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== Il campo ==
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Il campo di Arbe, divenuto il più noto tra quelli italiani in Jugoslavia per il suo alto tasso di mortalità, aveva una capienza di circa 10.000 persone. Nelle intenzioni del [[Mario Robotti|generale Mario Robotti]] Arbe doveva essere “Arbissima”, il modello del campo di concentramento al suo massimo livello di rigore.<ref> Tone Ferenc, ''Rab - Arbe - Arbissima Confinamenti - rastrellamenti - internamenti nella provincia di Lubiana 1941 - 1943: documenti'', Ljubjana, Institut za novejso zgodovino Drustvo piscev zgodovine NOB, 2000, p.3 </ref> Come gli altri campi per slavi, situati in Jugoslavia e nel nord-est italiano, era gestito dal Regio Esercito e, a differenza dei campi di internamento dipendenti dal Ministero degli Interni, era ''extra legem'', svincolata dalla normativa ufficiale e sottratta al controllo della [[Croce Rossa Internazionale]], in aperta violazione della IV Convenzione dell’Aja del [[1909]] e della [[Convenzione di Ginevra]].<ref> Capogreco, pp.14; 137; 153-54; 156-58 </ref>
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== L'internamento repressivo degli slavi ==
{{C|i dati numerici dei deceduti, sono sicuramente molto gravi, tuttavia le stime le percentuali e i confronti con Buchenwald non sembrano così inequivocamente fontati e precisi, vedi discussione in corso|storia|dicembre 2014}}
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Come sottolinea Capogreco, i deportati jugoslavi costituiscono la categoria più colpita dal regime fascista per i numeri e la durezza della persecuzione, che nei loro confronti appare improntata al modello coloniale sperimentato in [[Africa]] negli anni Trenta.<ref> Capogreco, pp.82; 140-41; sul carattere coloniale della guerra in Jugoslavia cfr. anche Gobetti, pp. 92-93 </ref>
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=== L'internamento "protettivo" degli ebrei ===
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L'istituzione dei campi protettivi in Jugoslavia nasce originariamente dalla volontà di proteggere dalle rappresaglie elementi ostili alla resistenza partigiana, delatori e collaborazionisti. Ad Arbe vennero anche internati a scopo protettivo alcune migliaia di ebrei.
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Il perché di questo comportamento non è del tutto chiaro. Si possono considerare tre ordini di motivazioni fondamentali: etiche, improntate al realismo e rivolte al prestigio politico. È possibile che i fascisti fossero effettivamente sensibili alla condizione degli ebrei nei campi di concentramento tedeschi e volessero evitare loro quella sorte (ad esempio, il generale Vittorio Castellani stigmatizza l’"ignobile traffico" in una lettera a [[Luca Pietromarchi|Pietromarchi]]). Dal punto di vista del realismo politico c’era la necessità di governare il territorio, eliminando le ragioni di disordine che la dura politica di persecuzione ustascia nei confronti degli ebrei creava; rifiutarsi di consegnare ebrei all'alleato tedesco faceva inoltre sperare di attirare nella sfera di influenza italiana, nel dopoguerra, i paesi che eventualmente avrebbero potuto temere l’ingerenza tedesca. Contemporaneamente, il fascismo tentava di ingraziarsi l’opinione pubblica internazionale e la S. Sede, impegnata in quegli anni (1942) in un’intensa attività diplomatica a favore dei profughi. Va ricordato, inoltre, che fin dall'emanazione delle [[Leggi razziali fasciste|leggi razziali]] ([[1938]]) il Ministero degli Esteri italiano temeva che questi provvedimenti non avrebbero giovato al progetto imperialistico fascista sui [[Balcani]] aggravando la già complessa gestione di un territorio così frammentato e dilaniato da conflitti interetnici. Inoltre i fascisti volevano mantenere buoni rapporti con i cetnici. In questa ottica, se avessero consegnato gli ebrei, i serbi avrebbero potuto temere di essere a loro volta consegnati agli ustascia e questo avrebbe minato la collaborazione con i cetnici. Infine va rilevato che la consegna degli ebrei sarebbe stata un atto di penosa condiscendenza nei confronti della Germania, prepotente alleato e rivale: sottrarvisi era anche segno di autonomia e di prestigio politico.<ref>Gobetti, p. 130-32</ref>
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=== La chiusura del campo ===
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