Chester Arthur: differenze tra le versioni

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Nato a [[Fairfield (Vermont)|Fairfield]], [[Vermont]], il 5 ottobre [[1830]], da una famiglia di origini [[irlandesi]] di religione [[protestante]] (il padre William era un pastore luterano), nei primi tempi Chester Arthur si guadagnò da vivere come insegnante. In seguito, frequentò lo Union College di Schenectady, nello Stato di [[New York]], dove si laureò in [[legge]]: si trasferì quindi a New York City, dove nel [[1853]] divenne un apprezzato avvocato, guadagnandosi fama difendendo una donna afroamericana che era salita su un [[Carrozza|omnibus]], cosa allora proibita ai neri. Arthur riuscì non solo a far assolvere la sua cliente, ma da quella sentenza anche gli afroamericani poterono usufruire dei mezzi pubblici. Fu a New York che il giovane avvocato conobbe e sposò sua moglie, [[Ellen Arthur]], impalmata il 25 ottobre [[1859]], dalla quale ebbe tre figli.
 
Schierato con il [[Partito Repubblicano (Stati Uniti d'America)|Partito Repubblicano]], durante la [[guerra di secessione americana|guerra di secessione]] Arthur lavorò al Dipartimento della Guerra, dove ottenne l'incarico di quartiermastro generale, cioè di garantire i rifornimenti per l'esercito nordista. In merito ai servigi resi all'amministrazione, nel [[1871]] il presidente [[Ulysses SimpsonS. Grant]] lo nominò amministratore delle dogane del [[porto di New York]]: in tale veste represse alcuni abusi inveterati nella gestione doganale newyorkese, ma ben presto fu rimosso dal suo incarico dal successore di Grant, [[Rutherford B. Hayes]], con un provvedimento che molti giudicarono ingiustificato.
 
=== La successione a Garfield e la presidenza ===
Datosi alla carriera politica, Chester Arthur fu scelto come vicepresidente del candidato repubblicano [[James AbrahamA. Garfield]] nelle [[elezioni presidenziali negli Stati Uniti d'America del 1880]], che risultò vincitore. Nel settembre del [[1881]], però, Garfield morì per le ferite riportate in luglio a causa di un attentato, dopo pochi mesi di mandato. Come vicepresidente in carica, Arthur, secondo la [[Costituzione degli Stati Uniti d'America]], gli successe nella carica, dimostrando di essere più adatto alla carica del predecessore.
 
Il presidente attuò infatti un'opera moralizzatrice, facendo approvare, il 16 gennaio [[1883]] il [[Pendelton Civil Service Reform Act]], presentata dal [[senatore]] dell'[[Ohio]] [[George H. Pendelton]], che riformava la pubblica amministrazione, stabilendo l'assunzione degli impiegati statali attraverso concorsi pubblici, gestiti da una commissione federale, e che non potevano essere licenziati per motivi politici. Questa legge diede all'America funzionari esperti nel momento in cui si avviava a diventare un'enorme potenza industriale.
 
Sotto la sua amministrazione avvennero inoltre numerosi eventi caratterizzanti la storia degli [[Stati Uniti]] verso la fine del secolo. Infatti in materia di [[immigrazione]], il 6 maggio [[1882]] fu proibita, con il ''Chinese Exclusion Act'', l'immigrazione cinese, che aveva raggiunto livelli eccessivi, mentre nell'agosto dello stesso anno una legge sull'immigrazione regolò l'afflusso di stranieri nel Paese, imponendo una tassa di 50 centesimi per ogni immigrato presente negli [[Stati Uniti]] e vietando l'ingresso ai malati di mente, i criminali e chiunque dovesse dipendere dall'assistenza pubblica. Contemporaneamente, però, l'[[Alaska]], ottenuto lo ''status'' di distretto, fu aperto alla colonizzazione degli emigranti.
 
Nell'ambito dei diritti civili, l'amministrazione Arthur fu incerta e contraddittoria: il 23 marzo [[1882]] il presidente firmò le [[Edmund Laws]], che dichiaravano reato federale la [[poligamia]], misura presa contro le gerarchie della [[Mormonismo|Chiesa mormone]], fortemente presente nello [[Utah]], i cui membri avevano infatti più mogli, punendo con il carcere i bigami, in difesa dei valori tradizionali della famiglia. Fu durante la sua presidenza che la [[Corte Supremasuprema degli Stati Uniti d'America|Corte suprema degli Stati Uniti]], nel [[1883]], dichiarò incostituzionale il [[Civil Rights Act (1875)|Civil Rights Act del 1875]], una legge federale che permetteva a chiunque, indipendentemente dalla razza o dalla precedente condizione di schiavitù, di ricevere il medesimo trattamento nei luoghi pubblici. Arthur si dimostrò contrario alla sentenza e informò il Congresso del suo dissenso, ma non fece nulla per far approvare una qualsiasi norma legislativa sulla materia.
 
Verso gli indiani Arthur si comportò come i suoi predecessori, ossia utilizzando la mano pesante: sempre nel [[1882]], quando il governo tentò di confinare nelle riserve gli indiani [[Apache]] dell'[[Arizona]] e del [[Nuovo Messico]], il loro capo [[Geronimo]] si sollevò in armi, dando vita all'ultima grande ribellione indiana contro gli americani, conclusasi quattro anni dopo, il 4 settembre [[1886]], quando gli Apache superstiti con si arresero al generale statunitense [[Nelson Miles]].
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=== Il ritiro e gli ultimi anni ===
Malgrado gli indubbi successi dell'amministrazione Arthur, il Partito Repubblicano scelse di non riconfermarlo come candidato ufficiale del partito alla convenzione repubblicana del [[1884]], che gli preferì [[James Gillespie Blaine]]. Il candidato repubblicano però, indebolito anche da uno scandalo politico che ne danneggiò fortemente l'immagine pubblica, fu sconfitto alle elezioni presidenziali del novembre di quell'anno dal candidato del [[Partito Democratico (Stati Uniti d'America)|Partito Democratico]] [[Stephen Grover Cleveland]].
 
Terminato il suo mandato il 4 marzo [[1885]], Chester Arthur si ritirò a vita privata, nonostante le insistenze di ritornare in politica, anche perché era gravemente ammalato. Via via le sue apparizioni pubbliche si fecero più rade, fino a non uscire più da casa sua. Morì infine di [[infarto]] il 18 novembre [[1886]] a [[New York]], a 56 anni, venendo sepolto presso l'[[Albany Rural Cemetery]] di [[Menands]], [[New York]], accanto alla salma della moglie, deceduta di polmonite nel [[1880]].
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* Viene nominato nel film ''[[Die Hard - Duri a morire]]'', film del [[1995]] diretto da [[John McTiernan]], e interpretato da [[Bruce Willis]], [[Samuel L. Jackson]] e [[Jeremy Irons]]: all'indovinello "Quanto fa 21 su 42?", la risposta è infatti Chester A. Arthur, ossia il 21° sui 42 (al momento di uscita del film) presidenti degli Stati Uniti.
* Viene anche nominato nel film ''[[Appaloosa]]'', diretto da [[Ed Harris]], che tra i protagonisti vede, curiosamente, lo stesso [[Jeremy Irons]].
* Nella puntata [[Episodi de I Simpson (quarta stagione)#Io amo Lisa|9F13]] de ''[[I Simpson]]'', durante una recita di bambini sulle vite degli ex-[[Presidenti degli Stati Uniti d'America]], [[Bart Simpson]] nei panni di [[John Wilkes Booth]], dopo aver inscenato l'assassinio di [[AbramoAbraham Lincoln]], esce dagli schemi esclamando «Ora tocca a te, Chester A. Arthur».
* Sempre nei Simpson, durante la puntata [[Episodi de I Simpson (settima stagione)#Lisa l'iconoclasta|3F13]], [[Lisa Simpson|Lisa]] afferma ironicamente di essere da poco guarita dalla ''Chester-A.-Arthur-ite'', una forma di passione sfrenata per la vita di Chester A. Arthur.