Processo per stupro: differenze tra le versioni
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L'idea di documentare un processo per [[stupro]] nacque in seguito ad un Convegno Internazionale sulla «Violenza contro le donne», organizzato dal [[Femminismo|movimento femminista]] nell'aprile del [[1978]] nella ''[[Casa delle donne]]'' in via del Governo vecchio, a [[Roma]]. In quel convegno emerse che ovunque nel mondo, quando aveva luogo un processo per stupro, la vittima si trasformava in imputata. Loredana Rotondo, programmista alla RAI, propose a [[Massimo Fichera]], allora direttore di Raidue, di filmare un processo per stupro in Italia. Fichera accettò. Dietro preventiva autorizzazione del Presidente della corte, il [[documentario]] fu filmato al [[Tribunale]] di [[Latina]] da [[Rony Daopulo]], [[Paola De Martiis]], [[Annabella Miscuglio]], Anna Carini, Maria Grazia Belmonti, Loredana Rotondo con un grande e corale lavoro del collettivo femminista che le sei registe formavano.
Il [[documentario]] ''Processo per stupro'' fu mandato in onda per la prima volta alle 22:00 il 26 aprile [[1979]] e fu seguito da circa tre milioni di telespettatori; a seguito di richieste di replica, fu ritrasmesso in prima serata nell'ottobre dello stesso anno e fu seguito da nove milioni di telespettatori. Fu quindi insignito del [[Prix Italia]] e presentato a svariati festival del cinema, fra cui il [[Festival di Berlino]], la settimana del cinema europeo a [[Nuova Delhi]], ottiene una nomination nella terna finale dell'[[International Emmy Award]]; se ne conserva oggi una copia negli archivi del [[MOMA]] di New York<ref>{{collegamento interrotto|1=[http://www.laltravista.com/pdf/impararelamemoria.pdf Flaminia Cardini, ''8 marzo. La memoria ha un futuro'', Comune di Roma, Assessorato alle Politiche per le pari opportunità, 2007] |
In un'intervista del [[2007]], l'[[avvocato|avvocatessa]] [[Tina Lagostena Bassi]], che nel processo era difensore di parte civile, sottolineò come la trasmissione in tv del documentario fu sconvolgente per gli spettatori perché si rendeva visibile come gli avvocati che difendevano gli accusati di stupro potevano essere altrettanto violenti nei confronti delle donne: inquisendo sui dettagli della violenza e sulla vita privata della parte lesa, puntavano a screditarne la credibilità e finivano per trasformarla in imputata. L'atteggiamento mentale che emergeva in aula era che una donna «di buoni costumi» non poteva essere violentata; che se c'era stata una violenza, questa doveva evidentemente essere stata provocata da un atteggiamento sconveniente da parte della donna; che se non c'era una dimostrazione di avvenuta violenza fisica o di ribellione, la vittima doveva essere consenziente<ref>[http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/cerca.aspx?id_key=388 ''Storia del movimento femminista in Italia. La questione della violenza'', RAI, ''La storia siamo noi'', 2007]</ref>.
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