San Calocero al Monte: differenze tra le versioni
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I primi ritrovamenti sono del I secolo d.C. con un vero insediamento di strutture del III secolo d.C. e la realizzazione di un monastero solo nel V-VI secolo. In questo periodo c'è la cristianizzazione di Albenga, con la presenza anche di [[Martino di Tours|San Martino di Tours]] che visse sull'[[isola Gallinara]] e dalla quale venne fondato il convento San Martino. Il primo intervento fu quello di creare la volta che coprì la cripta, rafforzando il muro ad arcate e utilizzando dei rinfianchi della volta delle anfore. La soluzione architettonica scelta fu legata alla presenza della tomba del Santo, usata come fulcro del complesso. La prima basilica fu a tre o solo a due navate, mentre la tessitura muraria ed elementi architettonici, avrebbero costituito un sorta di archetipo dell'architettura religiosa altomedievale della Liguria di Ponente. Il numero di navate resta in dubbio, poiché una di queste potrebbe essere stata utilizzata come luogo di sepoltura, separata dal resto della chiesa da un muro; tale tipo di struttura è stata pensata anche per la basilica battesimale e funeraria di [[Riva Ligure]], un tempo sotto la stessa [[Diocesi di Albenga-Imperia|diocesi]] e coeva, ma senza ulteriori scavi e indagini non ci sono ancora certezze. Le due navate avevano la stessa larghezza, mentre quella sul lato del monte usata forse per le sepolture era più stretta. Dal VI al VII secolo le chiese ''extra moenia'' cioè San Clemente, [[Santuario di Nostra Signora di Pontelungo#San Vittore|San Vittore]] e San Calocero, erano le più ambite per le sepolture, soprattutto questa perché legata alla presenza del corpo del santo, con la presenza di un criptoportico e dei piccoli mausolei, con vasche in pietra del finale o in muratura. Comunque la struttura era conclusa nella seconda metà del VI secolo, anche se non si può escludere una struttura ridotta precedente.
Albenga risulta essere l'unica città della Liguria di Ponente ad avere una topografia cristiana suburbana e urbana. Fino
Tra il VI e il VII secolo si ha la forte presenza bizantina, con diversi manufatti di questo periodo. Tra questi sono stati scoperti sette pilastrini, purtroppo nessuno durante gli scavi ma erano stati già asportati per essere riutilizzati, conservati in parte a [[Palazzo Oddo]], al Civico Museo Ingauno o nei depositi della Soprintendenza Archeologica della Liguria, anche se [[Nino Lamboglia]] aveva già evidenziato la presenza di pezzi marmorei utilizzati nei muretti a secco nel 1934. Uno di questi venne donato nel 1963 da Battista Vio Maglione che lo aveva rinvenuto in un suo magazzino in via Gian Maria Oddo dove veniva usato come scalino. I pilastrini hanno un'altezza di 110 cm circa, e venivano usati come arredo liturgico, probabilmente nell'area dell'altare maggiore.
Tuttavia nel IX e X secolo si hanno le incursioni saracene che rendevano estremamente precaria la vita fuori dalle mura cittadina; in questa fase viene realizzato il muro di cinta esterna e viene edificato il monastero di San Martino al Monte, posizionato in un luogo dove si poteva vedere il mare e l'Isola, più difendibile rispetto a San Calocero, e che dista da questi solo 200 m, ma che cambia profondamente la vita dei monaci, che potevano, in caso di vista di navi saracene, correre a ripararsi in Città. È possibile che in quest'epoca una parte del materiale presente in San Calocero venne demolito per essere riutilizzato in San Martino, almeno secondo [[Nino Lamboglia]], ma la presenza della tomba del Santo rendeva comunque ancora vivo il monastero, anche se probabilmente ridimensionato. A San Calocero durante i vari scavi è emersa una comune condizione, cioè quella che tutte le tombe sono state violate e profanate, non solo quelle più importanti alla ricerca di reliquie sante, o quelle relative alle tombe da essere riutilizzate per altre persone, ma tutte e in maniera violenta. Questa evidenza porta alla conseguenze che queste tombe non siano state aperte dai monaci o dai fedeli alla ricerca di chissà quale miracolo o ossa da poter venerare, ma in maniera violenta come da chi voleva rubare dei corredi funebri e recuperare così le poche ossa; questa era una prassi comune nelle incursioni saracene, che poi rivendevano il trovato, anche le ossa, facendole passare per reliquie di qualche santo o di qualche martire. Sono state rinvenuti alcuni riusi dei frammenti delle pesanti lastre sepolcrali realizzate in pietra di Finale nelle murature. Le tombe sono poi state riempite di materiale di cantiere misto a malta per essere riutilizzate come basamenti per altre strutture. Che San Calocero venne abbandonata del tutto o in parte in quest'epoca ci risulta anche dal testamento del ''magister Giovanni de Marixia'' che nel 1271 destina una somma della sua eredità al monastero di San Calocero, a patto che ''sibi fuerit sacerdos'' che ci indica che qui le messe non erano più regolari.
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