|Nome = Giuseppe
|Cognome = Di Matteo
|Sesso = M
|LuogoNascita = Palermo
|GiornoMeseNascita = 19 gennaio
|AnnoNascita = 1981
|LuogoMorte = San Giuseppe Jato
|GiornoMeseMorte = 11 gennaio
|AnnoMorte = 1996
|Attività =
|Nazionalità = italiano
|Categorie = no
|FineIncipit = è stato una vittima innocente di [[mafia]]<ref>https://vittimemafia.it/23-novembre-1993-altofonte-pa-rapito-giuseppe-di-matteo-11-anni-tenuto-in-ostaggio-fino-all11-gennaio-1996-strangolato-ed-il-corpo-sciolto-nellacido-giovanni-brusca-ordino-qallibertativi-du-cagnuleddu/</ref>
|Immagine = Di-matteo-cavallo.jpg
}}
Rapito da [[Cosa nostra|Cosa Nostra]] all’età di dodici anni, dopo che il padre, il mafioso [[Santino Di Matteo]], aveva cominciato a collaborare con la giustizia, fu tenuto in ostaggio per 779 giorni e, pochi giorni prima del quindicesimo compleanno, [[Omicidio di Giuseppe Di Matteo|assassinato]] per strangolamento e sciolto nell’acido su ordine del capomafiaboss [[Clan dei Corleonesi|corleonese]] [[Giovanni Brusca]], all'epoca capo del mandamento di San Giuseppe Jato.
== Biografia ==
=== Le origini e il contesto familiare ===
Giuseppe Di Matteo era il figlio primogenito di [[Santino Di Matteo|Mario Santo Di Matteo]], detto anche Santino, e di [[Franca Castellese]]. Il padre, nato in una famiglia [[Mafia|mafiosa]] da diverse generazioni – un avo, dedito al [[contrabbando]], era stato condannato all’[[ergastolo]] per l’omicidio di un carabiniere –, aveva assimilato i codici e le mitologie di [[Cosa nostra|Cosa Nostra]] attraverso i racconti dei membri maschi della famiglia. Durantee, durante l’infanzia del piccolo Giuseppe, servìaveva servito l’[[Criminalità organizzata|organizzazione criminale]] come alleato dei [[Clan dei Corleonesi|Corleonesi]], coprendo l’inizio della latitanza di [[Giovanni Brusca]] nelle tenute di famiglia, commettendo numerosi omicidi e fornendo supporto tecnico e logistico inper la preparazione dell’[[Strage di Capaci|attentato di Capaci]].<ref>Cfr. a riguardo le dichiarazioni dello stesso Brusca in [[Saverio Lodato]], ''Ho ucciso Giovanni Falcone. La confessione di Giovanni Brusca'', Milano, Mondadori, 2006: “La mia latitanza [c]ominciò il 31 gennaio 1992, quando la Cassazione confermò le condanne del ‘maxi processo’ (...). All’inizio abitavo ad Altofonte, un paese tra San Giuseppe Jato e Palermo, nella casa di Mario Santo di Matteo”. Pochi mesi dopo, Di Matteo parteciperà “alla strage di Capaci sino (…) ai preliminari (…): i telecomandi … li confezionammo, li assemblammo e li provammo da Mario Santo di Matteo, in contrada Rebottone, ad Altofonte, in aperta campagna. Facevamo tutte le prove che volevamo: di telecomandi … e di esplosivi e … anche di velocità (…). Le prove di velocità (…) le avevo fatte [anche] con l’auto di Di Matteo (…). Poi non ci fu più bisogno di lui”.</ref> Ufficialmente allevatore, Santino Di Matteo lavorò per un certo periodo anche come addetto all’abbattimento di capi di bestiame al mattatoio comunale di [[Altofonte]].; Oggioggi vive con la famiglia sotto protezione dello Stato.
La madre di Giuseppe proveniva, invece, da una famiglia non mafiosa. Di origini contadine, aiutò la famiglia nel lavoro dei campi prima di seguire dei corsi di formazione professionale come infermiera e dattilografa. Vincitrice di concorso dapprima in ospedale, quindi al Tribunale e poi alle Poste, lavorò per dieci anni come infermiera all’ospedale psichiatrico di Palermo prima di passare all’ospedale di [[Altofonte]], dove, pur mantenendo la sua qualifica, svolse funzioni amministrative come addetta alle relazioni con il pubblico.<ref>{{Cita libro|autore=Pino Nazio|titolo=Il bambino che sogna i cavalli. 779 giorni ostaggio dei corleonesi|anno=2010|editore=Sovera Edizioni, Roma|pp=32-34, 74}}</ref>
=== L’infanzia fino al rapimento ===
Il piccolo Giuseppe Di Matteo godette di una un'infanzia agiata, sana e serena. Frequentò un asilo privato a pagamento gestito da suore, primae divenne esserepoi iscritto alla locale scuola elementare, dove conobbe la compagna di banco e amica del cuore Mariella. In estate trascorreva le vacanze al mare, in una casa di proprietà della famiglia a [[Balestrate]], allontanandosene solo per andare al maneggio. Stando alle testimonianze dei suoi cari, principalmente raccolte dal [[Sociologia|sociologo]] e [[giornalista]] [[Rai]] [[Pino Nazio]], crebbe perfettamente in salute e con un fisico temprato dallo sport; di carattere autonomo, estroverso e impavido, si mostrava di essere solidale e protettivo nei confronti del fratello più piccolo, Nicola, e della dell'amica Mariella.
InIl particolarenonno ilpaterno, nonnoanch'esso di nome Giuseppe, Di Matteo ed anch’egli, come il padre Santino, affiliato a [[Cosa nostra|Cosa Nostra]], strinse con il nipote un legame affettivo intensissimo ed esclusivo: oltre a esaudire i suoi desideri, andando a volte contro le volontà dei genitori (come quando gli permise di guidare l’agognato motorino di piccola cilindrata e gli impartì i primi insegnamenti per guidare l’auto)<ref>{{Cita libro|autore=Pino Nazio|titolo=Il bambino che sogna i cavalli. 779 giorni ostaggio dei corleonesi|anno=2010|editore=Sovera Edizioni, Roma|pp=85-86}}</ref>, lo seguì e assecondò nella precocissima, tenace e irresistibile passione per i cavalli. A tale riguardo, è tramandato che “la sua attrazione preferita erano fin da piccolissimo i cavalli di plastica, di stoffa, a dondolo per poterci salire”<ref>{{Cita libro|autore=Pino Nazio|titolo=Il bambino che sogna i cavalli. 779 giorni ostaggio dei corleonesi|anno=2010|editore=Sovera Edizioni, Roma|pp=52-53}}</ref> e che fu poi nella tenuta del nonno che giocò per la prima volta con una cavallina. “Non aveva ancora sette anni quando aveva sfilato in costume da cavallerizzo durante la festa patronale per le vie del paese, a poco più di nove aveva fatto la prima gara”<ref>{{Cita libro|autore=Pino Nazio|titolo=Il bambino che sogna i cavalli. 779 giorni ostaggio dei corleonesi|anno=2010|editore=Sovera Edizioni, Roma|p=319}}</ref>. Il suo primo cavallo apparteneva al nonno, mentre il secondo – un esemplare da competizione per il salto a ostacoli del valore di trentacinque milioni di lire – fu un omaggio delle potenti famiglie mafiose della zona ai Di Matteo padre e nonno.<ref name="Sabella">{{Cita libro|autore=Alfonso Sabella|titolo=Cacciatore di mafiosi. Le indagini, i pedinamenti, gli arresti|anno=2009|editore=Mondadori, Milano|p=158}}</ref>
Oltre a praticarlapraticare l’[[equitazione]] a livello agonistico, il piccolo Di Matteo “passava ore” a seguire l’equitazione ancheseguirla in televisione. “Aveva studiato il metodo equestre che aveva fatto scuola nel campo, quello di [[Federico Caprilli]] (…) [e] il suo sogno era quello di saltare a [[piazza di Siena]] con i colori della Nazionale. La gara che lo appassionava di più era la ‘potenza’, una serie di salti a eliminazione in cui vinceva chi riusciva a saltare più in alto”<ref>{{Cita libro|autore=Pino Nazio|titolo=Il bambino che sogna i cavalli. 779 giorni ostaggio dei corleonesi|anno=2010|editore=Sovera Edizioni, Roma|p=318}}</ref>. “Al galoppatoio lo conoscono tutti. Ha già vinto alcune gare e tantissimi premi: è il più piccolo ed è molto promettente. È la mascotte del maneggio di [[Villabate]]”<ref name="Sabella" />. Al XXVIII Concorso Ippico Internazionale di [[Marsala]] (22-28 maggio 1992), vince la coppa a cui teneva maggiormente.
L’altra grande passione del piccolodi Giuseppe era un passatempo che lo accomunava a molti altri bambini della sua generazione (ed anche di quelle successive): i videogiochi. I primi li ricevette in dono per Natale dai familiari. Uno degli ultimi, invece, gli fu donato da [[Giovanni Brusca]] in persona, durante la latitanza che questi trascorse protetto dai Di Matteo nella loro tenuta. A proposito, il fratello di Giuseppe, Nicola, ricorda: “un giorno arrivò [[Giovanni Brusca]], a me e mio fratello Giuseppe regalò un [[Nintendo]], è ancora a casa da qualche parte, quanto ci abbiamo giocato nei due mesi che rimase a casa nostra con la sua compagna. Allora non sapevo che fosse un [[Mafia|mafioso]] latitante, non sapevo neanche del ruolo di mio padre”.<ref>{{Cita web|url=https://www.repubblica.it/cronaca/2017/05/23/news/di_matteo_mio_fratello_sciolto_nell_acido_ma_alla_fine_la_mafia_ha_perso_-166146532/|titolo=Di Matteo: "Mio fratello sciolto nell'acido ma alla fine la mafia ha perso"|sito=la Repubblica|data=2017-05-23|lingua=it|accesso=2022-04-11}}</ref> Tra le ragioni dello sconvolgimento morale provocato nell’opinione pubblica dal delitto diDi Matteo, vi è il fatto che Brusca ordineràordinò il sequestro, l’assassinio e lo scioglimentol'uccisione nell’acidospietata di un bambino con cui di fatto aveva avuto un rapporto di amicizia, avendo familiarizzato e allegramente giocato con lui per diverso tempo.
La giocosità e affettuosità del piccolo Giuseppe è attestata ancoraanche dai ricordi scolastici dell’amica Mariella, con cui aveva organizzato scherzi e partecipato ad escursioni e gare. Mariella racconta così di quando per scherzo avevano nascosto le merende di tutti i compagni di classe<ref name=":0">{{Cita libro|autore=Pino Nazio|titolo=Il bambino che sogna i cavalli. 779 giorni ostaggio dei corleonesi|anno=2010|editore=Sovera Edizioni, Roma|p=253}}</ref> e di quando, sul pullman che li portava in gita scolastica ad [[Agrigento]] avevano cantato le loro canzoni preferite. Quella di Giuseppe era ''Vita mia'' di [[Amedeo Minghi]], ma Giuseppe amava molto anche le [[Canto popolare|canzoni della tradizione popolare]] siciliana, come ''Si maritau Rosa'', di cui cantava a squarciagola il ritornello<ref name=":0" />. La stessa Mariella ricorda, infine, come grazie al sostegno dell’amico ella aveva trovato la forza di partecipare alla gara di mezzofondo che si era tenuta ad [[Altofonte]] nei primi anni novanta alla presenza del loro compaesano [[Salvatore Antibo]]<ref>{{Cita libro|autore=Pino Nazio|titolo=Il bambino che sogna i cavalli. 779 giorni ostaggio dei corleonesi|anno=2010|editore=Sovera Edizioni, Roma|pp=313-314}}</ref> –, negli anni ottanta uno dei corridori di fondo migliori del mondo.
=== Il sequestro e l’omicidio ===
{{Vedi anche|Omicidio di Giuseppe Di Matteo}}
A seguito del rapimento, avvenuto al maneggio di [[Villabate]] il 23 novembre 1993, la vita sociale, affettiva e familiare del piccolo Giuseppe Di Matteo fu cancellata di colpo, la sua salute fisica progressivamente minata alle fondamenta e la sua condizione psicologica lentamente stravolta. Nei 779 giorni del sequestro, il ragazzo non poté più parlare con i suoi cari, non ebbe più una compagnia, né una forma di svago: i rapitori, per il timore di essere riconosciuti, evitarono, infatti, il più possibile contatti diretti. e soloSolo negli ultimi mesi di vita, un carceriere gli procurerà con qualche regolarità riviste e giornali sportivi e talvolta qualche quotidiano.
Anche l’alimentazione e l’igiene personale del ragazzino furono lungamente e gravemente trascurate, al punto che solo dopo quasi due anni dal rapimento gli vennero tagliati per la prima volta i capelli, gli venne dato del latte al mattino e qualche pasto caldo<ref>{{Cita libro|autore=Alfonso Sabella|titolo=Cacciatore di mafiosi. Le indagini, i pedinamenti, gli arresti|anno=2009|editore=Mondadori, Milano|p=172}}</ref>. Se si escludono, infine, gli spostamenti in auto da un nascondiglio all’altro, durante i quali veniva comunque legato e incappucciato, non uscì più all’aria aperta. Il suo corpo, non più esercitato in alcuna attività fisica, si inflaccidì completamente e i lacci, con cui veniva tenuto legato, gli procurarono delle piaghe. Quando, dopo due anni e più di sequestro, Giuseppe fu immobilizzato per essere strangolato, uno degli esecutori materiali dell’omicidio notò che “ormai … non aveva la reazione di un bambino, sembrava molle… … sicuramente la mancanza di libertà, il bambino diciamo era molto molle, era tenero, sembrava fatto di burro”.<ref>{{Cita web|url=https://www.agi.it/cronaca/omicidio_giuseppe_di_matteo_acido-6867445/news/2020-01-11/|titolo=I mafiosi che sciolsero un bambino nell'acido e andarono a dormire|sito=Agi|lingua=it|accesso=2023-02-18}}</ref>
Il [[Alfonso Sabella|giudice Sabella]], che condusse le indagini e istruì il processo, ha potuto ricostruire le condizioni di prigionia, riassumendole poi nel suo libro; sui singoli nascondigli e su singoli episodi della vita di Giuseppe in questi luoghi, sono poi disponibili nel libro di [[Martino Lo Cascio]] ampie citazioni direttamente dagli atti del processo. Dopo aver trascorso la prima notte del sequestro in un nascondiglio improvvisato all’interno di un capannone a [[Lascari]], dove il bimbo non disponeva di un bagno, Giuseppe fu trasferito in diversi nascondigli nella [[provincia di Agrigento]].<ref>Cfr. perciò Martino Lo Cascio, ''Il giardino della memoria. I 779 giorni del sequestro Di Matteo''. Messina, Mesogea, 2016, pp. 29-35, 38-47 </ref> Sono “mesi di celle umide, pareti scrostate, latrine improvvisate, giacigli sporchi e puzzolenti. Mesi di corde, catene, cappucci. Di giorno qualcuno, con il viso coperto dal passamontagna, gli porta da mangiare. Non lo tengono digiuno, ma gli danno sempre le stesse cose, pizza fredda e panini. Panini e pizza. Ogni tanto gli fanno una foto, un filmino o gli fanno scrivere sotto dettatura qualche biglietto (…): messaggi da mandare ai familiari”<ref>{{Cita libro|autore=Alfonso Sabella|titolo=Cacciatore di mafiosi. Le indagini, i pedinamenti, gli arresti|anno=2009|editore=Mondadori, Milano|p=166}}</ref> per ricattarli.
== L’impatto sociale e l’influenza culturale ==
Il sequestro, l’omicidio e lo scioglimento nell’acido del piccolo Giuseppe Di Matteo sono unotra deii crimini mafiosi chead haaver avuto inuno Italia ildei maggiormaggiori impattoimpatti sulla società civile, la cultura popolare e la stessa [[Criminalità organizzata|organizzazione criminale]]. Molti sono gli elementi che hanno pesato in tal senso: l’innocenza e la tenera età della vittima, le modalità del rapimento (con il crudele inganno di far credere al bambino chedi venivaessere stato prelevato per essereincontrare portato dalil papàpadre) e della detenzione (779 giorni in regime di pressoché totale isolamento, in condizioni ambientali, igieniche e alimentari totalmente incompatibili con la vita di un ragazzino nella primissima adolescenza), le manipolazioni e le violenze psicologiche subite dal bambino, la brutalità dello strangolamento, la barbarie della distruzione del corpo, e la pochezza morale dimostrata dagli assassini nell’eseguire il delitto.
Per queste ragioni, la vicenda di Giuseppe Di Matteo ha suscitato un profondo turbamento, un diffuso sentimento di orrore, ripulsa e condanna, una volontà di ricostruzione dettagliata dei fatti e un desiderio vivissimo di rievocazione narrativa, letteraria e artistica della vicenda dal punto di vista della vittima. Si sono confrontati con il caso Di Matteo giornalisti, intellettuali, drammaturghi, cineasti, ed esponenti dell’[[Movimento antimafia|antimafia]] civile e sociale, oltre che il magistrato e i collaboratori di giustizia direttamente coinvolti nella vicenda.
In interviste concesse a [[Sandro Ruotolo]] per il giornale online [[Fanpage.it]], [[Santino Di Matteo|Mario Santo Di Matteo]], padre del piccolo Giuseppe, ha ricordato come i crimini commessi contro suo figlio Giuseppe da parte di [[Cosa nostra|Cosa Nostra]] abbiano finito col danneggiare profondamente l’[[Criminalità organizzata|organizzazione criminale]], facendole perdere consenso e turbando coscienze.<ref>Cfr. per esempio https://youmedia.fanpage.it/video/aa/WTijJuSwiAMxiOMH/u1/</ref>
Il giudice [[Alfonso Sabella]], che indagò sulla scomparsa di Giuseppe Di Matteo e fece da pubblico ministero al processo, ha tra l’altro appurato, sulla base di testimonianze di collaboratori di giustizia, che il caso del piccolo Di Matteo ebbe una parte nel suicidio di [[Vincenzina Marchese]], moglie di [[Leoluca Bagarella]] e cognata di [[Salvatore Riina|Totò Riina]]. Entrata in depressione per aver subito due aborti e per la vergogna di essere sorella di [[Giuseppe Marchese (criminale)|Pino Marchese]], “il primo ‘corleonese’ pentito, ed il collaboratore di giustizia più odiato dalla famiglia Riina”<ref>Sabella, Cacciatore, op. cit., p. 64.</ref>, la donna rimane “profondamente turbata, come gran parte del popolo di [[Cosa nostra]], dalla storia del piccolo Giuseppe Di Matteo”<ref>''Ibidem''.</ref>. Si convince così “che non avere figli sia una sorta di castigo di Dio, una punizione per il rapimento di quel ragazzino innocente eseguito dagli uomini di suo marito. Il [[Boss (mafia)|boss]] giura alla moglie che il bambino non è stato ucciso. E in effetti, in quella data, dice la verità. Ma lei non gli crede. E, tra mille tormenti, si toglie la vita”.<ref>''Ibidem.''</ref>
Lo stesso responsabile del fatto [[Giovanni Brusca]], responsabileuna dellavolta mortedivenuto collaboratore di ungiustizia, numeroha cosìdichiarato altoche, pur essendosi reso autore di personeun chenumero eglidi stessoomicidi none ècrimini incosì gradoalto dida quantificare,non hariuscire dichiaratonemmeno chea nessunricordarlo, altronessuno di omicidioessi gli ha attirato addosso così tanto ribrezzo e gli ha provocato così tanto disagio quanto quellol'uccisione del piccolo Giuseppe: “sono“Sono diventato ‘il mostro’ per avere commesso questo delitto. Forse non lo sarei diventato se mi fossi limitato a uccidere il [[Giovanni Falcone|dottor Falcone]] e sua [[Francesca Morvillo|moglie]] … Nelle aule dei processi … la mia ricostruzione, se possibile, è stata ancora più minuziosa, più puntigliosa più ricca di particolari che per tutti gli altri crimini … Ogni volta che in dibattimento mi hanno rivolto domande su Giuseppe Di Matteo ho perso la calma, spesso il mio autocontrollo, la mia sicurezza espositiva. Serve a qualcosa vergognarsi quando si è fatto uccidere un ragazzino che poteva essere tuo figlio? Non lo so. So, di sicuro, che per me sarebbe meglio non parlarne”<ref>Saverio Lodato, op. cit.</ref>.
Sul fronte opposto, quello della Magistratura, il giudice [[Alfonso Sabella]] ha ammesso di non essere stato sempre capace di gestire emotivamente il racconto dello strangolamento e dello scioglimento nell’acido del piccolo Giuseppe: “La drammatica vicenda di Giuseppe Di Matteo mi ha colpito in maniera particolare. Nel corso della mia esperienza professionale ho (…) ascoltato centinaia e centinaia di racconti di violenze terribili, di omicidi efferati, di corpi squagliati nell'acido, di orrende mutilazioni e di quanto di più atroce possa commettere la bestia umana. E non mi sono mai tirato indietro, tranne che in un'occasione”, quando, appunto, si trattò di raccogliere la deposizione di uno degli ultimi carcerieri ed esecutori materiali dell’omicidio e dello scioglimento nell’acido del piccolo Di Matteo: Enzo Brusca, fratello di Giovanni. Giunti al punto in cui Brusca si accingeva a dare la sua versione dell’omicidio, il giudice Sabella lo fermò: «Senta Brusca, ho già sentito questa storia (…) da [[Giuseppe Monticciolo|Monticciolo]], da [[Vincenzo Chiodo|Chiodo]] e, de relato, da suo fratello [[Giovanni Brusca|Giovanni]]. La dovrò sentire altre quattro volte in dibattimento. Lei ha letto l'ordinanza di custodia cautelare che le è stata notificata. Mi dica solo una cosa: ci sono grandi differenze rispetto a quello che c'è scritto lì?». «No, solo qualche dettaglio.» «E allora mi risparmi il resto della storia. Lo racconterà direttamente in Corte di Assise»”. Sabella sapeva che in questa maniera era “venuto meno” a un suo dovere di magistrato, ma confessa: “non ce la facevo più a sentire quel racconto”. E aggiunge un particolare estremamente significativo: nessuno degli avvocati dei mafiosi sotto processo “solleverà mai eccezioni su quel mio comportamento”: “anche per loro non era facile confrontarsi con quella vicenda (…). In fondo, prima che professionisti, siamo tutti uomini”.<ref>Sabella, op. cit., pp. 176-177.</ref> A narrare in un libro-intervista gli ultimi mesi del sequestro, la morte e lo scioglimento dell’acido di Giuseppe Di Matteo, sarà poi anche uno dei carcerieri e degli esecutori materiali dell’omicidio, Giuseppe Monticciolo, affiliato a [[Cosa nostra|Cosa Nostra]] e poi divenuto [[collaboratore di giustizia]].<ref>Giuseppe Monticciolo (con Vincenzo Vasile), ''Era il figlio di un pentito''. Milano, Bompiani, 2007. Su Monticciolo, v. anche il profilo che ne ha disegnato il giudice Sabella, op. cit., pp. 120-122.</ref>
La vita del piccolo Giuseppe Di Matteo ha ispirato diversi scritti biografici, letterari, lungometraggi da parte di ed iniziative culturali.
=== Iniziative culturali ===
Non sono mancate, infine, iniziative culturali a livello locale in ricordo e in onore di Giuseppe. Tra queste, si possono ricordare i due concorsi indetti nel 2011 in alcune scuole, tra cui quelle di Altofonte ''Una stella brilla in ciel'' e ''Giuseppe Di Matteo: La storia e il sogno''. Nell’ambito di questi concorsi, gli alunni si sono cimentati nella stesura di elaborati dedicati proprio al piccolo Giuseppe, per tenerne viva la memoria, e hanno piantato un ulivo di fronte alla [[scuola]] che aveva frequentato.<ref>{{Cita web|url=https://www.antimafiaduemila.com/home/rassegna-stampa-sp-2087084558/cronache-italia/35233-palermo-albero-dulivo-per-ricordare-il-piccolo-giuseppe-di-matteo.html|titolo=Palermo: albero d'ulivo per ricordare il piccolo Giuseppe Di Matteo|autore=Super User|sito=Antimafia Duemila {{!}} Fondatore Giorgio Bongiovanni|lingua=it-IT|accesso=2023-02-18}}</ref>
== Note ==
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