Ethica: differenze tra le versioni
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Inoltre, a più riprese Spinoza sembra mostrare delle insofferenze nei confronti della rigidità del metodo euclideo.<ref>{{cita|Scribano|pp. 9, 91.}}</ref> È anche per questo che spesso egli aggiunge alle sue proposizioni degli [[Scolio|scoli]] più estesi e di carattere discorsivo in cui chiarifica i suoi risultati o, anche, si occupa di mostrare come essi confutano le posizioni di alcuni dei suoi avversari; allo stesso scopo sono presenti prefazioni o appendici alle singole parti.<ref name=scribano_8/>
== Parte prima: di Dio ==
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[[File:Frans_Hals_-_Portret_van_René_Descartes.jpg|thumb|upright|Cartesio (qui ritratto nel 1649) fu il pensatore da cui Spinoza fu influenzato in modo più diretto.<ref name=scribano_143/>]]
Il fatto che Dio sia infinito e che sia l'unica sostanza esistente implica che nulla esiste al di fuori di Dio: «tutto ciò che è, è in Dio e niente può essere né essere concepito senza Dio» (E I, p15)<ref name=giancotti/> e «le cose particolari non sono altro che affezioni degli attributi di Dio, ossia modi con i quali gli attributi di Dio si esprimono in un modo certo e determinato» (E I, p25c).<ref name=giancotti/> Dio viene così identificato con la stessa natura, secondo il famoso motto ''[[Deus sive Natura]]'' (estrapolato da E IV, p4d):<ref>{{cita|Scribano|p. 27.}}</ref> egli «è causa [[Immanenza|immanente]], e non [[Trascendente|transitiva]], di tutte le cose» (E I, p18).<ref name=giancotti/> Da un lato, Spinoza afferma che, benché l'essenza di Dio sia espressa da infiniti attributi, l'intelletto umano riesce a cogliere solo i due che già [[Cartesio]] aveva riconosciuto come gli unici di cui noi esseri umani partecipiamo, cioè pensiero ed estensione; i quali sono concepiti indipendentemente l'uno dall'altro ma, al contrario di quanto avveniva in Cartesio, non corrispondono a due distinte sostanze, essendo di fatto due diversi punti di vista sotto cui viene colta la stessa sostanza: il che è comprovato dall'unità dell'ordine causale che si esprime nell'estensione (cioè nei corpi) e nel pensiero (cioè nelle idee).<ref>{{cita|Scribano|pp. 20-26.}}</ref> Dall'altro lato, l'autore assume una posizione radicalmente estranea alla tradizione filosofica giudaico-cristiana da cui prende le mosse, cioè sostiene che a Dio compete quella estensione che già da [[Aristotele]] era stata considerata inscindibile dalla corporeità; aggiungendo, contro le obiezioni di chi sosteneva l'incompatibilità dell'infinità di Dio con una sua presunta estensione – incompatibilità che sarebbe dovuta alla divisibilità dell'estensione e all'indivisibilità dell'infinito – che non l'estensione in quanto attributo, e cioè in quanto infinita, è divisibile, ma i corpi singoli, che non sono che le modificazioni finite dell'estensione.<ref>{{cita|Scribano|pp. 27-31.}}</ref>
Un'altra tesi spinoziana che, all'epoca, risultò scandalosa, è quella per cui Dio non è in grado di derogare alla rigidissima necessità causale che regola tutti gli eventi naturali: Dio è detto causa libera dell'universo perché (E I, d7) si è definita la libertà come il fatto di non essere determinati da cause esterne ma solo dalla necessità della propria natura, e Dio (e solo Dio) in quanto causa di sé è determinato per la sua essenza e la sua esistenza solo da se stesso; ma «in natura non si dà nulla di contingente» (E I, p29),<ref name=giancotti/> e Dio, che obbedisce alla necessità della sua natura (sancita dall'assioma 3), non fa eccezione:<ref>{{cita|Scribano|pp. 31-32.}}</ref> «Dio non agisce mediante la libertà della volontà» (E I, p32c2).<ref name=giancotti/> «Le cose non avrebbero potuto essere prodotte da Dio in altro modo, né con altro ordine da quello in cui sono state prodotte» (E I, p33).<ref name=giancotti/> Se Dio, affinché sia preservata la sua libertà di creare cose nuove, dovesse non aver creato tutto quello che era in suo potere, avrebbe la sua potenza limitata per garantire la libertà del suo arbitrio; ma un Dio che non ha la potenza di creare tutto ciò che discende dalla sua necessaria natura è, per Spinoza, profondamente contraddittorio.<ref>{{cita|Scribano|p. 33.}}</ref> Le cose discendono dalla potenza di Dio, che coincide con la sua essenza (E I, p34), con tale inderogabile necessità che, se egli facesse le cose diversamente, avrebbe una diversa essenza e sarebbe un diverso Dio, il che è assurdo per la dimostrata unicità di Dio (E I, p33).<ref>{{cita|Scribano|p. 35.}}</ref>
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La finitezza dell'uomo gli impedisce di avere una conoscenza adeguata dell'infinita catena causale in cui si inserisce, nel tempo, un oggetto individuale; tuttavia esistono degli universali che sono indipendenti da simili catene causali e che, infatti, si collocano nella dimensione intemporale dell'eternità (l'estensione ne è, di nuovo, un esempio). In altre parole, la mente ha un'idea adeguata quando ha un'idea che non dipende da altre idee per la sua adeguatezza; una simile idea nella mente umana coincide con la stessa idea che è adeguata in Dio, e da entrambi i punti di vista essa ha un carattere intemporale.<ref>{{cita|Scribano|p. 93.}}</ref>
«È proprio della natura della ragione contemplare le cose non come contingenti, ma come necessarie» (E II, p44),<ref name=giancotti/> ''[[sub specie aeternitatis]]'', «sotto l'aspetto dell'eternità» (E II, p44c2).<ref name=giancotti/> La ragione conosce le cose (ma non le cose individuali, bensì le proprietà comuni) in quanto derivazioni della necessaria natura divina nella loro dimensione eterna, al di là della temporalità in cui sono immerse quando sono conosciute per via della sensibilità; non «in quanto concepiamo che esse esistono in relazione a un certo tempo e luogo» ma «in quanto sono contenute in Dio e seguono dalla necessità della divina natura» (E V, p29s).<ref name=giancotti/><ref>{{cita|Scribano|p. 86.}}</ref> La possibilità che la mente, di cui si era detto che non conosce se non per mezzo delle affezioni del corpo di cui è idea, acceda a conoscenze intemporali può apparire problematica, e in effetti sarà pienamente chiarita solo nella parte quinta: allora Spinoza dimostrerà che la mente possiede conoscenze adeguate al di là del tempo in quanto è essa stessa un'idea di Dio che si colloca, in parte, al di là del tempo.<ref>{{cita|Scribano|pp. 84-85.}}</ref> La mente umana infatti, come il corpo e ogni altra cosa, ha un'esistenza finita nel tempo, nella durata, e un'esistenza ''sub specie aeternitatis''.<ref>{{cita|Scribano|p. 88.}}</ref>
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Gli uomini razionali dunque traggono il massimo vantaggio dalla loro unione. Tuttavia anche gli uomini dominati dall'immaginazione constatano, a qualche punto della loro evoluzione, che «con il reciproco aiuto possono molto più facilmente procurarsi le cose di cui hanno bisogno e che solo unendo le forze possono evitare i pericoli che incombono da tutte le parti» (E IV, p35s).<ref name=giancotti/> Spinoza fa sua l'idea che l'uomo sia un animale sociale. Tuttavia la convivenza degli uomini dominati dall'immaginazione è resa complicata dalle loro idiosincrasie: «Ognuno esiste per sommo diritto di natura, e conseguentemente per sommo diritto di natura ognuno fa quelle cose che seguono dalla necessità della sua natura; [...] se gli uomini vivessero secondo la guida della ragione, ognuno godrebbe di questo suo diritto senza alcun danno per l'altro. Ma, poiché sono soggetti agli affetti, che superano di gran lunga la potenza, ossia la virtù umana, per cui sono spesso trascinati in diverse direzioni, e sono l'uno all'altro contrarii, allora hanno bisogno di mutuo aiuto. Per vivere dunque nella concordia e potere essere a vicenda di aiuto, è necessario che gli uomini rinuncino al proprio diritto naturale e assicurino l'uno all'altro che non faranno nulla che possa mutarsi in danno per l'altro» (E IV, p37s2).<ref name=giancotti/> È questo il fondamento dello [[Stato]], un organismo in seno al quale vengono stabiliti convenzionalmente dei criteri di condotta che preservano l'utilità di tutti, e che vengono fatti rispettare grazie alla paura delle pene stabilite per la violazione delle leggi (che a loro volta possono essere applicate grazie alla potenza dello Stato stesso, che supera di molto quella di ogni singolo individuo). Tali punizioni non implicano il riconoscimento negli individui di una libertà di agire che, per il determinismo di Spinoza, è e rimane inconcepibile: esse semplicemente servono allo Stato per difendersi da chi mette in pericolo i suoi membri, e dunque le nozioni di merito e colpa, prive di alcun fondamento naturale, sono determinate solo dall'aderenza o dalla contrarietà di certe azioni alle leggi, senza che in ciò sia implicita l'idea che il colpevole o il meritevole avrebbero potuto agire diversamente da come hanno agito. Comunque, lo Stato è anche il luogo privilegiato dove la convivenza degli uomini può portare a una loro crescita collettiva verso la razionalità (è d'altronde proprio questo ruolo educativo che Spinoza si attribuiva scrivendo l<nowiki>'</nowiki>''Etica'').<ref>{{cita|Scribano|pp. 138-142.}}</ref>
C'è una notevole distanza, in Spinoza, tra legalità e moralità. Le leggi che prescrivono la condotta degli uomini nello Stato sono artificiali, e separano l'azione meritevole o colpevole dal suo premio o punizione. Le leggi della moralità sono invece intrinseche alla stessa natura umana, con il suo ''conatus'' all'autoconservazione che si esplica al meglio con l'attività della ragione. Quindi, al contrario delle azioni legali, che vengono compiute in vista di altro da loro stesse, le azioni morali sono premio a se stesse.<ref>{{cita|Scribano|p. 132.}}</ref>
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