Logica trascendentale: differenze tra le versioni
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====La deduzione trascendentale nella seconda edizione====
Rispetto alla versione della prima edizione, la deduzione trascendentale nella seconda edizione contrae i passaggi dedicati alla sintesi. La sintesi deputata alla capacità di immaginazione è rinominata "sintesi figurata" (o ''synthesis speciosa''), mentre quella deputata all'intelletto è rinominata "sintesi intellettuale" (o ''synthesis intellectualis'').<ref>{{Cita|''Critica della ragione pura''|p. 184|Colli}}.</ref> La deduzione del 1781 è peraltro una deduzione soggettiva, in quanto prende avvio dalle caratteristiche che la facoltà conoscitiva dell'uomo deve necessariamente possedere perché abbia esperienza degli oggetti, mentre una deduzione oggettiva (qual è quella del 1787) dovrà esporre le condizioni trascendentali della conoscenza senza riferimento alle facoltà del soggetto.<ref name=gardner91>{{cita|Gardner|p. 91}}.</ref>
Gli studiosi generalmente dividono la deduzione trascendentale della seconda edizione in una prima parte (§§15-20) e in una seconda (§§21-26). Il primo passaggio punta a dimostrare che l'intelletto umano applica necessariamente le categorie ad ogni oggetto (''Objekt'') di giudizio, per ogni oggetto dato in una intuizione in generale (questa è la validità oggettiva delle categorie, cioè il fatto che esse siano richieste per pensare). Il secondo passaggio punta a dimostrare invece che le categorie sono applicate necessariamente ad ogni oggetto d'esperienza (''Gegenstand''; è questa invece la realtà oggettiva delle categorie).<ref>{{cita|Buroker|pp. 116-117}}.</ref>
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{{citazione|L'io penso deve poter accompagnare tutte le mie rappresentazioni, poiché altrimenti in me verrebbe rappresentato un qualcosa, che non potrebbe affatto venir pensato; o con espressione equivalente: poiché altrimenti o la rappresentazione risulterebbe impossibile, oppure, almeno per me, essa non sarebbe niente. [...] La rappresentazione: io penso [...] è un atto della spontaneità [...].<ref>{{Cita|''Critica della ragione pura''|pp. 155-156|Colli}}.</ref>}}
L'espressione "io penso" non va scambiata per una sequenza di parole o una mera proposizione linguistica. Essa rappresenta piuttosto l'atto con cui mi rappresento come mia (e quindi come autocosciente) una rappresentazione.<ref name=burnham88/>
L'atto, di per sé non necessario, di accompagnare tutte le rappresentazioni corrisponde all'autocoscienza. Come scrive Buroker: "Nella misura in cui riconosco una rappresentazione come mia, me la ascrivo, e quindi devo essere cosciente di me stesso in quanto soggetto dello stato"<ref>{{cita|Buroker|pp. 118-119}}.</ref>. Anche nella seconda edizione, questa autocoscienza è chiamata da Kant "unità trascendentale dell'appercezione" (o "io penso"). L'io penso non è una rappresentazione derivata. Inoltre, non ha un contenuto distinto, non contiene un molteplice. L'io penso esprime la mera identità numerica del soggetto che pensa.<ref>{{cita|Buroker|p. 119}}.</ref> Scrive Kant:
{{citazione|[...] questa proposizione fondamentale dell'unità necessaria dell'appercezione [...] è essa stessa identica, ed è quindi una proposizione analitica, ma rivela tuttavia come necessaria una sintesi del molteplice dato in un'intuizione: senza tale sintesi non può venir pensata quell'ininterrotta identità dell'autocoscienza. In effetti, mediante l'io, in quanto rappresentazione semplice, non viene dato alcun molteplice; nell'intuizione, che è differente dall'io, il molteplice può essere soltanto dato, e attraverso la congiunzione in una sola coscienza esso può venir pensato. Un intelletto, in cui tutto il molteplice fosse dato simultaneamente dall'autocoscienza, intuirebbe: il nostro intelletto può soltanto pensare, e deve cercare l'intuizione nei sensi.<ref>{{Cita|''Critica della ragione pura''|pp. 160-161|Colli}}.</ref>}}
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Nel §18 (''Che cosa sia l'unità oggettiva dell'autocoscienza''), Kant tra un'unità delle rappresentazioni che sia soltanto soggettiva da una che sia oggettiva. Mentre quest'ultima è l'unità nel pensiero di un oggetto, la prima è l'unità in quanto prodotto di una mera [[Associazione (psicologia)|associazione]] tra rappresentazioni, quella che Hume aveva accostato al principio di congiunzione costante. Kant chiama questa unità soggettiva "una determinazione del senso interno"<ref>{{Cita|''Critica della ragione pura''|pp. 166-167|Colli}}.</ref>. Una tale connessione non è concettuale e non rappresenta un oggetto.<ref>{{cita|Buroker|pp. 123-124}}.</ref>
Nel §19 (''La forma logica di tutti i giudizi consiste nell'unità oggettiva dell'appercezione dei concetti in essi contenuti''), Kant sostiene che rappresentarsi un oggetto è in sostanza giudicare. A questo proposito, egli si dichiara insoddisfatto della tradizionale definizione di giudizio offerta dai logici ("rappresentazione di un rapporto tra due concetti"<ref>{{Cita|''Critica della ragione pura''|p. 168|Colli}}.</ref>), adatta al più ai giudizi categorici (mentre, ad esempio, i giudizi ipotetici e disgiuntivi mettono in rapporto altri giudizi<ref name=colli127/>). Per quanto esistano certamente giudizi empirici, di natura contingente, essi hanno comunque un'unità oggettiva, in quanto si riferiscono a oggetti o a stati di cose, e possono essere veri o falsi.<ref>{{cita|Buroker|pp. 124-125}}.</ref> Nel §19, l'unità oggettiva dell'autocoscienza è posta in relazione con l'unità oggettiva del giudizio: le condizioni dell'autocoscienza equivalgono alle condizioni della sintesi del molteplice (o concettualizzazione dell'oggetto).<ref name=gardner91/>
Nel § 20 (''Tutte le intuizioni sensibili sono soggette alle categorie, come alle sole condizioni, sotto cui il molteplice di tali intuizioni possa raccogliersi in un'unica coscienza''), Kant mette in relazione giudizi e categorie, osservando che il molteplice dato in un'intuizione è determinato in relazione ad una delle funzioni logiche del giudizio e che le categorie sono queste stesse funzioni logiche del giudizio applicate al molteplice di un'intuizione. In altre parole, le categorie sono quelle stesse funzioni logiche del giudizio nel loro uso reale.<ref>{{cita|Buroker|p. 126}}.</ref> In questa sezione, Kant porta a compimento la dimostrazione avviata con §15; egli vi afferma infatti: "Il ''datum'' molteplice, che è fornito in un'intuizione sensibile, è necessariamente subordinato all'unità sintetica originaria dell'appercezione, poiché solo mediante tale unità è possibile l'unità dell'intuizione (§17). Ma quell'atto dell'intelletto, attraverso cui il molteplice di rappresentazioni date (si tratti di intuizioni oppure di concetti) viene riportato sotto un'appercezione in generale, è la funzione logica dei giudizi (§19)"<ref>{{Cita|''Critica della ragione pura''|pp. 171-172|Colli}}.</ref>. Riprendendo i risultati della deduzione metafisica, risulta che ogni molteplice portato ad unità è determinato rispetto ad una delle funzioni logiche del giudicare. Le categorie sono appunto quelle funzioni logiche in quanto determinano l'intuizione pura. Quindi, il molteplice di una data intuizione è soggetta alle categorie, che sono dunque necessariamente valide in relazione ad ogni molteplice dato.<ref>{{cita|Burnham e Young|pp. 92-93}}.</ref>
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