Ethica: differenze tra le versioni

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Gli uomini razionali dunque traggono il massimo vantaggio dalla loro unione. Tuttavia anche gli uomini dominati dall'immaginazione constatano, a qualche punto della loro evoluzione, che «con il reciproco aiuto possono molto più facilmente procurarsi le cose di cui hanno bisogno e che solo unendo le forze possono evitare i pericoli che incombono da tutte le parti» (E IV, p35s).<ref name=giancotti/> Spinoza fa sua l'idea che l'uomo sia un animale sociale. Tuttavia la convivenza degli uomini dominati dall'immaginazione è resa complicata dalle loro idiosincrasie: «Ognuno esiste per sommo diritto di natura, e conseguentemente per sommo diritto di natura ognuno fa quelle cose che seguono dalla necessità della sua natura; [...] se gli uomini vivessero secondo la guida della ragione, ognuno godrebbe di questo suo diritto senza alcun danno per l'altro. Ma, poiché sono soggetti agli affetti, che superano di gran lunga la potenza, ossia la virtù umana, per cui sono spesso trascinati in diverse direzioni, e sono l'uno all'altro contrarii, allora hanno bisogno di mutuo aiuto. Per vivere dunque nella concordia e potere essere a vicenda di aiuto, è necessario che gli uomini rinuncino al proprio diritto naturale e assicurino l'uno all'altro che non faranno nulla che possa mutarsi in danno per l'altro» (E IV, p37s2).<ref name=giancotti/> È questo il fondamento dello [[Stato]], un organismo in seno al quale vengono stabiliti convenzionalmente dei criteri di condotta che preservano l'utilità di tutti, e che vengono fatti rispettare grazie alla paura delle pene stabilite per la violazione delle leggi (che a loro volta possono essere applicate grazie alla potenza dello Stato stesso, che supera di molto quella di ogni singolo individuo). Tali punizioni non implicano il riconoscimento negli individui di una libertà di agire che, per il determinismo di Spinoza, è e rimane inconcepibile: esse semplicemente servono allo Stato per difendersi da chi mette in pericolo i suoi membri, e dunque le nozioni di merito e colpa, prive di alcun fondamento naturale, sono determinate solo dall'aderenza o dalla contrarietà di certe azioni alle leggi, senza che in ciò sia implicita l'idea che il colpevole o il meritevole avrebbero potuto agire diversamente da come hanno agito. Comunque, lo Stato è anche il luogo privilegiato dove la convivenza degli uomini può portare a una loro crescita collettiva verso la razionalità (è d'altronde proprio questo ruolo educativo che Spinoza si attribuiva scrivendo l{{'}}''Etica'').<ref>{{cita|Scribano|pp. 138-142}}.</ref>
 
C'è una notevole distanza, in Spinoza, tra legalità e moralità. Le leggi che prescrivono la condotta degli uomini nello Stato sono artificiali, e separano l'azione meritevole o colpevole dal suo premio o punizione. Le leggi della moralità sono invece intrinseche alla stessa natura umana, con il suo ''conatus'' all'autoconservazione'sese conservandi'' che si esplica al meglio con l'attività della ragione. Quindi, al contrario delle azioni legali, che vengono compiute in vista di altro da loro stesse, le azioni morali sono premio a sé stesse.<ref>{{cita|Scribano|p. 132.}}</ref>
 
=== L'uomo libero e Dio ===
Se un uomo potesse non avere che idee adeguate, allora tutta la sua condotta sarebbe interamente comprensibile in virtù della sua sola essenza; egli sarebbe completamente attivo e determinato solo da sé stesso, e sarebbe dunque libero secondo la definizione di libertà data nella prima parte. Con ciò, egli si renderebbe uguale a Dio. Questo però, come abbiamo già visto, è una sorta di ideale regolativo praticamente irraggiungibile, dal momento che la finitezza dell'uomo implica che in lui permangano sempre un certo numero di nozioni inadeguate.<ref>{{cita|Scribano|pp. 133-134}}.</ref>
 
Comunque, il fatto che l'uomo razionale possieda alcune idee adeguate (e che si collochi così tra gli estremi opposti dell'uomo completamente dominato dalle idee inadeguate e Dio che ha solo idee adeguate) basta già a rasserenarlo nella consapevolezza delle difficoltà dell'universo morale in cui si muove e dell'irraggiungibilità della perfezione assoluta.<ref>{{cita|Scribano|p. 135.}}</ref> «Sopporteremo di buon animo gli avvenimenti contrari a ciò che il calcolo della nostra utilità richiede, se siamo consapevoli di aver svolto il nostro compito e che la potenza che abbiamo non ha potuto estendersi fino al punto di poterli evitare e che siamo parte di tutta la natura, il cui ordine seguiamo. Cosa che, se la intendiamo chiaramente e distintamente, quella parte di noi che è definita dall'intelligenza, cioè la parte migliore di noi, troverà interamente soddisfazione in essa, e in questa acquiescenza si sforzerà di perseverare» (E IV, appendice).<ref name=giancotti/> D'altro canto, il fatto stesso che l'uomo possa muoversi nello spazio della moralità dipende da questa sua condizione intermedia: un essere privo di ogni razionalità sarebbe incapace di una morale universale; un essere perfettamente razionale sarebbe incapace di qualsiasi morale, perché non potrebbe conoscere il male (la conoscenza del male dipende infatti dall'esperienza di un decremento della propria potenza di agire, il quale non può prodursi in un essere completamente razionale, cioè completamente attivo) né il bene (la conoscenza del bene dipende infatti dall'esperienza di un incremento della propria potenza di agire, il quale ugualmente non può prodursi in un essere già completamente attivo in quanto completamente razionale). Dio quindi, ossia la natura, si conferma ancora una volta essere al di là della considerazione morale, che è legata interamente alle valutazioni razionali degli uomini nella loro finitezza.<ref>{{cita|Scribano|pp. 136-138}}.</ref>
 
== Parte quinta: della potenza dell'intelletto, ossia della libertà umana ==