Vincenzo Calmeta: differenze tra le versioni

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La vita di Vincenzo rimane in larga parte oscura, ed è possibile ricostruirla solo per brevi accenni e per ciò che egli riferisce di sé all'interno delle proprie opere e lettere sopravvissute.<ref name=":4">{{Cita|Grayson|La vita del Calmeta: pp. XIII-XXX}}.</ref>
 
=== Origini ===
Il copista di un codice contenente alcune sue opere ne fornisce alcuni particolari biografici, sulla base di ciò che Vincenzo stesso aveva scritto nella propria ''Amorosa Peregrinazione'', opera perduta: i suoi antenati furono [[Insubria|insubri]] ed egli apparteneva a una nobile famiglia [[Vigevano|vigevanese]]. Il padre era un gran viaggiatore e, capitato a [[Chio (isola)|Chio]], allora sotto la giurisdizione genovese, vi aveva ottenuto il compito dell'amministrazione della giustizia. Qui aveva sposato una nobildonna del luogo, dal quale nacque appunto Vincenzo e, come parebbe, un altro figlio. All'età di due anni il bambino fu condotto dai genitori a [[Castelnuovo Scrivia|Castel Nuovo Scrivia]] e qui compì i primi studi.<ref name=":4" />
 
Vincenzo dichiara, nelle prose scritte verso ilattorno 1500, di avere quarant'anni, perciò la sua data di nascita è fissata attorno al 1460 o poco dopo. Si trovavale aprose Romasono infatti databili prima del 1500, poiché contengono numerosi riferimenti alla caduta di Ludovico il Moro e al proprio servizio presso Cesare Borgia, di cui Vincenzo parla come di fatti ormai passati.<ref name=":4" /><ref name=":7" già/>

Nel nelbiennio 1490-1491 si trovava a Roma, dove seguì gli studi presso l'[[Accademia]] di [[Paolo Cortese (scrittore)|Paolo Cortese]] e dove strinse amicizia concol poeta vagabondo [[Serafino de' Cimminelli|Serafino Aquilano]]. Si presume che proprio in quegli anni egli assumesse il [[soprannome]] di ''Calmeta'' influenzato dal [[personaggio]] [[omonimo]] del [[Filocolo]] del [[Giovanni Boccaccio|Boccaccio]].<ref name=":4" />
 
=== Segretario di Beatrice d'Este ===
[[File:Eleanor Fortescue-Brickdale - The Forerunner.jpg|miniatura|305x305px|La corte di [[Ludovico il Moro]]. [[Eleanor Fortescue-Brickdale]]. Sulla sinistra è la duchessa Beatrice d'Este, cui un cortigiano, forse il suo segretario, sussurra qualcosa all'orecchio.]]
Terminati gli studi, ed essendo in età ancora giovanile, si recò in data imprecisata, ma comunque antecedente al 1494, a [[Milano]], presso la [[Corte (seguito)|Corte]]corte di [[Ludovico il Moro]], dove divenne segretario della duchessa [[Beatrice d'Este]]. Si noti comunque che è Vincenzo stesso a definirsi con tale termine all'interno delle proprie opere, mentre mancano tuttavia testimonianze concrete della sua effettiva attività durante la permanenza a Milano, come se non ci fosse mai stato.<ref name=":0" /> Parrebbe inoltre che in onore della duchessa egli avesse composto una serie di poesie che non ci sono pervenute, ma entrò senz'altro a far parte del rinomato circolo di poeti radunato intorno alla donna, che egli stesso descrisse con queste parole:<ref name=":3" />{{Citazione|Era la corte soa [di [[Beatrice d'Este|Beatrice]]] de homini in qual se voglia Virtù et exercitio copiosa e sopratutto de Musici e Poeti da li quali oltra le altre compositioni mai non passava mese che da loro o [[Egloga]] o [[Commedia|Comedia]] o [[tragedia]] o altro novo spettaculo e representatione non se aspettasse. Leggevasi ordinatamente a tempo conveniente l'alta Comedia del Poeta vulgare per uno [[Antonio Grifo|Antonio Gripho]] homo in quella facultà prestantissimo, né era piccola relaxatione d'animo a [[Ludovico Sforza]] quando absoluto da le grandi occupationi del stato poteva sentirla. Ornavano quella Corte tre generosi Cavallieri li quali oltra la poetica facultate di molte altre Virtù erano insigniti: [[Niccolò II da Correggio|Nicolò da Correggio]], [[Gaspare Ambrogio Visconti|Gasparro Vesconte]], Antognetto da Campo Fregoso et altri assai tra li quali era anchor io, che di secretario con quella inclita e virtuosissima Donna il luoco ottenneva.|Vincenzo Calmeta, Vita di [[Serafino Aquilano]]}}Alcuni versi di un [[Epicedio|epicedion]] dell'umanista [[Pier Francesco Giustolo]], composti forse nel 1501 e associati da [[Augusto Campana]] al Calmeta, sembrano dimostrare il ruolo centrale che Beatrice ebbe nella poetica del proprio segretario:<ref>[https://www.google.it/books/edition/Medioevo_e_umanesimo/zJw2AAAAIAAJ?hl=it&gbpv=0&bsq=felicis%20nemoris%20pueri%20cum%20voce%20decorem%20Beatrix Medioevo e umanesimo], Volume 17, 1974, pp. 271, 302 e seguenti.</ref><ref name=":1">{{Cita web|url=https://treccani.it/enciclopedia/colli-vincenzo-detto-il-calmeta_(Dizionario-Biografico)/|titolo=COLLI, Vincenzo, detto il Calmeta}}</ref><ref>[https://www.academia.edu/3300516/Vincenzo_Calmeta_Triumphi_a_cura_di_R_Guberti_2004 PER LEGGERE I GENERI DELLA LETTURA] ANNO VI, NUMERO 11, AUTUNNO 2006, Pensa MultiMedia 2006, p. 190.</ref>{{Citazione|La folla abitante della felice selva si stupisce del fanciullo per la grazia nella voce; soprattutto dal tuo canto è allietata la desiderata Beatrice, e compiacente riconosce le proprie lodi [...]|Epicedion di Pier Francesco Giustolo.<ref>[https://www.google.it/books/edition/Medioevo_e_umanesimo/zJw2AAAAIAAJ?hl=it&gbpv=0&bsq=felicis%20nemoris%20pueri%20cum%20voce%20decorem%20Beatrix Medioevo e umanesimo], Volume 17, 1974, pp. 276 e 309.</ref>|[...] stupet accola turba / felicis nemoris pueri cum voce decorem; / praecipueque tuo cantu affectata Beatrix / mulcetur propriosque libens agnoscit honores [...]|lingua=lat}}
 
==== I Triumphi ====
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Tema portante dell'opera è l'amore per la donna che, sul solco del [[Dolce stil novo|Dolce Stil Novo]], conduce il poeta alla salvezza. Anche in questo caso, secondo l'interpretazione di Rossella Guberti, si tratta di un amore puramente spirituale e non fisico, secondo una visione filosofico-religiosa: Beatrice è guida per gli smarriti sensi del poeta.<ref>R. Ruberti, edizione critica dei "Triumphi", p. XXXIV.</ref>
 
==== Ritorno a Roma ====
A detta dello stesso Vincenzo il poema fu composto non a Milano bensì a Roma; così infatti egli scrive nel finale della prefazione: "adonqua io, che in lei ogni mia speranza aveva collocata e mia servitù fin a morte aveva dedicata, e trovandome in Roma per alcune mie occurrenzie e ignaro de tanto caso, poi che me fu sua repentina e immatura morte annunciata, così amaramente incominciai a deplorare".<ref>{{Cita libro|autore=Vincenzo Calmeta|curatore=Rossella Guberti|titolo=Triumphi|p=4}}</ref>
 
Non è affatto chiaro quando di preciso si fosse recato a Roma né perché, motivazione che egli volutamente tralascia di spiegare. Simone Albonico si mostra tuttavia stupito dal fatto che Vincenzo si fosse allontanato dalla corte proprio un momento tanto delicato nella vita della propria signora, quale la sua terza gravidanza, il cui esito infausto ne causò appunto la morte.<ref>''Ludovicus dux. L'immagine del potere'', S. Albonico, Appunti su Ludovico il Moro, 1995, p. 69.</ref>
 
Forse aveva già in quel tempo conosciuto il duca [[Cesare Borgia]], ma non entrò subito al suo servizio, si suppone infatti un suo momentaneo ritorno a Milano, perché egli stesso nella sua "Vita di Serafino Aquilano", traendo un'ulteriore occasione per ricordare la propria duchessa, scrisse che a causa della di lei morte "ogni cosa andò in ruina e precipizio, e de lieto Paradiso in tenebroso inferno la corte se converse, onde ciascuno virtuoso a prendere altro camino fu astretto, et io tra li altri, vedendo tanta mia alta speranza interrotta, sopragiontomi anchora altra nova occasione, a Roma me redussi".<ref name=":3">''Vita del facondo pieta vulgare Seraphino Aquilano'', in ''Le rime di Serafino de'Ciminelli dall'Aquila'', a cura di Maio Menghini, Romagnoli-Dall'Aqua, Bologna, 1894, vol I, p. 12.</ref>[[File:Certosa pietra tombale di Beatrice d’Este xilografia di Barberis.jpg|miniatura|301x301px|[[Certosa di Pavia]]: la pietra tombale di [[Beatrice d'Este|Beatrice d’Este]] in una [[xilografia]] di [[Giuseppe Barberis]].]]Nel maggio-settembre 1498 è infatti segnalato a Mantova presso i Gonzaga. Circa in quel tempo partì per la Francia al seguito di Cesare Borgia, come suo segretario, e tornò in Italia con le truppe francesi tra l'agosto e il settembre 1499. I progetti politici del Borgia gli risultavano però spiacevoli, e da ciò si comprende il motivo del suo intervento presso [[Luigi XII di Francia|Luigi XII]] in favore di Caterina Sforza. Vincenzo si mostrava sinceramente preoccupato per la sorte della donna e le scriveva consigli su come impedire il piano papale, promettendo anche di accorrere in suo aiuto. Egli seguì comunque Cesare nella sua impresa di Forlì e poi a Roma. Qui fu testimone del primo tentato assassinio di [[Alfonso d'Aragona (1481-1500)|Alfonso di Bisceglie]], di cui diede notizia alla duchessa Elisabetta Gonzaga.<ref name=":4" />
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D'altra parte, nella critica dell'epoca, i versi di Vincenzo erano generalmente molto stimati ed egli ritenuto poeta eccelso: [[Cassio da Narni (poeta)|Cassio da Narni]] dice "coronato era quivi anche il Calmetta | e il suo stil dolce a tutti dilettava". [[Galeotto del Carretto]] lo chiama "Calmeta egreggio, fra tutti i bon poeti laureati"; il [[Burchiello (poeta)|Burchiello]] "facondo Calmetta" e "Il Calmetta con sue rime pronte". [[Giovanni Filoteo Achillini]] lo nomina, in alcuni suoi versi, "[...] el Calmeta eccellente, che 'l mal scorto Filefo assai disturba".<ref name=":5">{{Cita|Grayson|Le opere: pp. XXXI-XLII}}.</ref> Fra i detrattori, invece, [[Lelio Manfredi]] lo dice nemico del Burchiello e "pien di fumo e fasto" ("né meglio potrebb'essere definito questo gonfianuvole" commenta sprezzantemente il curatore [[Francesco Flamini]]),<ref>Nozze Cian-Sappa Flandinet, 23 ottobre 1893, Vittorio Cian, Orazio Bacci, Istituto italiano d'arti grafiche, 1894, pp. 290 e 297.</ref> mentre il poeta Filippo Oriolo così ce ne lasciò memoria:<ref name=":2" />{{Citazione|V'era il Calmeta, cruccioso in vista,{{!}} ch'esser dicea la vulgare poesia{{!}} nata da lingua cortigiana mista.|Filippo Oriolo, Cianello, Decennio, p. 229.}}Vincenzo dichiarava il proposito di mantenersi a ogni costo fedele alla virtù, ma il suo animo inclinava talvolta alla superbia. All'interno dell'opera di [[Baldassarre Castiglione]], ''[[il Cortegiano]]'', alla dichiarazione di [[Federigo Fregoso|Federico Fregoso]] che la miglior via di conseguire i favori sia il meritarli, Vincenzo obietta che l'esperienza insegna il contrario, ossia che solo i presuntuosi sono favoriti dai principi, non i modesti, e cita a esempi gli spagnoli e i francesi.<ref name=":6" />
 
Nelle proprie prose, egli fa in verità professione di modestia, quando chiede al lettore se non ha forse ragione a sdegnarsi contro certi rozzi cortigiani o "vane donne, o d'altri temerari ignoranti, che per sapere concordare due desinenze, o uno [[Strambotto|stramotto]] nel liuto" si credono allo stesso livello di Dante e Petrarca, mentre egli "provetto [poveretto] di età di quaranta anni, e che tutto il mio tempo in questa professione ho dispensato, non mi pare ancora d'essere giunto alla millesima parte di quello che io conosco", cioè all'eccellenza dei grandi luminari italiani, quali Dante e Petrarca. "E se costoro [i sedicenti poeti della sua epoca] dicono a me ch'io sono presontuoso, risponderò esser molto più prosuntuosi loro, che hanno ardire di sindacar me, che tutto il mondo ho preso a bilanciare".<ref name=":8" />
 
I suoi scritti, come scrisse Cecil Grayson, "rivelano una personalità robusta e vigorosa, preoccupata [...] di molti aspetti della sua età, oltre quello della letteratura cortigiana".<ref name=":4" /> La sua persona diede origine a un verbo, coniato da Pietro Bembo: calmeteggiare, col significato di "esaltare sé stesso", o altrimenti di "fare il ciarlatano, specie in materia di lingua".<ref name=":4" />
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# ''Annotazioni e iudìci;''<ref name=":5" />
# Rime, conosciu<nowiki/>te da varie edizioni:<ref name=":5" /> alcuni [[sonetto|sonetti]] amorosi e un lungo malinconico componimento intitolato ''Capitulo'', incentrato sui temi della Fortuna e della sventura umana, sicuramente posteriore alla morte della duchessa, contenuti in ''[https://www.google.it/books/edition/Compendio_de_cose_noue_de_Vicenzo_Calmet/MbgOBBhXK2YC?hl=it&gbpv=0 Compendio de cose noue de Vicenzo Calmeta & altri auctori]'', stampato a [[Venezia]] nel 1508. Gli vengono anche attribuiti alcuni [[strambotto|strambotti]].
# ''S'egli è lecit''<nowiki/>''o giudicare i vivi o no'': difesa del poeta contro coloro che lo accusano di giudicare con presunzione i viventi. "E se costoro dicono a me ch'io sono presontuoso, risponderò esser molto più prosuntuosi loro, che hanno ardire di sindacar me, che tutto il mondo ho preso a bilanciare".<ref name=":8">{{Cita|Grayson|pp. 3-6}}.</ref>
# ''S'egli è possi''<nowiki/>''bile essere buon poeta volgare senza aver lettere latine'': la poesia è una dote innata, infusa da "divino furore", che non dipende dunque dall'ingegno dell'uomo, ma che deve essere comunque aiutata dallo studio e dalle lettere. "Non nego che al poeta non sia necessario prima portarsi la vena dal ventre della madre [...] ma dico, se non è aiutato dall'accidente, sarà come una veste di broccato ricchissimo fatta da inetto sartore, nella quale più sarà biasimato l'artificio che laudata la materia". Dunque chi vuol essere un elegante poeta non deve essere del tutto ignaro della lingua latina. "E però voi altri che avete gl'ingegni elevati, e che siate desiderosi nella poetica facultà far qualche frutto, vogliate nelle dottrine insudare, fuggendo la bestial persuasione di alcuni ignoranti, i quali per saper accordar quattro rime insieme, vestiti d'un bestial fumo, come hanno le loro inezie a qualche barbaro o feminella recitato, la ignoranza loro con la eccellenza del Petrarca non permuteriano".<ref>{{Cita|Grayson|pp. 7-11}}.</ref>
# ''Dell'antichità''<nowiki/> ''del buccolico verso e che circonstanze all'egloga si convengono'';<ref>{{Cita|Grayson|pp. 12-14}}.</ref>
# ''La poesia del'' <nowiki/>''Tebaldeo'': giudizio sulla poetica di [[Antonio Tebaldeo]];<ref name=":7">{{Cita|Grayson|pp. 15-19}}.</ref>
# ''Qual stile tra''<nowiki/>''<nowiki/>' volgari poeti sia da imitare'';<ref>{{Cita|Grayson|pp. 20-25}}.</ref>
# ''[[Cecilia Gallerani|Cecilia Galler]]''<nowiki/>''[[Cecilia Gallerani|ani]] e [[Giulia Farnese]]'': biografia, comparazione e giudizio (per entrambe favorevole) sulle due famosissime amanti di Ludovico il Moro e [[Papa Alessandro VI|Rodrigo Borgia]], fra le donne più belle d'Italia.<ref name=":42">{{Cita|Grayson|pp. 26-31}}.</ref>