Piero Martinetti: differenze tra le versioni

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=== Studi ===
Dopo aver frequentato il [[Liceo classico Carlo Botta]] di [[Ivrea]], si iscrisse all'[[Università degli Studi di Torino]], dove ebbe come insegnanti [[Giuseppe Allievo]], [[Romualdo Bobba]], [[Pasquale D'Ercole]]<ref>«Ebbe molta influenza sulla scelta che Martinetti fece di iscriversi alla facoltà di Filosofia, fu suo professore, ma non un Maestro. [...] Scrisse di lui Martinetti: "Era un uomo; quando andai a visitarlo l'ultima volta, pochi giorni prima della sua morte, mi disse di avere un'unica certezza, che dopo questa vita non c'è nulla. Le mie idee erano assolutamente opposte alle sue, su questo come su tutti gli altri punti. Ma non potei non ammirare la fermezza delle sue convinzioni"»: {{cita|Paviolo 2003|p. 121}}.</ref>, [[Giovanni Flechia]]<ref>«che morì proprio durante l'iter scolastico di Martinetti ma che ebbe con lui, forse per la comune origine canavesana, un particolare rapporto»: {{cita|Paviolo 2003|p. 20}}.</ref> e [[Arturo Graf]]<ref>«Di una reale affinità tra Martinetti e i suoi maestri torinesi si può parlare forse solo in un caso: quello di Arturo Graf, del cui dualismo e pessimismo si può trovare qualche traccia nel pensiero del Nostro e alla cui poesia, piena di dolente (e a tratti cupa) riflessività filosofica, Martinetti tornerà anche negli anni maturi, come a una sorgente di ispirazione e conforto spirituale. Più documentata è l'influenza sul giovane Martinetti di un'altra singolare figura di poeta-filosofo: quel Pietro Ceretti da Intra (noto anche con lo pseudonimo poetico di Alessandro Goreni e con quello di Theophilo Eleuthero), alla cui postuma riscoperta si adoperarono intensamente Pasquale D'Ercole e Vittore Alemanni, nell'ultimo decennio del secolo scorso e ai primi del nostro»: {{cita|Vigorelli 1998|pp. 46-4746–47}}.</ref>, laureandosi in filosofia nel [[1893]] all'età di 21 anni<ref>«Nel breve verbale relativo all'esame di laurea (qui il laureando è indicato come Pietro Martinetti) si dice semplicemente che "il Candidato ha sostenuto durante quaranta minuti innanzi alla commissione la disputa prescritta, sopra la dissertazione da lui presentata e sopra le tesi annesse alla medesima; e ha sostenuto anche la prova pratica assegnatagli dalla Commissione"»: {{cita|Paviolo 2003|p. 20}}.</ref>, con una tesi su ''Il Sistema [[Sāṃkhya|Sankhya]]. Studio sulla [[filosofia indiana]]''<ref>La tesi ottenne la votazione di 99/110: «Il lavoro di tesi non ebbe, come noto, il riconoscimento che meritava - anche a motivo di certe resistenze accademiche nel settore filologico della Università di Torino - e forse per questo il giovane studioso sentì il bisogno di attingere direttamente alle fonti dell'erudizione tedesca, fuori dal chiuso ambiente provinciale. Del resto l'intento di Martinetti era più filosofico che filologico, e la prima suggestione a interessarsi del Samkhya poté venirgli, piuttosto che dalle lezioni di Flechia, dalla conversazione con Pasquale D'Ercole, docente di Filosofia teoretica [...] Proprio del Samkhya D'Ercole si era interessato alcuni anni primi in una breve Memoria uscita sulla ''Rivista Italiana di Filosofia'' diretta da Luigi Ferri»: {{cita|Vigorelli 1998|pp. 42-4442–44}}.</ref> discussa con Pasquale D'Ercole, docente di [[filosofia teoretica]]. La tesi viene pubblicata a [[Torino]] da [[Lattes Editori|Lattes]] nel [[1896]] e, grazie all'interessamento di Giuseppe Allievo, risulta vincitrice del [[Premio Gautieri]].<ref>Dell'interesse costante di Martinetti per la [[filosofia indiana]] testimonia il corso di lezioni tenuto a Milano nel 1920, pubblicato a Milano nel 1981 da Celuc libri: Piero Martinetti,'' La sapienza indiana. Corredata da un'antologia di testi Indù e Buddhisti.''</ref>
 
Dopo la laurea Martinetti fece un soggiorno di due semestri presso l'[[Università di Lipsia]]<ref>"Ma è antefatto significativo, giacché lascia intravedere ancora una volta, questa volta sotto il rispetto particolare dei primi contatti di Martinetti coi testi di A. Spir, l'importanza della permanenza a [[Lipsia]] (1894-1895) nella formazione filosofica di Martinetti. Nella Lipsia conosciuta da Martinetti sopravviveva [[Moritz Wilhelm Drobisch|Drobitsch]], l'antico maestro [[Johann Friedrich Herbart|herbartiano]] di Spir e dalla Lipsia di Martinetti si diffondevano le edizioni di A. Spir entro il moto allora nascente in Germania dell'interesse per la filosofia sua." Franco Alessio, introduzione a Piero Martinetti, ''Il pensiero di Africano Spir'', Torino, Albert Meynier, 1990, p. IV-V.</ref>, dove poté venire a conoscenza del fondamentale studio di Richard Garbe sulla filosofia Sāṃkhya da poco pubblicato<ref>Richard Garbe, ''Die Samkhya-Philosophie, eine Darstellung des indischen Rationalismus nach der Quellen'', Leipzig, H. Haessel, 1894.</ref>. Si può dunque "ipotizzare che tra gli scopi del viaggio vi fosse anzitutto quello di approfondire gli studi indianistici, iniziati a Torino con Giovanni Flechia e Pasquale D'Ercole."<ref>{{cita|Vigorelli 1998|p. 32, nota 4}}.</ref>
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=== La ''Società di studi filosofici e religiosi'' ===
Mentre nelle sue lezioni universitarie sviluppava un sistema di [[filosofia della religione]], il 15 gennaio [[1920]] Martinetti inaugurò a Milano una ''Società di studi filosofici e religiosi'', formata da un gruppo di amici in "piena e perfetta indipendenza da ogni vincolo dogmatico"<ref>{{cita|Vigorelli 1998|p. 202}}.</ref> dove si riunirono autorevoli intellettuali del panorama filosofico e intellettuale italiano dell'epoca e in cui organizzò una serie di conferenze. Le prime conferenze furono tenute da [[Antonio Banfi]] e da Luigi Fossati oltre che, naturalmente, da Martinetti, le cui tre relazioni, riunite sotto il titolo comune di ''Il compito della filosofia nell'ora presente'', segneranno la sua rottura con Giovanni Gentile.<ref>{{cita|Vigorelli 1998|pp. 207-223207–223}}.</ref>
In seguito ad una denuncia per «[[Delitti contro le confessioni religiose|vilipendio della eucaristia]]», presentata da un certo Ricci al rettore [[Luigi Mangiagalli]] il 2 febbraio [[1926]], dovette sottoscrivere un memoriale in difesa dei propri corsi sulla filosofia della religione<ref>Lettera n. 47, Piero Martinetti a Luigi Mangiagalli, 21 marzo 1926, in: {{cita|Lettere 2011|pp.51-53. 51–53}}</ref>.
 
=== Il Congresso Nazionale di Filosofia del 1926 ===
Nel marzo 1926, incaricato dalla "[[Società Filosofica Italiana]]", organizzò e presiedette il "VI Congresso Nazionale di Filosofia"<ref>«Il Congresso non ha altro fine che di essere una manifestazione della filosofia italiana in quanto libera e appartata da ogni contingenza del momento: come deve essere in qualunque tempo la filosofia»: Lettera n. 37, Piero Martinetti a [[Tommaso Gallarati Scotti]], 14 dicembre 1925, in: {{cita|Lettere 2011|p.42.}}</ref>.
 
L'evento fu sospeso dopo solo due giorni dal rettore Luigi Mangiagalli a causa di agitatori politici fascisti e cattolici. Il congresso fu poi chiuso d'imperio dal questore: da un lato incise l'opposizione di P. [[Agostino Gemelli]]<ref>Che accusò Martinetti, ricambiato, di disonestà intellettuale nel riguardo della filosofia scolastica, cf. Helmut Goetz, ''Il giuramento rifiutato. I docenti universitari e il regime fascista'', Firenze, 2000, p. 192.</ref>, fondatore e rettore dell'[[Università Cattolica del Sacro Cuore|Università Cattolica]], che faceva parte del Comitato organizzatore (quale rappresentante dell'Università Cattolica) ma che, per scelta di Martinetti, non era tra i relatori<ref>Per Martinetti «Padre Gemelli è tutto fuorché un filosofo»: Lettera n. 31, Piero Martinetti a [[Bernardino Varisco]], 29 settembre 1925, in: {{cita|Lettere 2011|p. 33.}}</ref>; dall'altro lato la partecipazione, fortemente voluta da Martinetti, di [[Ernesto Buonaiuti]], [[scomunica]]to "expresse vitandus" dal [[Sant'Uffizio]]<ref>Helmut Goetz, ''Il giuramento rifiutato. I docenti universitari e il regime fascista'', Firenze, 2000, 3.4 Il congresso di filosofia del 1926, pp. 245-263.</ref>, dette ai filosofi cattolici [[neoscolastica|neoscolastici]] la scusa per ritirarsi dal congresso<ref>«Tutto l'affare è una montatura (come del resto anche il ritiro dei cattolici dal Congresso), la quale ha la sua origine nel fatto che io non ho permesso al P. Gemelli di spadroneggiare nel Congresso e di prepararvi qualcuna delle sue rappresentazioni ciarlatanesche»: Lettera n. 46, Piero Martinetti a [[Bernardino Varisco]], 15 marzo 1926, in:{{cita|Lettere 2011|pp.49-50. 49–50}}</ref>.
 
Come scrive Pier Giorgio Zunino:
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=== La ''Rivista di filosofia'' ===
A partire dal [[1927]] Martinetti fu il direttore della ''[[Rivista di filosofia]]'', ma per prudenza il suo nome non vi comparve mai come tale.<ref>«Quando Martinetti, con il rifiuto del giuramento di fedeltà al fascismo, abbandonò l'insegnamento non rinunciò a quegli incarichi o a quelle adesioni che non erano a tale giuramento connesse: guardò di non compromettere quella sua creatura che era diventata ''La Rivista di Filosofia'' e non ne volle la direzione "effettiva", ma continuò l'intensa e puntuale collaborazione redazionale sino a che le sue condizioni di salute glielo permisero»: {{cita|Vigorelli 1998|p. 39}}.</ref>. Tra i collaboratori della rivista vi furono: [[Ennio Carando]], [[Maria Venturini]], [[Norberto Bobbio]], [[Ludovico Geymonat]], Luigi Fossati (che ufficialmente ne era il direttore responsabile), [[Gioele Solari]], [[Alessandro Levi]], [[Giulio Grasselli]], [[Cesare Goretti]]<ref>{{cita|Vigorelli 1998|pp. 299-318299–318}}.</ref>.
 
=== Il rifiuto del giuramento di fedeltà al Fascismo ===
Nel dicembre [[1931]], quando il ministro dell'educazione nazionale [[Balbino Giuliano]] impose ai professori universitari il [[Giuramento di fedeltà al Fascismo]], Martinetti fu uno dei pochi a rifiutare fin dal primo momento<ref>Lettera n. 104, Piero Martinetti a Balbino Giuliano, 13 dicembre 1931, in: {{cita|Lettere 2011|pp.101-103. 101–103}}</ref>:
 
{{Approfondimento
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}}
 
In una lettera a [[Guido Cagnola]] del 21 dicembre 1931<ref>Lettera n. 106, Piero Martinetti a Guido Cagnola, 21 dicembre 1931, in: {{cita|Lettere 2011|pp.105-107. 105–107}}</ref> Martinetti scrive:
 
{{Citazione|Ella ora saprà che io sono uno degli undici (su 1225 professori universitari! ne arrossisco ancora) che hanno rifiutato il giuramento di fedeltà fascista e che perciò sono stati o saranno fra breve espulsi dall'università. Mi consolo d'essere in buona compagnia: [[Francesco Ruffini|Ruffini]], [[Mario Carrara|Carrara]], [[Gaetano De Sanctis|De Sanctis]] (lo storico), [[Giorgio Levi Della Vida|Levi Della Vida]] (l'orientalista), [[Vito Volterra|Volterra]] (il matematico), [[Ernesto Buonaiuti|Buonaiuti]] e qualche altro. Mi rincresce non tanto la cosa, quanto il modo: e mi rincresce che si sia fatto e si faccia rumore intorno al mio nome. Ma come fare? Giurare per me era tanto impossibile quanto una impossibilità fisica: sarei morto d'avvilimento.}}
 
E in un'altra lettera ad [[Adelchi Baratono]] del 27 dicembre 1931<ref>Lettera n. 108, Piero Martinetti a Adelchi Baratono, 21 dicembre 1931, in: {{cita|Lettere 2011|pp.107-108. 107–108}}</ref>:
 
{{Citazione|Io non ho voluto giurare (e così credo molti degli undici) per un motivo religioso, per non subordinare le cose di Dio alle cose della terra: dove sta per andare il rispetto della coscienza? Ciò è triste e annuncia oscuramente un avvenire triste per tutti, anche per i persecutori.}}
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{{Citazione|Martinetti ha infine opposto un netto rifiuto a sottostare al giuramento preteso e voluto dalla dittatura fascista, nel 1931, da tutti i docenti universitari italiani. Giustamente occorre sempre sottrarre, criticamente, questo straordinario gesto martinettiano, invero assai emblematico, da ogni ottundente e vacua [[Antifascismo in Italia|retorica antifascista]], onde comprenderlo in tutta la sua genesi specifica. Nel caso di Martinetti non può allora essere certamente negato, in sintonia con Franco Alessio, il carattere dichiaratamente religioso di questa sua scelta che, non per nulla, lo ha infine indotto ad essere ''l'unico filosofo italiano universitario'' che ha avuto l'incredibile capacità critica di sottrarsi nettamente e senza compromessi all'imposizione del regime fascista. In questa prospettiva Martinetti non ha giurato proprio perché nutriva una particolare percezione critica dello stesso "giuramento" in connessione con i suoi più profondi convincimenti morali che avevano peraltro guidato tutta la sua attività di docente e di filosofo. Tuttavia, nel riconoscere questa precisa matrice religiosa della sua scelta, non deve essere neppure negato il suo specifico valore e il suo preciso significato civile, culturale e anche filosofico.}}
 
Scrive in proposito Amedeo Vigorelli<ref>{{cita|Vigorelli 1998|ppp. 291-292291–292}}.</ref>:
{{Citazione|Una certa retorica resistenziale si è impadronita anche di Martinetti, impedendo un approfondimento più serio e radicale dei tratti originali del suo antifascismo […] L'atto di Martinetti non era cioè solo un monito contro l'oppressione totalitaria e antidemocratica, ma contro ogni forma di politica compromissoria e concordataria, contro l'ambiguo connubio fra religione e politica, sintomo di una profonda immaturità religiosa e premessa di forme più o meno larvate di condizionamento della libertà di coscienza, non sempre si ama ricordare che l'avversione di Martinetti al fascismo era innanzi tutto avversione a ogni forma di retorica nazionalistica, ma anche all'esaltazione demagogica delle masse popolari. Prima che della dittatura fascista, Martinetti fu critico altrettanto risoluto del socialismo marxista e della democrazia, di cui colse gli aspetti degenerativi dell'affarismo e dell'ultraparlamentarismo}}
 
=== Il ritiro ===
In seguito a questo suo rifiuto, Martinetti venne messo in pensione d'autorità<ref>«Ella già saprà certamente che io, in seguito all'affare del negato giuramento, sono stato collocato a riposo. Non appartengo quindi più all'Università di Milano e non posso più esserle utile che indirettamente»: Lettera n. 116, Piero Martinetti a [[Carlo Emilio Gadda]], 17 marzo 1932, in: {{cita|Lettere 2011|p. 114.}}</ref>, e dal [[1932]] fino alla morte si dedicò unicamente agli studi personali di filosofia<ref>«del resto io sono perfettamente sereno come chi ha fatto ciò che doveva fare: e non mi sarà discaro poter d'ora innanzi applicare tutto il mio tempo ai miei studi, cioè agli studi veramente miei, fatti per mè, per la mia personalità e la mia vita»: Lettera n. 110, Piero Martinetti a [[Vittorio Enzo Alfieri]], 4 gennaio 1932, in: {{cita|Lettere 2011|p.109.}}</ref>, ritirandosi nella villa di Spineto, frazione di [[Castellamonte]], vicino al suo paese di nascita.<ref>Sulla cui porta fece mettere un'indicazione che diceva: "Piero Martinetti - agricoltore": {{cita|Paviolo 2003|p. 68}}.</ref> In questo lasso di tempo tradusse i suoi classici preferiti ([[Kant]], [[Schopenhauer]]), studiò approfonditamente [[Baruch Spinoza|Spinoza]] e ultimò la trilogia (iniziata con la ''Introduzione alla [[metafisica]]'' e continuata nel 1928 con ''La libertà'') scrivendo ''Gesù Cristo e il Cristianesimo'' (1934); ''Il Vangelo'' è del 1936; ''Ragione e fede'' venne completato nel 1942. Martinetti propose come suoi successori [[Adelchi Baratono]] per l'insegnamento della filosofia e [[Antonio Banfi]] per l'insegnamento della [[Storia della filosofia occidentale|Storia della Filosofia]] all'[[Università degli Studi di Milano]]<ref>«Perciò appunto non ho dimenticato i tuoi interessi e sarei lieto che fossi tu a succedermi. In questo senso ho scritto, "richiesto da Castiglioni stesso", che ora è preside, a Castiglioni. Ho consigliato lui e con lui la facoltà ad accaparrarsi te per la F.[ilosofia] e Banfi per la St.[oria] d.[ella] F.[ilosofia]»: Lettera n. 108, Piero Martinetti a Adelchi Baratono, 21 dicembre 1931, in: {{cita|Lettere 2011|pp.107-108. 107–108}}</ref>.
 
===L'antifascismo di Martinetti===
Lontano da ogni forma di impegno politico e critico severo sia nei confronti del socialismo marxista che delle degenerazioni del parlamentarismo, Martinetti, a partire dal 1925, prese ad annotare minuziosamente sul suo diario gli episodi di corruzione e di violenza in cui erano coinvolti esponenti fascisti. così ad esempio il 28 marzo 1928, a fronte di una serie di scandali annotava "è dunque l'associaz[ione] dei malviventi d'Italia!"<ref>{{cita|Vigorelli 1998|p. 293}}.</ref>. Nel 1934 scriveva: "Come persuadersi che uno stato senza leggi, senza traccia di onestà pubblica, sostenuto soltanto dal terrore che desta nel popolo inerme un'organizzazione di ribaldi messa al servizio del despota, odiata da tutte le rette coscienze, disprezzata dagli intelligenti possa resistere, senza condurre il popolo che lo soffre all'estrema rovina?"<ref>{{cita|Vigorelli 1998|p. 296}}.</ref>. Martinetti si scagliava nei suoi appunti contro il dispotismo che accomunava socialismo marxista e fascismo: "Tutto deve servire alla propaganda e alla educazione di stato. Non vi è più libertà di pensiero, non vi è più pensiero" (1937)<ref>{{cita|Vigorelli 1998|ppp. 297-298297–298}}.</ref>.
 
A questo proposito Amedeo Vigorelli evidenzia<ref>{{cita|Vigorelli 1998|p. 299}}.</ref>
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{{Citazione|Il Martinetti professò una altissima stima per l'opera di questo solitario filosofo, tanto da considerarla "immortale": in essa infatti vedeva un tentativo d'un rinnovamento speculativo-religioso di tutta la filosofia.<ref>Emilio Agazzi, ''La filosofia di Piero Martinetti'', Milano, Unicopli, 2016, p. 123.</ref>}}
 
Scrive al proposito [[Franco Alessio]]<ref>«Ma è stato Alessio a dimostrare l'importanza e l'anteriorità, rispetto ad altri autori, della lettura di Spir per la maturazione della metafisica martinettiana»: {{cita|Vigorelli 1998|pp. 66-67.66–67}}</ref>:
 
{{Citazione|Il carattere speculativo dell'interpretazione di P. Martinetti dipese da particolarissime circostanze. La speculazione di A. Spir esercitò sul pensiero suo un influsso profondo sin dagli inizi; e anche nella costruzione dell'idealismo trascendente di P. Martinetti la speculazione di A. Spir rivestì un peso pressoché decisivo. Oltre che in Kant, in Schopenhauer e in Spinoza, le radici e la linfa dell'idealismo di P. Martinetti si trovano nella speculazione di A. Spir. In nessun altro pensatore A. Spir occupò tanto spazio ed ebbe un pari rilievo. D'altra parte, senza perdere la configurazione sua propria, il pensiero di Spir viene trasposto da Martinetti entro la sua propria filosofia, riferito in modo diretto al suo proprio pensiero, così intimamente consonante con quello di Spir e cresciuto, per così dire, anche su di esso. Proprio questo condusse P. Martinetti a penetrare e nell'atto stesso a svolgere in armonia con il proprio il pensiero di A. Spir e questo si trova come penetrato e attraversato da quello di P. Martinetti. In nessun altro pensatore A. Spir fu tanto intimamente valorizzato e, in qualche misura, continuato in ciò che della sua speculazione parve propriamente essenziale.<ref>Franco Alessio, ''op. cit.'' , p. II.</ref>}}
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{{Citazione|La lettura di Martinetti insiste sul nucleo [[metafisica|metafisico]] del suo [di Spir] pensiero, che gli pare incarnare "la forma pura della visione ''religiosa''". L'affermazione fondamentale, in cui per Martinetti si riassume tutta la filosofia dello Spir, è quella della dualità fondamentale tra il vero essere - l'Unità incondizionata, assoluta e trascendente in cui si esprime il divino - e l'essere apparente e molteplice rivelato dal mondo dell'esperienza. L'approccio alla rivelazione di tale realtà dualista mediante la [[teoria della conoscenza]] (l'idealismo [[gnoseologia|gnoseologico]] di Spir) non è che premessa e introduzione all'autentico nucleo metafisico della sua filosofia, consistente in una forma di [[dualismo]] [[Acosmismo|acosmista]]. Il dualismo di realtà e apparenza è in effetti esso stesso apparente: "non è fra due effettive realtà, ma fra un'unica realtà assoluta e l'irrealtà in cui il mondo sprofonda." }}
 
Si può così dire che in Martinetti<ref>{{cita|Vigorelli 1998|pp. 94-95.94–95}}</ref>: {{Citazione|il motivo desunto probabilmente da Spir, il contrasto tra "anormale" (il mondo dell'esperienza empirico e molteplice) e "norma" (il principio d'identità, rivelazione incoativa del divino in noi) si spoglia qui dell'originario aspetto dualista per confluire in una visione coerentemente monista dell'esperienza di coscienza. [[Monismo]] [[coscienza (filosofia)|coscienzialista]], quello martinettiano, che non sfocia però in una forma di panteismo, in quanto il termine finale di questa unificazione formale rimane trascendente. L'unica realtà metafisica assoluta - si afferma in conclusione - è l'"Unità formale assoluta", che trascende l'intero processo dell'esperienza, che di tale unità è solo un'espressione simbolica.}}
 
Della filosofia di Spir, Martinetti mantenne sostanzialmente inalterata la [[filosofia morale|morale]], di derivazione kantiana, aveva d'altronde dichiarato che dopo Kant "nessun filosofo serio può non essere in Etica "kantiano".
 
Secondo [[Augusto Del Noce]]: "L'intero percorso del pensiero martinettiano parte dal suo [[anticlericalismo]]"<ref>{{cita|GM 1964|pp. 88-89.88–89}}</ref>, e aggiunge: "la natura del suo anticlericalismo lo portava a detestare la [[Massoneria in Italia|Massoneria]]. Ripetutamente mi disse di non essere mai stato massone, di essere anzi assolutamente contrario a questa [[Chiesa cattolica]] di segno rovesciato." Questo suo anticlericalismo l'ha, sempre secondo Del Noce, portato ad un antimarxismo, il [[marxismo]] essendo "secondo i termini in cui egli si sarebbe espresso, la massima secolarizzazione concepibile della religione"<ref>{{cita|GM 1964|p. 93.}}</ref>. E Del Noce conclude: "Ora a mio giudizio il pensiero di Martinetti si situa appunto come momento conclusivo del [[pessimismo]] religioso e come la sua posizione più coerente e rigorosa<ref>{{cita|GM 1964|p. 70.}}</ref>.
 
== La riflessione religiosa ==
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{{Citazione|In tutti i tempi, ma specialmente nelle età come la nostra, la vera Chiesa non risiede in alcuna delle chiese visibili che ci offrono il triste spettacolo dei loro dissensi, ma nell'unione invisibile di tutte le anime sincere che si sono purificate dall'egoismo naturale e nel culto della carità e della giustizia hanno avuto la rivelazione della verità e la promessa della vita eterna.<ref>Piero Martinetti, ''Breviario spirituale'', Bresci, Torino, 1972, p. 282.</ref>}}
 
''Gesù Cristo e il Cristianesimo'' fu messo sotto sequestro dalla [[Prefettura italiana|Prefettura]] non appena stampato (1934)<ref>Lettera n. 143, Piero Martinetti a Guido Cagnola, 17 ottobre 1934, in: {{cita|Lettere 2011|pp. 136-138.136–138}}</ref>, come Martinetti scrive a Guido Cagnola:
 
{{Citazione|Il mio libro venne terminato di stampare il 2 agosto e in tale giorno furono mandati i 3 es.[emplari] al Prefetto. Il 3 di mattina venne il permesso; alle 17 dello stesso giorno esso era ritirato. Per quali influenze? Io non lo so. Così il libro stette due mesi in sospeso: il 10 ottobre giunse (da Roma) il decreto definitivo di sequestro.}}