Cesare Musatti: differenze tra le versioni

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=== Giovinezza ===
A diciannove anni fu chiamato a [[Roma]] per il servizio di leva. Dopo un periodo di addestramento a [[Torino]], nel [[1917]] fu mandato al fronte come ufficiale, con impegni marginali. Finita la guerra tornò a [[Padova]] per terminare gli studi. Sulla cattedra di [[Psicologia]] Sperimentale c'era [[Vittorio Benussi]], allora chiamato per ''chiara fama'' nel [[1919]] a insegnare a Padova dall'Università di [[Graz]].
 
Musatti si laureò in filosofia nel [[1922|1921]] e l'anno successivo divenne assistente volontario del Laboratorio di psicologia sperimentale.
Nel [[1927]] Benussi si uccise con il [[cianuro]] a causa di una grave forma di [[disturbo bipolare]], lasciando tutto nelle mani di Musatti e di Silvia De Marchi, anch'essa assistente volontaria, che poi divenne sua moglie. Il suicidio di Benussi fu scoperto da Musatti, il quale però lo nascose per paura di ripercussioni negative sulla psicologia italiana in una situazione di fragilità e precarietà accademica, sottoposta a pressioni da parte sia del regime fascista, con le sue istanze gentiliane, che della Chiesa Cattolica. Negli [[anni 1980|anni ottanta]] Musatti rivelò che Benussi s'era suicidato, non era morto a causa di un malore.
 
Nel [[1928]] Musatti divenne direttore del Laboratorio di [[Psicologia]] dell'[[Università di Padova]]. Portò in Italia la ''Psicologia della Forma'' con importanti lavori di livello internazionale. Dopo aver diffuso in [[Italia]] la [[psicologia della Gestalt]], divenne il primo studioso italiano di [[psicoanalisi]].
 
Studiando la psicologia della suggestione e dell'ipnosi, introdotta in Italia da [[Vittorio Benussi]], approdò alla [[storia della psicoanalisi|psicoanalisi]], sulla quale tenne il primo corso universitario italiano. Il corso si tenne presso l'[[Università di Padova]] nell'anno accademico 1933-34. Musatti divenne allora uno dei primi e più importanti rappresentanti italiani della psicoanalisi. Nell'Italia degli anni '30 le teorie di Freud non erano state accolte bene né dalle Università, né dalla [[Chiesa cattolica]], a causa dell'ideologia culturale [[Giovanni Gentile|gentiliana]] assunta dal [[fascismo]].
La [[Società psicoanalitica italiana]], fondata nel [[1925]], venne limitata anche dalle [[leggi razziali fasciste]] ([[1938]]), che colpirono i membri ebrei della Società.
[[Chi_è_ebreo?|Benché non fosse ebreo]] (poiché figlio di madre cattolica), Musatti fu allontanato dall'insegnamento universitario che svolgeva presso l'[[Università degli Studi di Urbino ]] e declassato ad insegnante di liceo.
 
=== Maturità ===
Nel [[1940]] fu nominato professore di [[Filosofia]] al [[Liceo Parini]] di [[Milano]].
 
Nel [[1943]] Musatti si ritrovò con [[Lelio Basso]], Ferrazzutto e altri vecchi socialisti con l'intento di creare un partito erede del [[Partito Socialista Italiano]]; ebbe l'incarico di trovare denaro per una prima organizzazione e di allacciare rapporti col Partito Comunista clandestino.
Musatti lavorò anche durante la guerra. Nel 1944, nel periodo dell'occupazione nazista, fu tratto in salvo dall'avvocato [[Paolo Toffanin]] (1890-1971), fratello di [[Giuseppe Toffanin]], che lo aiutò a trasferirsi a [[Ivrea]], ospite dell'amico [[Adriano Olivetti]]. Con il suo sostegno fondò un centro di psicologia del lavoro. Ricoprì anche l'incarico di direttore della Scuola Allievi Meccanici, scuola aperta per formare operai meccanici specializzati.
Successivamente fu richiamato dall'Esercito per andare sul fronte francese.
 
Nel [[1947]] ottenne all'Università degli Studi di Milano la prima cattedra di [[Psicologia]] costituita nel dopoguerra in [[Italia]], presso la Facoltà di Lettere e Filosofia. Vi insegnò per venti anni.
A [[Milano]] ebbe il periodo più florido della sua ricerca scientifica: gli studenti affollavano le sue lezioni.
Musatti fu il leader del movimento psicoanalitico italiano nei primi anni del dopoguerra. A quel periodo risale il suo “Trattato di Psicoanalisi”psicoanalisi”, pubblicato da Einaudi nel [[1949]].
Nel [[1955]] divenne direttore della “[[Rivista di psicoanalisi]]”. Nel [[1963]] è presidente del Centro Milanese di Psicoanalisi fondato da Franco Ciprandi, Renato Sigurtà e Pietro Veltri<ref name= Fondazione >Opuscolo del Centro Milanese di Psicoanalisi, a cura del Comitato Direttivo, redatto da L. Ambrosiano, P. Capazzi, P. Gammaro Moroni, L.Reatto, L.Schwartz, M.Sforza, M.Stufflesser, p.4, 1994-1996 Milano</ref>, che gli verrà intitolato dopo la sua morte<ref name= Fondazione /><ref>Per una storia del Centro Milanese di Psicoanalisi, a cura di P. Chiari, Seminario tenuto il 15 gennaio 2009 presso il Centro Milanese di Psicoanalisi Cesare Musatti, 15 gennaio 2009, Milano</ref>. Nel [[1976]] è diventatodivenne curatore della edizione italiana delle ''[[Opere di Sigmund Freud]]'', della Casacasa Editriceeditrice [[Bollati Boringhieri]] di Torino.<ref>[[Sigmund Freud]], ''[[Opere di Sigmund Freud|Opere]]'', 12 voll., a cura di Cesare Musatti. Torino, [[Bollati Boringhieri]], prima ed. 1976-1980, ultima ed. 2000-2003.</ref>.
 
=== Vecchiaia ===
[[File:Cesare Musatti.JPG|thumb|La località a lui dedicata]]
Musatti scrisse anche libri di letteratura, tra cui ''Il pronipote di Giulio Cesare'', che nel [[1980]] gli fece vincere il [[Premio Viareggio]]. Fu eletto per due volte consigliere comunale di [[Milano]] nella lista del [[PSIUP]] e fu anche consulente del Tribunale dei Minori del capoluogo lombardo. Sostenne sempre la pace, il progresso dei lavoratori, l'emancipazione femminile ed i diritti civili.
 
Cesare Musatti era [[ateo]], come ebbe a dichiarare in più occasioni, l'ultima delle quali in uno dei "martedì letterari" del Casinò di [[Sanremo]]. Morì nella sua abitazione di via Sabbatini a [[Milano]] il 21 marzo [[1989]]; l'indomani dopo una cerimonia laica di commiato celebrata in forma strettamente privata, la sua salma venne cremata a [[Lambrate]]. Le sue ceneri sono tumulate, secondo le sue ultime volontà, nel cimitero comunale di [[Brinzio]] ([[Provincia di Varese|VA]]), località in cui era solito trascorrere i periodi di vacanza<ref>{{Cita web|url=http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1989/03/22/cerimonia-privata-per-cesare-musatti.html|titolo=Cerimonia privata per Cesare Musatti|autore=Silvia Giacomoni|editore=[[la Repubblica (quotidiano)|la Repubblica]]|data=22 marzo 1989|accesso=8 settembre 2018|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20180111053424/http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1989/03/22/cerimonia-privata-per-cesare-musatti.html|dataarchivio=11 gennaio 2018|urlmorto=no}}</ref>.
 
L'archivio di Cesare Musatti è conservato presso l'Aspi - Archivio Storico della Psicologia Italiana dell'[[Università degli Studi di Milano-Bicocca]]<ref>L'archivio Musatti è consultabile sul portale dell'Aspi, all'indirizzo web {{Cita web
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== Musatti e il suicidio di Benussi ==
Anche dopo la rivelazione che si era trattato di un suicidio, Musatti non parlò mai volentieri della morte del maestro. Nel generale silenzio dello studioso di Dolo emerge un'intervista uscita sul quotidiano [[El País]] del 21 ottobre [[1985]]. Nell'intervista Musatti confessa di sognare a volte che in una caserma dei carabinieri in cui viene tradotto, il commissario lo interroga sulla morte di tre sue mogli (si sposò quattro volte), decedute tragicamente, e di Vittorio Benussi. A fine colloquio il militare intima a Musatti di confessare di aver ucciso il maestro per prendere la cattedra di psicologia. «Io gli rispondo – prosegue Musatti, da buon psicoanalista – che sicuramente nel mio subconscio mi sono sentito responsabile per questa e per altre morti. Il commissario, che non capiva nulla di subconscio, decide: “Mi spiace professore, ma devo arrestarla”. Io allora gli rispondo:
”Non è possibile commissario, perché si tratta di delitti commessi più di cinquant'anni fa, e quindi sono prescritti!”»<ref>D. Mont D'Arpizio, ''{{collegamento interrotto|1=[https://www.scribd.com/Vittorio-Benussi/d/34609607 Vittorio Benussi, Padre della psicologia padovana] |date=febbraio 2018 |bot=InternetArchiveBot }}'', in [[La Difesa del popolo]] 2 marzo [[2008]], p. 35</ref>.