Sinisgalli appartenevaappartiene alla ''generazione inquieta'' deidi [[Eugenio Montale|Montale]], dei [[Alberto Moravia|Moravia]], dei [[Cesare Pavese|Pavese]], dei [[Elio Vittorini|Vittorini]],deie [[Guido Piovene|Piovene]], i quali, formatisi nei duri anni del [[fascismo]], ebbero sempre un angoscioso travaglio intellettuale dettato dalle difficoltà di quegli anni di cambiamento. La sua poesia, quindi, ha sempre una certa amarezza di fondo e un senso di insoddisfazione continuo. Amarezza soprattutto verso la sua condizione di ''emigrante'', costretto a lasciare la sua terra su consiglio del suo maestro, che dopo la licenza media convinse la madre a mandarlo in collegio per proseguire gli studi. Molto spesso nelle sue opere sono presenti aneddoti e luoghi della sua infanzia, del suo paese, talvolta elementi all'apparenza banali, ma che rispecchiavano la chiave della sua inquietudine e amarezza, che era il distacco forzato da casa. ''Ero nato senza appetiti e volevo semplicemente perire nella mia aria'' scriverà più avanti.
Altro aspetto fondamentale della sua poesia, e della sua prosa, fu dettato dalla formazione [[matematica]], che influenzò non poco le sue opere, così come la [[geometria]] (vedi fra tutti l'emblematico titolo ''Furor mathematicus'')<ref>Marco Pivato, ''IL PIL SAGGIO. Quanta poesia si nasconde in laboratorio'', La Stampa, 6 gennaio 2016 afferma in proposito: "Scienziati e poeti sono «ingegneri» della cultura: alla loro creatività spetta il compito di elaborare i messaggi di una civiltà evoluta. Il poeta e critico Leonardo Sinisgalli lo sosteneva nel secolo scorso, auspicando una sinergia tra umanisti e scienziati".</ref>.