Ca' Dolfin: differenze tra le versioni
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'''Ca' Dolfin''' (detto anche '''Palazzo Secco Dolfin''' o '''Palazzo Dolfin''') è un edificio civile situato nel sestiere di [[Dorsoduro]] di [[Venezia]] vicino a [[Chiesa di San Pantalon|San Pantalon]]; uno dei numerosi palazzi sparsi per Venezia un tempo posseduti e abitati dalla [[Dolfin (famiglia)|famiglia Dolfin]]. Attualmente ospita l'Aula Magna Silvio Trentin dell'[[Università Ca' Foscari Venezia|Università di Ca' Foscari]].
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Nei due decenni successivi i fratelli Daniele III e Daniele IV Dolfin fecero intraprendere un vasto programma iconografico per la decorazione del salone. Lo scopo era la glorificazione della loro storica famiglia. Dapprima, intorno al 1914, chiamarono [[Nicolò Bambini]] e [[Antonio Felice Ferrari]] per affrescarne il soffitto e successivamente [[Giambattista Tiepolo]] per realizzare, tra il 1725 e il 1729, dieci tele con storie dell'antica Roma. In entrambi i casi furono molto probabilmente consigliati da un altro fratello, il patriarca di Udine [[Dionisio Dolfin]], che aveva già commissionato alcuni lavori a tutti questi artisti. Anzi Tiepolo si divise tra le due commesse eseguendo le sue tele negli inverni di quegli anni e riservando la stagione calda per finire gli affreschi udinesi. In onore ai suoi committenti Tiepolo dipinse (probabilmente tra il 1745 e il 1755) anche il ritratto postumo di [[Daniele Girolamo Dolfin|Daniele IV]] (morto nel 1729).
[[File:The Ca Dolfin Tiepolos The Metropolitan Museum of Art Bulletin v 55 no 4 Spring 1998 Pagina 29 Immagine 0002.jpg|thumb|upright=1.4|Scorcio del salone di Ca' Dolfin, vista verso nord ovest|alt=]]
Con Andrea (1748-1798) il ramo dei Dolfin di san Pantalon si estinse e il palazzo finì in eredità alla sorella Cecilia Dolfin sposata con Francesco [[Lippomano]] e da questa nel 1854 al nipote [[Giovanni Querini Stampalia]].<ref>{{Cita web|url=http://www.querinistampalia.org/ita/uploads/schedeMuseo.pdf|titolo=Palazzo Querini Stampalia - Salotto verde|formato=pdf|accesso=30 giugno 2019}}
Le cifre erano decisamente esigue per ambedue le vendite. Tuttavia bisogna ricordare la sfortuna del barocco e del rococò a quel tempo e lo stesso Tiepolo era considerato soltanto un abile decoratore.<ref>Vedi la lettera di [[Giovanni Morelli (storico dell'arte)|Giovanni Morelli]] (21/2/1872) pubblicata integralmente in {{Cita|Christiansen 1998}}, p. 59.</ref> Quanto al palazzo era quasi in rovina: i Querini lo avevano utilizzato come cava di materiali pregiati (per esempio i gradini di marmo rosso erano stati completamente smantellati rendendo lo scalone impraticabile) e prima, durante l'[[Repubblica di San Marco|insurrezione del 1848]], un bomba austriaca ne aveva sfondato il tetto, oltre a questo i vetri rotti delle finestre lasciarono gli interni in balia delle intemperie.<ref>{{Cita|Mantoan-Quaino}}, pp. 201, 222-223</ref>
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== Descrizione ==
[[File:Dolfin02.jpg|sinistra|thumb|upright=1.7|Nicolò Bambini e Antonio Felice Ferrari, ''Apoteosi di Venezia'', affresco, 1714 c.|alt=]]Ca' Dolfin ci appare oggi esternamente pressoché come l'aveva lasciata Domenico Rossi alla fine della sua ristrutturazione. Al di là delle incertezze sugli autori delle due campagne di restauro del XVII e XVIII secolo sappiamo dai rilievi per il restauro a cura dell'Università che il rivestimento dell'intera facciata sul canale risale a un'unica epoca<ref name=":1">{{Cita|Mantoan-Quaino}}, p. 215</ref>. Questo fronte, di un barocco classicheggiante, denuncia al piano terra la originaria struttura interna tripartita che sopravvive solo in questo piano. È indicativo il gruppo di aperture costituito dalla porta d'acqua accostata ai lati da due finestre desinate all'illuminazione dell'atrio centrale e così le due finestre poste simmetricamente per lato destinate alle più piccole stanze laterali. Le cinque grandi finestre del primo piano invece dissimulano la mancanza di partizioni dell'interno che trasformato, con la demolizione delle quattro stanze laterali, in un unico grande ambiente è allineato al canale: il salone da cerimonia.
La facciata sebbene non venga considerata di grande qualità riesce a ostentare, con il suo totale rivestimento in bianca pietra d'Istria, la grande nobiltà delle dimora, soprattutto nelie grandi aperture del piano centrale limitate dalla continua balaustrata. Curiosi sono i supporti dei davanzali dell'ultimo piano rastremati verso il basso e ornati da un drappeggio, motivo rintracciabile a Venezia solo nel palazzo Stazio Gradenigo a Santa Sofia costruito un secolo prima,<ref>{{Cita libro|autore=Elena Bassi|wkautore=Elena Bassi|titolo=Palazzi di Venezia - Admiranda Urbis Venetae|anno=1976|editore=Stamperia di Venezia|p=498}}</ref> contrapposti ai modiglioni a voluta dei davanzali sul piano d'acqua.
Di sicura attribuzione al Rossi è l'ampliamento verso il giardino. Un corpo a "L" costituito da un blocco che estende l'edificio per tutta la sua larghezza e da un altro blocco che si prolunga da un lato dentro al giardino<ref name=":1" />. Da questo punto di vista l'edificio appare di quattro piani, compreso il pian terreno, rivelando l'altezza del salone sul canale corrispondente a quella del primo e secondo piano assieme.
Senz'altro per quanto riguarda gli interni l'opera di spoliazione finita dal Guggenheim era stata accurata. Oltre alle storie romane e al ritratto di Daniele IV Gerolamo di Tiepolo, il palazzo conteneva moltissime altre opere ora disperse. In precedenza, e per altri motivi, era già stato ceduto a [[Augusto III di Polonia|Federico Augusto II di Sassonia]] con la mediazione di [[Francesco Algarotti]], il presunto, e ora perduto, ''Ritratto della famiglia di Thomas More'' di [[Hans Holbein il Giovane|Hans Holbein]].<ref name="Mariuz_1981">{{Cita|Mariuz 1981}}, p. 184.</ref> Manca certamente il busto che, nelle volontà redatte prima della partenza per Costantinopoli, Daniele III Giovanni si era tanto raccomandato di realizzare affinché rimanesse una sua immagine a coronamento del portale principale del salone.<ref>{{Cita|Mantoan-Quaino}}, p. 197.</ref> Mancano le dieci statue che ne integravano in qualche modo il programma iconografico.<ref>{{Cita|Conticelli 2002}}, p. 260 n. 12.</ref> E di tutti gli altri quadri e arredi enumerati in un inventario del 1771 non rimane più traccia.<ref>{{Cita|Mantoan-Quaino}}, p. 220</ref>
Resta veramente di pregio il grande salone con la volta affrescata da [[Nicolò Bambini]] e [[Antonio Felice Ferrari]] e dove un tempo era la serie di storie romane dipinte su tela dal Tiepolo. Nelle lacune rimaste dentro le incorniciature affrescate a finto stucco che ospitavano le tele, Brusa, dopo l'acquisto del palazzo nel 1876, adattò delle specchiere anticheggianti.[[File:Dolfin05.jpg|thumb|upright=1.5|Nicolò Bambini, ''Apoteosi di Venezia'', particolare]]Per comprendere lo spirito del programma iconografico commissionato bisogna ricordare che tra la fine del Seicento e la prima metà del Settecento il gusto dell'aristocrazia veneziana per le dimore private si era spostato dal collezionismo accumulativo verso la commissione di
Una volta concluso il nuovo grande spazio del salone venne dapprima realizzato il grande soffitto affrescato da Nicolò Bambini e incorniciato dalle quadrature di Antonio Felice Ferrari. Gli storici hanno proposto una forbice di date piuttosto ampia per questo, alla fine ristretta al periodo 1710-1715. La morte di Ferrari nel 1720 è senza dubbio largamente il limite ''ante quem,'' perché dai suoi biografi sappiamo anche che negli ultimi anni non fu più in grado di lavorare a causa dell'indebolimento della vista e del tremore delle mani, oltre al fatto che grazie al successo del lavoro di Ca' Dolfin lavorò anche nei palazzi Morosini, Nani e Gradenigo.<ref
[[File:Dolfin04.jpg|sinistra|miniatura|Nicolò Bambini, ''Apoteosi di Venezia'', particolare dell'allegoria dell'''Abbondanza'']]Quanto al Bambini, rinomato ''fapresto'', sappiamo che ebbe modo di vantarsi con il visitatore inglese Edward Wright di aver realizzato la sua parte in soli quindici giorni.<ref>{{Cita|Mantoan-Quaino}}, p. 214.</ref> E in effetti da [[Luca Giordano]], il primo ''fapresto'', riprende le composizione morbida e luminosa delle divinità, delle nuvole, dei drappeggi e delle invenzioni decorative sebbene raffreddate alla ricerca di una precisone accademica; è tuttavia al [[Pietro Liberi|Liberi]] che Bambini deve la costruzione delle opulente figure femminili.<ref
La centrale area ovale affrescata dal Bambini rappresenta, con una notevole discrezione, una glorificazione dei Dolfin attraverso una ''Apoteosi di Venezia'': l'unico indiretto riferimento alla casata è il sorridente delfino che spuntando da una nuvola sorregge [[Anfitrite]]. Tuttavia nella composizione, che si sviluppa verso l'alto a partire dal lato finestrato sul canale, i vari temi esposti sono significativi delle virtù della famiglia. Emblematiche le figure dell'angelo della ''Fama'', quella più a destra, e dell'allegoria dell<nowiki>'</nowiki>''Abbondanza'', che fuoriesce dal basso a sinistra a coprire la quadratura, che in questa diagonale racchiudono il concetto delle conseguenze del buon governo.<ref>{{Cita|Favilla-Rugolo 2008}}, p. 218.</ref> Quasi al centro è la personificazione di ''Venezia'', una donna vestita d'oro, questa volta senza il leone ed esattamente con i medesimi attributi presenti nella tela di [[Paolo Veronese|Veronese]] il [[Trionfo di Venezia]] a [[Palazzo Ducale (Venezia)|Palazzo Ducale]]. Alla sinistra le regole che deve seguire il governo: la ''Giustizia'' con la spada, la ''Pace'' con l'ulivo e più in là la ''Prudenza'' con lo specchio e il serpente. Subito sotto non potevano mancare per la Repubblica marinara le divinità marine: ''Nettuno'' e la sposa ''Anfitrite''.<ref>{{Cita|Mariuz 1981}}, p. 183.</ref> Spostandosi verso destra, per ricordare come un dovere anche la protezione arti, accanto alle Grazie seguono le personificazioni allegoriche della ''Poesia'', dell<nowiki>'</nowiki>''Architettura'', della ''Scultura'' e della ''Pittura'', a cui segue l'inesorabile ''Tempo'' con falce e la clessidra. Per terminare a destra con l'agile figura del messaggero ''Mercurio'' sovrastata da ''Ercole'' che tiene schiacciati sotto una nuvola i vizi.<ref>{{Cita|Mariuz 1981}}, pp. 183-184.</ref>
[[File:Dolfin07.jpg|miniatura|Antonio Felice Ferrari ?, allegoria del ''Consiglio'', sopra l'incorniciatura dove era il ''Trionfo di Mario'' ddi Tiepolo]]
A circondare la scena scendono dalla volta le quadrature di Ferrari, prima in pieno controluce poi aperte dai terrazzini [[Ferdinando Galli da Bibbiena|bibieneschi]] di luminose nicchie.<ref
[[File:Giovanni Battista Tiepolo 069.jpg|miniatura|Giambattista Tiepolo, ''Annibale contempla la testa di Asdrubale'', Kunsthistorisches Museum]]In questa serie la qualità pittorica di Tiepolo diventa improvvisamente più matura. I colori si schiariscono ma al tempo stesso si vivacizzano nel rapporto complementare dei contrasti cromatici. Evolve così ulteriormente la comprensione del colore [[Paolo Veronese|veronesiano]] dei primi artisti rococò come [[Sebastiano Ricci|Ricci]] e [[Giovanni Antonio Pellegrini|Pellegrini]].<ref>{{Cita|Pedrocco-Gemin}}, pp. 62-63.</ref>
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