Libro: differenze tra le versioni
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{{Vedi anche|Codice (filologia)}}
Nel [[VI secolo]], [[Isidoro di Siviglia]] spiegò l'allora corrente relazione tra codex, libro e rotolo nella sua opera ''Etymologiae''ː "Un ''codice'' si compone di numerosi libri, mentre un libro consta di un unico volume. Il nome ''codice'' è stato dato metaforicamente, con riferimento ai ''codices'' ossia ai ''tronchi'', degli alberi o delle viti, quasi a dire ''caudex'', che significa appunto ''tronco'', per il fatto di contenere gran numero di libri, che ne costituiscono, per così dire, i rami...".<ref>Isidoro di Siviglia, ''Etimologie o origini'', Torino, Utet, 2004. Libro VI, capitolo 13.</ref> L'uso moderno differisce da questa spiegazione.
Un codice (in uso moderno) è il primo deposito di informazioni che la gente riconosce come "libro": fogli di dimensioni uniformi legati in qualche modo lungo uno dei bordi, e in genere tenuti tra due copertine realizzate in un materiale più robusto. La prima menzione scritta del codice come forma di libro è fatta da [[Marco Valerio Marziale|Marziale]] (vedi sotto), nel suo ''Apophoreta'' <small>CLXXXIV</small> alla fine del suo secolo, dove ne loda la compattezza. Tuttavia, il codice non si guadagnò mai molta popolarità nel mondo pagano ellenistico, e soltanto all'interno della comunità cristiana ottenne grande diffusione.<ref>''The Cambridge History of Early Christian Literature'', curatori Frances Young, Lewis Ayres, Andrew Louth, Ron White. Cambridge University Press 2004, pp. 8–9 {{en}}</ref> Questo cambiamento avvenne comunque molto gradualmente nel corso dei secoli III e IV, e le ragioni per l'adozione del modello di codice sono molteplici: il formato è più economico, in quanto entrambi i lati del materiale di scrittura possono essere utilizzati, ed è portatile, ricercabile, e facile da nascondere. Gli [[autore|autori]] cristiani potrebbero anche aver voluto distinguere i loro scritti dai testi [[paganesimo|pagani]] scritti su rotoli.
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