Bonet: differenze tra le versioni

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== Storia ==
Nel ricettario anonimo di ambito sud piemontese "Polizia e cucina" redatto nel primo decennio dell'Ottocento (edizione a cura dell'Ordine dei Cavalieri del Tartufo e dei vini di Alba, Torino 1984) si ritrova una delle più precoci attestazioni del dolce, all'epoca ancora considerato "pietanza di magro fredda" da utilizzarsi per "tramesso" o "entremets" e non per il fine pasto. La ricetta prevede due libbre di latte (circa 8 dl) sei tuorli d'uovo, sei cucchiai di zucchero, cioccolato fuso, mandorla amara e facoltativamente caffè. Sbattuti gli ingredienti, si fanno cuocere in casseruola a fuoco diretto e dolce, sempre mescolando, fino alla consistenza cremosa; la "cremma" così ottenuta viene versata sul piatto da portata e lasciata raffreddare in luogo fresco in modo da ssumere la consistenza di un flan. ("Polizia e cucina", cit. ricetta n° 239). Nel 1846 Francesco Chapusot, cuoco dell'ambasciatore inglese a Torino, rende più elegante la vecchia ricetta prescrivendone la più raffinata cottura a bagno-mariabagnomaria e "in timballo" entro uno stampo foderato con zucchero caramellato; pur considerandola "Crema alla caramella a Bagno-Maria", Chapusot consiglia di "allegrarla" con "caffè, cioccolato, e anche con liquore". (Francesco Chapusot: "La cucina sana, economica ed elegante secondo le stagioni" Torino 1846 p.133). Anche il contemporaneo Giovanni Vialardi, capocuoco e capo pasticcere della corte reale di Torino, nel 1854 dà la sua ricetta di "Crema rappresa al Bagno di Maria al cioccolato" fornendone anche una variante al caffè e un'altra alle nocciole. ( Giovanni Vialardi: "Trattato di cucina, pasticceria moderna, credenza e relativa confetteria" Torino 1854 p. 436). Verso la fine dell'Ottocento la ricetta si stabilizza definitivamente nella versione attuale, prevedendo oltre al latte, alle uova e al ciuoccolatocioccolato anche amaretti pestati, rum da pasticceria e facoltativamente caffè. In parallelo anche Pellegrino Artusi fornisce la ricetta del suo "Budinobudino di cioccolata", che però prevede la sola aggiunta di pochi savoiardi sminuzzati (P. Artusi: "La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene" 1891, p. 667) dimostrando così la specificità e la regionalità del bonèt. Seguendo il processo che caratterizza profondamente la gastronomia "tipica" piemontese, anche il bonet nel corso dell'Ottocento, partendo dalle cucine aristocratiche e ricche si diffonde dapprima nelle cucine borghesi per approdare capillarmente in quelle contadine tra la fine del secolo e l'inizio del successivo, dove da semplice ''entremet'' diventa il dessert delle occasioni straordinarie; la diffusione parte da Torino e privilegia inizialmente le Langhe, l'Astesana e il Monferrato, da dove provengono le numerose schiere di ragazze a servizio nelle cucine delle famiglie ricche sia della capitale sabauda che dei centri urbani viciniori. Dopo gli anni di lavoro necessari a pagarsi il corredo, le ragazze tornano ai propri villaggi e alle proprie famiglie portandosi in dote abilità e saperi culinari che vengono messi a disposizione per le esigenze festive e gastronomicamente rappresentative dell'intera comunità rurale (festa patronale, festa di leva, matrimoni ecc.). A partire dagli anni '30Trenta del Novecento la diffusione e la notorietà del bonet piemontese sono merito soprattutto dei ristoranti delle Langhe, che in quel periodo definiscono e impongono definitivamente i caratteri che ancora oggi sono alla base della gastronomia tipica piemontese.
 
== Etimologia del nome ==