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==Evoluzione della filiera corta==
[I mercati alimentari di quartiere hanno rappresentato per lungo tempo una delle fonti principali di approvvigionamento di prodotti freschi (ortofrutta, latticini, carne e pesce) per gli abitanti delle città, ma la loro importanza è rapidamente diminuita a causa, da un lato dell’evoluzione dell’industria alimentare e dell’avvento della grande distribuzione organizzata, dall’altro del cambiamento e della differenziazione degli stili di vita e di consumo.](FONTE 2) <ref>{{Cita|FONTE 6}}.</ref>
* Inizialmente, le filiere corte sono state interpretate come ‘resistenza’ da parte di soggetti deboli, prima di tutto glidegli agricoltori, minacciati dalla marginalizzazione, (Vanalla dermodernizzazione Ploege etpoi alalla globalizzazione del sistema alimentare., 2000(FONTE 8). In quella fase, la filiera corta rappresentava per i piccoli agricoltori uno strumento per la riappropriazione di quote di valore aggiunto che nel corso della modernizzazione erano state erose dai soggetti forti della filiera. (fonte 6) [Attraverso una maggiore prossimità con i consumatori, gli agricoltori possono sviluppare strategie autonome di marketing basate non solo sulla prossimità, ma anche sulla trasmissione di valori ‘alternativi’ incorporati nel prodotto, come la sostenibilità, la biodiversità, la tradizione culturale, la solidarietà.) (FONTE 8)
 
* [Progressivamente, le filiere corte sono apparse come una delle molteplici forme dei cosiddetti ‘Networks alimentari alternativi’ (Alternative Food Networks) (Renting et al., 2000), canali commerciali appropriati alla commercializzazione di prodotti differenziati ad alto valore aggiunto, in grado di remunerare meglio l’azienda familiare e al tempo stesso comunicare ai consumatori valori – la cultura rurale, il rapporto con la natura - che i sistemi convenzionali non erano in grado o non volevano comunicare.
[Le filiere corte sono state identificate in origine come esempi di resistenza degli agricoltori alla modernizzazione e poi alla globalizzazione del sistema alimentare (van der Ploeg et al., 2000). Attraverso una maggiore prossimità con i consumatori, gli agricoltori possono sviluppare strategie autonome di marketing basate non solo sulla prossimità, ma anche sulla trasmissione di valori ‘alternativi’ incorporati nel prodotto, come la sostenibilità, la biodiversità, la tradizione culturale, la solidarietà. Non a caso l’analisi delle filiere corte si è andata sviluppando soprattutto nella letteratura delle ‘Alternative food networks’ (Goodman, 2012) e in quella dei sistemi agricoli locali (Tregear et al., 2007; Bowen, Mutersbaugh, 2013), assumendo al loro interno significati anche piuttosto diversi ma caratterizzati da una carica innovativa rispetto ai modelli convenzionali (Marsden et al., 2000).] (FONTE 8) <ref>{{Cita|FONTE 6}}.</ref>
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* Inizialmente, le filiere corte sono state interpretate come ‘resistenza’ da parte di soggetti deboli, prima di tutto gli agricoltori, minacciati dalla marginalizzazione (Van der Ploeg et al., 2000). In quella fase, la filiera corta rappresentava per i piccoli agricoltori uno strumento per la riappropriazione di quote di valore aggiunto che nel corso della modernizzazione erano state erose dai soggetti forti della filiera.
* Progressivamente, le filiere corte sono apparse come una delle molteplici forme dei cosiddetti ‘Networks alimentari alternativi’ (Alternative Food Networks) (Renting et al., 2000), canali commerciali appropriati alla commercializzazione di prodotti differenziati ad alto valore aggiunto, in grado di remunerare meglio l’azienda familiare e al tempo stesso comunicare ai consumatori valori – la cultura rurale, il rapporto con la natura - che i sistemi convenzionali non erano in grado o non volevano comunicare.
Dallo studio delle filiere corte come ‘resistenza contadina’, in altre parole, si è passati a studiare le filiere corte come esempio di nuovi paradigmi di sviluppo agricolo (Van der Ploeg et al., 2000).
 
quando queste tematiche hanno acquisito influenza sul quadro politico, di fronte alla crescente sensibilità dei consumatori nei confronti del cibo, il sistema convenzionale è andato modificando i propri modelli di business, accogliendo la sfida della qualità e diversità, in molti casi incorporando messaggi e modelli organizzativi introdotti dalla filiera corta. In questa fase, la filiera corta viene interpretata come ‘nicchia di innovazione’, capace di introdurre in un sistema altrimenti bloccato dal paradigma della modernizzazione elementi di innovazione dal basso, e dunque potenziale oggetto di politiche di sostegno finalizzate all’innovazione di sistema (Seyfang e Smith, 2007; Brunori et al., 2008). Non è un caso che il sostegno alla filiera corta sia, nel più recente quadro strategico per lo sviluppo rurale, esplicitamente menzionata tra le possibili priorità dei piani di sviluppo rurale (Tarangioli, 2012; Brunori e Bartolini, 2013). Grazie agli strumenti dello sviluppo rurale, la filiera corta è diventata parte di strategie regionali di costruzione di sistemi alimentari locali le cui finalità rispecchiano le condizioni specifiche del contesto di riferimento, come il rafforzamento delle identità locali in sinergia con i sistemi turistici (Guarino, Doneddu 2011; Tanasa, 2014), o il consolidamento dei legami tra città e campagna attraverso la rilocalizzazione dei consumi (Grando, 2009; Press et al., 2017). ] (FONTE 6)<ref>{{Cita|FONTE 6}}.</ref>
Se i “network alimentari alternativi” si sono andati evolvendo mantenendo una forte componente ideologica e il radicalismo delle origini, puntando su forme organizzative innovative come i gruppi di acquisto solidale o le community supported agriculture (Fonte et al. 2011; Brunori et al., 2012), l’affermarsi, in Italia e a livello internazionale di Slow Food (Leitch, 2003), ha traghettato molte delle tematiche care ai suddetti Network nel discorso istituzionale. La recente saldatura tra Slow Food e Coldiretti attraverso la presidenza di Campagna Amica (movimento che oggi conta una rete fittissima di farmers’ markets e punti di vendita diretta in tutta Italia) affidata a Carlo Petrini rappresenta il culmine di questo processo, e suggerisce l’emergere di un ‘blocco sociale’ con una fortissima influenza sul quadro politico.
D’altronde, di fronte alla crescente sensibilità dei consumatori nei confronti del cibo, il sistema convenzionale è andato modificando i propri modelli di business, accogliendo la sfida della qualità e diversità, in molti casi incorporando messaggi e modelli organizzativi introdotti dalla filiera corta (Fonte, 2006; Carbone, 2016).
In questa fase, la filiera corta viene interpretata come ‘nicchia di innovazione’, capace di introdurre in un sistema altrimenti bloccato dal paradigma della modernizzazione elementi di innovazione dal basso, e dunque potenziale oggetto di politiche di sostegno finalizzate all’innovazione di sistema (Seyfang e Smith, 2007; Brunori et al., 2008). Non è un caso che il sostegno alla filiera corta sia, nel più recente quadro strategico per lo sviluppo rurale, esplicitamente menzionata tra le possibili priorità dei piani di sviluppo rurale (Tarangioli, 2012; Brunori e Bartolini, 2013). Grazie agli strumenti dello sviluppo rurale, la filiera corta è diventata parte di strategie regionali di costruzione di sistemi alimentari locali le cui finalità rispecchiano le condizioni specifiche del contesto di riferimento, come il rafforzamento delle identità locali in sinergia con i sistemi turistici (Guarino, Doneddu 2011; Tanasa, 2014), o il consolidamento dei legami tra città e campagna attraverso la rilocalizzazione dei consumi (Grando, 2009; Press et al., 2017). ] (FONTE 6)<ref>{{Cita|FONTE 6}}.</ref>
 
==Vantaggi e limiti della filiera corta==
[I dibattuti vantaggi della filiera corta (Bullock et. al., 2000; Hilchey et. al., 2000) consistono essenzialmente nella sostenibilità di questa modalità di vendita dai diversi punti di vista:
 
* economico: prezzi dei beni alimentari più contenuti (3) per gli acquirenti e più remunerativi per i produttori;
* economico: prezzi dei beni alimentari più contenuti per gli acquirenti e più remunerativi per i produttori. Non si possono tuttavia rascurare alcuni elementi in contrasto. Ad esempio si deve tener conto del fatto che non sempre a livello locale i prezzi dei prodotti scambiati nell'ambito della filiera corta, sono più bassi per i consumatori di quelli offerti dalle grandi catene che operano con notevoli economie di scala nella filiera lunga.
* ambientale: riduzione, nella cosiddetta offerta “a chilometro zero”, dei consumi energetici e dell'inquinamento legato al trasporto e alla frigo-conservazione, che tra l’altro la coniuga almeno in teoria -seppure non in pratica (Franco, 2007)- alle produzioni biologiche (4);
* ambientale: riduzione dei consumi energetici e dell'inquinamento legato al trasporto e alla frigo-conservazione; e produzione biologica. In relazione alla sostenibilità ambientale, c'è tuttavia un filone scientifico che ha un atteggiamento critico riguardo ai vantaggi dell'offerta a chilometro zero. Infatti ciò che si deve considerare nella valutazione della sostenibilità non è soltanto il costo ambientale del trasporto, ma tutti i costi comparati ambientali delle produzioni ottenute e commercializzate da differenti tipologie di imprese nelle diverse parti del globo.
* sociale: controllo diretto del prezzo e della qualità da parte dei consumatori, maggiore freschezza e salubrità dei prodotti deperibili, rapporto di fiducia e scambio di informazioni senza intermediari tra produttori e consumatori, circuiti indottidi esviluppo cumulativirurale in aree marginali. Inoltre la filiera corta può innescare processi di sviluppo ruralesia in aree rurali marginali dei Paesi sviluppati, sia nel contesto locale di Paesi sottosviluppati, opponendosi a fenomeni di progressivo impoverimento, sia di risorse naturali che di risorse umane.
Si tratta dunque di vantaggi che non si limitano esclusivamente ad una riduzione dei prezzi all’acquisto per i consumatori e nel soddisfacente prezzo di vendita per i produttori, ma consistono anche nella predisposizione della domanda a ricercare il prodotto tipico, o comunque locale, cui si attribuiscono una serie di valenze che aggiungono valore alla merce in sé stessa considerata, come risulta da studi effettuati al riguardo sulla disponibilità a pagare (AA VV., Ohio State University, 2008). Queste ultime motivazioni di consumo riferibili alla valenza culturale del cibo sono legate a fasce di reddito medio alte, disposte a pagare addirittura un premium price per i prodotti locali, così come il risparmio sul prezzo di vendita può essere invece motivazione prevalente per le fasce di reddito più deboli.
In relazione alla sostenibilità ambientale, analizzata in particolare dagli studi sui food miles (AA VV., Defra, 2005), c'è tuttavia un filone scientifico che ha un atteggiamento critico riguardo ai vantaggi dell'offerta a chilometro zero. Infatti ciò che si deve considerare nella valutazione della sostenibilità non è soltanto il costo ambientale del trasporto, ma si deve tener conto anche di una “ecologia di scala” (Schlich, Fleissner, 2005), che compiuti i risparmi energetici connessi alla dimensione più o meno ampia delle aziende di produzione e trasformazione, consentendo di considerare nell’insieme tutti i costi comparati ambientali delle produzioni ottenute e commercializzate da differenti tipologie di imprese nelle diverse parti del globo. Quanto alla sostenibilità economica, non si possono trascurare alcuni elementi in contrasto. Ad esempio si deve tener conto del fatto che non sempre a livello locale i prezzi dei prodotti scambiati nell'ambito della filiera corta sono più bassi per i consumatori di quelli offerti dalle grandi catene di vendita che operano con notevoli economie di scala nella filiera lunga.
Con particolare riferimento ai prezzi si potrebbe obiettare che in un mercato concorrenziale s’impone automaticamente l’unicità del prezzo per prodotti indifferenziati come tradizionalmente erano quelli agricoli. Tuttavia ormai esiste una differenziazione anche per i prodotti agricoli, che non svolgono più soltanto la basilare funzione di nutrimento, ma incorporano in vario modo il soddisfacimento di altre esigenze. Queste ultime possono spaziare dal time saving ad aspetti legati alle succitate valenze culturali, ambientali, alla salubrità o alla tipicità del gusto, presumibilmente o realmente riscontrabili nei prodotti commercializzati tramite filiera corta. Di conseguenza, il mercato non risulta perfettamente concorrenziale. E per questo i prodotti -in qualche modo differenziati- venduti nei farmers’ market possono avere prezzi differenziati (5), anche indipendentemente dal loro differente costo di produzione e, in particolare, di commercializzazione.
Con più specifico riferimento agli aspetti sociali, invece, resta salvo il fatto del controllo diretto del prezzo e della qualità da parte dei consumatori, del loro rapporto umano con i produttori (6), e anche della maggiore indipendenza degli agricoltori nelle scelte produttive (Cicatiello, Franco, 2008), con conseguente soddisfazione morale.
Inoltre la filiera corta, che senza dubbio valorizza appieno il capitale umano e sociale, nonché le risorse naturali locali, può innescare processi di sviluppo endogeno sia in aree rurali marginali dei Paesi sviluppati, sia nel contesto locale di Paesi sottosviluppati. In questi ultimi può efficacemente opporsi a fenomeni di progressivo impoverimento, sia di risorse naturali che di risorse umane, legati all’introduzione non oculata e massiccia di modelli produttivi esterni (Shiva, 1995 e 2008), per produzioni intensive indirizzate all’esportazione.
La filiera corta peraltro non costituisce certamente la soluzione più indicata per tutti i problemi, e in determinati contesti, dove non trova la sua naturale collocazione, ovvero il suo particolare “luogo economico” (Serpieri,1950), risulta meno efficiente della filiera lunga. In generale essa risulta particolarmente idonea a risolvere le difficoltà di aziende di piccole dimensioni, multifunzionali, che offrono prodotti di nicchia (locali tipici e/o biologici). Appare invece poco adeguata in tutte le situazioni in cui prevalgono le dimensioni d’impresa medio grandi e si creano economie di scala di tipo economico ed ecologico, quando l’offerta aziendale è specializzata e costituisce una consistente massa critica di prodotto che può trovare maggiore facilità di sbocco in un mercato più ampio di quello locale. In queste situazioni può risultare più vantaggiosa la filiera lunga. ] (FONTE 5)<ref>{{Cita|FONTE 6}}.</ref>
 
La filiera corta peraltro non costituisce certamente la soluzione più indicata per tutti i problemi, e in determinati contesti, dove non trova la sua naturale collocazione, ovvero il suo particolare “luogo economico” (Serpieri,1950), risulta meno efficiente della filiera lunga. In generale essa risulta particolarmente idonea a risolvere le difficoltà di aziende di piccole dimensioni, multifunzionali, che offrono prodotti di nicchia (locali tipici e/o biologici). Appare invece poco adeguata in tutte le situazioni in cui prevalgono le dimensioni d’impresa medio grandi e si creano economie di scala di tipo economico ed ecologico, quando l’offerta aziendale è specializzata e costituisce una consistente massa critica di prodotto che può trovare maggiore facilità di sbocco in un mercato più ampio di quello locale. In queste situazioni può risultare più vantaggiosa la filiera lunga. ] (FONTE 5)<ref>{{Cita|FONTE 6}}.</ref>
[In conclusione, si può constatare che, almeno per alcuni settori produttivi e per alcune tipi di azienda, la filiera corta costituisce una quota non trascurabile del valore della produzione, e può rappresentare un’interessante opzione per recuperare redditività. ](FONTE 4)<ref>{{Cita|FONTE 4}}.</ref>
 
==I DUE LIBRI==