Calculi: differenze tra le versioni

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[[File:Clay bullae OIM.jpg|thumb|''Calculi'' del [[Periodo di Uruk]] in una ''[[bulla (Vicino Oriente antico)|bulla]]'' (Oriental Institute Museum, Chicago)]]
 
All'inizio del IV millennio, si prese a praticare fori nei ''calculi''. È stato ipotizzato che tali fori servissero a tenerli insieme, forse con un laccio, ad esempio nel caso della registrazione di un [[debito]].<ref name=schmandt.besserat.2001/>. Successivamente (intorno al 3500 ad Uruk e forse un po' dopo a Susa<ref name=maiocchi399/>), si adottò la pratica di custodire i ''calculi'' in "pacchi di argilla"<ref>{{cita|Liverani 2009|p. 130}}.</ref> di forma tondeggiante, chiamati ''[[bullae (Vicino Oriente antico)|bullae]]'' (secondo la proposta di [[Pierre Amiet]]<ref>{{cita|Schmandt-Besserat 1978|p. 52}}.</ref>). Le ''bullae'' misuravano tra i 5 e i 7 centimetri. Nelle ''bullae'' di argilla ancora fresca venivano formate con le dita delle cavità dove inserire i ''calculi'', probabilmente con l'idea di raccoglierli insieme, di proteggerli, ma anche di certificarne natura e numero (la cavità veniva infatti richiusa con altra argilla fresca).<ref name=schmandt.besserat.2001/> Nel Periodo di Uruk, i ''calculi'' furono forse utilizzati per disposizioni che giungevano a funzionari periferici dall'amministrazione centrale; ad esempio, un funzionario della periferia nelle condizioni di dover richiedere all'amministrazione centrale una certa quantità di cereali per le razioni degli operai suoi dipendenti poteva inviare una ''bulla'' con i contrassegni al suo interno; un magazziniere, rompendo la ''bulla'' e constatandone il contenuto, avrebbe consegnato l'esatta quantità richiesta, senza che il trasportatore fosse in grado di adulterare l'entità della richiesta; il magazziniere avrebbe anche conservato la ''bulla'' infranta, come ricevuta dell'esborso.<ref>{{cita|Liverani 2009|pp. 131-132}}.</ref> Sull'intera superficie della ''bulla'' veniva impresso il [[sigillo cilindrico]] del funzionario responsabile della sua chiusura.<ref name=VDM32>{{cita|Van De Mieroop|p. 32}}.</ref><ref name=maiocchi400/> Vi sono comunque anche ''calculi'' contenuti in ''bullae'' prive di impressioni.<ref>{{cita|Overmann|pp. 159-160}}.</ref>
 
L'inserimento dei ''calculi'' nelle ''bullae'' rendeva impossibile controllare quantità e natura dei primi senza infrangere la seconda. Fu forse per questa ragione che nacque l'idea di imprimere sulla superficie della ''bulla'' i ''calculi'' stessi, prima di inserirli nella cavità.<ref name=VDM32/><ref name=maiocchi401>{{cita|Maiocchi|p. 401}}.</ref> In tal modo, era possibile conoscere il contenuto della ''bulla'' "leggendo" i segni impressi sulla sua superficie, ciò che rendeva la ''bulla'' un "doppio documento".<ref>Secondo la terminologia di {{cita|Lieberman|p. 352}}, che riflette l'interpretazione di Pierre Amiet.</ref><ref name=maiocchi401/> Secondo l'ipotesi di Schmandt-Besserat, gli uomini protostorici si resero ben presto conto che non era necessario duplicare l'informazione, che cioè l'impressione dei ''calculi'' sull'argilla era già veicolo sufficiente dell'informazione. Ciò avrebbe portato alla rinuncia delle ''bullae'' tridimensionali e all'adozione di segni bidimensionali su [[tavolette d'argilla]] piatte e anzi il profilo tondeggiante delle prime tavolette di Uruk sarebbe, secondo Schmandt-Besserat, una caratteristica morfologica ereditata dalle ''bullae''.<ref name=SB.1978.59>{{cita|Schmandt-Besserat 1978|p. 59}}.</ref><ref name=BC239/>