Utente:Fortunaziano/Sandbox: differenze tra le versioni

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Febadio di Agen la scrive con l’intento di confutare la professione sirmiense del 357 e di dimostrare come, dietro le frasi e le parole apparentemente ortodosse in essa contenute, si nasconda in realtà l’eresia che l’autore del trattato definisce come ariana.<ref>Jorg Ulrich,Phoebadius,Contra Arianos,1999,Herder,p.59</ref>
 
L’eresia ariana nasce con Ario nel IV secolo. Egli sostiene che il Padre sia dotato di ipostasi e natura propria, per cui il Figlio non partecipa alla sostanza e all’essenza del Padre; inoltre in quanto non generato, il Padre è senza principio, mentre il Figlio deriva dal Padre il suo principio, dunque è in una posizione di netta inferiorità che lo esclude dalla partecipazione alla divinità somma. (nota Simonetti) Il [[Concilio di Nicea I|concilio di Nicea]] del 325 condanna l’arianesimo. La controversia ariana si protrae per tutto il IV secolo con l’avvicendarsi di diversi concili. <ref>Manlio Simonetti,Il vangelo e la storia,201o,Carocci,p. 207 ss.</ref>. Nel tentativo di trovare un accordo, Costanzo affida al cosiddetto trio illirico, costituito da Valente, Ursacio e Germinio, il compito di ricostituire un’unità di pensiero. <ref>Manlio Simonetti,Il vangelo e la storia,201o,Carocci,p. 211 ss.</ref>. Per loro iniziativa, verso la metà del 357, si riuniscono alcuni vescovi occidentali a Sirmio (il luogo è scelto per il fatto che vi risiedeva l’imperatore). Il trio deve fronteggiare un complesso panorama teologico costituito principalmente da un lato dagli omousiani fautori del nicetismo che ritengono la consustanzialità del Figlio in quanto generato dalla ousia del Padre e con lui partecipe della stessa ousia (ὁμοούσιος) cioè della medesima sostanza, dunquenel riconoscono la presenza di una sola ipostasi (ousia) del Padre e del Figlio; dall’altro degli omeousiani che sostengono la formula ὅμοιος κατ’οὐσίαν (simile secondo la sostanza), creata in contrapposizione con l’ὁμοούσιος niceno, per cuifarlo il Figlio non è consustanziale al Padre ma simile ad esso nella sostanza. (Simonetti) La formula diconcilio Sirmio accentua l’inferiorità del Figlio nei confronti del Padre e vieta di far uso del termine ousia sia dei composti ὁμοιούσιος e ὁμοούσιος. (stessa nota di Simonetti) La professione sirmiense esclude sia la posizione nicena che quella dell’ὁμοιούσιος, mentre, pur non essendo formalmente ariana, nel ribadire l’inferiorità del Figlio in senso subordinazionista, finisce per sostenere che fosse dissimile rispetto al Padre. In conclusione il concilio di Sirmio del 357 assume la forma di un vero e proprio atto di tolleranza dell’arianesimo. (vedi Simonetti)
 
L’opera ripercorre passo per passo gli aspetti più importanti della formula del concilio di Sirmio, per poi confutarli e respingerli teologicamente. L’incipit (1,3) esprime chiaramente l’obiettivo che l’autore si pone:<ref>Jorg Ulrich,Phoebadius,Contra Arianos,1999,Herder,p.88</ref>
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Il presupposto per essere buoni cattolici è quello di ripudiare l’eresia, smascherarla e liberare la verità. Per mostrare l’infondatezza di quello che lui stesso definisce uno ''zabolicum virus,'' cioè un virus diabolico, la trattazione prende in considerazione i seguenti punti, da confutare:
 
Avvalendosi di citazioni dalle scritture, Febadio ribatte punto per punto quanto affermato a Sirmio, sostenendo il concetto di ''substantia'' in base al quale il Figlio è l’apparenza della sostanza del Padre e la sua sostanziale realtà fisica. Dunque Padre e Figlio devono essere distinti ma non mescolati né separati; entrambi, con lo Spirito Santo costituiscono ''unum'' quanto alla ''substantia''. Glässer<ref>Glässer, Phoebadius, p.103</ref> osserva che per Febadio la Bibbia ha quasi il carattere di una formula matematica; il trattato è infatti ricco di citazioni dall’Antico e dal Nuovo Testamento,<ref>Jorg Ulrich,Phoebadius,Contra Arianos,1999,Herder,p.59</ref> dal momento che le scritture sono spesso la base per sostenere una tesi o confutare quella del proprio avversario. Grande spazio è dato alle citazioni dal vangelo di Giovanni <ref>Jorg Ulrich,Phoebadius,Contra Arianos,1999,Herder,p.68</ref> molto usato nella disputa ariana dal momento che contiene informazioni utili a determinare il rapporto Padre-Figlio.
 
# La negazione radicale del nome della ''substantia'' affinchè il Figlio sia scisso dal Padre
# L’affermazione di un unico Dio e la negazione dell’esistenza di due divinità, quella di Padre e Figlio
# L’origine ignota del figlio di Dio
# La superiorità del Padre sul Figlio in relazione alla gloria divina
# La negazione dell’inizio di Dio
# La sottomissione del Figlio al Padre
 
Avvalendosi di citazioni dalle scritture, Febadio ribatte punto per punto. Glässer<ref>Glässer, Phoebadius, p.103</ref> osserva che per Febadio la Bibbia ha quasi il carattere di una formula matematica; il trattato è infatti ricco di citazioni dall’Antico e dal Nuovo Testamento,<ref>Jorg Ulrich,Phoebadius,Contra Arianos,1999,Herder,p.59</ref> dal momento che le scritture sono spesso la base per sostenere una tesi o confutare quella del proprio avversario. Grande spazio è dato alle citazioni dal vangelo di Giovanni <ref>Jorg Ulrich,Phoebadius,Contra Arianos,1999,Herder,p.68</ref> molto usato nella disputa ariana dal momento che contiene informazioni utili a determinare il rapporto Padre-Figlio.
 
Febadio ribatte punto per punto: difende il concetto di ''substantia'' in base al quale il Figlio è l’apparenza della sostanza del Padre e la sua sostanziale realtà fisica. Dunque Padre e Figlio devono essere distinti ma non mescolati né separati; entrambi, con lo Spirito Santo costituiscono ''unum'' quanto alla ''substantia''. (simonetti) Sostiene che il Figlio e il Padre siano entrambi realtà divine. In quando Dio non si può parlare di un inizio per il Figlio <ref>Jorg Ulrich,Phoebadius,Contra Arianos,1999,Herder,p.62</ref> perché ''in Patre est et fuit semper'' (15,4), quindi si deve dire che è ed è sempre stato nel Padre. Allo stesso modo non è tollerata, in Febadio, l’ipotesi che il Padre sia più grande del Figlio. {{Cita libro | nome= Jorg | cognome = Ulrich | titolo= Phoebadius, Contra Arianos | anno=1999 | editore= Herder | p. 62}} Gli oppositori si basano su un passo evangelico (Gv.14,28) “Avete udito che vi ho detto: "Vado e tornerò da voi". Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me”. Febadio ribatte sulla base di altre citazioni tratte dal vangelo di Giovanni dove si invita a onorare il Figlio come il Padre (Gv.5,23) ed esorta a non confondere le dichiarazioni di umiltà di Gesù come conferma della sua inferiorità divina, ma fornisce altri esempi biblici in cui è dichiarata la pienezza della divinità del Figlio, come in Gv. 1,18 e in Gv. 10,30:
 
{{Box citazione
| contenuto = Dio, nessuno lo ha mai visto:
 
il Figlio unigenito, che è Dio
 
ed è nel seno del Padre,
 
è lui che lo ha rivelato.
| legenda = Gv 1, 18
| allineamento = centro
}}{{Box citazione
| contenuto = Io e il padre siamo una cosa sola
| legenda = Gv 10, 30
| allineamento = centro
}}
 
Febadio nella sua opera si propone non solo di confutare la formula sirmiense, ma anche di restaurare la vera fede cattolica, quella nicena, tanto da definire la teologia del concilio di Nicea come ''perfecta fidei catholicae regula'' o ''professio catholica''.