Giuseppe Ripamonti: differenze tra le versioni

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=== La ''storia della Chiesa di Milano'' ===
[[File:Piazza Duomo di Milano.jpg|miniatura|destra|Il Palazzo Ducale di Milano, sulla sinistra la fabbrica del Duomo]]
Nella primavera del 1617 la biblioteca Ambrosiana completò la stampa, in quarto, della I Decade dell’dell{{'}}''Historiarum Ecclesiae Mediolanensis'', la prima fatica del Ripamonti scritta per incarico del cardinale Borromeo dopo lunghe ricerche di archivio. L’L{{'}}''imprimatur'' alla pubblicazione da parte del [[Sant'Uffizio]], nella persona del frate agostiniano Luigi Bariola e dei rappresentanti del Capitolo e del Senato milanese, non riuscì ad evitare che l'opera destasse critiche e dissapori.
 
Fu detto che l'opera raccontasse eventi poco edificanti di personalità della Chiesa e alludesse a fatti inquietanti del presente raccontando storie e personaggi del passato. Il Ripamonti fu accusato di aver aggiunto queste parti dopo aver ottenuto l’l{{'}}''imprimatur'' delle autorità ecclesiastiche e prima della stampa; egli ammise le correzioni e, a sua difesa, affermò di aver ricevuto verbalmente il permesso di farlo dal padre Luigi Bariola del Sant'Uffizio e che comunque si era attenuto con onestà ai documenti consultati.
 
=== L'arresto ===
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Il Ripamonti fu dichiarato colpevole ma con facoltà dell'arcivescovo e degli altri inquisitori di esercitare clemenza e di alleggerire la pena. Intanto veniva condannato, oltre alle censure ecclesiastiche previste dal Concilio Lateranense (salvo richiesta di assoluzione), a tre anni di reclusione nelle carceri arcivescovili e ad altri due in “luogo pio a scelta dell'arcivescovo” in modo da consentire il pentimento; inoltre alla correzione del testo della “Storia della Chiesa di Milano”, di cui era autore, alla proibizione di pubblicare altre opere senza uno speciale ''imprimatur'' del Sant'Uffizio; infine al digiuno del venerdì per un anno e a recitare il rosario ogni settimana.
 
Il Ripamonti non avrebbe sopportato altri anni di carcere; allora, nonostante fosse debilitato dal carcere, contestò con energia la sentenza e ritenne di doversi appellare a Roma per la revisione del processo. Questa volontà fu decisiva per convincere il cardinale a concedere la grazia, al pensiero che tutto l’l{{'}}''affaire'' sarebbe diventato di dominio pubblico a suo sfavore. Si addivenne ad un accordo con delle condizioni favorevoli per entrambi, che il Ripamonti divenuto più accorto accettò, e che permettevano al Borromeo di mostrare al mondo la propria benignità. Da una parte la carcerazione fu mutata in arresto domiciliare nel palazzo dell'arcivescovo. Dall'altra il Ripamonti si impegnava, con un atto scritto il 29 settembre davanti a notaio e a testimoni, a rinunciare a qualsiasi appello per la revisione del processo al papa o altri superiori, da parte sua o di terzi, e si rimetteva alla pietà del “Monsignor Illustrissimo Cardinale Borromeo Arcivescovo di Milano mio Signore e Padrone”. Si impegnava anche per il futuro, dopo aver riacquistato la libertà, affinché non fosse fatto nessun ricorso al papa o altri superiori né da parte sua, né da parte di suoi parenti e amici, col suo consenso. Non risulta però che il Ripamonti abbia ammesso mai le colpe di cui era accusato; su questo la spuntò.
 
=== La riabilitazione ===
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Il Ripamonti continuò a vivere presso il cardinale Borromeo e a svolgere attività letteraria per conto del protettore. Il suo silenzio e sottomissione fu contraccambiato con la libertà di proseguire la sua attività di studioso e anche di ricevere incarichi dalle autorità civili di Milano (il Senato e il Governatore spagnolo).
 
A conferma della riabilitazione, nel 1625, fu reintegrato nel Collegio dei Dottori dell'Ambrosiana, con un aumento della remunerazione e la dispensa di partecipare alle riunioni periodiche. Sempre nel 1625 Ripamonti poté dare alle stampe la II Decade dell’dell{{'}}''Istoriarum Ecclesiae Mediolanensis'', ultima parte dell'opera.
 
=== Canonico a Santa Maria della Scala ===
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Lo stesso anno fu nominato dal reale di Spagna, su indicazione del Senato milanese e del governatore del Ducato di Milano don [[Gonzalo Fernández de Córdoba (1585-1635)]], canonico della [[chiesa di Santa Maria alla Scala]]<ref>dopo la sua demolizione, voluta da [[Maria Teresa d'Austria]] nel 1776, fu eretto in quel luogo il Teatro alla Scala.</ref>. Il capitolo era composto da venti canonici, appellati ''clero di corte''. La chiesa, eretta dai Visconti, Signori di Milano, nel XIV secolo, era sotto la giurisdizione reale (Bernabò Visconti la elesse a ''[[collegiata]]'' ''di patronato signorile'' e [[Carlo V d’Asburgo]] concesse il titolo di ''Imperiale Saccellum'') e non dell'Arcivescovado di Milano; lo stesso Borromeo, che rivendicava dei diritti, non fu bene accolto durante una sua visita (lettera a monsignor Ormaneto).
 
Nel 1628 fu pubblicata dalla stamperia dell'Ambrosiana la III Decade dell’dell{{'}}''Istoriarum Ecclesiae Mediolanensis''.
 
=== La peste di Milano del 1630 ===