Pongo (cantante): differenze tra le versioni

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== Biografia ==
Nata nella capitale angolana, Pongo è emigrata in Portogallo con la famiglia durante la [[guerra civile in Angola]], stabilendosi a [[Lisbona]]. Durante la sua infanzia ha vissuto in un quartiere prevalentemente bianco e ha avuto difficoltà a integrarsi nella società, subendo quotidiane discriminazioni razziali. Trovando difficile sopportare queste difficoltà, a 12 anni si è gettata dal settimo piano dell'edificio dove abitava come [[Suicidio|gesto estremo]], riportando ferite non fatali e rompendosi una gamba. Da questa esperienza ha adottato il suo nome d'arte: non potendo camminare, il padre l'ha soprannominata M'Pongo Love, cantante congolese che nell'infanzia ha avuto problemi di mobilità in seguito a un trattamento per la poliomelitepoliomielite non andato a buon fine.<ref>{{cita web|url=https://www.theguardian.com/music/2020/feb/08/one-to-watch-pogo-lisbon-angola-kuduro-uwa-ep|titolo=One to watch: Pongo|autore=Laura Snapes|editore=''[[The Guardian]]''|lingua=en|data=8 febbraio 2020|accesso=23 gennaio 2022}}</ref>
 
Durante il suo periodo di guarigione ha dimostrato un immediato interesse per la musica, in particolare per il [[kuduro]], un genere musicale tradizionale angolano. Al termine della fisioterapia, sotto lo pseudonimo Pongolove, è entrata a far parte del gruppo musicale Denon Squad, iniziando ad esibirsi per strada. Nel 2008 Pongo ha incontrato i [[Buraka Som Sistema]], con cui ha dato il suo primo concerto a Lisbona. Nello stesso anno è divenuta nota grazie al successo di una canzone scritta e registrata da lei, ''Kalemba (Wegue wegue)'', che è stata inclusa nei videogiochi ''[[Need for Speed: Shift]]'' e ''[[FIFA 10]]''. Per via di conflitti sulla rivendicazione dei ricavi dal brano, Pongo ha lasciato i Buraka Som Sistema dopo due anni e ha messo in pausa la sua carriera musicale per dedicarsi a lavori saltuari.<ref>{{cita web|url=https://www.nytimes.com/2020/02/17/arts/music/pongo-portugal.html|titolo=Pongo Turns Her Struggles Into Pop|autore=Kate Hutchinson|editore=''[[The New York Times]]''|lingua=en|data=17 febbraio 2020|accesso=23 gennaio 2022}}</ref>