Vincenzo Calmeta: differenze tra le versioni
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Forse aveva già in quel tempo conosciuto il duca [[Cesare Borgia]], ma non entrò subito al suo servizio, si suppone infatti un suo momentaneo ritorno a Milano, perché egli stesso nella sua "Vita di Serafino Aquilano", traendo un'ulteriore occasione per ricordare la propria duchessa, scrisse che a causa della di lei morte "ogni cosa andò in ruina e precipizio, e de lieto Paradiso in tenebroso inferno la corte se converse, onde ciascuno virtuoso a prendere altro camino fu astretto, et io tra li altri, vedendo tanta mia alta speranza interrotta, sopragiontomi anchora altra nova occasione, a Roma me redussi".<ref name=":3">''Vita del facondo pieta vulgare Seraphino Aquilano'', in ''Le rime di Serafino de'Ciminelli dall'Aquila'', a cura di Maio Menghini, Romagnoli-Dall'Aqua, Bologna, 1894, vol I, p. 12.</ref>[[File:Certosa pietra tombale di Beatrice d’Este xilografia di Barberis.jpg|miniatura|301x301px|[[Certosa di Pavia]]: la pietra tombale di [[Beatrice d'Este|Beatrice d’Este]] in una [[xilografia]] di [[Giuseppe Barberis]].]]Nel maggio-settembre 1498 è infatti segnalato a Mantova presso i Gonzaga. Circa in quel tempo partì per la Francia al seguito di Cesare Borgia, come suo segretario, e tornò in Italia con le truppe francesi tra l'agosto e il settembre 1499. I progetti politici del Borgia gli risultavano però spiacevoli, e da ciò si comprende il motivo del suo intervento presso [[Luigi XII di Francia|Luigi XII]] in favore di Caterina Sforza. Vincenzo si mostrava sinceramente preoccupato per la sorte della donna e le scriveva consigli su come impedire il piano papale, promettendo anche di accorrere in suo aiuto. Egli seguì comunque Cesare nella sua impresa di Forlì e poi a Roma. Qui fu testimone del primo tentato assassinio di [[Alfonso d'Aragona (1481-1500)|Alfonso di Bisceglie]], di cui diede notizia alla duchessa Elisabetta Gonzaga.<ref name=":4" />
Mancano altre sue notizie fino al 1502, ma si presume che avesse continuato a seguire il Borgia in tutti i suoi spostamenti e quindi in [[Romagna]] e a [[Napoli]]. Sicuramente si trovava a Imola nell'ottobre-dicembre 1502. Probabilmente assistette anche alla drammatica [[strage di Senigallia]]. Nel gennaio 1503 il Borgia lo inviò come [[commissario]] a [[Fermo]], ma tenne quel posto solo per pochi mesi, poiché già nel maggio fu sostituito da Giacomo Nardino. Vincenzo dovette cogliere l'occasione per separarsi dal servizio del Borgia, la cui stella era oramai al declino, e dei cui favori non godeva più come in passato. Già nel settembre 1503 lo si ritrova al servizio di Ercole Pio Carpi
=== Protetto di Elisabetta Gonzaga ===
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In una scena narrata nel ''[[Il Cortegiano|Cortegiano]]'' di [[Baldassarre Castiglione]] (ambientato nel 1507 ma scritto diversi anni dopo) "l'irreprensibile Elisabetta, che ha scelto di essere ''vidua'' [vedova] ''in vita'' dell'impotente Guidobaldo" si mostra in pubblico con una lettera S sulla fronte, sul significato della quale i suoi cortigiani si interrogano: "forse cela nell'emblema che le orna la fronte un desiderio segreto relativo alla tanto agognata, impossibile maternità. O forse un segreto vincolo d'amore". Nell'opera è detto che [[Bernardo Accolti|Unico Aretino]] risponde alla sfida con la composizione estemporanea di un sonetto, ''Per segno del mio amor nel fronte porto'', il quale indica appunto il significato principalmente amoroso di quella S sulla fronte, che varia poi in base alle diverse situazioni.<ref>La rivista di engramma 2010 82-86, Edizioni Engramma, 2019, Raccolta dei numeri di 'La Rivista di Engramma' (www.engramma.it) 82-86 dell'anno 2010, pp. 347-348.</ref> In verità tale sonetto, attribuito da Castiglione all'Aretino, uscì a stampa già nel 1502 sotto il nome di Vincenzo Calmeta.<ref>Il Libro di poesia dal copista al tipografo: Ferrara, 29-31 maggio 1987, Edizioni Panini, 1989, p. 166; Forme e vicende: per Giovanni Pozzi, Ottavio Besomi, Antenore, 1988, p. 144.</ref><blockquote>
"Tratto spiccato della sua vita riesce il grande favore in cui lo ebbero le maggiori donne del tempo: Beatrice, Elisabetta, e insieme con esse anche la sorella dell'una e cognata dell'altra, Isabella Gonzaga; nobili sembianze, frammezzo alle quali produce effetto singolare il veder sporgere il truce suo viso Cesare Borgia".<ref name=":13">Scritti di filologia e linguistica italiana e romanza, Volume 2, Pio Rajna, Salerno, 1998, p. 921.</ref>
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</blockquote>In questo periodo Vincenzo si dedicò intensamente all'approfondimento dello studio sulla [[lingua cortigiana]] elaborando la sua [[teoria]] e dimostrò, nei ''"Nove libri della volgare poesia"'', oggi andati perduti, nelle "Annotazioni e iudìci" e nella nota "Vita di Serafino Aquilano" pubblicata a [[Bologna]] nel [[1504]], di essere uno tra i più validi critici del tempo. Questi libri gli causarono l'avversione e l'inimicizia di [[Pietro Bembo]], col quale era inizialmente in buoni rapporti, e che lo denigrò nelle sue ''[[Prose nelle quali si ragiona della volgar lingua|Prose]]''. "Probabilmente il Bembo, che non faceva mistero dei suoi propositi di occuparsi organicamente della lingua volgare, avrà provato un cruccioso dispetto nel sapere che il Calmeta stava battendo quella stessa strada che egli solo e per primo voleva battere.<ref>Lettere italiane, Volume 12, Giuseppe Searpat, Leo S. Olschki Editore, 1960, p. 123.</ref>▼
=== Inimicizia con Pietro Bembo ===
Morì infine a Roma nell'agosto del 1508.<ref name=":2" />▼
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[[Lodovico Castelvetro|Ludovico Castelvetro]], che conosceva bene Vincenzo poiché aveva letto le sue opere, affermò che Pietro Bembo nelle ''Prose'' aveva messo in bocca a Vincenzo una opinione sulla lingua volgare alla diversa da quella che egli aveva espresso nei suoi libri sulla volgar poesia, cioè che Bembo avesse commesso una falsificazione ai suoi danni, sebbene anche qui sia impossibile giudicare la fondatezza dell'accusa<ref name=":14" />
== Aspetto e personalità ==
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