Petrarca)|Canzoniere]]'', ''Se col cieco desir che 'l cor distrugge'', mentre da [[Giovanni Della Casa]] - celebre petrarchista del Cinquecento - Foscolo ha attinto l'espressione «feroce spirto un tempo ebbi e guerrero», coniando la locuzione ''spirto guerrier'' (v. 14). Si sente, infine, anche l'influenza della lirica tedesca di fine Settecento: come i poeti dello ''[[Sturm und Drang]]'', infatti, Foscolo instaura parallelismi tra il proprio stato d'animo e la natura.<ref>{{cita web|editore=OilProject|accesso=5 luglio 2016|autore=Matteo Pascoletti|titolo=Foscolo, "Alla Sera": analisi e commento|url=http://www.oilproject.org/lezione/ugo-foscolo-sonetti-alla-sera-metrica-2251.html}}</ref>
 
=== La nozione del nulla eterno e la morte come ''imago'' ===
Il concetto del nulla era già stato affrontato da Foscolo nel carme ''Al Sole'' (pubblicato nel [[1797]]), dove appare anche l’immagine della sera e delle nubi che corteggiano il sole: “Tutto si cangia! / Tutto pere quaggiù! Ma tu giammai, / eterna lampa, non ti cangi? mai? / pur verrà dì che ne l’antiquo voto / cadrai del nulla, allora che Dio suo sguardo / ritirerà da te: non più le nubi / corteggeranno a sera i tuoi cadenti / raggi su l’Oceàno” (vv. 49-56).
 
E così prima di lui avevano scritto anche Young nella ''Notte'' (“O notte, o silenzio, o nulla, compagni terribili, indivisibili ed eterni. Ciascuno de’ miei pensieri è un pugnale, che mi trafigge il seno”) e Monti negli ''Sciolti a don Sigismondo Chigi''. Tuttavia i due autori avevano affrontato l’idea del nulla in una concezione spiritualistica contrapponendola invece all’idea di immortalità. Foscolo è dunque il primo, già con ''Al Sole'', a proporre il superamento del nulla con la stessa concezione della morte.
 
Scrive Di Benedetto, il Foscolo scopre la positività di per sé del nulla. La contemplazione della sera, alta esperienza estetica, porta il poeta a “vagar” con i pensieri “su l’orme che vanno al nulla eterno”. L’associazione più forte è dunque quella della sera con il poeta e con il vagare dei suoi pensieri: il pensiero che porta al nulla eterno si associa infatti con una situazione in cui tensioni interne e passioni si placano e trovano riposo.<ref name=":0">{{Cita libro|autore=Vincenzo Di Benedetto|titolo=Lo scrittoio di Ugo Foscolo|anno=1990|editore=Giulio Einaudi editore|città=Torino|pp=5-19}}</ref>
 
Per pura associazione analogica, evitando ogni collegamento logico, Foscolo fa corrispondere l’alto momento di contemplazione della sera a una situazione serena che in modo diretto e intuitivo è anche il momento della morte, la quale si insinua come percezione, ''imago'', un fantasma mai descritto se non come contemplazione e intuizione del tutto: dell’indefinito e dell’infinito, di ciò che non è tempo ma è poesia. Un annullamento analogo a quello di Saffo nell’ode ''[[All'amica risanata|All’amica risanata]]'', presentata proprio quando si inserisce il motivo apparentemente in contrasto della morte, ma in realtà coerente perché corrispondente - come già ripetuto - al momento della contemplazione più elevata, rappresentando la necessità incombente di uscire dai limiti della finitezza e del tempo.
 
La stessa idea della morte come ''imago'' è citata in [[Omero]] con il termine greco εἴδωλον, riferendosi al momento in cui Ulisse ha cercato invano di abbracciare la madre Proserpina nell’Ade (“tre volte tentai di abbracciarla, l’animo me lo comandava, / e tre volte sfuggì alle mie mani come un’ombra o un sogno / sei forse un’''immagine ingannevole'' inviata da Proserpina / per tormentarmi ancora?”) e nell’''Eneide'' in riferimento all’abbraccio fra Achille e Anchise (“Così ricordando, insieme rigava il volto di molto pianto: / Tre volte tentò lì di gettargli le braccia al collo; / tre volte l’''immagine'' invano / afferrata sfuggì alle mani, / uguale ai leggeri venti e molto simile al sogno”).
 
=== Il ciclo lucreziano ===
La sera scende insieme al pensiero della morte verso l’animo del poeta sia in primavera (stagione vitale per antonomasia) sia in inverno. Si tratta della ripresa del noto concetto lucreziano del ciclo cosmico: per Lucrezio infatti l’alternarsi delle stagioni rappresenta il ciclo infinito di nascita e distruzione, mentre dall’altra parte sta la vita dell’uomo, quell’esistenza lineare e dunque finita. Stavolta però, grazie alla contemplazione e alla poesia, l’uomo può sfuggire alla condanna del tempo finito ed elevarsi al ciclo infinito della natura, assimilandosi ad essa.<ref name=":0" />
 
=== Il ricordo del passato ===
Tale concetto di eternità è reso da Foscolo anche con l’omissione di ogni verbo o sostantivo che possa riferirsi al passato o al presente. In una prima redazione del sonetto il poeta aveva infatti scritto che la Sera lo faceva vagare “su l’orme / ''de’ cari anni passati''” (ricollegandosi a un suo saggio su Lucrezio in cui affermava che lo scorrere del tempo lo faceva guardare al passato) e che con il dileguarsi del tempo “van con lui le torme / delle cure ''or'' meco egli si strugge”. In un primo momento la serenità resa dalla sera si realizzava dunque con il ricordo degli anni più giovanili, di un’infanzia ignara del male. Durante la riscrittura del sonetto tuttavia Foscolo interrompe il circuito presente/passato, ed è qui che si rapporta veramente al nulla eterno, in un contesto in cui non si possono mettere in rapporto le coordinate temporali.<ref name=":0" />
 
=== Lo scorrere del tempo e degli affanni ===
Resta comunque intatta l’immagine del tempo che fugge, evidentemente ripresa dalle ''Georgiche'' di Virgilio in un passo (“ma fugge intanto, fugge irrecuperabile il tempo” III, 284) poi tradotto anche da Petrarca in ''Rime'' 264 (“e parte il tempo fugge”). Ma anche stavolta in Virgilio e Petrarca il fuggire del tempo è visto con rimpianto: per Virgilio è il rimpianto di non poter portare a termine ogni progetto, per Petrarca il rammarico di non occuparsi adeguatamente di se stesso e della sua anima di cristiano.
 
Foscolo allora rovescia i suoi modelli precedenti caricando il fuggire del tempo di una valenza positiva: il tempo nonostante sia “reo”, malvagio (e non più irrecuperabile come in Virgilio), non è più un motivo di rimpianto a causa del suo dileguarsi, ma corrisponde a un processo di acquetamento delle passioni interne. Foscolo, a differenza degli altri due autori, non ha infatti un disegno progettuale, non ha un futuro davanti a sé, e proprio questo costituisce il fondamento di un senso nuovo del tempo.
 
Lo stesso scrive ad Antonietta Fagnani Arese: “Ho tante ragioni per fuggire la società, e la vita mi costa ogni dì tante lagrime, ch’io non aspetto se non il momento di dire addio a tutto il mondo e di terminare i miei ''tormenti'' e i miei giorni”. I tormenti citati nella lettera non sono altro che “le torme delle cure” che il tempo porta via con sé nel sonetto: l’insieme degli affanni dunque che secondo Foscolo (commento alla ''Chioma di Berenice'') sono causa dell’ipocondria descritta da Ovidio, per il quale l’angoscia può essere diluita con lo scorrere del tempo. Così anche in Virgilio “il Lutto e gli Affanni” sono troncati dall’arrivo del “Sonno, parente della morte” e della “Guerra, portatrice di morte” (''Eneide'', vv. 274-282).<ref name=":0" />
 
=== Lo "spirto guerrier" ===
Come abbiamo letto, all’immagine del tempo che fugge con gli affanni si oppone quella della contemplazione della pace che addormenta “lo spirito guerriero” che gli ruggisce dentro. Inizialmente, la parola “spirto” era sostituita da “istinto”, anche se poi Foscolo la cambiò perché probabilmente poteva confondersi con l’accezione di istinto come elemento vitale, dunque incompatibile con l'immagine presentata nel sonetto.
 
Il modello dello “spirto guerrier” è stato indicato dalla critica nelle ''Rime'' di Giovanni Della Casa, il quale presenta prima il proprio “feroce spirito e guerrero”, contrapponendolo poi al desiderio di “riposo e pace”: “Feroce spirto un tempo ebbi e guerrero, / e per ornar la scorza anch’io di fore, / molto contesi; or langue il corpo, e ‘l core / paventa, ond’io riposo e pace chero”. Ma se nel Della Casa si inserisce l’idea tragica della fine della vita, in Foscolo si tratta invece dell’alternarsi di giorno e sera, di primavera e inverno.
 
L’intensità delle passioni è inoltre resa da Foscolo con il gioco fonico su base /r/, per cui anche stavolta la parola “istinto” poco poteva aiutare.
 
Ancora nella lettera ad Antonietta Fagnani, lo scrittore si chiede “perché deve più questo infelice vivere e tormentarsi; e non trovare mai pace; ed essere sempre in guerra con se medesimo e con gli altri”, con l’affermazione finale che “io gemerò; ma in un sacro ed eterno silenzio”.
 
Il “sacro ed eterno silenzio” della lettera si può dunque accostare al “nulla eterno” del sonetto; e con un procedimento analogo, anche nella lettera la prospettiva di terminare i propri tormenti e la propria vita è messa a confronto con la guerra interiore nella quale Foscolo è coinvolto.<ref name=":0" />
 
== Analisi del testo ==