San Calocero al Monte: differenze tra le versioni

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Tuttavia nel IX e X secolo si hanno le incursioni saracene che rendevano estremamente precaria la vita fuori dalle mura cittadina; in questa fase viene realizzato il muro di cinta esterna e viene edificato il monastero di San Martino al Monte, posizionato in un luogo dove si poteva vedere il mare e l'Isola, più difendibile rispetto a San Calocero, e che dista da questi solo 200 m, ma che cambia profondamente la vita dei monaci, che potevano, in caso di vista di navi saracene, correre a ripararsi in Città. E' possibile che in quest'epoca una parte del materiale presente in San Calocero venne demolito per essere riutilizzato in San Martino, almeno secondo [[Nino Lamboglia]], ma la presenza della tomba del Santo rendeva comunque ancora viva il monastero, anche se probabilmente ridimensionato. A San Calocero durante i vari scavi sono emerse una comune condizione, cioè quella che tutte le tombe sono stati violate e profanate, non solo quelle più importanti alla ricerca di reliquie sante, o quelle relative alle tombe da essere riutilizzate per altre persone, ma tutte e in maniera violenta. Questa evidenza porta alla conseguenze che queste tombe non siano state aperte dai monaci o dai fedeli alla ricerca di chissà quale miracolo o ossa da poter venerare, ma in maniera violenta come da chi voleva rubare dei corredi funebri e recuperare così le poche ossa; questa era una prassi comune nelle incursioni saracene, che poi rivendevano il trovato, anche le ossa, facendole passare per reliquie di qualche santo o di qualche martire. Sono state rinvenute alcuni riusi dei frammenti delle pesanti lastre sepolcrali realizzate in pietra di Finale nelle murature. Le tombe sono poi state riempite di materiale di cantiere misto a malta per essere riutilizzate come basamenti per altre strutture. Che San Calocero venne abbandonata del tutto o in parte in quest'epoca ci risulta anche dal testamento del ''magister Giovanni de Marixia'' che nel 1271 destina una somma della sua eredità al monastero di San Calocero, a patto che ''sibi fuerit sacerdos'' che ci indica che qui le messe non erano più regolari.
 
Nel 1286 si ha una traslazione delle reliquie del santo ad opera dell'abate del monastero di San Martino della Gallinara, Giovanni e del Vescovo Lanfranco di Negro, questo fatto rappresenta una ritrovata amicizia tra le due più importanti istituzione religiose ingaune, nonché un avvicinamento tra il potere dei Genovesi e la resistenza indipendente degli orgogliosi ingauni. La fattura di tale epigrafe è simile a quella che Lanfranco di Negro fece fare per la costruzione di una torre presso Castelvecchio di Oneglia, riconducibile alla stessa bottega se non allo stesso autore. Tale lapide venne traslata nella nuova edificio consacrato a San Calocero e Santa Chiara nel [[Centro storico di Albenga]] consacrato nel 1618, dove risulta presente fino al 1855, poi venne ritrovata nel 1956 ma nuovamente scomparsa. L'analisi del materiale ritrovato nelle sepolture e delle ceramiche ha portato a evidenziare un'attività edilizia a cavallo tra il XIII e il XIV secolo, riconnesso con l'''inventio'' del 1368 che ha portato alla riqualificazione della struttura come polo religioso, con la conversione in convento femminile. Infatti sembrerebbe che al termine del periodo delle incursioni saracene, e dell'abbandono totale o parziale del convento, con l'opera dell'Abate Giovanni, ci sia stato un rilancio del monastero, con successive opere edilizie di riqualificazione. Le reliquie sono state ritrovate e poste in un'urna di marmo e traslate sotto l'altare della navata centrale della chiesa di San Calocero al Monte.
 
Nel 1368 l'abate Federico di Ceva, il vescovo Giovanni Fieschi e il Comune di Albenga, in cambio di un canone annuo, viene ceduta la chiesa di San Calocero, gli edifici, e i terreni attigui, allo scopo di costituirvi un monastero femminile sotto la regola di San Benedetto, così come ci è stato tramandato e confermato dalla bolla di Gregorio X del 1374. Questo convento è visto e sovrinteso sopratutto dal monastero di San Martino, che per la prima volta in Albenga vede l'istituzione di una casa di religiose regolari. Già nel duecento è presente in città la Congragatio Sancte Marie, ente benefico e laico, volta al sostentamento e alla cura dei bisognosi, che trova in questo convento femminile una più profonda devozione. La costituzione del monastero tuttavia è fragile.
 
In questo periodo si ha una diminuzione del numero dei monaci anche nel convento di San Martino, che diventa assieme a San Calocero, espressione di un esile segmento sociale, egemonizzato dalla famiglia dei [[Del Carretto]] che hanno due abati della Gallinara, Pietro (1398-1413) e Carlo (1424-1473), oltre al vescovo ingauno Matteo (1429-1448) e anche la badessa di San Calocero, Venezia, che sappiamo che nel 1485 prende in concessione un pezzo di terra, a nome suo di altre tre consorelle, di cui c'è anche Antonietta Del Carretto. Nel 1473 con la morte di Carlo, San Martino viene concesso in commenda, un evento simbolo del tramonto del cenobitismo benedettino albenganese. Nel 1490 i notabili ingauni, Nicolò Marchese, Francesco Marchese, Bernardo d'Aste, Agostino Giorgis, Gaspare Lavagna e Lorenzo [[Noberasco]], approfittando della scomparsa della badessa, chiedono in Consiglio Comunale di provvedere alla riforma del convento in direzione della clausura. Tuttavia il gioco è importante e dura diversi anni, anche perché si deve avere il beneplacito delle stesse monache. Un primo impianto delle [[agostiniane]], poi nel 1519 una delibera consigliare, ribadendo la necessità della clausura, prospetta il monastero la soggezione a quello dell'Annunziata di Pavia, sotto la regola di [[Monache clarisse|Santa Chiara]]. L'approvazione papale avviene quattro anni dopo, sotto la direzione spirituale di [[Chiesa di San Bernardino (Albenga)|San Bernardino]], ma la decisione è in contrasto con le monache, che sono cinque e decidono di lasciare il convento. Le [[Monache clarisse|Clarisse]] affermano la loro forse presenza con una ''inventio'' dove la badessa, suor Innocenza della Lengueglia, si mette alla pari agli altri uomini di potere clericale e cittadino; con questa traslazione avvenuta il 29 novembre 1523 il convento ottiene piena legittimazione. Si sa che alla vigilia della traslazione in [[Centro Storico di Albenga|centro]] nel 1586 si hanno 11 monache, una Spelta, due Ricci , una Cepollina, tre Lengueglia. Il culto di San Calocero ottiene nuova linfa, con il rinnovamento dei luoghi e del culto attraverso il recinto sacro del monastero, capace di scontrarsi con San Verano e San Benedetto per devozione spirituale. Viene definito anche il nome diffuso all'epoca di ''Calozano'' a partire dalla seconda metà del trecento. San Calocero era anche il protettore dalla peste nel tardo medioevo, tant'è che in città non si radica il culto di San Rocco e San Sebastiano, che erano gli specialisti della malattia.
 
 
Altri ampiamenti e modifiche vennero realizzate nel corso dei secoli fino al 1593 quando le [[Monache clarisse]] si trasferirono nel quartiere di Sant'Eulalia nell'attuale Ospedale Vecchio. L'area il monastero vennero acquistate 1607 dalla famiglia Cepolla. Nel 1934 [[Nino Lamboglia]] eseguì i primi scavi, e in altre fasi durante il corso del XX secolo e dei decenni successivi. L'area è diventata comodamente visitabile e fruibile a partire del 2008.